Cass. pen., VI, ud. dep. 25.08.2023, n. 35785
PRINCIPIO DI DIRITTO
La Corte ha affermato che integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza. Si è precisato che la separazione è condizione che non elide lo “status” acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, collaborazione, assistenza morale e materiale, che discendono dall’art. 143, comma 2, c.c..
- Il ricorso è inammissibile.
- Il primo motivo è, in parte, manifestamente infondato e, in parte, non consentito. Il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza dell’indagato per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni aggravate sulla base delle puntuali dichiarazioni della vittima, corroborate da altre fonti dichiarative nonché dalla copiosa documentazione delle incessanti e gravi minacce, inoltrate alla persona offesa su whatsapp e signal, e dalla videoregistrazione della bottiglia in plastica, contenente alcol, lanciata dall’indagato sul balcone della vittima all’esito di un’aggressione verbale.
- A fronte della motivazione dell’ordinanza impugnata il ricorrente ha rimarcato che gli episodi, indicati in ordinanza, erano avvenuti dopo la cessazione della convivenza, così che, al più si sarebbero dovuti sussumere nell’ambito dell’ 612 bis c.p.. L’assunto è errato e trascura di considerare che questa Corte (Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, R., Rv. 284020 – 01; Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017, F., Rv. 272134 – 01) ha affermato che integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza. Si è precisato che la separazione è condizione che non elide lo “status” acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, collaborazione, assistenza morale e materiale, che discendono dall’art. 143, comma 2, c.c..
- Per il resto, le doglianze del ricorrente sono tese a sollecitare una diversa valutazione degli elementi posti a base della ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati, ascrittigli provvisoriamente, ma ciò non è consentito.
- Al riguardo deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr.: Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 – 01; Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178 -01).
- Il secondo motivo è privo di specificità. Il Tribunale di Napoli ha desunto il pericolo di reiterazione del reato dalla diuturnità e dalla reiterazione dei comportamenti minatori, aggressivi, denigratori, umilianti, posti in essere dall’indagato, e dalla datazione recente delle ultime gravi minacce documentate. Siffatti comportamenti dimostravano una personalità abitualmente adusa alla violenza e incapace di azionare i propri freni inibitori.
- Il menzionato Tribunale ha precisato che unica misura idonea a salvaguardare l’esigenza di difesa sociale è quella della custodia in carcere mentre le misure coercitive meno afflittive non precluderebbero all’indagato di ripetere la propria condotta criminosa e violenta.
- Trattasi di argomentazioni che sfuggono ad ogni rilievo censorio, in quanto sono state formulate all’esito di un’analisi approfondita della fattispecie concreta e sono rispettose dei principi affermati da questa Corte (ex multis: Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Gizzi, Rv. 282891 – 01, Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, Iordachescu, Rv. 282991 – 01; Sez. 5, n. 33004 del 3/05/2017, Cimieri, Rv. 271216 – 01), secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo, previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale.
- La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’ 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte Cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di Euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria. La cancelleria è onerata degli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p..