- con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha eccepito, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., lamentando la sussistenza di una motivazione solo apparente della sentenza impugnata sul motivo di appello concernente la necessità del contraddittorio preventivo anche nel procedimento amministrativo tributario ad istanza di parte in materia catastale; 1.1. la società, nel segnalare che il provvedimento di diniego era stato emesso prima che fossero decorsi i sessanta giorni dalla data del verbale di verifica e di sopralluogo, ha assunto che, contrariamente a quanto esposto dal Giudice d’appello, il termine dilatorio di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12,trova applicazione in relazione a qualunque ipotesi di controllo propedeutico all’emissione dell’atto impositivo, anche ove non previsto da disposizioni specifiche, considerando pertanto non condivisibili le contrarie valutazioni espresse dal Giudice regionale; 2. con la seconda censura la contribuente ha dedotto, con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c.(“inidoneità della mera citazione del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3-bis, quale motivazione dell’atto di diniego e difetto di motivazione”; v. pagina 8 del ricorso), sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dal Giudice d’appello, l’obbligo di motivazione del provvedimento di accertamento in materia catastale non può ritenersi osservato con il mero riferimento in esso contenuto all’assenza delle condizioni e dei requisiti normativamente previsti; 2.1. la società ha, in particolare, dedotto che il mero elenco delle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c., non consentiva di comprendere che il disconoscimento del carattere di ruralità del fabbricato fosse stato operato sulla scorta del ritrovamento in loco di materiale edile e del mancato rinvenimento di frutti della produzione agricola, ponendo altresì in rilievo che la motivazione del provvedimento di diniego era stata operata per relationem in base ai contenuti del verbale di verifica e di sopralluogo, che però non era mai stato “integralmente” notificato o consegnato alla ricorrente, né tantomeno redatto integralmente in contraddittorio, giacché “il verbale di verifica e sopralluogo redatto effettivamente in contraddittorio con la parte contiene il solo rilievo attinente la non coerenza di alcune caratteristiche costruttive del fabbricato e non anche quello relativo alla supposta inesistenza dei requisiti di ruralità” (v. pagina n. 9 del ricorso); 2.2. la contribuente ha, quindi, sottolineato di aver articolato l’appello concernente il “difetto di motivazione per relationem” dell’avviso e la “conseguente preclusione per il giudice adito di effettuare valutazioni in ordine al merito del giudizio sulla scorta delle motivazioni fornite dall’ufficio solo nel corso del giudizio di primo grado (cd. motivazione per postuma)” (così a pagina 3 del ricorso), ribadendo che le ragioni concernenti l’assenza dei requisiti di ruralità non erano state formulate nel contraddittorio tra le parti e risultavano contenute alla pagina n. 5 del verbale di verifica e di sopralluogo, che era stata aggiunta dall’Ufficio successivamente alla consegna del predetto verbale alla contribuente, il quale, nella copia in suo possesso, risultava composta da solo quattro pagine, con ciò rimproverando al Giudice dell’appello di aver omesso di pronunciarsi sull’eccezione volta a sostenere l’inammissibilità di una motivazione postuma del provvedimento perché esplicitata dall’Ufficio per la prima volta nelle controdeduzioni di primo grado; 3. con la terza doglianza la ricorrente ha denunciato, sempre in relazione al paradigma censorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ancora una volta la violazione dell’art. 132 c.p.c., ritenendo che la Commissione regionale avesse errato nel ritenere che l’immobile non fosse utilizzato per finalità connesse ad alcune delle attività agricole, essendo stato invece dimostrato che la società aveva regolarmente acquistato (dalla Agricola Favarese SCaRL) un vasto complesso immobiliare, avente come destinazione d’uso unicamente l’attività agricola e zootecnica, e che aveva commissionato la realizzazione delle opere propedeutiche all’ampliamento del settore zootecnico nel predetto complesso immobiliare, a tal fine richiedendo alla società locataria dello stesso (A. S.R.L.) di rendere disponibile parte del capannone, al fine di ricoverare le attrezzature, i mezzi di cantiere ed i materiali necessari per l’esecuzione dei predetti lavori, sottolineando sul punto che l’attività agricola sul complesso immobiliare era svolta dalla società locataria A. S.R.L.; 3.1. l’istante ha poi contestato la valutazione del Giudice regionale nella parte in cui ha ritenuto che il requisito della ruralità dovesse essere posseduto al momento della presentazione della dichiarazione, osservando – di contro – che il D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9-bis, non contiene alcuna indicazione in tal senso, limitandosi a prevedere che il carattere di ruralità deve essere riconosciuto alle costruzioni strumentali e necessarie allo svolgimento dell’attività agricola; 4. Il ricorso va accolto nei termini che seguono; 5. il primo motivo risulta articolato su due ragioni di doglianza: la prima di esse concerne la dedotta motivazione apparente della sentenza impugnata; la seconda, invece, riguarda l’asserita violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, riconducibile al paradigma censorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, implicitamente dedotto nella lamentata violazione di legge; 5.1. quanto al primo profilo, giova premettere, sul piano dei principi, che costituisce orientamento ampiamente consolidato di questa Corte ritenere che l’ipotesi di motivazione apparente ricorra allorché essa, pur graficamente e, quindi, materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, non consentendo, in tal modo, alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture; 5.1.a. siffatta motivazione si considera – come suol dirsi – non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, il che rende nulla la sentenza per violazione (censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) anche dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), o, nel processo tributario, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex 36, comma 2, n. 4, mentre va esclusa (in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile al caso in esame trattandosi di sentenza emessa dopo il 10 settembre 2012) qualunque rilevanza al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr., su tali principi, anche da ultimo, Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689 e, tra le tante, a partire da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, Cass., 1 marzo 2022, n. 6626; Cass., Sez. T., 23 settembre 2022, che richiama Cass., Sez. U. 19 giugno 2018, n. 16159 (p. 7.2.), che menziona Cass., Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., nn. 22229, 22230, 22231, del 2016, Cass., Sez. U, 24 marzo 2017, n. 766; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430 (p. 2.4.); Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9557 (p. 3.5.), Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679); 5.1.b. nella specie, la motivazione offerta dal Giudice regionale, come sopra riportata, non risulta essere per nulla apparente, avendo espressamente esaminato il motivo di gravame concernente l’asserita violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ed avendo fornito giustificazione dei motivi per cui ha ritenuto inapplicabile la predetta prescrizione all’ipotesi in rassegna; 5.2. sotto il secondo aspetto, la valutazione offerta dalla Commissione risulta altresì corretta, dovendo così respingersi il motivo di ricorso basato sulla violazione di legge (vale a dire la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12), in quanto, in tema di catasto dei fabbricati, qualora per la determinazione della rendita catastale il contribuente si sia avvalso della c.d. procedura docfa, l’Amministrazione finanziaria, che intenda discostarsi dalla relativa proposta, non è tenuta, in assenza di disposizioni in tal senso, ad attivare preventivamente il contraddittorio endo-procedimentale, senza che ciò contrasti con gli artt. 41, 47 e 48 della CDFUE, posto che un tale obbligo sussiste soltanto per i tributi armonizzati, ma non anche per quelli non armonizzati, per i quali non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo vincolo generalizzato, sicché esso ricorre soltanto per le ipotesi per le quali risulti specificamente sancito (cfr., ex multis, Cass., Sez. T., 23 febbraio 2021, n. 4752); 5.2.a. va aggiunto che la giurisprudenza di questa Corte, con specifico riguardo agli accertamenti standardizzati mediante parametri e studi di settore, ha precisato che “non è applicabile il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, essendo già prevista, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’avviso” (Cass. 04/04/2014, n. 7960; conformi Cass. 26/03/2015, n. 6054; Cass. 17/04/2019, n. 10711)”, assumendo che “il termine stabilito dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, “deve necessariamente intercorrere (salvo l’esistenza di situazioni di particolare urgenza) tra il rilascio al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni ivi previste, cioè accessi, ispezioni o verifiche eseguite nei locali destinati all’esercizio dell’attività, e l’emanazione del relativo avviso di accertamento”; mentre la fattispecie dell’accertamento standardizzato mediante l’applicazione di studi di settore “prevede la fase – necessaria a pena di nullità dell’accertamento: Cass., sez. un., n. 26635 del 2009 – del contraddittorio procedimentale, alla quale il contribuente deve obbligatoriamente essere invitato a partecipare e della quale l’Ufficio deve dar conto – salvo che il contribuente non abbia aderito all’invito – nella motivazione dell’atto impositivo”, con la conseguenza che nella seconda ipotesi, nella quale è ricompreso l’accertamento fiscale di cui è causa, “e’ già disciplinata in modo tale da garantire pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente nella fase anteriore all’emissione dell’accertamento” (Cass. 04/04/2014, n. 7960)” (così Cass., Sez. V, 3 febbraio 2021, n. 2415); 5.2.b. tale principio può essere esportato alla fattispecie in rassegna (procedura docfa), tenuto conto dello specifico procedimento contemplato dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, richiamato dal D.M. 26 luglio 2012, che risulta caratterizzato da uno sviluppo fortemente partecipativo, qualificato dalla proposta del contribuente su cui si innesta l’accertamento dell’Ufficio, in termini tali da garantire, nella sua stessa struttura procedimentale, il pieno contraddittorio con il contribuente; 6. va, invece, accolto il secondo motivo di ricorso; 6.1. la censura, nella sua parte consentanea al paradigma prescelto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), rimprovera al Giudice dell’appello di aver “omesso di statuire circa gli effetti della motivazione “postuma”, quella cioè rassegnata dall’Ufficio, per la prima volta, nelle proprie controdeduzioni” (v. pagina n. 10 del ricorso), segnalando – come sopra esposto – di aver rappresentato (anche) alla Commissione regionale che il verbale di verifica e di sopralluogo redatto in contraddittorio tra le parti conteneva solo i rilievi di incoerenza di alcune caratteristiche costruttive del fabbricato, ma non anche quelli della ritenuta inesistenza dei requisiti di ruralità, su cui si è poi fondato il provvedimento impugnato, che erano invece contenuti alla pagina n. 5 del citato verbale, che la contribuente assume essere stata aggiunta dall’Ufficio in epoca successiva alla consegna del menzionato verbale alla ricorrente (costituito di sole 4 pagine), così esplicitando l’Ufficio la propria pretesa in termini compiuti solo nel corso del giudizio, con motivazione, quindi, ritenuta postuma; 6.2. la doglianza lamenta, quindi, un’omessa pronuncia su di un motivo di appello e va subito osservato che essa rispetta il canone di autosufficienza, avendo riportato nel ricorso (v. pagina n. 6) i motivi di appello, tra cui il citato difetto di motivazione per realtionem e la dedotta preclusione per il Giudice regionale di sviluppare le proprie valutazioni sulla scorta di motivazioni postume, depositando poi il relativo gravame; 6.3. in effetti, nessuna pronuncia è stata resa dal Giudice d’appello su tale eccezione e va riconosciuto che la valutazione della Commissione regionale riposa su di un errore concettuale di fondo, rifluito nella lamentata omessa pronuncia sul motivo di appello, nella parte in cui ha ritenuto che il provvedimento di diniego impugnato non fosse motivato per relationem, avendo negato il requisito della ruralità in ragione dell’assenza delle condizioni richieste dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, citato art. 9-bis; 6.4. la Commissione, difatti, ha espressamente dato atto che “il provvedimento impugnato oggetto del presente giudizio scaturisce da un procedimento amministrativo avviato su iniziativa del contribuente e segnatamente attraverso una dichiarazione di variazione Docfa che riporta la contestuale richiesta di riconoscimento dei requisiti di ruralità” (v. pagina n. 2 della sentenza impugnata), il che significa che il giudizio finale espresso nel provvedimento di diniego era ancorato ai contenuti della dichiarazione docfa e del successivo sopralluogo, nel segno quindi della prerogative proprie di una procedura fortemente partecipata (la procedura docfa per l’appunto) fondata su elementi rappresentati o conosciuti dal contribuente, rispetto ai quali – per consolida giurisprudenza di questa Corte – la valutazione dell’Ufficio può dirigersi verso una mera, diversa, interpretazione degli stessi elementi di fatto proposti dal contribuente, senza che ciò comporti un particolare onere motivazionale (da ritenersi, in questo caso, soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita), oppure verso una valutazione basata su altri dati fattuali, cosi disattendendo quelli proposti dal contribuente, ipotesi questa che impone invece una motivazione rafforzata che valga a delimitare anche l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria (così, tra le tante, da ultimo, Cass. Sez. T, 22 maggio 2023, n. 14029, che richiama Cass., Sez. T, 15 gennaio 2020, n. 592, nonché Cass., Sez. V., 23 maggio 2018, n. 12777; Cass., Sez. V., 7 dicembre 2018, n. 31809); 6.5. in entrambi i casi, la caratteristica essenziale del provvedimento inserito nella procedura docfa e che segue la proposta del contribuente è quello di relazionarsi con i contenuti fattuali esposti nella relativa dichiarazione e/o diversamente accertati dall’Ufficio, come avvenuto nella specie tramite il menzionato sopralluogo; 6.6. acquista così peso specifico, nella fattispecie in rassegna, il contenuto del citato verbale di verifica e di sopralluogo in relazione al quale la contribuente aveva eccepito l’assenza della suddetta pagina n. 5 nella quale – si assume – erano stati rappresentati gli accertamenti circa l’assenza del requisito di ruralità, che aveva poi giustificato l’adozione del provvedimento di diniego, nel quale – come detto – veniva esplicitato solo il giudizio finale dell’accertamento; 6.7. in tale contesto, deve riconoscersi che la Commissione regionale ha errato nel considerare che il provvedimento impugnato non fosse motivato per relationem, confondendo il giudizio finale in esso reso (l’assenza delle condizioni di cui alla citata disposizione) con le relative ragioni, in realtà contenute – a prescindere da un testuale richiamo – nelle verifiche fattuali svolte nell’ambito della procedura docfa attraverso il citato sopralluogo, che integravano la motivazione del provvedimento di diniego; 6.8. assumeva, per tale via, rilevanza la deduzione dell’originaria incompletezza del verbale di sopralluogo consegnato alla contribuente, stante la dedotta carenza della pagina n. 5, circostanza questa che è stata posta a base del motivo di appello concernente l’inammissibilità di una motivazione postuma del provvedimento e sul quale la Commissione non si è pronunciata, in ragione dell’illustrato errore concettuale di fondo, costituito dal non aver legato la motivazione del provvedimento ai contenuti della procedura docfa e quindi del verbale di verifica e sopralluogo ivi svolto; 6.9. la verifica circa l’effettiva assenza della citata pagina n. 5 del verbale di verifica e sopralluogo e la conseguenziale motivazione postuma del provvedimento involge, innanzitutto, un accertamento di fatto non esigibile dalla Corte e che esclude, quindi, la possibilità di una pronuncia ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la conseguenza che il motivo di ricorso in esame va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio al giudice del merito affinché si pronunci sul predetto motivo di appello concernente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato e l’inammissibilità di una motivazione postuma; 7. la valutazione del terzo motivo di impugnazione, con cui la sentenza impugnata è stata censurata per non aver riconosciuto al complesso immobiliare il requisito della ruralità, resta assorbita nello scrutinio che precede; 8. alla luce delle considerazioni svolte, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo e dichiarata assorbita la terza ragione di doglianza; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rimessa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, affinché si pronunci sul predetto motivo di appello concernente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato e l’inammissibilità di una motivazione postuma, nonché per regolare le spese del presente grado di giudizio di legittimità.
Cass. civ., trib., ord., 12.10.2023, n. 28472