Corte Costituzionale, sentenza 04 luglio 2023 n. 159
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 3, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, recante «Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)», convertito, con modificazioni, nella legge 29 giugno 2022, n. 79, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, sezione quarta civile, ufficio esecuzioni immobiliari.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con ordinanza del 1° dicembre 2022 (reg. ord. n. 154 del 2022), il Tribunale di Roma, sezione quarta civile, ufficio esecuzioni immobiliari, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 3, del d.l. n. 36 del 2022, come convertito.
Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto e di rilevanza, che la procedura esecutiva è stata promossa, in forza di un titolo esecutivo giudiziale costituito da una sentenza passata in giudicato, nei confronti della Repubblica federale di Germania, pignorando beni di tale Stato, situati sul territorio italiano, da M.T. G., quale erede di A. G. per il trattamento disumano subito da quest’ultimo durante il secondo conflitto mondiale. Rappresenta, inoltre, che nella stessa procedura, è intervenuto un altro creditore, D. C., anch’egli in virtù di un titolo esecutivo giudiziale e in qualità di erede, per il risarcimento dei danni subiti da G. C. per la cattura, la deportazione e l’internamento, da parte delle forze militari tedesche, in un campo di concentramento.
Il giudice dell’esecuzione immobiliare del Tribunale di Roma evidenzia, altresì, che, nell’espropriazione immobiliare, in data 22 maggio 2022, è intervenuta anche la Regione Sterea Ellada, sulla scorta della pronuncia di condanna della Repubblica federale di Germania resa in data 30 ottobre 1997 dal Tribunale greco di Livadia, per il risarcimento degli eredi delle vittime della strage compiuta il 10 giugno 1944 dalle forze armate tedesche a Distomo, pronuncia munita di exequatur dalla Corte d’appello di Firenze (con decisione confermata dalla Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 20 maggio 2011, n. 11163).
Rappresenta, inoltre, il Tribunale rimettente che la disposizione censurata, rubricata «Istituzione del Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945», ha previsto, a fronte dell’istituzione di detto Fondo, che le procedure esecutive fondate su titoli aventi ad oggetto la liquidazione dei relativi danni non possono essere iniziate o proseguite e i giudizi di esecuzione eventualmente promossi sono estinti.
Il giudice dell’esecuzione immobiliare del Tribunale di Roma ha evidenziato, con specifico riguardo al profilo della rilevanza, che i creditori procedenti hanno agito in forza di una sentenza passata in giudicato nei confronti della Repubblica federale di Germania per danni riconducibili a quelli per cui è stato istituito il Fondo, ossia per i danni alla persona subiti dal proprio dante causa per il trattamento disumano durante il secondo conflitto mondiale dalle forze del Terzo Reich. Di qui, in forza del predetto art. 43, dovrebbe dichiarare l’estinzione della procedura esecutiva immobiliare.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo dubita in primo luogo della compatibilità della disposizione censurata con gli artt. 2 e 24 Cost. in quanto la stessa comprometterebbe il diritto alla tutela giurisdizionale, diritto nel quale è ricompresa quella esecutiva, non solo negando sine die ai soggetti individuati dal comma 1 la possibilità di promuovere procedure di esecuzione forzata, ma estinguendo anche quelle già in corso, con conseguente cancellazione del pignoramento, ciò che potrebbe pregiudicare in modo irrimediabile le ragioni creditorie.
Lo stesso Tribunale di Roma ritiene, inoltre, che l’art. 43 censurato violi gli artt. 3 e 111 Cost., con riferimento ai principi di eguaglianza sovrana fra gli Stati e di parità delle parti nel processo. Secondo il giudice rimettente, infatti, anzitutto, il sacrificio immediatamente imposto, con l’estinzione della procedura esecutiva, ai creditori della Repubblica federale tedesca per i danni indicati dal comma 1 della predetta disposizione non troverebbe adeguata compensazione nel Fondo contemplato dal comma 3, stante anche la mancata emanazione della normativa regolamentare destinata a disciplinare le forme di accesso allo stesso, l’entità, totale o parziale, del ristoro e le relative modalità di erogazione.
Il Tribunale di Roma evidenzia, infine, che la norma censurata violerebbe anche l’art. 3 Cost., nella parte in cui preclude la possibilità di promuovere procedure esecutive solo ai cittadini italiani, lasciando impregiudicata la facoltà di altri soggetti, come la Regione greca intervenuta nella procedura pendente dinanzi a sé, di agire in sede esecutiva dinanzi a giudici italiani nei confronti della Repubblica federale di Germania per danni derivanti dai crimini commessi durante il secondo conflitto mondiale.
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità delle questioni poiché il giudice a quo non ha indicato, nell’ordinanza di rimessione, i beni dello Stato estero che sono stati sottoposti a pignoramento nella procedura di esecuzione forzata. Tale carenza impedirebbe di valutare se si tratta, o no, di beni che, in quanto destinati a funzioni pubblicistiche dello Stato, rientrano tra quelli non pignorabili in applicazione della norma di diritto internazionale consuetudinario dell’immunità cosiddetta ristretta degli Stati dall’esecuzione forzata; norma sulla quale non inciderebbero i principi espressi dalla sentenza n. 238 del 2014 di questa Corte, relativi alla sola fase della cognizione.
Per altro verso, l’Avvocatura generale dello Stato deduce che la mancata indicazione, nell’ordinanza di rimessione, dei beni pignorati nella procedura esecutiva impedirebbe anche la valutazione in ordine alla sussistenza della giurisdizione del giudice rimettente, la quale dovrebbe ritenersi carente ove si trattasse di beni con destinazione pubblicistica.
3.– L’eccezione, pur muovendo da un corretto presupposto interpretativo, non è però fondata.
3.1.– Come è stato chiarito da tempo nella giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 329 del 1992), e in seguito puntualizzato in quella di legittimità (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 1° luglio 1997, n. 5888), l’immunità dei beni dello Stato estero dall’esecuzione forzata viene in rilievo quale limite alla pignorabilità, ma non incide, invece, sulla giurisdizione, che sussiste in sede di esecuzione con il limite riveniente dal canone dell’immunità ristretta degli Stati.
Tale immunità – nel contenuto che da tempo risalente, per norma consuetudinaria di diritto internazionale, ne comporta la qualificazione come “ristretta” – opererebbe, di norma, con riguardo sia ai giudizi di cognizione, sia alle procedure esecutive, nella portata definita dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja nella sentenza 3 febbraio 2012 con riferimento proprio ad una fattispecie analoga a quella in esame.
Ma, per effetto della citata sentenza n. 238 del 2014, si è affermata una regola derogatoria con riferimento alla particolare fattispecie dei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, quali quelli compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945. Questa Corte ha, infatti, affermato che deve riconoscersi il “diritto al giudice” – che questa Corte ha ripetutamente compreso fra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale (fra le più risalenti sentenze, n. 18 del 1982, nonché n. 82 del 1996) – ove l’oggetto dell’accertamento concerna il danno da crimini di guerra ed ha quindi ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice comune quanto al giudizio di cognizione.
La richiamata norma consuetudinaria internazionale sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri per atti iure imperii non opera – nel senso che non vi è l’adeguamento automatico di cui all’art. 10, primo comma, Cost. – quando ciò comporterebbe la violazione del diritto al giudice di chi sia stato vittima di crimini contro l’umanità e di gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona. Ha affermato questa Corte che «[l]’immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione del giudice italiano consentita dagli artt. 2 e 24 Cost. protegge la funzione, non anche comportamenti che non attengono all’esercizio tipico della potestà di governo, ma sono espressamente ritenuti e qualificati illegittimi, in quanto lesivi di diritti inviolabili».
Con tale pronuncia è stata altresì dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945), limitatamente all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, nella parte in cui obbligava il giudice italiano ad adeguarsi alla citata pronuncia della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, che gli imponeva di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.
Analoga dichiarazione di illegittimità costituzionale ha investito l’art. 3 della legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento all’ordinamento interno), anche quest’ultimo – per quanto risulta chiaramente dalla motivazione – nella parte concernente il suddetto obbligo di adeguamento alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia.
Tutto ciò, però, vale per il giudizio di cognizione.
3.2.– Invece, nella diversa sede del processo esecutivo, al quale non si riferisce la citata sentenza n. 238 del 2014, la prospettiva è diversa perché il canone dell’immunità ristretta degli Stati vale non già ad escludere la giurisdizione del giudice nazionale, bensì a limitare i beni suscettibili di pignoramento e di esecuzione forzata. Il diritto al giudice e alla tutela giurisdizionale, in tal caso mediante azione in executivis di promovimento dell’espropriazione forzata, è comunque garantito, anche se modulato dall’operatività della norma consuetudinaria di diritto internazionale.
La dottrina dell’immunità degli Stati non scherma affatto la giurisdizione del giudice in sede esecutiva, ma incide sui beni dello Stato suscettibili di espropriazione forzata. Se questi sono riferibili ad una funzione in senso lato pubblicistica, ossia ad attività iure imperii, vi è l’immunità (quella cosiddetta ristretta) e quindi essi non sono pignorabili nel contesto di una procedura di espropriazione forzata. Se, invece, si tratta di beni, che attengono all’attività iure gestionis dello Stato, essi sono pignorabili normalmente.
In questi termini, la norma consuetudinaria di diritto internazionale, come riconosciuta dalla Corte internazionale di giustizia nella citata sentenza del 3 febbraio 2012, ha ingresso nel nostro ordinamento ex art. 10, primo comma, Cost., senza che a ciò sia di ostacolo alcun controlimite, né in particolare quello ritenuto dalla sentenza n. 238 del 2014 quanto al giudizio di cognizione. Il vincolo per il giudice nazionale di adeguamento alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia permane con riferimento alla fase dell’esecuzione forzata, mentre soltanto con riferimento alla fase della cognizione è schermato – e non opera – per effetto delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale recate dalla citata sentenza n. 238 del 2014 di questa Corte, unitamente all’accertamento del mancato ingresso (ex art. 10, primo comma, Cost.) della relativa norma consuetudinaria nel nostro ordinamento.
Quanto alla fase dell’esecuzione forzata, la norma consuetudinaria di diritto internazionale dell’immunità ristretta degli Stati è, del resto, coerente con la Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, non ancora in vigore ma già ratificata dallo Stato italiano con legge n. 5 del 2013; la Parte IV della Convenzione (articoli da 18 a 21) prevede l’immunità dello Stato straniero da misure di esecuzione e cautelari.
In tal senso, poi, si è già orientata la giurisprudenza di legittimità che, proprio con riferimento ad un bene appartenente alla Repubblica federale di Germania e destinato a fini riconducibili all’azione di quello Stato e quindi “pubblicistici” (nella specie, Villa Vigoni), ha affermato che in base al diritto internazionale consuetudinario non è consentita un’azione esecutiva avente ad oggetto beni di proprietà di Stati stranieri ove questi abbiano destinazione a fini pubblicistici (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 8 giugno 2018, n. 14885).
All’immunità ristretta degli Stati nel processo esecutivo c’è da aggiungere l’ulteriore protezione specifica prevista dall’art. 19-bis del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162. Tale disposizione, introdotta all’indomani della suddetta pronuncia della Corte, ha stabilito che non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio, le somme a disposizione dei soggetti di cui all’art. 21, comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, depositate su conti correnti bancari o postali, in relazione ai quali il capo della rappresentanza, del posto consolare o il direttore, comunque denominato, dell’organizzazione internazionale in Italia, con atto preventivamente comunicato al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e all’impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria presso cui le medesime somme sono depositate, abbia dichiarato che il conto contiene esclusivamente somme destinate all’espletamento delle funzioni dei soggetti suddetti.
3.3.– È quindi corretto il presupposto interpretativo dal quale muove l’Avvocatura nella parte in cui si afferma l’operatività della norma consuetudinaria di diritto internazionale quanto all’immunità ristretta degli Stati nelle procedure di esecuzione forzata; ciò che peraltro verrà anche in rilievo infra (al punto 16) nel sindacato sul bilanciamento tra la tutela in executivis del creditore procedente e l’obbligo dello Stato italiano di rispettare gli accordi internazionali.
Non di meno l’eccezione di inammissibilità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale è, per altro verso, non fondata.
È vero che nel giudizio principale – ossia nel processo esecutivo promosso dal creditore procedente con l’intervento di altre parti creditrici parimenti munite di titolo esecutivo – si controverte in ordine all’assoggettabilità, o no, a espropriazione forzata del compendio pignorato (trattasi di immobili dove hanno sede l’Istituto storico tedesco, l’Istituto archeologico tedesco, il Goethe Institut e la Scuola Germanica), la cui destinazione pubblicistica è assunta dalla Repubblica federale di Germania, debitrice esecutata.
Ma, al fine dell’applicabilità della norma censurata, tale circostanza non rileva nel senso che quest’ultima prevede l’estinzione ex lege di tutti i processi esecutivi aventi ad oggetto l’esecuzione forzata di pronunce esecutive, recanti la condanna della Repubblica federale di Germania al risarcimento dei danni subìti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945, senza distinzione alcuna in ordine alla destinazione, pubblicistica o non, dei beni pignorati.
Tanto basta per riconoscere la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, le quali quindi sono ammissibili, essendo peraltro sufficientemente motivata la loro non manifesta infondatezza, ritenuta dal giudice rimettente.
4.– Prima di esaminare nel merito le questioni sollevate dal Tribunale di Roma, occorre ripercorrere brevemente il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento nel quale si colloca la disposizione censurata (il citato art. 43 del d.l. n. 36 del 2022, come convertito).
5.– Il tema della riparazione dei danni di guerra è, da tempo risalente, oggetto di trattati internazionali.
Le riparazioni dovute dalla Germania ai Paesi vincitori della prima guerra mondiale, compresa l’Italia, furono oggetto di lunghe trattative e di plurimi accordi fino alla Conferenza di Losanna del 1932.
I Trattati di pace di Parigi del 1947 ebbero ad oggetto anche le riparazioni dei danni di guerra cagionati dal secondo conflitto mondiale.
Con legge 2 agosto 1947, n. 811 (Autorizzazione al Governo della Repubblica a ratificare il Trattato di Pace fra le Potenze Alleate e Associate e l’Italia), approvata dall’Assemblea costituente, il Governo fu autorizzato a ratificare il Trattato di pace fra le potenze alleate e associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947.
Successivamente con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 28 novembre 1947, n. 1430 (Esecuzione del Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947), fu data esecuzione al Trattato stesso.
Come non ha mancato di notare la citata sentenza del 3 febbraio 2012 della Corte internazionale di giustizia, il comma 4 dell’art. 77 del Trattato di pace stabiliva, tra l’altro, che, fatta salva ogni altra disposizione che fosse stata adottata a favore dell’Italia e dei cittadini italiani dalle Potenze che occupavano la Germania, l’Italia rinunciava, a suo nome e a nome dei cittadini italiani, a qualsiasi pretesa nei confronti della Germania e dei cittadini tedeschi, pendente alla data dell’8 maggio 1945.
Analoga rinuncia era prevista anche con riferimento alle pretese risarcitorie per danni subiti da atti delle forze armate alleate o associate (art. 76 del Trattato).
Rimaneva, invece, ferma la possibilità di misure cautelari nei confronti di persone accusate di aver commesso od ordinato crimini di guerra e crimini contro la pace o l’umanità (art. 45, comma 1, del Trattato). Costituisce un acquis condiviso nella comunità internazionale l’affermazione della giurisdizione penale nazionale per crimini di guerra.
Parallelamente nella sfera nazionale ha operato la disciplina della riparazione dei danni di guerra.
Nell’immediato dopoguerra fu adottato il decreto luogotenenziale 31 agosto 1945, n. 532 (Istituzione transitoria presso il Ministero del tesoro della Direzione generale per il risarcimento dei danni di guerra), seguito dalla legge 27 dicembre 1953, n. 968 (Concessione di indennizzi e contributi per danni di guerra), che in particolare ha definito, all’art. 3, la nozione di «fatto di guerra» (quali sono stati, ad esempio, i rastrellamenti, le azioni di rappresaglia, la prigionia, l’internamento), che dava titolo, appunto, alla concessione di indennizzi e contributi.
La normativa è stata perfezionata dalla legge 20 ottobre 1981, n. 593 (Snellimento delle procedure di liquidazione relative ai danni di guerra, alle requisizioni ed ai danni alleati, ai debiti contratti dalle formazioni partigiane e soppressione del commissariato per la sistemazione e la liquidazione dei contratti di guerra), la quale, in particolare, ha previsto che le liquidazioni di danni di guerra erano da intendersi «forfettarie» e ha introdotto, all’art. 2, un termine ultimo (31 maggio 1982) per presentare le domande di indennizzo.
Ciò che però rileva in particolare è che, rispetto al più generale tema della riparazione dei danni di guerra, emerge, come esigenza peculiare e speciale, quella di apprestare un ristoro alle vittime dei crimini di guerra nazisti; esigenza avvertita sia in Germania – dapprima con la legge federale sul risarcimento delle vittime della persecuzione nazionalsocialista e in seguito con un’altra legge federale, istitutiva della Fondazione «Memoria, Responsabilità e Futuro» – sia in Italia, con disposizioni varie (di cui si dirà oltre), fino a quella censurata.
6.– Ben presto, nel nuovo clima europeo ispirato a ideali di pace, concordia e comunanza di valori fondamentali, è maturata un’iniziativa congiunta volta a dare una risposta condivisa, e non già solo unilaterale, a questa esigenza.
Si tratta di due contestuali (e connessi) Accordi tra la Repubblica Italiana e la Repubblica federale di Germania con scambi di Note, conclusi a Bonn il 2 giugno 1961, concernenti, l’uno, il regolamento di alcune questioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario, e l’altro, gli indennizzi a favore dei cittadini italiani che erano stati colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste.
L’esecuzione e la ratifica di tali accordi sono contenute rispettivamente nel d.P.R. n. 1263 del 1962 e nella legge 6 febbraio 1963, n. 404 (Ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federale di Germania per gli indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste con Scambio di Note, concluso a Bonn il 2 giugno 1961).
Con il primo accordo le parti hanno disciplinato alcune questioni economiche.
Il secondo contestuale accordo, che maggiormente rileva nel presente giudizio, era più specifico, perché con esso la Repubblica federale di Germania si impegnava a versare alla Repubblica italiana 40 milioni di marchi «a favore di cittadini italiani i quali per ragione di razza, fede o ideologia» fossero stati oggetto di «misure di persecuzione nazionalsocialiste e che a causa di tali misure avessero sofferto privazioni di libertà o danni alla salute, nonché a favore dei superstiti di coloro che erano deceduti a causa di queste persecuzioni» (art. 1).
La finalità dell’accordo ratificato con legge n. 406 del 1963 era quella di chiudere, con il riconoscimento di indennizzi all’epoca ritenuti adeguati, la tragica vicenda dei danni patiti, in particolare, dai deportati nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale e segnatamente nel periodo, successivo all’8 settembre 1943 e fino al termine del conflitto, di occupazione del territorio nazionale da parte delle forze armate tedesche.
Tale accordo del 1961 espressamente prevedeva una clausola liberatoria. Infatti l’art. 3 stabiliva che con il pagamento di cui al precedente art. 1 venivano regolate in modo definitivo tutte le questioni tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale di Germania formanti oggetto dell’accordo stesso, senza pregiudizio delle eventuali pretese di cittadini italiani in base alla legislazione tedesca sui risarcimenti.
Successivamente l’art. 3 della legge n. 404 del 1963, di ratifica ed esecuzione dell’accordo avente ad oggetto gli indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste, ha delegato il Governo ad emanare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, le norme per la ripartizione della somma versata dal Governo tedesco in base all’accordo di cui all’art. 1 della legge stessa.
Nell’esercizio di tale delega è stato adottato il d.P.R. 6 ottobre 1963, n. 2043 (Norme per la ripartizione della somma versata dal Governo della Repubblica federale di Germania, in base all’Accordo di Bonn del 2 giugno 1961, per indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste), che ha disciplinato la ripartizione delle somme versate dalla Germania in esecuzione dell’Accordo del 1961 «a titolo di riparazione morale a favore di cittadini italiani che furono vittime della deportazione per ragioni di razza, fede o ideologia».
Avevano diritto alla riparazione coloro i quali, in qualunque circostanza e ovunque si fossero trovati, anche fuori del territorio dello Stato, fossero stati deportati nei campi di concentramento nazionalsocialisti.
7.– La finalità di chiusura definitiva della questione degli indennizzi si rinviene nell’art. 6 del d.P.R. n. 2043 del 1963, che prevedeva che la domanda per ottenere la liquidazione dell’indennizzo doveva essere presentata al Ministero del tesoro entro sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale sotto pena di decadenza dal diritto all’indennizzo stesso.
Particolarmente importante è l’art. 10, secondo cui, divenuti definitivi gli elenchi dei beneficiari, la Commissione di cui all’art. 7 avrebbe proceduto, entro due mesi, alla ripartizione della somma. A tal fine l’ammontare della somma versata dalla Repubblica federale di Germania, previa detrazione delle aliquote di cui all’art. 13, sarebbe stata divisa per il numero totale dei mesi di presenza in campo di concentramento da parte dei deportati ammessi alla ripartizione. Il quoziente così ottenuto sarebbe stato moltiplicato per i mesi di durata della deportazione di ciascun richiedente o suo dante causa; il prodotto avrebbe rappresentato la quota personale di ciascun richiedente ammesso alla ripartizione.
Si trattava non già di un mero interesse legittimo alla concessione dell’indennizzo, ma di un vero e proprio diritto soggettivo (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 2 marzo 1987, n. 2188), pur non al risarcimento del danno, bensì al ristoro del gravissimo, spesso tragico, pregiudizio subito a causa di quelli che il diritto interazionale consuetudinario considerava delicta iure imperii, ricadenti nell’immunità degli Stati (come in seguito affermato dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza 3 febbraio 2012).
La successiva normativa speciale ha poi incrementato questa tutela con l’introduzione di un «assegno vitalizio di benemerenza» in caso di perdita della capacità lavorativa in misura non inferiore al 30 per cento, come previsto dalla legge 18 novembre 1980, n. 791 (Istituzione di un assegno vitalizio a favore degli ex deportati nei campi di sterminio nazista K.Z.). La successiva legge 29 gennaio 1994, n. 94 (Integrazioni e modifiche alla legislazione recante provvidenze a favore degli ex deportati nei campi di sterminio nazista K.Z.) ha reso reversibile tale assegno.
8.– All’epoca dell’Accordo di Bonn del 1961 e per molti anni a seguire si riteneva che il principio dell’immunità ristretta degli Stati, col fatto di negare la giurisdizione del giudice nazionale, schermasse ogni pretesa risarcitoria individuale, ulteriore rispetto ai suddetti benefici, come del resto, con riferimento specifico al risarcimento del danno da crimini di guerra commessi dal Terzo Reich, affermerà la Corte internazionale di giustizia nella più volte citata sentenza del 3 febbraio 2012.
Questo, per lungo tempo, è stato anche l’orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione (ex plurimis, sezioni unite civili, ordinanza 5 giugno 2002, n. 8157), secondo cui gli atti compiuti dallo Stato nella conduzione di ostilità belliche si sottraggono ad ogni sindacato giurisdizionale.
In seguito ci sono state anche iniziative comuni per creare una nuova cultura della memoria. In una dichiarazione congiunta dei governi della Repubblica federale di Germania e della Repubblica italiana, fatta a Trieste (in occasione della visita, altamente simbolica, dell’ex campo di concentramento della Risiera di San Sabba) il 18 novembre 2008, sono state solennemente riconosciute le «indicibili sofferenze inflitte a uomini e donne italiani, in particolare durante i massacri, e agli ex internati militari italiani».
9.– Il panorama, fin qui sommariamente descritto, muta radicalmente a partire dalla sentenza Ferrini (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 11 marzo 2004, n. 5044) che, operando un netto revirement rispetto alla giurisprudenza precedente, afferma che per gli atti posti in essere nel corso di operazioni belliche costituenti crimini internazionali in violazione di diritti fondamentali della persona umana vi è una deroga al principio dell’immunità, pur ristretta, degli Stati; quella che poi sarà chiamata “eccezione umanitaria”.
L’immunità dalla giurisdizione non opera in presenza di atti – qualificati come crimini contro l’umanità – gravemente lesivi di diritti fondamentali della persona umana, qualificabili quali crimini internazionali, in quanto lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali. In sostanza, la norma consuetudinaria di diritto internazionale che impone agli Stati di astenersi dall’esercitare la giurisdizione nei confronti degli Stati stranieri non può essere invocata in presenza di crimini dello Stato straniero di tale gravità da assurgere a veri e propri crimini internazionali, lesivi di valori universali come il rispetto della dignità umana e dei diritti umani.
Le vicende successive sono note.
È sufficiente ricordare, per un verso, che questo nuovo orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione è stato smentito dalla Corte internazionale di giustizia, che con la citata sentenza del 3 febbraio 2012 ha dichiarato la Repubblica italiana inadempiente rispetto all’obbligo di rispettare l’immunità riconosciuta alla Repubblica federale di Germania dal diritto internazionale sia accogliendo, in sede di cognizione del giudice civile, le pretese vantate nei confronti della Germania per violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dal Terzo Reich tedesco tra il 1943 ed il 1945; sia, in sede esecutiva, adottando misure coercitive (l’iscrizione all’ipoteca giudiziale) relativamente, nel caso specifico, a Villa Vigoni, di proprietà della Germania.
La Corte dell’Aja ha accolto il ricorso della Germania ribadendo che il principio dell’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione per gli atti funzionali svolge un importante ruolo nel diritto internazionale e nelle relazioni internazionali poiché deriva da quello della pari sovranità tra gli Stati, che a propria volta è principio fondamentale dell’ordinamento internazionale ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, della Carta delle Nazioni Unite, firmata il 26 giugno 1945 a San Francisco e ratificata con legge n. 848 del 1957.
La medesima Corte ha ritenuto che le (pur legittime) richieste di risarcimento avanzate dalle vittime dei crimini di guerra, essendo impedite in qualunque sede giudiziale dall’immunità così riconosciuta, avrebbero potuto essere, piuttosto, oggetto di negoziazioni tra i due Stati coinvolti, finalizzate alla risoluzione pacifica della questione.
Lo Stato italiano, allo scopo di conformarsi alla richiamata decisione della Corte internazionale di giustizia, aveva introdotto l’art. 3 della legge n. 5 del 2013, in virtù del quale «quando la Corte internazionale di giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo» (comma 1).
La Corte di cassazione, prendendo atto di tale novità normativa e operando un nuovo revirement rispetto alla richiama sentenza Ferrini, aveva affermato l’insussistenza della giurisdizione civile in materia di azione risarcitoria promossa, nei confronti della Repubblica federale di Germania, per danni da crimini di guerra (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 21 gennaio 2014, n. 1136).
A seguito del richiamato intervento del legislatore, la questione della tutela giurisdizionale dei diritti delle vittime dei crimini nazisti è giunta a questa Corte che ha adottato – come già ricordato – la pronuncia dichiarativa di illegittimità costituzionale, nei termini di cui si è già detto (sentenza n. 238 del 2014), affermando, in sostanza, la giurisdizione del giudice comune a conoscere delle pretese risarcitorie per danni da crimini di guerra.
Pur escludendo di poter sindacare l’interpretazione della Corte internazionale di giustizia sulla portata della norma consuetudinaria dell’immunità dello Stato estero dalla giurisdizione per acta iure imperii, ha ritenuto invece di dover controllare la compatibilità degli effetti della previsione interna derivata da quella consuetudinaria, come intesa da tale Corte, con l’ordinamento costituzionale. All’esito di tale valutazione, ha affermato che gli effetti prodotti da tale disposizione si pongono in contrasto con uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale, ovvero il «diritto al giudice (art. 24), congiuntamente al principio posto a tutela di diritti fondamentali della persona (art. 2)», entrambi sintetizzati nel diritto fondamentale alla dignità umana, che opera quale «controlimite» all’ingresso delle norme di ogni altro ordinamento. Conseguentemente – come già ricordato – è stata dichiarata, da un lato, la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale inerente alla norma prodotta mediante il recepimento ex art.10, primo comma, Cost., del principio di diritto internazionale consuetudinario dell’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione per atti iure imperii, e, dall’altro, l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 1 della legge n. 848 del 1957, di esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite (nella parte in cui obbliga il giudice a conformarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012), sia dell’art. 3 della legge n. 5 del 2013.
Pertanto è stata riconosciuta la giurisdizione dello Stato per le azioni di accertamento e condanna promosse in sede cognitiva nei confronti di Stati esteri, e nello specifico della Repubblica federale tedesca, rispetto ad atti annoverabili nell’ambito dei crimini internazionali e, dunque, costituenti delicta iure imperii piuttosto che acta iure imperii, commessi (o iniziati con atti come la deportazione forzata) sul territorio italiano.
La giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 28 settembre 2020, n. 20442) si è adeguata, mutando nuovamente orientamento ed affermando che l’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti iure imperii costituisce una prerogativa riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali, la cui operatività è però preclusa nel nostro ordinamento per i delicta imperii, ossia per quei crimini compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto lesivi di diritti fondamentali della persona.
Anche la giurisprudenza di merito si è allineata (come mostrano le pronunce della Corte d’appello di Bologna e della Corte d’appello di Roma, poste a fondamento, quali titoli esecutivi, del giudizio esecutivo a quo).
10.– In questo mutato contesto soprattutto giurisprudenziale si è posto per il legislatore italiano il problema dell’efficacia dell’accordo del 1961, che conteneva – come già rilevato – la clausola liberatoria in favore della Repubblica federale di Germania e a carico dello Stato italiano.
Il termine decadenziale ultimo per far valere pretese indennitarie, fissato dall’art. 6 del d.P.R. n. 2043 del 1963, è risultato, alla fine, superato nella misura in cui si è riconosciuta, a partire dalla ricordata pronuncia del 2014 di questa Corte, l’azionabilità innanzi al giudice ordinario della domanda di risarcimento del danno, nei confronti della Repubblica federale di Germania, per gravi lesioni dei diritti umani conseguenti a condotte qualificabili quali crimini contro l’umanità, imputabili al Terzo Reich nel periodo della seconda guerra mondiale.
Successivamente alla sentenza n. 238 del 2014, si sono avute varie pronunce di condanna della Germania da parte di giudici di merito, pronunce anche passate in giudicato o comunque provvisoriamente esecutive.
Nel giudizio a quo il credito risarcitorio posto in esecuzione dal creditore principale e quello del primo creditore intervenuto sono oggetto di pronunce, passate in giudicato, rispettivamente della Corte d’appello di Bologna e di quella di Roma, entrambe di condanna della Repubblica federale di Germania.
Talora – come riferito dall’Avvocatura dello Stato in udienza – la condanna è stata estesa in solido allo Stato italiano.
Tali iniziative giudiziarie hanno indotto il legislatore italiano ad intervenire, in vista dell’obiettivo del mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati a principi di pace e giustizia, anche in considerazione del vincolo costituzionale (art. 117, primo comma, Cost.) del rispetto dei trattati, quale certamente è l’Accordo di Bonn del 1961.
Da ultimo – come ha riferito l’Avvocatura dello Stato – la Repubblica federale di Germania, con ricorso del 29 aprile 2022, ha nuovamente adito la Corte internazionale di giustizia lamentando, in particolare, il disconoscimento (o meglio, il rischio di disconoscimento) dell’immunità ristretta degli Stati quanto meno nella fase del processo esecutivo.
11.– A questo punto il legislatore ha adottato una disposizione speciale e radicale – l’art. 43 censurato – diretta a dare continuità all’Accordo di Bonn del 1961 sì da chiudere in modo definitivo ogni questione.
L’art. 43 istituisce il Fondo per il ristoro dei danni subìti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani, dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945. E ciò fa «assicurando continuità all’Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1962, n. 1263», ossia all’Accordo di Bonn del 1961. Ciò emerge anche dalla prescrizione, contenuta nell’art. 43, comma 4, lettera b), secondo cui dal danno risarcibile, recato dalla sentenza di condanna, vanno detratte le somme eventualmente già ricevute dalla Repubblica italiana a titolo di benefici o indennizzi ai sensi del d.P.R. n. 2043 del 1963, recante – come già ricordato – norme per la ripartizione della somma versata dal Governo della Repubblica federale di Germania, in base all’Accordo di Bonn del 2 giugno 1961, per indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste. La detrazione è poi prescritta anche con riferimento a somme percepite per i benefici di cui alla legge 10 marzo 1955, n. 96 (Provvidenze a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti), alla legge n. 791 del 1980 e alla legge n. 94 del 1994.
Proprio in continuità con tale Accordo, lo Stato si fa carico – con una norma virtuosa, anche se onerosa – del «ristoro» dei danni subìti dalle vittime di crimini di guerra, compiuti, dalle forze armate del Terzo Reich, sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani.
Il titolo per l’accesso al Fondo è costituito da sentenze passate in giudicato aventi ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni da crimini di guerra, a seguito di azioni giudiziarie avviate alla data di entrata in vigore del d.l. n. 36 del 2022, come convertito, ovvero entro il termine da ultimo prorogato al 28 giugno 2023, dall’art. 8 del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14.
Le pronunce di condanna, che, in deroga all’art. 282 cod. proc. civ. (come prescrive l’art. 43 censurato), acquistano efficacia esecutiva al momento del passaggio in giudicato, sono eseguite esclusivamente a valere sul Fondo. Conseguentemente non possono essere iniziate o proseguite procedure esecutive e i giudizi di esecuzione eventualmente intrapresi sono dichiarati estinti.
La puntuale definizione della procedura di accesso al Fondo e le modalità di erogazione degli importi agli aventi diritto sono state rimesse al citato decreto interministeriale del 28 giugno 2023.
12.– Tutto ciò premesso e considerato preliminarmente, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 2 e 24 Cost., non sono fondate.
13.– Questa Corte ha più volte affermato che la garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti assicurata dall’art. 24 Cost. comprende anche la fase dell’esecuzione forzata, in quanto necessaria a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento giudiziale (sentenze n. 140 del 2022, n. 128 del 2021, n. 522 del 2002 e n. 321 del 1998); e ciò è tanto più vero quando leso è un diritto fondamentale (art. 2 Cost.).
Per altro verso, costituisce un principio dell’ordinamento giuridico il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali e quindi dai trattati (sentenza n. 102 del 2020), le cui disposizioni – secondo la giurisprudenza di questa Corte a partire dalle note sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 – sono finanche elevate a parametri interposti della legittimità costituzionale della normativa interna (art. 117, primo comma, Cost.).
La disposizione censurata opera un non irragionevole bilanciamento tra questi principi, tutti di rango costituzionale.
14.– Da una parte l’indefettibilità della tutela giurisdizionale anche in executivis ha condotto questa Corte a ritenere costituzionalmente illegittima la (pur temporanea) paralisi delle azioni esecutive e l’inefficacia dei pignoramenti (sentenza n. 228 del 2022).
Altresì si è ritenuto esservi stata un’illegittima compressione della tutela giurisdizionale nell’ipotesi, oggetto della sentenza n. 123 del 1987, in cui la disposizione censurata si era opposta alle pretese oggetto delle controversie dichiarate estinte. Il vulnus all’art. 24 Cost. è stato ravvisato nel fatto che il legislatore aveva operato una sostanziale vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine dell’attuazione di un preesistente diritto (sentenze n. 186 del 2013 e n. 364 del 2007).
15.– D’altra parte, però, si è esclusa la illegittimità costituzionale di disposizioni di carattere processuale che incidevano sui giudizi pendenti, determinandone l’estinzione, in presenza di disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantivano, anche per altra via che non fosse quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte (sentenze n. 277 del 2012 e n. 364 del 2007).
In particolare questa Corte (sentenza n. 103 del 1995) – nel ritenere non fondata la questione di legittimità costituzionale perché la normativa censurata «è certamente di segno positivo» – ha affermato, in generale, che «per individuare i limiti di costituzionalità dell’intervento del legislatore nel processo quando di questo venga definito l’esito attraverso una norma che ne imponga l’estinzione, la Corte ha già in altre occasioni valutato il rapporto tra siffatto intervento ed il grado di realizzazione che alla pretesa azionata sia stato accordato per la via legislativa. Allorché la legge sopravvenuta abbia soddisfatto, anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei giudizi dei quali imponeva l’estinzione, si è esclusa l’illegittimità costituzionale di tale ultima previsione, proprio perché questa sarebbe coerente con il riconoscimento ex lege del diritto fatto valere giudizialmente». Ed ha precisato che «per escludersi la menomazione del diritto di azione è necessario e sufficiente che l’ambito delle situazioni giuridiche di cui sono titolari gli interessati risulti comunque arricchito a seguito della normativa che dà luogo all’estinzione dei giudizi».
Allo stesso principio si era già ispirata, in precedenza, la sentenza n. 185 del 1981, relativa anch’essa ad una fattispecie di estinzione d’ufficio dei giudizi in corso in ragione di una nuova regolamentazione della questione controversa.
16.– Nella fattispecie in esame, a fronte dell’arresto della procedura esecutiva in corso vi è la tutela approntata dal Fondo “ristori” con un meccanismo di traslazione dell’onere economico recato dall’obbligazione risarcitoria accertata con sentenza passata in giudicato, sì da conciliare, nel bilanciamento complessivo dei principi costituzionali in gioco, la tutela giurisdizionale delle vittime dei suddetti crimini di guerra e il rispetto degli specifici accordi internazionali in materia (l’Accordo di Bonn del 1961).
Il comma 2 dell’art. 43 prevede che coloro che hanno ottenuto un titolo costituito da sentenza passata in giudicato avente ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni per crimini di guerra, hanno diritto all’accesso al Fondo, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dal successivo decreto interministeriale, recentemente emanato (d.m. 28 giugno 2023). E aggiunge che è a carico del Fondo anche il pagamento delle spese processuali liquidate nelle sentenze.
Il successivo comma 3, come modificato dalla legge di conversione, prevede altresì che le sentenze aventi ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni per crimini di guerra «sono eseguite esclusivamente a valere sul Fondo». L’accesso a quest’ultimo, quindi, si connota come esecuzione della sentenza passata in giudicato.
Al decreto interministeriale, poi, sono state demandate le «modalità di erogazione» – non già la rimodulazione quantitativa – degli importi agli aventi diritto e inoltre è stata prevista la detrazione delle somme eventualmente già ricevute a titolo di benefici o indennizzi analoghi, ossia collegati alla circostanza di aver patito un crimine di guerra.
Ciò conferma ulteriormente la prospettiva di piena esecuzione della sentenza passata in giudicato.
Quindi, in sintesi, l’art. 43 prevede che al credito risarcitorio nei confronti della Germania è sostituito un diritto di analogo contenuto sul Fondo, apprestando così una adeguata tutela alternativa a quella conseguibile con l’esecuzione forzata nei confronti della Repubblica Federale di Germania.
Ciò è tanto più vero se si considera che la procedura esecutiva delle sentenze definitive, o comunque provvisoriamente esecutive, di condanna al risarcimento dei danni, pronunciate nei confronti della Repubblica federale di Germania, soffrirebbe comunque la limitazione dell’immunità ristretta degli Stati, come sopra già affermato (al punto 3.2.), talché non sarebbe facile per il creditore procedente rinvenire beni privi di destinazione pubblicistica, e quindi pignorabili, oppure somme di danaro su conti correnti bancari o postali, di rappresentanze diplomatiche e consolari della Germania, privi della rituale dichiarazione che il conto contiene esclusivamente somme destinate all’espletamento delle funzioni di quello Stato.
17.– Il decreto interministeriale del 28 giugno 2023 – che ha introdotto una normativa subprimaria autorizzata direttamente dalla legge (l’art. 43) – ha poi ulteriormente chiarito la portata della tutela approntata dal Fondo “ristori”.
Infatti, in particolare, il comma 2 dell’art. 2 del decreto interministeriale prevede che è «a carico del Fondo, nel rispetto della normativa vigente e secondo le procedure di cui agli articoli 3 e 4 del presente decreto, il pagamento dei danni liquidati nella sentenza […] e delle spese processuali eventualmente liquidate dalla sentenza medesima, detratte le somme ricevute dall’avente diritto dalla Repubblica Italiana a titolo di benefici o indennizzi ai sensi della legge 10 marzo 1955, n. 96, del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963 n. 2043, della legge 18 novembre 1980, n. 791, della legge 29 gennaio 1994, n. 94».
L’accesso al Fondo “ristori” è, quindi, configurato come un diritto soggettivo, riveniente il suo fondamento nel titolo esecutivo già formatosi di condanna della Repubblica federale di Germania, senza che vengano in rilievo i limiti dell’immunità ristretta.
Il relativo pagamento è effettuato, in un’unica soluzione, entro il termine di 180 giorni dalla data di ricezione della domanda, la quale può essere rigettata solo in mancanza dei presupposti di legge. Tale pagamento estingue, come previsto dal comma 5 dell’art. 43 del d.l. n. 36 del 2022, come convertito, ogni diritto o ragione di credito correlata alle pretese risarcitorie per i medesimi fatti (art. 4, comma 5, del citato decreto interministeriale).
Sussiste, quindi, un diritto soggettivo, pieno e non condizionato, avente come contenuto il pagamento del risarcimento del danno già liquidato dalla sentenza passata in giudicato con liberazione dell’originario debitore (la Germania) con la sola detrazione di somme già ricevute e riconducibili alla condizione di vittima di siffatti crimini di guerra (gli indennizzi dell’accordo del 1961 e altri benefici). Si tratta di una sorta di espromissione ex lege (art. 1272 cod. civ.), eccezionalmente a contenuto liberatorio nella misura in cui è contestualmente estinta la procedura esecutiva in corso nei confronti del debitore (la Germania) e non sarebbe più proponibile una nuova.
Del resto questa Corte (sentenza n. 329 del 1992), con riferimento proprio all’immunità ristretta degli Stati in sede esecutiva, ha affermato che «potrà essere predisposta, per esempio, la possibilità che lo Stato italiano intervenga nella procedura esecutiva offrendo al creditore il pagamento del terzo ai sensi dell’art. 1180 cod. civ.».
Insomma, non c’è un diritto a un mero indennizzo in sostituzione del risarcimento del danno. Né è previsto un meccanismo di riparto delle somme disponibili, come quello contemplato dall’art. 10 del d.P.R. n. 2043 del 1963 per il calcolo della quota personale di ciascun richiedente ammesso alla ripartizione dell’importo complessivo erogato dalla Germania in esecuzione dell’Accordo di Bonn del 1961. È prescritto, invece, un soddisfacimento integrale del credito risarcitorio.
Peraltro, secondo la già richiamata pronuncia di questa Corte (sentenza n. 103 del 1995), il giudizio di congruità, che legittima l’estinzione dei giudizi pendenti, richiede che la legge sopravvenuta abbia soddisfatto le ragioni, fatte valere nei giudizi dei quali è disposta l’estinzione, «anche se non integralmente». A maggior ragione è quindi congrua la tutela di cui all’art. 43 censurato, che invece è integrale.
Può allora dirsi verificata la condizione prevista dalla giurisprudenza di questa Corte (in particolare dalla sentenza n. 103 del 1995): l’estinzione ex lege dei giudizi in sede esecutiva, ai quali comunque si applicherebbe l’immunità ristretta degli Stati quanto ai beni pignorabili, è compensata dalla tutela riconosciuta nei confronti del Fondo, che è di pari importo e anzi soddisfa maggiormente le aspettative dei creditori (eredi delle vittime dei crimini di guerra) perché non c’è l’incertezza legata all’operatività dell’immunità ristretta degli Stati in sede esecutiva.
18.– Per ragioni analoghe non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.
L’assoluta peculiarità della fattispecie, che vede la necessità di bilanciamento tra l’obbligo di rispetto dell’Accordo di Bonn del 1961 e la tutela giurisdizionale delle vittime dei suddetti crimini di guerra, costituisce ragione giustificatrice sufficiente per una disciplina differenziata ed eccezionale, la quale – per tutto quanto sopra argomentato – segna un non irragionevole punto di equilibrio nella complessa vicenda degli indennizzi e dei risarcimenti dei danni da crimini di guerra.
19.– Infine non è fondata l’ulteriore questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
La censura mossa dal giudice rimettente tiene conto solo dell’originario testo del citato art. 43, quale recato dal d.l. n. 36 del 2022, come convertito, che effettivamente pareva avallare la denunciata disparità di trattamento tra le procedure esecutive instaurate sulla base di titoli formati dall’autorità giudiziaria italiana e quelle promosse in forza di titoli costituiti da pronunce di un giudice straniero, ritualmente delibate dall’autorità giudiziaria italiana. Per queste ultime sembrava testualmente non operare l’estinzione d’ufficio del processo esecutivo, prevista per le prime, con conseguente denunciata disparità di trattamento rispetto a questo tertium comparationis.
Ma con la successiva modifica apportata dalla legge di conversione n. 79 del 2022, intervenuta già prima dell’ordinanza di rimessione, si è previsto espressamente che non possono essere proseguite e sono estinte d’ufficio anche le procedure esecutive basate sui titoli costituiti da sentenze straniere, recanti la condanna della Germania per il risarcimento di danni provocati dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945. È stato quindi chiarito, in termini inequivocabili, che anche per le esecuzioni rette da siffatti titoli è prevista l’estinzione ex lege del processo esecutivo, sicché l’ipotizzato (dal giudice rimettente) trattamento di miglior favore, allegato quale tertium comparationis, in realtà non sussiste, con conseguente infondatezza della relativa censura di illegittimità costituzionale.
Di ciò è consapevole, del resto, anche il creditore intervenuto nel processo esecutivo a quo sulla base della sentenza del giudice greco munita di exequatur (Regione Sterea Ellada), il quale, nella memoria depositata, denuncia, al contrario, il trattamento di minor favore per tali titoli stranieri, oggetto di delibazione, stante che l’estinzione ex lege della procedura esecutiva non è compensata dal diritto di accesso al Fondo “ristori”, trattandosi del risarcimento dei danni cagionati da un crimine di guerra commesso in Grecia nei confronti di cittadini greci.
La difesa di tale parte intervenuta ha invitato, nella sua memoria, questa Corte a sollevare d’ufficio tale questione, ma essa è chiaramente fuori dal thema decidendum, quale fissato dall’ordinanza di rimessione, e comunque mancherebbe il nesso di pregiudizialità necessaria per giustificare l’autorimessione (ex plurimis, sentenza n. 24 del 2018).