Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, sentenza 12 ottobre 2023 n. 41379
QUESITI DI DIRITTO
1. se sia configurabile, oltre al reato di cui all’art. 353 cod. pen., anche quello di estorsione nella condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private;
2. se nella nozione di danno patrimoniale di cui all’art. 629 cod. pen. rientri anche la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico.
TESTO RILEVANTE DELLA SENTENZA
La necessità di rimettere la definizione delle anzidette questioni al magistero delle Sezioni unite è legata, principalmente, alla necessità di definire la nozione di perdita di chance, in relazione alla quale si registrano orientamenti contrastanti, con conseguenti ripercussioni sulla sussistenza o meno di un danno rilevante ai sensi dell’art. 629 cod. pen. e, quindi, sulla configurabilità del concorso del delitto di estorsione con quello di turbata libertà degli incanti, nell’ipotesi di allontanamento, con violenza o minaccia, di offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private.
[…] La risoluzione del contrasto eliminerebbe fattori di imprevedibilità circa l’ambito applicativo delle due richiamate fattispecie di reato e ingiustificate, casuali, disparità di trattamento, contrastanti con il principio della certezza del diritto (o “legai certainty” o “sécurité juridique”), riaffermato reiteratamente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quale valore fondamentale, benché non espressamente codificato, inteso innanzitutto come esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di affidamento del pubblico nella giustizia (Corte eur. dir. uomo, II Sez., 9 febbraio 2016).
[…] 4. La differenza tra i due reati (629 e 353 c.p.) è, pertanto, evidente con riguardo sia all’elemento soggettivo che all’evento. Il fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, elemento costitutivo del reato di estorsione, è del tutto estraneo al reato di cui all’art. 353 cod. pen., connotato, invece, dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di impedire, turbare la gara o allontanare gli offerenti, con l’uso dei mezzi indicati dalla stessa previsione normativa.
Inoltre, il reato di turbata libertà degli incanti si consuma nel momento e nel luogo in cui, con l’uso di uno dei mezzi previsti dalla legge, si è impedita o turbata la gara, senza che occorra né la produzione di un danno, né il conseguimento di un profitto.
5. Così sinteticamente delineati gli elementi costitutivi dei due reati, giova altresì precisare che, a prescindere dalle fattispecie in cui il danno dell’estorsione si concretizza nella perdita di un bene materiale (ipotesi per le quali non vi sono dubbi sulla integrazione degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 629 cod. pen. e sul concorso con quello di cui all’art. 353 cod. pen.), in alcune pronunce di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, PMT c/ Di Grazia, Rv. 278998 – 01; in senso analogo Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016 (dep. 27/02/2017), P.G. in proc. Mancuso e altri, Rv. 269364 – 01; Sez. 2, n. 6383 del 3 febbraio 2016 n.m.; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, P.G. in proc. Fontana e altri, Rv. 258168 – 01) il danno dell’estorsione si è individuato nella lesione dell’autonomia negoziale, ossia della libertà di regolamentare i propri interessi.
Aderendo a tale nozione di danno, sorgerebbero problemi incidenti sulla configurabilità del concorso dei reati in questione. Difatti, nel momento in cui si è ampliata l’obiettività giuridica del reato di cui all’art. 353 cod. pen., ricomprendendovi, oltre all’interesse della Pubblica amministrazione alla regolarità della gara, anche l’interesse del privato a potervi liberamente partecipare e influenzarne l’esito, si è ricondotta anche la lesione del menzionato interesse privatistico nell’alveo degli elementi costitutivi del reato di turbata libertà degli incanti.
Posto che la lesione dell’autonomia negoziale, nel caso della fattispecie in questione, ossia dell’allontanamento da una gara, si risolve nella compromissione della libertà di curare i propri interessi scegliendo di partecipare o meno a una gara, dovrebbe affermarsi che il danno consistente nella lesione dell’autonomia negoziale è già preso in esame dal reato di cui all’art. 353 cod. pen.
Ne discenderebbe che il soggetto non potrebbe essere punito per due reati, i cui elementi costitutivi risulterebbero coincidenti, eccezion fatta per il contesto in cui le condotte descritte dall’art. 353 cod. pen. devono realizzarsi, ossia un pubblico incanto o una licitazione privata.
Così configurati i due reati, potrebbe profilarsi un rapporto di specialità tra gli stessi, con conseguente integrazione esclusivamente del reato di turbata libertà degli incanti. A tale epilogo è pervenuta un’isolata pronuncia (Sez. 6, n. 19607 del 3/03/2004, P.M. in proc. Del Regno, Rv. 228964 – 01), concernente condotte minatorie dirette a dissuadere i titolari di ditte concorrenti a partecipare alla gara, per le quali è stato escluso il concorso di reati, facendo leva invero più sulla natura plurioffensiva del reato di cui all’art. 353 cod. pen., idonea a comprendere anche gli interessi sottesi all’art. 629 cod. pen., piuttosto che sul confronto degli elementi costitutivi dei due reati.
6. Secondo altre pronunce, invece, alle quali si è conformata la sentenza impugnata, il danno del reato di estorsione può consistere nella perdita di chance. Premesso che tale figura non è definita in alcuna norma e trova le sue origini nell’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza francesi, accolti nel nostro ordinamento in virtù di principi volti a garantire l’integrale risarcimento dei danni subiti in base al combinato disposto degli artt. 2043 e 1223 cod. civ., deve rilevarsi che sulla nozione di perdita di chance si registrano due orientamenti.
Alcune pronunce di questa Corte, nell’affermare che il danno del delitto di estorsione può individuarsi nella perdita dell’aspettativa del soggetto di conseguire vantaggi economici favorevoli, non aggiungono altro, idoneo a meglio descrivere il significato della categoria indicata, così che deve ritenersi che esse facciano riferimento a qualsiasi chance.
Altre pronunce, invece, nel dare rilievo alla chance, precisano che deve trattarsi di una situazione connotata da una consistente probabilità di successo: definizione, questa, che evoca l’approdo cui sono pervenute la dottrina e la giurisprudenza civile riguardo a tale categoria.
7. Espressione del primo orientamento è ad esempio il precedente arresto della Seconda Sezione di questa Corte (n. 41433 del 27/4/2016, Caliendo, n. m.) relativo a Giuseppe Caliendo, imputato coinvolto anch’egli nella medesima vicenda afferente alle odierne persone offese Casertano e D’Ambrosio, con cui è stata confermata la decisione della Corte di appello di Napoli, che aveva ritenuto integrato sia il delitto di estorsione che quello di turbata libertà degli incanti, in riforma della pronuncia di primo grado, che aveva condannato l’imputato per la sola violazione dell’art. 353 cod. pen., aggravato ex art. 7 L. n. 203/1991.
Con la citata sentenza n. 41433 del 2016, questa Corte, partendo dal rilievo che nella nozione di danno nel reato di estorsione rientra qualsiasi situazione che possa incidere negativamente sull’assetto economico di un soggetto, ivi compresa la frustrazione di aspettative e chance future di arricchimento o di consolidamento di propri interessi, ha rimarcato che, «nel caso sottoposto all’esame della Corte territoriale, appariva di tutta evidenza che le persone offese, già aggiudicatarie della prima fase di vendita giudiziaria con incanto, avevano subito la delusione della chance di consolidamento dei propri interessi, quale conseguenza dell’azione dell’imputato in concorso con altri».
7.1, Nel solco tracciato da questa sentenza si colloca anche la sentenza della Quinta Sezione n. 18508 del 16/02/2017, Fulco e altri, Rv. 270209 – 01, secondo cui integrano il delitto di estorsione la minaccia o la violenza diretta a far recedere la vittima dalla richiesta di concessione di un’area demaniale per svolgere la propria attività economica.
Si è affermato che era stata lesa una legittima aspettativa e «il danno patrimoniale di tal fatta andava inteso come danno futuro, consistente non già nella perdita di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione da formularsi ex ante e da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale».
8. In tali sentenze, in cui si è identificato il danno del reato di estorsione nella perdita di chance, si è richiamata tale figura senza alcuna altra aggiunta, atta a meglio delinearne i contorni (v. sent. n. 41433 del 2016), o si è descritta la chance come “possibilità” di ottenere un vantaggio economico (n. 18508 del 2017).
Pare, quindi, che le menzionate pronunce abbiano trascurato l’elaborazione, dottrinaria e giurisprudenziale civile sul tema, che, invero, partendo anche dall’etimologia della parola chance, che deriva dall’espressione latina cadentia, che indica il cadere dei dadi e significa “buona probabilità di riuscita”, delinea due categorie, distinguendo fra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire l’utilità sperata (chance irrisarcibile), dando rilevanza alla chance intesa come una situazione teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio, caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza (Cass. civ., Sez. 3, n. 24050 del 7/08/2023, Rv. 668589 – 01, in nnotiv.).
Pur non dimenticando che vi sono aspetti ancora discussi (per esempio se si tratti di danno emergente o lucro cessante; se si tratti di danno presente o futuro), la prevalente e più recente giurisprudenza di questa Corte, in ambito civile, ha fissato comunque dei punti fermi, abbandonando la tesi, sostenuta soprattutto da parte della dottrina, secondo cui la chance è un’aspettativa di mero fatto, priva del collegamento materiale tra condotta ed evento richiesto dall’art. 1223 cod. civ., così da non essere suscettibile di risarcimento in caso di lesione.
Si è quindi pervenuti ad affermare – come ricordato nella citata pronuncia n. 24050 del 2023 – che «la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione (ex pluribus: Cass. n. 2261/2022; Cass. 6485/2021; Cass. 26694/2017; Cass. n. 29829/2018 Cass. n. 1752/2005; Cass., 11340/1998; n. 2167/1996; n. 6506/1985)».
La giurisprudenza civile ha elaborato, quindi, una definizione generale della chance che ne postula l’autonomia e l’attualità rispetto al risultato finale futuro ed incerto, strutturandola come una situazione giuridica già di per sé stessa rilevante, «onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale» (tra le altre, Cass. n. 2261 del 2022).
8.1. Sulla scia delle pronunce del giudice civile, il danno da perdita di chance è stato ritenuto risarcibile anche dalla giurisprudenza amministrativa, pronunciatasi di recente non solo con riferimento all’ambito della contrattualistica pubblica ma anche in relazione ad altri campi, quale quello del pubblico impiego privatizzato.
Ai fini della risarcibilità del danno da perdita di chance, il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa configura l’accesso al risarcimento per equivalente solo laddove essa abbia effettivamente raggiunto un’apprezzabile consistenza, condensata nel concetto di probabilità seria e concreta ovvero di elevata probabilità di conseguire il bene della vita sperato (C.d.S., Sez. V, n. 4225 del 2018; Sez. II, 20 maggio 2019 n. 3217; C.d.S. n. 5223 del 2006; C.d.S. n. 686 del 2002). Il giudice amministrativo (C.d.S. n. 686 del 2002, cit.) è pervenuto anche ad affermare che la verificazione dell’azione o della situazione fattuale – come situazione soggettiva tutelabile che si pone quale condizione, certa o probabile, di un evento favorevole – deve essere misurata alla luce della migliore scienza ed esperienza con un giudizio ex ante e secondo il criterio dell’id plerumque accidit, sulla base di elementi di fatto forniti dal danneggiato, intesi a dare la prova che il pericolo di non verificazione dell’evento favorevole, indipendentemente dalla condotta illecita, sarebbe stato inferiore al 50%.
9. A fronte della connotazione della chance da parte del giudice civile, non può trascurarsi di considerare che – con riguardo all’interpretazione da dare, nell’ambito dei reati contro il patrimonio, alle nozioni di derivazione privatistica, ovvero ai numerosi concetti che il legislatore, per descrivere le singole fattispecie tipiche, mutua dal diritto civile (si pensi alla «cosa», al «danno», al «profitto», all’«altruità», al «possesso», alla «detenzione», ai «rapporti di famiglia» posti a fondamento della disciplina di cui all’art. 649 cod. pen. – le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975 – 01, in motivazione, hanno affermato che, in linea di principio «quando la fattispecie penale utilizza per la designazione di un fatto, o di un istituto, un “termine” che ha in altro ramo del diritto una propria configurazione “tecnica”, dovrebbe presumersi che anche il diritto penale lo assuma con analogo significato, giacché il diritto richiede certezze e riconoscibilità, e dunque l’uso di elementi normativi deve conformarsi quanto più possibile ai canoni della determinatezza e tassatività.
Per accogliere ai fini penali una diversa accezione del termine, occorre trovare nella stessa legge penale una ragione, ovverosia quella che autorevole dottrina definisce “una giustificazione conveniente”, per “segni certi”, della diversa accezione. Tali segni, o indicatori, vanno ricercati, secondo le regole generali sull’interpretazione delle leggi, oltre che nella formulazione della disposizione, nel confronto con altre disposizioni e nella funzione della norma: sulla base, in altri termini, delle “finalità perseguite dall’incriminazione e del più ampio contesto ordinannentale in cui essa si colloca”, come costantemente ricorda il Giudice delle leggi segnalando la necessità di verificare il rispetto del principio di determinatezza mediante il ricorso al criterio, altresì, dell’offesa (tra molte: Corte cost., sentenze n. 327 del 2008, n. 5 del 2004, n. 34 del 1995, n. 122 del 1993, n. 247 del 1989; ordinanze n. 395 del 2005, n. 302 e n. 80 del 2004)».
Con riguardo al termine danno, che si rinviene nell’art. 629 cod. pen., potrebbero non ravvisarsi ragioni per attribuire ad esso un significato diverso da quello proprio del diritto civile. Anzi, posto che la finalità perseguita dall’incriminazione è la tutela del patrimonio e, quindi, dei “beni” e delle “utilità” che lo compongono, non potrebbe prescindersi dal diritto civile che proprio quei beni e quelle utilità individua.
Peraltro, nel linguaggio comune non è dato rinvenire un significato preciso del termine chance, trattandosi di categoria solo recentemente esplorata.
A conforto di tale epilogo soccorrerebbe anche il rilievo che in tal modo sarebbe assicurato anche il principio di prevedibilità, che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU (cfr., ad esempio, sentenze 5 aprile 2011, Sarigiannis c. Italia; 17 maggio 2010, Kononov e. Estonia; 3 novembre 2009, Sujagic c. Bosnia-Erzegovina), costituisce garanzia sia per i destinatari dei precetti sia per l’ordinamento obiettivo, poiché anche l’effetto di prevenzione generale degli illeciti presuppone che il testo normativo sia uniformemente interpretato e reso così riconoscibile dai consociati.
10. Siffatta elaborazione, svolta dalla giurisprudenza civile, pare recepita, invece, da altre pronunce di questa Corte, sia pure concernenti ambiti diversi dal reato di estorsione.
Si è ritenuto, infatti, che non costituisce profitto del reato un vantaggio futuro – eventuale, sperato, immateriale o non ancora materializzato in termini economico-patrimoniali – né la mera aspettativa di fatto, c.d. “chance”, salvo che questa, in quanto fondata su circostanze specifiche, non presenti caratteri di concretezza ed effettività tali da costituire essa stessa un’entità patrimoniale a sé stante, autonoma, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione in relazione alla sua proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto (Sez. 6, n. 1754 del 14/09/2017, Bentini, Rv. 271967 – 01).
E ancora. In tema di riparazione dell’errore giudiziario, si è affermato che è risarcibile anche il danno da “perdita di chance”, consistente nella perdita di una concreta occasione favorevole al conseguimento di un bene determinato o di un risultato positivo; situazione soggettiva diversa rispetto a quella relativa al danno cagionato della mancata realizzazione del medesimo risultato.
Si è precisato che deve trattarsi di un pregiudizio concreto e attuale, non ricollegato a un’ipotesi congetturale, ravvisabile nell’occasione concreta di ottenere un rapporto di lavoro o di partecipare con esito positivo a un concorso) (Sez. 3, n. 26739 del 21/06/2011, Siccardi, Rv. 250663 – 01; Sez. 4, n. 24359 del 23/2/2006, Min. Econ. Fin. e Pisano, Rv. 234611 – 01).
11. Mutuando la nozione di chance dal settore civile, potrebbe affermarsi che solo in ipotesi di chance con concreta probabilità di successo si configura il danno del delitto di estorsione, con conseguente integrazione degli elementi costitutivi di tale reato e di quello di turbata libertà degli incanti.
Ove invece siffatta probabilità fosse ritenuta insussistente, si dovrebbe affermare l’inesistenza del danno e, quindi, la mancata integrazione del reato di estorsione con l’ulteriore conseguenza del difetto del concorso dei reati, non configurandosi uno stesso fatto riconducibile a due fattispecie astratte di reato. In altri termini, nell’ipotesi di soggetto allontanato con violenza o minaccia da una gara, ove si dimostri che lo stesso non aveva concrete probabilità di successo e che l’aggiudicatario sarebbe comunque prevalso con la medesima offerta, potrebbe affermarsi che non si verifica un ingiusto profitto, giacché la presenza del concorrente escluso non avrebbe compromesso le possibilità di successo dell’effettivo vincitore, né un danno poiché, da una parte, l’offerente allontanato, anche nell’eventualità in cui avesse gareggiato, non avrebbe visto incrementare il proprio patrimonio.
Si potrebbe dirsi prodotto, invece, un sacrificio del bene tutelato dall’art. 353 cod. pen., dal momento che l’assenza di un ulteriore interessato ha impedito che il libero gioco della concorrenza trovasse piena esplicazione, mettendo quindi a repentaglio, secondo un giudizio ex ante, le aspettative della Pubblica amministrazione di addivenire a una contrattazione giusta e conveniente.
12. A fronte di un concetto come delineato in ambito civile – e sulla scia della giurisprudenza civile anche da quella amministrativa – non può nondimeno trascurarsi di considerare, ponendosi nell’ottica dei principi propri del diritto sanzionatorio, che la figura della perdita di chance assume connotazioni per le quali è difficile individuare i parametri cui il giudice dovrebbe fare riferimento al fine dell’accertamento dell’esistenza in concreto di tale situazione.
Ciò potrebbe avere incidenza sul rispetto del principio di determinatezza, che ha una duplice direzione, perché non si limita a garantire, nei riguardi del giudice, la conformità alla legge dell’attività giurisdizionale mediante la produzione di regole adeguatamente definite per essere applicate ma assicura a chiunque una percezione sufficientemente chiara ed immediata dei possibili profili di illiceità penale della propria condotta. Potrebbe essere incisa anche la prevedibilità delle decisioni, che soprattutto in ambito penale rappresenta un valore fondante dei sistemi democratici ed evoluti.
La valorizzazione di tali aspetti potrebbe sfociare anche nella rinneditazione della perdita di chance, pur intesa come consistente probabilità di conseguire un vantaggio economico, come danno rilevante ai fini dell’integrazione del delitto di estorsione (cfr. Sez. 2, n. 41433 del 27/4/2016, Caliendo, n. m.).
13. […] Con riguardo alla vicenda di cui al capo Q) occorre precisare (indiscusso che solo dal decreto di trasferimento in favore dell’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 586 cod. proc. civ., consegue l’effetto traslativo), che, dopo l’aggiudicazione provvisoria in favore di Casertano e Ambrosio, vi era stata l’offerta del sesto da parte della figlia di Vincenzo Del Giudice.
La giurisprudenza civile di legittimità (tra le altre: Sez. 3 civ., n. 790 del 15/01/2013, Rv. 624705 – 01) è ferma nel ritenere che l’art. 584 cod. proc. civ. (sia nel testo originario, qui applicabile come affermato nelle sentenze, sia nella riscrittura intervenuta ad opera della L. 14 maggio 2005, n. 80) subordina il consolidarsi degli effetti dell’aggiudicazione al decorso del termine di dieci giorni, senza che siano state fatte offerte in aumento del sesto (oggi del quinto).
Nell’ipotesi in cui dette offerte vengano formulate, invece, l’aggiudicatario provvisorio, ha la possibilità di consolidare l’aggiudicazione, mettendosi in gara con l’offerente o gli offerenti.
Si è precisato, inoltre, che l’offerta di acquisto con aumento del sesto (oggi del quinto) dopo l’incanto non determina da sola la caducazione dell’aggiudicazione provvisoria di cui all’art. 581, comma 3, cod. proc. civ. poiché è solo con l’apertura della gara, disposta dal giudice dell’esecuzione, che assume giuridico significato l’offerta stessa, in modo che eventuali interessati possano rilanciare nella prospettiva del miglioramento del prezzo precedente: tanto in sintonia con la finalità dell’espropriazione forzata, preordinata a ricavare dalla vendita il massimo risultato possibile, sia per il debitore, che si libera della maggiore consistenza del debito, sia nell’interesse dei creditori, che sono più largamente soddisfatti (cfr. Sez. civ. 3, n. 10693 del 07/07/2003, Rv. 564872 – 01; v. anche Sez. 3, n. 5164 del 06/04/2001, Rv. 545703 – 01).
Una volta aperta la gara e intervenuta l’aggiudicazione definitiva, gli effetti dell’inadempimento dell’aggiudicatario soggiacciono al disposto dell’art. 587 cod. proc. civ., non potendo postularsi un’inammissibile “reviviscenza” dell’aggiudicazione provvisoria.
In particolare, si è affermato che il problema delle conseguenze dell’inadempienza dell’aggiudicatario definitivo trova soluzione nel disposto dell’art. 587 cod. proc. civ., nel quale va individuata la norma che sanziona in via generale tutti i casi di inadempimento dell’aggiudicatario, stabilendo che, se il prezzo dell’aggiudicazione non è versato nel termine stabilito, va dichiarata la decadenza dell’aggiudicatario, pronunciata la perdita della cauzione e disposto un nuovo incanto. La scelta legislativa di rimettere il processo di espropriazione nella fase immediatamente anteriore all’inadempimento dell’aggiudicatario – cioè nella fase di un nuovo incanto dei beni – non trova deroghe nell’ipotesi di aggiudicazione definitiva conseguente alla procedura di rincaro, in coerenza con la natura della procedura di rincaro, costituente, pur nella peculiarità del sub procedimento, prosecuzione del procedimento di vendita e in considerazione della ragione della norma di cui all’art. 587 cod. proc. civ.: questa, infatti, poggia sul rilievo che il versamento del prezzo costituisce il presupposto del futuro trasferimento del bene posto in vendita, per cui l’inadempimento dell’aggiudicatario si riflette sulla posizione di maggiore offerente da lui assunta sia nel procedimento di vendita con il sistema dell’incanto, sia in quello di vendita attraverso la gara seguente all’offerta di aumento di sesto (oggi, del quinto) (così, Sez. 3 civ., n. 5506 del 08/04/2003, in motivazione).
Le esigenze di tutela dell’aggiudicatario provvisorio devono, dunque, confrontarsi con la preminente finalità della vendita forzata, che è quella di conseguire il massimo risultato possibile; mentre la dilatazione dei tempi, conseguente al nuovo incanto, trova un suo bilanciamento nell’accollo dei relativi costi a colui che l’ha determinato, dal momento che, a mente dell’ultima parte dell’art. 587 cod. proc. civ. “se il prezzo che se ne ricava, unito alla cauzione confiscata risulta inferiore a quello dell’incanto precedente, l’aggiudicatario inadempiente è tenuto al pagamento della differenza”.
Si è anche precisato (Sez. 3 civ., n. 790 del 2013, cit.) che non contrasta con quanto sopra il tenore del “nuovo” comma b) dell’art. 584 cod. proc. civ.. Invero, la norma – a prescindere dall’inapplicabilità ratione temporis, rilevata dal giudice di merito – non offre alcuno spunto argomentativo a favore della tesi volta, in buona sostanza, a “spostare” l’effetto della caducazione dell’aggiudicazione provvisoria dal momento dell’apertura della gara a quello del trasferimento in favore dell’aggiudicatario definitivo, giacché essa postula che “nessuno degli offerenti partecipi alla gara”: id est che la gara non si sia neppure aperta. Risulta, dunque, confermato che anche nel sistema del novellato art. 584 cod. proc. civ. è solo l’apertura della gara che è in grado di dare significato all’offerta di acquisto mediante aumento di un quinto del prezzo raggiunto nella precedente aggiudicazione, così determinando la caducazione dell’aggiudicazione provvisoria.
Giova aggiungere che è vero che la disciplina processual-civilistica differenzia la posizione dell’aggiudicatario provvisorio rispetto a quella del mero interessato alla gara. In tema di impugnazione del decreto di trasferimento, per esempio, l’opposizione agli atti esecutivi può essere proposta, oltre che dalle parti del procedimento esecutivo (debitore esecutato, terzo assoggettato all’esecuzione, creditore procedente ecc.), dall’aggiudicatario, anche provvisorio, dall’offerente non aggiudicatario e all’offerente in aumento del sesto, in quanto soggetti la cui posizione si è differenziata rispetto a quella di chi non è entrato in contatto con il procedimento esecutivo. L’aggiudicatario provvisorio è anche legittimato a proporre reclamo ex art. 261.f. avverso gli atti del giudice delegato relativi alla liquidazione giudiziale.
Tali facoltà, tuttavia, non incidono sulla posizione che l’aggiudicatario provvisorio assume dopo la presentazione dell’offerta in aumento del sesto (o del quinto), come sopra delineata sulla base dell’art. 587 cod. proc. civ., rilevante al fine della soluzione del problema relativo al se sia portatore o meno di una chance, idonea ad integrare il danno del delitto di estorsione.
[…] Alla luce di quanto precede, può allora affermarsi che vi è la necessità di comprendere il significato da assegnare alla categoria chance e, quindi, di sciogliere il nodo sul se nella nozione di danno del reato di estorsione rientri qualsiasi chance o debba ricomprendersi soltanto la chance come delineata in sede civile, che, come detto, presuppone la prova in via presuntiva e probabilistica della concreta e consistente possibilità di conseguire vantaggi economicamente apprezzabili.
Ancora più radicalmente vi è anche la necessità di comprendere se la perdita di chance, come delineata in sede civile, possa concretizzare il danno del reato di estorsione.
14. Alla luce di quanto precede si ritiene necessario rimettere alle Sezioni unite penali della suprema Corte di cassazione la definizione dei seguenti quesiti di diritto:
1. se sia configurabile, oltre al reato di cui all’art. 353 cod. pen., anche quello di estorsione nella condotta di chi, con violenza o minaccia, allontani gli offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private;
2. se nella nozione di danno patrimoniale di cui all’art. 629 cod. pen. rientri anche la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico.