Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza 05 aprile 2023 n. 9369
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di ricorso per cassazione avverso sentenze del giudice speciale, integra il vizio di rifiuto dell’esercizio della giurisdizione l’affermazione – contraria alla regula iuris che attribuisce a quel giudice il potere di dicere ius sulla domanda – che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio è, in astratto, priva di tutela, allorché essa sia corredata dal rilievo della estraneità di tale situazione non solo alla propria giurisdizione ma anche a quella di ogni altro giudice; mentre, ove tale affermazione sia accompagnata dal riconoscimento dell’esistenza dell’altrui giurisdizione, ricorre un’ipotesi di diniego della propria giurisdizione, l’uno e l’altro vizio, peraltro, risultando i soli sindacabili dalla Corte di cassazione ex art. 111, ultimo comma, Cost., diversamente dall’erronea negazione, in concreto, della tutela alla situazione soggettiva azionata
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- L’unico motivo è così rubricato: «Art. 360, comma 1, punto 1) c.p.c. e 110 c.p.a.: diniego di giustizia e/o rifiuto di giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda riconvenzionale non può formare oggetto di funzione giurisdizionale ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 29 c.p.a. in violazione degli artt. 24, comma 1, e 111, comma 1, Cost. Violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale (anche amministrativa ex art. 1 c.p.a.)».
Con il mezzo in esame, il ricorrente sostiene che il Consiglio di Stato, «avendo dichiarato inammissibile il ricorso incidentale con domanda riconvenzionale proposto dal Comune di Canosa di Puglia ai sensi dell’art. 42, comma 5 c.p.a., reca in parte qua un “diniego di giustizia” e/o rifiuto di giurisdizione” nell’ambito della giurisdizione esclusiva riservata al Giudice amministrativo dall’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2) c.p.ca. sulle controversie “… relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 200, n. 163″».
In particolare il Comune ricorrente assume che non potrebbero «predicarsi limitazioni e/o restrizioni alla proponibilità nel ricorso amministrativo – e al conseguente esame da parte del g.a. – di una domanda riconvenzionale con ricorso incidentale che risulti “… correlata alla vicenda sostanziale in contestazione” (Cons. Stato n. 6259/2002 cit.); pena la violazione degli artt. 24, comma 1 e 111, comma 1, Cost., nonché del postulato principio di effettività della tutela giurisdizionale (anche amministrativa ex art. 1 c.p.a.), rientrante nel sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione affidato a codesta Corte regolatrice». Deduce, quindi, «l’erroneità dell’assunto del Giudice amministrativo d’appello secondo cui, ai sensi dell’art. 42, comma 5 c.p.c., non sarebbero “del tutto coincidenti” i presupposti di ammissibilità della domanda riconvenzionale proposta con ricorso incidentale nelle controversie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (rispetto a quello proposto nella generale giurisdizione di legittimità)». Asserisce che nella materia oggetto del giudizio, devoluta alla giurisdizione esclusiva del g.a. ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 2) c.p.a., il “titolo già dedotto” in giudizio dal ricorrente principale sarebbe costituito dal sottostante “contratto ad esecuzione continuata” nel quale si faccia questione della “clausola di revisione del prezzo” e del “relativo provvedimento applicativo”.
Sostiene che, nella specie, sarebbe il contratto di appalto del 28.9.2001, avente decorrenza dal 1°.9.2001 al 31.8.2012, a costituire il “titolo” dedotto in giudizio dal ricorrente principale e, per l’effetto, a determinare quella «… comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti (Cass. civ., n. 7076/2016 cit.)» e che sarebbe «sempre il contratto, e in particolar modo la clausola di revisione del prezzo ivi prevista (art. 18 c.s.a.), a tracciare il perimetro de: “… l’esercizio in concreto della stessa funzione”». Denuncia l’erroneità della sentenza impugnata sia nella parte in cui si afferma che «quando l’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 Cod. proc. amm., riserva al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sul provvedimento applicativo della clausola di revisione dei prezzi, individua appunto in tale provvedimento applicativo il “titolo” dedotto in giudizio. Il thema decidendum perciò è delimitato dal contenuto del provvedimento applicativo impugnato e tale rimane anche a seguito della proposizione del ricorso incidentale ex art. 42, comma 5, Cod. proc.amm.» sia laddove si rileva che «… non si intende affatto affermare che l’amministrazione non possa basare la propria domanda riconvenzionale su provvedimenti amministrativi diversi da quello impugnato dall’appaltatore, ma soltanto che la cognizione di tali provvedimenti amministrativi in tanto è ammissibile, anche in via riconvenzionale, in quanto essi abbiano ad oggetto quella stessa “porzione” del rapporto contrattuale che già fa parte del thema decidendum»; evidenzia la «contraddittorietà del dictum che, pur avendo, prima, assunto la centralità del “provvedimento applicativo” impugnato col ricorso principale, sostiene poi, che oggetto del processo amministrativo è, in ogni caso, il “rapporto contrattuale che attiene alla clausola revisionale del prezzo”, ancorché nella “parte” o “porzione” dello stesso delimitato dal provvedimento impugnato col ricorso principale. Apparendo, del resto, di non agevole individuazione [il] perimetro e/o …l’entità di quelle “parti”/”porzioni” di un rapporto che geneticamente fondi sulla “esecuzione continuata”, a fortiori in mancanza di un “provvedimento applicativo” impugnato dal ricorrente principale; come simultaneamente arduo è ipotizzare che, in una ristretta “porzione” del rapporto negoziale, sussistano “provvedimenti amministrativi diversi da quello impugnato dall’appaltatore».
Conclusivamente, secondo il ricorrente, sussisterebbero «il “diniego di giustizia” e/o il “rifiuto di giurisdizione “perpetrato a danno dell’amministrazione ricorrente dall’impugnata sentenza della Sezione V del Consiglio di Stato n. 7959/2021, fondati sull’erroneo presupposto che la domanda riconvenzionale proposta in giudizio dalla p.A. non possa formare oggetto di funzione giurisdizionale ex artt. 133, comma 1, lett. e), n. 2) e 42, comma 5, c.p.a., in violazione degli artt. 24, comma 1, e 111, comma 1, Cost..
Invero, l’interpretazione delle ridette norme processuali operata da Palazzo Spada, determinando la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale promossa con ricorso incidentale dalla p.A. in materia di giurisdizione esclusiva, riverbera, con ogni evidenza, in termini di negazione dell’invocato esercizio della funzione giurisdizione e di lesione della effettività cui deve essere informata la tutela giurisdizionale (anche amministrativa ex art. 1 c.p.a.)».
1.1. Il motivo è inammissibile, alla luce dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di diniego o rifiuto di giurisdizione e appresso riportati: «In materia di ricorso per cassazione avverso le sentenze del giudice speciale, integra il vizio di rifiuto dell’esercizio della giurisdizione l’affermazione contro la regola iuris che attribuisce a quel giudice il potere di dicere ius sulla domanda che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio è, in astratto, priva di tutela, allorché essa sia corredata dal rilievo della estraneità di tale situazione non solo alla propria giurisdizione ma anche a quella di ogni altro giudice, atteso che, ove tale affermazione fosse, invece, accompagnata dal riconoscimento dell’esistenza dell’altrui giurisdizione, ricorrerebbe un’ipotesi di diniego della propria giurisdizione, l’uno e l’altro vizio, peraltro, risultando i soli sindacabili dalla Corte di cassazione ex art 111, ultimo comma, Cost, diversamente dall’erronea negazione, in concreto, della tutela alla situazione soggettiva azionata» (Cass., sez. un., n. 13976 del 6/06/2017); «In materia di controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione delle sentenze dei giudici speciali, che l’art. 111, comma 8, Cost., affida alla Corte di cassazione, il diniego di giustizia è sindacabile solo in astratto, cioè in relazione all’estraneità del deciso rispetto alle attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice, e mai in concreto» (Cass. sez. un., ord., n. 30112 del 26/10/2021); «In tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze del giudice speciale, ex art. 111, comma 8, Cost., affinché sia configurabile il rifiuto o il diniego di giurisdizione occorre che una domanda sia stata proposta e che il giudice adito, nel declinare la giurisdizione, ritenga che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio sia in astratto priva di tutela, ovvero riconosca la giurisdizione del giudice ordinario o di altro speciale, non essendo invece prospettabile tale vizio quando il ricorrente si lamenti di giudizi che avrebbero dovuto essere promossi innanzi al giudice ordinario ma non lo sono stati, o che avrebbero potuto anche essere incardinati di fronte allo stesso giudice speciale, ma in epoca precedente rispetto alla introduzione di quello definito con la sentenza impugnata» (Cass., sez. un., ord., n. 37552 del 30/11/2021).
1.2. In particolare, osserva il Collegio che il ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111, ottavo comma, Cost., e degli artt. 362 cod. proc. civ. e 110 cod. proc. amm., è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione e, secondo la costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite, è, quindi, esperibile solo nel caso in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato l’ambito della giurisdizione in generale, esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, oppure, al contrario, negando la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non possa formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale, ovvero qualora abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione (pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale; o negandola o compiendo un sindacato di merito, pur trattandosi di materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo controllo di legittimità degli atti amministrativi, e invadendo arbitrariamente il campo dell’attività riservato alla P.A. (v., ex plurimis, Cass., sez. un., 23 luglio 2015, n. 15476; Cass., sez. un., 29 dicembre 2017, n. 31226; Cass., sez. un., 30/03/2018, n. 8047).
Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di precisare (Cass., sez. un., 13 maggio 2020, n. 8848; Cass., sez. un., 19 aprile 2021, n. 10245; Cass., sez. un., 26 ottobre 2021, n. 30112), in particolare, anche il cd. l’eccesso di potere denunciabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici); e poiché la nozione di eccesso di potere giurisdizionale non ammette letture estensive, neanche limitatamente ai casi di sentenze abnormi, anomale ovvero caratterizzate da uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento, il relativo vizio non è configurabile in relazione a denunciate violazioni di legge sostanziale o processuale riguardanti il modo di esercizio della giurisdizione speciale (Cass., sez. un., 4 febbraio 2021, n. 2605).
Se è pur vero che qualsiasi erronea interpretazione o applicazione di norme in cui il giudice possa incorrere nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ove incida sull’esito della decisione, può essere letta in chiave di lesione della pienezza della tutela giurisdizionale cui ciascuna parte legittimamente aspira, perché la tutela si realizza compiutamente se il giudice interpreta ed applica in modo corretto le norme destinate a regolare il caso sottoposto al suo esame, tuttavia, non per questo ogni errore di giudizio o di attività processuale imputabile al giudice è qualificabile come eccesso di potere giurisdizionale assoggettabile al sindacato della Corte di cassazione, quale risulta delineato dall’art. 111, ottavo comma, Cost. e dagli artt. 362 cod. proc. civ. e 110 cod. proc. amm.. Infatti, ne risulterebbe altrimenti del tutto obliterata la distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione e il sindacato di questa Corte sulle sentenze del giudice speciale verrebbe di fatto ad avere una latitudine non dissimile da quella che ha sui provvedimenti del giudice ordinario: ciò che la norma costituzionale e le disposizioni processuali dianzi richiamate non sembrano invece consentire (Cass., sez. un., 14 settembre 2020, n. 19085).
É stato ribadito (Cass., sez. un., 19 dicembre 2018, n. 32773; Cass., Sez. Un., 9 aprile 2020, n. 7762) che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali o processuali, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, ottavo comma, Cost., in quanto l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione. Nella misura in cui riconduce ipotesi di errores in iudicando o in procedendo ai motivi inerenti alla giurisdizione, la tesi del concetto di giurisdizione inteso in senso dinamico – ha rimarcato la Corte costituzionale nella sentenza n. 6 del 2018 – comporta una più o meno completa assimilazione dei due tipi di ricorso, ai sensi del settimo e dell’ottavo comma dell’art. 111 Cost., e si pone in contrasto con tale disposizione costituzionale e con l’assetto pluralistico delle giurisdizioni stabilito dalla Carta fondamentale che, appunto per questo, ha sottratto le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti al controllo nomofilattico della Corte di cassazione, stabilendo una riserva di nomofilachia in favore dei rispettivi organi di vertice delle due giurisdizioni speciali (v., in particolare, Cass., sez. un., ord., 26 ottobre 2021, n. 30112, cit.).
1.3. Alla luce di quanto sopra evidenziato, queste Sezioni Unite ritengono che nella specie non sia configurabile un rifiuto o un diniego di giurisdizione.
In materia di ricorso per cassazione avverso le sentenze del giudice speciale – come già sottolineato – integra il vizio di rifiuto dell’esercizio della giurisdizione l’affermazione, contraria alla regula iuris che attribuisce a quel giudice il potere di dicere ius sulla domanda, che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio è, in astratto, priva di tutela, allorché essa sia corredata dal rilievo della estraneità di tale situazione non solo alla propria giurisdizione ma anche a quella di ogni altro giudice; mentre, ove tale affermazione sia accompagnata dal riconoscimento dell’esistenza dell’altrui giurisdizione, ricorre un’ipotesi di diniego della propria giurisdizione, l’uno e l’altro vizio, peraltro, risultando i soli sindacabili dalla Corte di cassazione ex art. 111, ultimo comma, Cost., diversamente dall’erronea negazione, in concreto, della tutela alla situazione soggettiva azionata (Cass., Sez. Un., 6 giugno 2017, n. 13976).
Come già sopra affermato, nella sentenza impugnata non è riscontrabile il denunciato vizio di rifiuto o diniego di giurisdizione.
Ed infatti, il Consiglio di Stato ha deciso come appresso indicato, con riferimento alla questione rilevante in questa sede (v. ricorso p. 5 o 9), relativa alla seconda censura proposta dal Comune con il secondo motivo di appello, con la quale è stata criticata la sentenza di primo grado nella parte in cui il TAR ha respinto (sia pure implicitamente e non con apposita statuizione contenuta nel dispositivo) la domanda riconvenzionale per ottenere il riconoscimento del credito rivendicato dal Comune, compreso quello maturato per gli anni 2011 e 2012, sostenendo l’appellante al riguardo che, trattandosi di domanda autonoma e non di eccezione riconvenzionale tendente unicamente alla reiezione della domanda di parte ricorrente, promossa in un giudizio rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, avrebbe dovuto essere decisa nel merito, nonostante la rinuncia della ricorrente Ecolife S.r.l. alla domanda concernente il compenso revisionale per gli anni 2011 e 2012.
In particolare, sulla base di articolata motivazione, che si snoda da p. 15 a p. 19 della sentenza impugnata in questa sede, il Consiglio di Stato ha ribadito che: «La materia oggetto della presente controversia è devoluta alla giurisdizione esclusiva dall’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, Cod. proc. amm. nella parte in cui prevede le controversie “relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163», ha precisato che «quando l’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 Cod. proc. amm., riserva al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sul provvedimento applicativo della clausola di revisione dei prezzi, individua appunto in tale provvedimento applicativo il “titolo” dedotto in giudizio. Il thema decidendum perciò è delimitato dal contenuto del provvedimento applicativo impugnato e tale rimane anche a seguito della proposizione del ricorso incidentale ex art. 42, comma 5, Cod. proc.amm.
In sintesi, oggetto del processo amministrativo in materia di revisione del prezzo di appalto non è il rapporto contrattuale nella sua interezza, tanto da potersi ritenere che il “titolo” dedotto in giudizio sia il contratto stipulato tra le parti; oggetto del processo è quella “parte” di rapporto contrattuale che attiene alla clausola di revisione del prezzo ed alla sua applicazione così come risultante dal “relativo provvedimento applicativo” (arg. ex art. 133, comma 1, lett. e, n. 2, Cod. proc. amm.) impugnato dal ricorrente principale.
Giova precisare che non si intende affatto affermare che l’amministrazione non possa basare la propria domanda riconvenzionale su provvedimenti amministrativi diversi da quello impugnato dall’appaltatore, ma soltanto che la cognizione di tali provvedimenti amministrativi in tanto è ammissibile, anche in via riconvenzionale, in quanto essi abbiano ad oggetto quella stessa “porzione” del rapporto contrattuale che già fa parte del thema decidendum. Così, nel caso di specie, si è estesa la cognizione alla delibera n. 366/2010 nei limiti della revisione del prezzo dell’appalto per l’annualità 2010, oggetto di giudizio, sia pure al fine di escludere che essa riguardasse tale annualità».
Il Consiglio di Stato ha, quindi, affermato che: «In conclusione, non è ammissibile, perché non dipende dal “titolo” già dedotto in giudizio, la domanda riconvenzionale che lo stesso Comune di Canosa di Puglia definisce “autonoma”, nel senso che ha ad oggetto partite di dare-avere tra le parti per compenso revisionale riferite ad un periodo di servizio (anni 2011-2012) diverso da quello oggetto del ricorso principale (anno 2010).
7.2.6. La riprova dell’inammissibilità della domanda riconvenzionale che presupponga un accertamento di un asserito credito dell’amministrazione (da tenere quindi distinta da un’eventuale eccezione di compensazione proponibile in fase esecutiva, relativamente a crediti e contro-crediti certi, liquidi ed esigibili) si rinviene nella considerazione che il credito del cui accertamento si tratta sarebbe sorto in capo all’amministrazione per effetto di un proprio provvedimento amministrativo, riguardante la liquidazione del compenso revisionale per gli anni 2011-2012.
Si tratterebbe cioè di un credito per un indebito pagamento disposto con un provvedimento amministrativo.
…, il giudice amministrativo non può accertare l’indebito senza la preventiva rimozione del provvedimento amministrativo che liquida il dovuto e ne dispone il pagamento.
La rimozione del provvedimento amministrativo è tuttavia possibile soltanto previa impugnazione da parte del privato destinatario ovvero previo esercizio dei poteri di autotutela della p.a., non essendo consentito a quest’ultima di agire per via giudiziale contra factum proprium.
Poiché la determinazione del 29 dicembre 2010, n. 366 per la parte concernente il compenso revisionale per gli anni 2011 e 2012 non è oggetto di impugnazione né è stata revocata o annullata dall’amministrazione comunale, è corretta la sentenza di primo grado che, sia pure implicitamente, ha concluso per l’inammissibilità della corrispondente domanda riconvenzionale del Comune di Canosa di Puglia.».
A fronte di tale motivazione, il ricorrente formula le sue censure sostenendo quanto riportato all’inizio del presente paragrafo.
Si evidenzia che le doglianze proposte, articolate nei termini sopra ricordati, non investono, in sostanza, questioni attinenti a motivi di giurisdizione né, in particolare, evidenziano effettivamente, al di là delle espressioni utilizzate, che il Consiglio di Stato abbia rifiutato di esercitare la sua giurisdizione o che la decisione si sia risolta in un sostanziale diniego del suo esercizio (Cass., sez. un., 6 giugno 2017, n. 13976/17; Cass., sez. un., ord., 26 ottobre 2021, n. 30112; Cass., sez. un., ord., 30 novembre 2021, n. 37552; v. anche Cass., sez. un., 17 dicembre 2018, n. 32623, non massimata sul punto), ma lamentano, in realtà, errores in iudicando o in procedendo, esclusi, tuttavia, dal sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato (Cass., sez. un., 11 novembre 2019, n. 29082; Cass., sez. un., ord., 15/10/2020, n. 22375).
- Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.