CONSIGLIO DI STATO, IV – sentenza 31.07.2023 n. 7435
L’elevata opinabilità che caratterizza le valutazioni delle autorità amministrative competenti nella ponderazione delle situazioni di pericolo per interessi primari (quale ad esempio, nel caso di specie, la pubblica incolumità rispetto al rischio idraulico) espone i lottizzanti ad una situazione di permanente incertezza riguardo alla possibilità di conseguire i titoli edilizi necessari alla realizzazione del programma di intervento che è incompatibile con le condizioni minime di prevedibilità e calcolabilità di ogni iniziativa imprenditoriale.
Non viene nel caso di specie in rilievo un profilo di rischio insito nella normale alea contrattuale ma un fatto straordinario ed imprevedibile, estraneo alla sfera di controllo delle parti, che introducendo un evidente profilo disfunzionale nel sinallagma contrattuale, impedisce di fatto il conseguimento di ogni utilità economica o di alta natura, privando la parte di ogni interesse alla prestazione e giustificando la estinzione della relativa obbligazione e il diritto alle restituzioni funzionale al riequilibrio delle posizioni contrattuali.
Non vale opporre che i lottizzanti avrebbero potuto avviare gli interventi contestualmente all’inizio delle opere di urbanizzazione, secondo quanto previsto dalla convenzione di lottizzazione, in tal modo evitando di incorrere nelle misure di salvaguardia, poiché si tratta di una mera facoltà, essendo rimesso ai singoli proprietari decidere la tempistica degli interventi, nell’arco di vigenza decennale della convenzione.
Non vale neppure opporre che i lottizzanti, al fine di superare il vincolo di inedificabilità, avrebbero potuto realizzare le opere di compensazione necessarie a ridurre il grado di pericolosità dell’area poiché incombeva sul comune l’obbligo di attivarsi per rendere possibile l’adempimento dell’obbligazione assunta che si è invece confermata oggettivamente inattuabile anche dopo gli interventi di messa in sicurezza realizzati nel 2017.
Deve pertanto concludersi nel senso che in tale quadro di perdurante impossibilità giuridica della prestazione l’obbligazione del Comune va dichiarata estinta avendo i lottizzanti legittimamente opposto il venire meno dell’interesse all’esecuzione della prestazione, essendo il fattore tempo determinante per la sostenibilità di ogni iniziativa imprenditoriale.
Dalla estinzione dell’obbligo di rilascio dei titoli edilizi in capo al Comune appellato consegue il diritto alla ripetizione da parte dei lottizzanti del valore dei terreni ceduti e delle opere realizzate ai sensi dell’articolo 1463 c.c. a mente del quale “Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.
Poiché l’azione di ripetizione prevista dall’art. 1463 c.c. ha natura restitutoria di somme di denaro, in presenza di prestazioni consistenti in un facere, come nel caso di specie, trova applicazione l’art. 2041 c.c. La giurisprudenza civile ha precisato al riguardo che “L’azione di indebito oggettivo ha carattere restitutorio, cosicché la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole previste dagli artt. 2033 e ss. cod. civ. (e cioè quando abbia avuto ad oggetto una somma di denaro o cose di genere ovvero, infine, una cosa determinata), operando altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l’azione generale di arricchimento senza causa prevista dall’art. 2041 cod. civ., che assolve alla funzione, in base ad una valutazione obbiettiva, di reintegrazione dell’equilibrio economico. Pertanto, nel caso di prestazione di “facere”, la quale non è suscettibile di restituzione e, in quanto indebita, non è oggetto di valide ed efficaci determinazioni delle parti circa il suo valore economico, non è proponibile l’azione di indebito oggettivo ma, in presenza dei relativi presupposti, solo quella di ingiustificato arricchimento”. (Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2014, n. 6747).
Ai fini della quantificazione dell’indennizzo dovuto ex art. 2041 c.c. può farsi applicazione dell’art. 34, comma 4, c.p.a. a mente del quale “In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti.”