Cass. pen., VI, ud. dep. 14.07.2023, n. 30761
_Massima_3.1. Alla luce della sollecitazione proveniente dal Giudice delle leggi (Corte Costituzionale, sentenza n. 98 del 2021, considerato in diritto sub 2.5.), si è infatti recentemente evidenziato, da parte di questa Corte di legittimità, che il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici (art. 14, preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (art. 25 Cost.), nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell’àmbito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell’applicazione dell’art. 572 c.p., di intendere i concetti di “famiglia” e di “convivenza” nell’accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d’affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, in caso di rapporti more uxorio, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua (si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall’abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti: in questi termini, Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, Rv. 283436).
La coabitazione, dunque, può non essere continuativa ma resta il primo passaggio imprescindibile per giungere ad una definizione della “convivenza” da valorizzare nell’ottica dei maltrattamenti.3.1.1. I due profili restano comunque distinti. Muovendo dalla coabitazione, occorrerà sempre verificare la presenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità: lungi dall’essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve, infatti, essere espressione di una relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita (in motivazione, Sezione 6, n. 38336 del 2022).In altre e pìù semplici parole: la coabitazione, seppur non necessariamente continuativa, è condizione necessaria ma non sufficiente alla contestualizzazione in termini di maltrattamenti delle condotte abitualmente vessatorie ascritte al prevenuto.3.1.2. In assenza di tale presupposto, la mera presenza di una relazione affettiva in occasione della quale vengano a radicarsi eventuali condotte di matrice vessatoria, non costituisce un valido substrato cui ancorare la configurabilità dei maltrattamenti in famiglia, potendosi semmai riscontrare, in un’ottica unitaria e complessiva, gli estremi dell’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori di cui al comma 2 dell’art. 612-bis c.p. (se non singoli reati conclamati dal portato specifico e frazionato dei relativi agiti).Soluzione questa da privilegiare anche in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell’altro dopo che sia finita la coabitazione (Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, Rv. 282398); e ciò proprio perché, cessato tale momento di condivisione, viene di fatto meno anche uno dei pilatri sui quali si fondava la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento che sostenevano convivenza. Non sarebbe, dunque, più configurabile l’ipotesi dei maltrattamenti, risultando, piuttosto, prospettabile il concorso tra questa fattispecie e quella di cui all’art. 612-bis c.p., in presenza di condotte di matrice vessatoria che, manifestatesi nel corso della convivenza, si siano protratte anche successivamente al cessare della stessa (Sez. 6, n. 516 delll’11/11/2022, dep. 2023, che in motivazione richiama la sentenza n. 10626 del 16/02/2022, Rv. 283003 della stessa sezione).