Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 27 novembre 2023, n. 32790
PRINCIPI DI DIRITTO
In materia di responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, traente titolo per fatto proprio, ex lege, di natura civilistica e non tributaria, la preventiva iscrizione a ruolo del credito tributario societario non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell’atto di accertamento emesso, ai sensi del quinto comma dello stesso art. 36, nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con l’unico motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ed eccepisce, in ordine all’avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione finanziaria a suo carico, ai sensi della norma invocata, «la carenza del presupposto oggettivo e, dunque, la non sussistenza di una delle condizioni necessarie ai fini della esercitabilità dell’azione di responsabilità del liquidatore».
Il ricorrente censura, in particolare, il passo motivazionale nel quale la C.T.R. ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esperibilità dell’azione nei suoi confronti, «l’esistenza di debiti erariali certi nel loro ammontare in quanto relativi ad imposte dichiarate e non versate», mentre, secondo la prospettazione difensiva, era necessaria, quale condizione essenziale per la valida proposizione dell’azione prescritta dalla norma invocata, l’avvenuta iscrizione dei debiti societari in ruoli, anche provvisori; ciò sulla base della giurisprudenza di questa Corte «unanime nell’affermare che “la responsabilità del liquidatore, che trova la sua fonte in un’autonoma obbligazione legale, ha tuttavia funzione sussidiaria, in quanto è esercitabile a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo e che sia certo che non sono stati soddisfatti con le attività di liquidazione” (Cassazione civile, Sez. Trib. 23/4/2008 n. 10508, che richiama Cass. 9688/95, 12546/2001, 685/2002)».
- Il motivo di ricorso involge, quindi, direttamente la questione di massima di particolare importanza che le Sezioni Unite di questa Corte sono chiamate a risolvere e che riguarda, per l’appunto, i presupposti dell’azione promossa nei confronti del liquidatore di una società ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, e, in particolare, se essa richieda un preventivo accertamento del debito tributario nei confronti della società e, necessariamente, la sua iscrizione a ruolo. La questione è stata ritenuta dalla Sezione remittente, poi, particolarmente rilevante nel caso di intervenuta cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014, attesa la irretroattività dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. 21 novembre 2014 n. 175 (prevedente la sospensione per un quinquennio, ai soli fini fiscali, dell’efficacia dell’estinzione della società ed entrato in vigore appunto il 13/12/2014), evidenziandosi la problematicità, in siffatte situazioni, dell’accertamento del debito tributario della società.
- La normativa di riferimento.
L’art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nella versione applicabile ratione temporis (anteriore alla sostituzione operata dall’art. 28, comma 5, lett. a), del citato d.lgs. 21 novembre 2014 n. 175), al primo comma, prevedeva quanto segue: «I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari.
Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti».
Al quinto comma, rimasto immutato, è previsto che «La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600», e al sesto comma che «Avverso l’atto di accertamento è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636. Si applica il primo comma dell’art. 39».
In materia, è intervenuto, come detto, il d. lgs. n. 175 del 2014, che, oltre a prevedere al comma 4 dell’art. 28 che «Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del registro delle imprese», con il comma 5, lett. a), ha modificato il primo comma del citato art. 36, prevedendo che: «I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti».
Rimasta immutata la parte dispositiva della norma, con la modifica il legislatore ha mitigato l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione finanziaria facendolo gravare sul liquidatore che ha, ora, l’onere di fornire la prova liberatoria.
In particolare, dalla riscrittura del primo comma dell’art. 36 consegue che all’Amministrazione sarà sufficiente dimostrare l’esistenza di debiti tributari insoluti della società e di un attivo prodotto dall’attività di liquidazione, mentre spetterà al liquidatore fornire la prova che non vi sia stata distrazione dell’attivo in favore dei soci prima dell’integrale pagamento dei debiti tributari e, neppure, pretermissione del pagamento delle imposte in favore di creditori non aventi grado superiore.
Lo stesso art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014, ha poi, al comma 7, eliminato, dall’art. 19, comma 1, del d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, ogni riferimento all’art. 36 del d.P.R. n. 602/73, con la conseguenza che la responsabilità del liquidatore non è più limitata alle sole imposte sui redditi, ma si estende a tutte le imposte dovute dalla società. Appare, infine, opportuno – essendosi la giurisprudenza di questa Corte, in materia, formata nella vigenza della norma del 1973 – rammentare che l’antecedente storico della disciplina dettata dal detto art. 36 è dato dall’art. 265 del d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, inserito nel capo II del titolo XI (Sanzioni), il quale, con contenuto sostanzialmente simile alla norma attuale, stabiliva che «I liquidatori dei soggetti tassabili in base al bilancio che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute dal soggetto per il periodo della liquidazione e per quello anteriore rispondono in proprio del pagamento delle imposte stesse».
- La soluzione della questione rimessa a queste Sezioni Unite presuppone l’identificazione della natura della relazione che lega la responsabilità del liquidatore e l’obbligazione tributaria societaria rimasta inadempiuta.
In ordine al primo fattore, ossia alla natura della responsabilità del liquidatore, come prevista dal legislatore del citato articolo 36, la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalle Sezioni Unite, che se ne sono occupate, seppur ai fini dell’individuazione della giurisdizione sulle controversie promosse dai liquidatori (v. Cass. Sez. U. 27 ottobre 1971 n. 3021; Cass. Sez. U. 3 giugno 1978 n. 2766; Cass. Sez. U. 4 maggio 1989 n. 2079), e sino alle più recenti rese, nella specifica materia, dalla Sezione Tributaria (v., tra le altre, Cass. 11 maggio 2012 n. 7327; Cass. 19 novembre 2019 n. 29969; Cass. 20 luglio 2020 n. 15377), è assolutamente consolidata nel ritenere che tale responsabilità trova la sua fonte in un’obbligazione, propria, ex lege (in base agli artt. 1176 e 1218 cod. civ.), avente natura civilistica e non tributaria (cfr., tra le altre, Cass. 26 maggio 2021 n. 14570 con ampi richiami ai precedenti conformi).
Tale orientamento, condiviso peraltro dalla dottrina maggioritaria, continua a essere ininterrottamente e pacificamente seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, anche a seguito della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 e nella vigenza dell’art. 28, comma 4, del d. lgs. n. 175 del 2014 (prevedente, come detto, la sospensione per un quinquennio, ai soli fini fiscali, dell’efficacia dell’estinzione della società).
Si è ribadito, in particolare, dalla giurisprudenza più recente che la responsabilità per le obbligazioni tributarie non è diretta ma deriva dalla carica rivestita dal liquidatore, ai sensi del menzionato articolo 36, oltreché dell’art. 2495 cod. civ., le quali norme – senza che possa essere riconosciuta al predetto la qualità di successore della società nei debiti tributari della stessa o porre alcuna coobbligazione di debiti tributari a suo carico – delineano una fattispecie del tutto autonoma e sussidiaria rispetto alla responsabilità per debiti fiscali della società, poi estinta, i quali ne costituiscono il mero presupposto (cfr. Cass. 15 luglio 2021 n. 14570 che richiama Cass. n. 29969/2019 cit.).
I principi, riproposti anche dalle sentenze più recenti, ricalcano, quindi, i precedenti, statuendosi che «in tema di riscossione, la responsabilità dei liquidatori e degli amministratori per le imposte non pagate con le attività della liquidazione concreta un’obbligazione civile propria ex lege in relazione agli artt. 1176 e 1218 c.c., sicché, non avendo natura strettamente tributaria, a carico dei predetti non vi è alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese»; «l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 è riconducibile agli artt. 1176 e 1218 c.c. e integra una ipotesi di responsabilità propria ex lege in funzione del prioritario soddisfacimento dei crediti tributari, sicché, estinta la società contribuente, non si realizza alcuna forma di successione nei confronti del liquidatore, ma sorgono ipotesi di responsabilità nuove e fondate su differenti presupposti, ancorché implichino l’esistenza della obbligazione tributaria.
In ultima analisi, quello verso l’amministratore o liquidatore è credito dell’amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma più che altro civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità» (cfr., in motivazione, Cass. 5 novembre 2021 n. 31904; Cass. 3 febbraio 2022 n. 3311; Cass. 31 gennaio 2023 n. 2906). Sulla natura della responsabilità del liquidatore e sul rapporto tra questa e l’obbligazione tributaria della società questa Corte ha, pertanto, mantenuto ferma la posizione che vede tale responsabilità, come «avente natura civilistica e titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa, ancorché da accertarsi con atto motivato – e ricorribile – da notificare ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973».
L’autonomia della responsabilità del liquidatore rispetto all’obbligazione tributaria della società, viene vieppiù riaffermata, nel caso di avvenuta estinzione della società, non essendo il liquidatore successore ex lege nei debiti sociali ma responsabile in proprio e in forma autonoma, trattandosi di responsabilità basata su un presupposto diverso: al mancato pagamento delle imposte dovute dalla società deve aggiungersi la condotta personale del liquidatore che, venendo meno agli obblighi che sono propri della carica rivestita, ha utilizzato l’attività di liquidazione per l’assegnazione dei beni ai soci oppure per soddisfare crediti di ordine inferiore a quelli tributari che perciò sono rimasti insoluti.
4.1. La natura, autonoma e di tipo civilistico, dell’obbligazione del liquidatore, come prevista dall’articolo 36, può darsi, quindi, come elemento che, pacificamente acquisito nella giurisprudenza di legittimità e condiviso dalla maggioranza della dottrina, in questa sede non si ritiene di dovere rimeditare meritando, al contrario, lo stesso conferma.
4.2. La diversa prospettazione, fornita da parte minoritaria della dottrina e fatta propria dal Sostituto Procuratore Generale, attribuente natura tributaria all’obbligazione posta a carico del liquidatore, non è condivisibile e, peraltro, non appare neppure risolutiva ai fini che occupano. A sostegno dell’attribuzione della natura tributaria si evidenziano i seguenti elementi: la collocazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 tra le disposizioni sulla riscossione del credito; la previsione che la responsabilità è azionata mediante atto di accertamento da notificare ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600; la devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione tributaria (ai sensi del sesto comma del medesimo art. 36).
Si evoca, in tale prospettiva, un’ipotesi di solidarietà atipica o dipendente, facente capo al responsabile d’imposta (di cui all’art. 64, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n.600: «chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni espressamente riferibili a questi…»), in virtù della quale i liquidatori, pur essendo estranei alla manifestazione di capacità contributiva che giustifica l’imposizione, risponderebbero dell’obbligazione tributaria, quali responsabili solidali dipendenti, in base a elementi ulteriori e diversi rispetto a quelli che integrano il presupposto impositivo, i quali evidenziano un’attitudine del responsabile a incidere sulla concreta realizzazione del tributo.
Tal ricostruzione, tuttavia, non convince dovendosi evidenziare, di contro, che, innanzi tutto, manca una previsione legislativa di solidarietà tra liquidatori e società.
L’ art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 stabilisce che i liquidatori sono responsabili in proprio per degli atti che sono ad essi esclusivamente riferibili (avere soddisfatto crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnato beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari), sicché i presupposti della loro responsabilità appaiono ravvisabili nella condotta degli stessi liquidatori, la quale non coincide non solo con il fatto imponibile ma neppure con il mero non adempimento dell’imposta, a garanzia del quale viene ipotizzata la solidarietà.
In ragione della solidarietà dovrebbe sorgere, come espressamente previsto dal terzo comma del citato articolo 64, il diritto dei liquidatori alla rivalsa nei confronti del debitore principale, nella specie la società, e, invece, tale diritto non solo non è previsto dall’art. 36 del d.P.R. n. 602/73 ma non sembra neppure attivabile, atteso che la responsabilità dei liquidatori presuppone che la capienza patrimoniale della società sia ormai dispersa, senza che si sia effettuato il pagamento delle imposte.
Infine, la giurisdizione tributaria trova giustificazione, oltre che nella espressa previsione di legge dell’emissione di avviso di accertamento, ai sensi di norma tributaria, ricorribile di fronte agli organi di giustizia tributaria, nella considerazione che se la fonte della responsabilità del liquidatore ha natura civilistica l’oggetto ha, pur sempre, natura tributaria trattandosi di quella stessa imposta dovuta ma che non fu versata, di talché l’atto che accerta l’inadempimento dell’obbligo di pagare il tributo e lo liquida non può che avere natura tributaria (arg. Cass. Sez. U. 16 dicembre 2020 n. 28709, in motivazione).
Con tale atto, infatti, l’Ufficio accerta e contesta la responsabilità del liquidatore sotto il profilo del difetto di diligenza integrante le condotte che, ai sensi dell’art. 36 cit., fanno sorgere la responsabilità dello stesso.
In considerazione del fatto che l’obbligo di versamento delle imposte dovute dalla società incombe sul liquidatore, nel limite di quanto risulta dalla corretta applicazione delle regole circa la graduazione dei crediti o se non fossero assegnati ai soci, la risoluzione delle questioni civilistiche, come ritenuto anche da parte della dottrina, appare pregiudiziale anche per liquidare le imposte dovute e non versate di cui il liquidatore debba rispondere.
Tale liquidazione è propriamente tributaria e, quindi, la giurisdizione tributaria conoscerebbe degli obblighi civilistici del liquidatore come questione incidentale da cui dipende la decisione sulla debenza dell’imposta non versata e ciò in base all’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992.
- La natura autonoma, di tipo civilistico, ex lege, del titolo della responsabilità del liquidatore ex art. 36, come delineata dall’esposto orientamento consolidato, non viene messa in discussione neppure dalla Sezione remittente la quale, però, pone in luce profili di incertezza concettuale e di incoerenza sistematica laddove quella stessa giurisprudenza, nell’individuare, poi, il rapporto tra tale tipo di responsabilità e l’obbligazione tributaria che grava sulla società, richiede quale condizione o presupposto necessari dell’azione nei confronti del liquidatore la preventiva acquisita “certezza legale” del credito tributario nei confronti della società.
Si evidenzia, infatti, nell’ordinanza interlocutoria, come tra la teoria che vede nel rapporto tra la responsabilità del liquidatore e l’obbligazione tributaria una relazione di autonomia della prima rispetto alla seconda e l’altra che, al contrario, ne propugna la dipendenza, la Corte si collochi in una posizione che può definirsi intermedia laddove, pur riconoscendosi l’autonomia della responsabilità del liquidatore rispetto all’obbligazione della società, si richiede, poi un necessario preventivo accertamento del credito erariale nei confronti della società consacrato nell’iscrizione a ruolo del tributo.
Si rassegna, in particolare, la contraddittorietà della richiesta, da parte di quella giurisprudenza, della “certezza legale” del debito tributario al momento dell’esercizio dell’azione di responsabilità, laddove il debito tributario, pur considerato mero presupposto della responsabilità del liquidatore, è poi assurto alla stregua degli elementi costitutivi della fattispecie con ulteriore significativo aggravio dell’onere a carico dell’Erario, non ritenendosi sufficiente la prova dei presupposti dell’obbligazione tributaria della società ma richiedendosi anche la preventiva formazione di un titolo e l’iscrizione a ruolo del tributo.
5.1. In effetti, dalla disamina delle pronunce susseguitesi nel tempo, emerge che, per prima, Cass. Sez. Un. 6 maggio 1985 n. 2820 statuì, in relazione al previgente art. 265 del d.P.R. n. 645 del 1958, che «l’azione del Fisco contro i liquidatori non può essere esercitata senza e prima che il ruolo in cui è iscritto il debito tributario della società possa essere legalmente posto in riscossione», cioè una volta dichiarata «l’esecutività del ruolo e avvenuta la sua consegna all’esattore».
Nella stessa sentenza, le Sezioni Unite di questa Corte affermarono che le “imposte dovute” dalla società sono «solo quelle i cui presupposti si siano verificati nei confronti di questa, in relazione alla sua attività, ancorché accertate successivamente sia pur dopo l’esaurimento della liquidazione e la cancellazione, altrimenti si giungerebbe ad elidere la forza e il valore sanzionatorio della norma considerata».
Tutta la successiva giurisprudenza di legittimità (non solo quella che si pronunciò nella vigenza del citato art. 265 ma anche la successiva, in relazione anche al vigente art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, e sino a oggi) ha continuato, su tale solco, a declinare il concetto di “imposte dovute” in termini di “certezza legale” della obbligazione tributaria a carico della società, assurgendo la stessa a condizione, ovvero presupposto, dello stesso esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore e ciò non sempre univocamente.
A parte le risalenti Cass. Sez. U. 3 giugno 1978 n. 2766, Cass. 24 gennaio 1981 n. 549, Cass. 17 giugno 2005 n. 13098 (che affermarono essere sufficiente la certezza e la definitività della pretesa erariale) e Cass. 6 novembre 1986 n. 6477 (la quale, affrontando la questione ex professo, escluse la sufficienza a tale fine di iscrizioni a titolo provvisorio sulla base di sentenze favorevoli all’Amministrazione erariale), attualmente la giurisprudenza della Sezione Tributaria è consolidata nel ritenere che l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore può essere esercitata soltanto quando vi sia certezza legale che questi abbia esaurito la disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento delle imposte della società e «i ruoli in cui queste sono iscritte possano essere posti in esecuzione» (v. Cass. 16 settembre 2021 n. 25076; Cass. 29 ottobre 2021 n. 30755; Cass. 31 gennaio 2023 n. 2906), non essendo necessaria, ai fini del rispetto del requisito della certezza, la formazione di un giudicato sulla sussistenza dell’obbligazione sociale nei confronti del Fisco, «essendo sufficiente la prova della sua iscrizione in ruoli quanto meno provvisori» (v. Cass. 20 luglio 2020 n. 15377 cit.; Cass. 17 novembre 2021 n. 34899).
Pur ribadendosi che la responsabilità del liquidatore «ha natura civilistica e trova titolo autonomo riconducibile agli artt. 1176 e 1218 c.c., rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, mero presupposto della responsabilità stessa, ancorché da accertarsi con atto motivato – e ricorribile – da notificare ai sensi dell’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973», se ne fa conseguire che «l’Ufficio per potere pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore deve provare di avere iscritto i relativi crediti quanto meno in ruoli provvisori» (così, tra le recenti, Cass. n. 15377/2020 cit.).
Le ragioni di questa interpretazione non sono chiaramente e esaustivamente esplicitate, accennandosi solo in alcune pronunce, come ragione del preventivo accertamento consacrato in iscrizione a ruolo, alla funzione sussidiaria che la responsabilità del liquidatore svolge nell’ambito della riscossione dei crediti erariali (così Cass. 23 aprile 2008 n. 10508; Cass. n. 15377/2020 cit.).
In definitiva, l’assenza del presupposto della certezza del credito declinata in termini di necessaria iscrizione a ruolo dei tributi comporta, ad avviso di questa giurisprudenza, «l’esclusione della legittimità dell’avviso emesso nei confronti del liquidatore per responsabilità propria ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, essendo questo requisito direttamente discendente dalla fonte legale dell’obbligazione e dalla natura civilistica della stessa» (cfr. Cass. 15 luglio 2021 n. 20148).
- Ritengono queste Sezioni Unite che l’orientamento giurisprudenziale, nel punto in cui ritiene l’iscrizione a ruolo del debito tributario societario condizione di legittimità dell’azione nei confronti dei liquidatori, ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, vada rivisto e ciò per più ordini di ragioni, non da ultima quella di attualizzare la lettura della norma al riformato contesto ordinamentale della riscossione (art. 29 del d.l. 31 maggio 2010 n.78, conv. con modif. nella legge 30 luglio 2010 n. 122), profondamente innovato dall’introduzione degli atti impoesattivi con conseguente parziale e graduale scomparsa dell’istituto della riscossione tramite ruolo (in argomento cfr. Cass. Sez. U. n. 33408 del 2021).
6.1. Va rilevato, all’uopo e in primo luogo, che l’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede quale condizione dell’azione l’iscrizione a ruolo, sia essa a titolo definitivo o a titolo provvisorio, del tributo della società ma, così come il suo antecedente storico (art. 265 del d.P.R. n. 645 del 1958), individua, quale oggetto della responsabilità del liquidatore, il mancato adempimento all’obbligo di pagare, con l’attività della liquidazione, «le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori» e, d’altra parte, va osservato che l’iscrizione a ruolo non genera l’imposta, rendendola dovuta, dovendosi a tal fine fare, invece, riferimento, al momento genetico del credito erariale che varia a secondo del tributo e segue, pertanto, una disciplina propria.
6.2. Se, poi, si esamina la giurisprudenza più risalente di questa Corte emerge che la declinazione del concetto di “certezza legale” dell’”imposta dovuta” nella necessità di una preventiva iscrizione in ruoli, che possano essere posti in riscossione, si formò in un differente contesto normativo ovvero nella vigenza del citato art. 265 del d.P.R. n. 645 del 1958 collocato nel capo rubricato “sanzioni in sede di riscossione”.
Tale disposizione, ormai abrogata, aveva delle modalità di applicazione diverse dall’odierno articolo 36 cit., perché dopo la liquidazione della società il fisco provvedeva, sulla base del bilancio finale di liquidazione, ad accertare i debiti fiscali della società. Iscritta a ruolo l’imposta così accertata, l’esattore procedeva esecutivamente: se la riscossione coattiva era infruttuosa, lo stesso ruolo era considerato esecutivo a carico del liquidatore in proprio, ove questi avesse violato il dovere di soddisfare i crediti fiscali secondo l’ordine di graduazione, o avesse assegnato beni ai soci senza pagare le imposte dirette in capo alla società.
Quel meccanismo presupponeva, quindi, per potere fare valere la responsabilità del liquidatore, il previo accertamento del debito societario con successiva iscrizione a ruolo e, quindi, il necessario collegamento tra l’obbligazione del liquidatore con l’obbligazione della società, rimasta insoddisfatta e coerentemente si affermava anche la necessità dell’esistenza e definitività del debito tributario.
6.3. Di contro, va posta in rilievo la diversità, rispetto all’abrogato art. 265 cit., dell’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, il quale, seppur apparentemente di identico contenuto, se ne differenzia non essendo più collocato tra le sanzioni per mancata riscossione (il che accreditava la teoria tradizionale che vedeva insorgere la responsabilità solo a seguito dell’iscrizione a ruolo e della infruttuosa esecuzione a carico della società) e prevedendo espressamente, non più l’esecutività dello stesso ruolo emesso nei confronti della società ai danni del liquidatore, ma l’emissione nei confronti di questi di un atto di accertamento motivato, da notificare ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario e al quale si applica il primo comma dell’art. 39, in materia di sospensione amministrativa della riscossione.
6.4. Neppure la circostanza che la norma dell’art. 36 trovi, ora, collocazione nel c.d. decreto riscossioni (d.P.R. n. 602 del 1973) assume alcuna dirimente valenza decisiva ai fini della necessitata preventiva iscrizione a ruolo per l’esperibilità della pretesa nei confronti del liquidatore ove si consideri che, in tale decreto, l’espressione somme dovute ricorre in numerose disposizioni ed è usata con un significato ampio, di portata generale, comprensivo di tutte le ipotesi volta per volta individuate (come, a titolo meramente esemplificativo, le somme dovute a seguito di liquidazione e controllo dell’Amministrazione finanziaria di cui agli artt. 14, 15 e 15-ter; in materia di compensazione ai sensi dell’art. 28-quinquies; a seguito di sentenza di primo grado di cui all’art. 39; e, finanche, con riferimento a crediti di cui è titolare il contribuente come nella disposizione dell’art. 75-bis), mentre, di contro, nelle disposizioni precedenti al citato articolo 36, riguardanti ipotesi di responsabilità solidale (artt. 32, 33, 34 e 35), il legislatore usa espressamente la locuzione tributi iscritti a ruolo o iscrivibili.
- Malgrado il mutato quadro normativo-procedimentale, come introdotto dal citato articolo 36, la giurisprudenza di questa Corte ha continuato a richiedere, quale condizione di esperibilità dell’azione nei confronti del liquidatore, l’iscrizione a ruolo del tributo a carico della società, e tale soluzione, come evidenziato dall’ordinanza remittente, se poteva ancora trovare un contesto compatibile prima della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 – quando, secondo l’orientamento prevalente, la cancellazione dal registro delle imprese non determinava l’estinzione della società fino a che permanevano debiti sociali (v., tra le altre, Cass. 18 agosto 2003 n. 12078 e, per tutte in ambito tributario, Cass. 10 ottobre 2005 n. 19732) -, non appare, in effetti, più adeguata all’attuale contesto ordinamentale, pur come integrato dalla successiva, ma non risolutiva, previsione, con l’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, della sospensione per un quinquennio, ai soli fini fiscali, dell’efficacia dell’estinzione della società.
7.1. A seguito della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6 del 2003, con la previsione di una piena efficacia estintiva della cancellazione della società, e della conseguente successiva elaborazione giurisprudenziale (cfr. Cass. Sez. U. 12 marzo 2013 nn. 6070, 6071 e 6072), infatti, verificatasi l’estinzione della società contribuente, la successione nei debiti della società si realizza nei confronti dei soci (che ne rispondono diversamente a secondo del tipo di società, di persone o di capitali) i quali subentrano, anche nei processi in corso, ex art. 110 cod. proc. civ., nella legittimazione processuale facente capo all’ente, in situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, ossia a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale.
Non si realizza, invece, alcuna successione del liquidatore nei debiti tributari della società contribuente, venendo meno il suo potere di rappresentanza dell’Ente estinto – che non può essere più parte di alcun rapporto tributario – e dunque la sua legittimazione passiva in ordine all’atto impositivo. Anche se i soci subentrano negli stessi debiti che facevano capo alla società, si assiste ad una vicenda nuova e diversa da quella societaria, rispetto alla quale – evidenzia correttamente il Collegio remittente – l’art. 2495, secondo comma, cod. civ. (ora comma 3 a seguito dell’art. 40, comma 12-ter, lett. b), del d.l. n. 76 del 2020, convertito in legge n. 120 del 2020), per la generalità dei creditori sociali, e la disposizione speciale di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, per l’Erario, costituiscono norme di chiusura quanto alla responsabilità dei soci nonché dei liquidatori in ordine all’attività svolta.
In relazione a tale mutato quadro normativo, il Collegio remittente – premessa la giurisprudenza di questa Corte sull’art. 2495 cod. civ. secondo la quale «ex latere creditoris il creditore rimasto insoddisfatto dall’attività liquidatoria, per far valere la responsabilità del liquidatore, dovrà dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito provato come esistente, liquido e esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione e il conseguente danno determinato dall’inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni» (Cass. 15 gennaio 2020 n. 521) – evidenzia, puntualmente, che ragioni sistematiche dovrebbero indurre a concludere che, come qualunque creditore sociale insoddisfatto, anche l’Erario possa agire direttamente nei confronti dei soggetti sussidiariamente responsabili per quei debiti, tra i quali il liquidatore ex art. 36 cit. anche nel caso in cui non disponga di un titolo che formalizza l’obbligazione tributaria nei confronti della società ormai estinta.
7.2. In effetti, a seguire l’orientamento tradizionale la posizione dell’Erario rispetto a un qualsiasi altro creditore appare ingiustificatamente deteriore, dovendosi l’Amministrazione finanziaria necessariamente precostituire un titolo, per di più esecutivo, e ciò anche in contrasto con il principio di economia dei mezzi giuridici e un inutile sacrificio dell’interesse pubblico alla pronta realizzazione del credito tributario (quale sancito con riferimento all’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 90 del 2018 e n. 142 del 2020).
Così, ad esempio, correttamente l’ordinanza remittente evidenzia, come, in caso di sospensione dell’efficacia dell’estinzione ai sensi dell’art. 28 cit., l’Erario sarebbe onerato di una duplice iniziativa nei confronti, il più delle volte, del medesimo soggetto (il liquidatore), prima quale legale rappresentante della società, sia pure estinta, al fine di conseguire un titolo verso la società, e poi, in proprio, quale responsabile ex art. 36 cit., comma quinto.
Ancora, per le società cancellate prima della data di entrata in vigore di quella norma, attesa la statuita irretroattività della novella (v., per tutte, Cass. 2 aprile 2015 n. 6743; Cass. 23 marzo 2016 n. 5736), l’accertamento andrebbe rivolto a carico dei soci, sia perché coobbligati solidali sia perché successori ex lege della società e potrà dubitarsi dell’idoneità del credito alla riscossione qualora i soci non abbiano conseguito attivo dalla liquidazione, perché la cartella emessa sarà annullata all’esito dell’impugnazione e della dimostrazione della insussistenza del presupposto della responsabilità del socio.
In caso di impugnazione dovrà, infatti, affermarsi l’infondatezza della pretesa fiscale azionata nei confronti del socio che non ha ricevuto alcunché in sede di liquidazione della società di capitali (Cass. Sez. U. 15 gennaio 2021 n. 619) perché le obbligazioni si trasferiscono ai soci i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione (Cass. Sez. U. n. 6070/2013 cit.). Risulta così che la richiesta dell’iscrizione a ruolo del debito societario, quale presupposto dell’azione ex art. 36, costringe l’Amministrazione a promuovere l’azione impositiva contro i soci successori anche quando non ricorre un interesse ad agire nei loro confronti.
In queste ipotesi, l’atto tributario ad essi indirizzato vedrebbe in qualche modo distorta la sua funzione, tendendo essenzialmente al mero accertamento del credito erariale da far valere nella successiva iniziativa verso il liquidatore; oltretutto quell’atto dovrebbe essere annullato in caso di esito vittorioso dell’impugnazione eventualmente proposta dal socio, una volta accertato che costui non aveva percepito utili dalla liquidazione (cfr., in tema di beneficium excussionis, Cass. 22 settembre 2022 n. 27713, par. 10.1).
- I prospettati, e fondati, profili di incertezza concettuale e di incoerenza sistematica evidenziati dall’ordinanza remittente trovano, a parere di queste Sezioni Unite, soluzione attraverso una parziale rimeditazione dell’orientamento tradizionale e l’eliminazione della contraddittorietà rinveniente dalla posizione intermedia tra le due opposte teorie (autonoma e dipendente) assunta dalla giurisprudenza di questa Corte, dovendosi ribadire, in questa sede, l’assoluta autonomia dell’obbligazione del liquidatore, ex art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973, rispetto al debito tributario della società, il quale costituisce solo mero presupposto fattuale di tale responsabilità.
8.1. Nel solco interpretativo già tracciato dall’assolutamente conforme e costante giurisprudenza, va ribadito che la responsabilità dei liquidatori di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973 è responsabilità propria, ex lege, di natura civilistica e non tributaria. Il primo comma dell’art. 36 chiama, infatti, il liquidatore a rispondere di una sua specifica condotta se da essa derivi l’inadempimento dell’obbligo proprio del liquidatore di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute sia per il periodo della liquidazione, sia per quelli anteriori.
La specifica condotta che fa sorgere la responsabilità si articola in due fattispecie di negligenza tipizzate normativamente.
La prima è costituita dal mancato rispetto dell’ordine di graduazione nella destinazione dell’attivo, se da ciò derivi danno all’Erario che non ricevette il dovuto in base al detto ordine e all’attivo disponibile.
La seconda è costituita dal fatto che il mancato pagamento delle imposte è stato causato dall’assegnazione di beni sociali ai soci o agli associati prima di aver soddisfatto il creditore erariale, beni che sono stati così indebitamente sottratti all’attività della liquidazione. Dette condotte, da cui sorge la responsabilità del liquidatore, non hanno natura tributaria perché sono estranee alla realizzazione di fatti indice di capacità contributiva. Essi, invece, riguardano l’adempimento degli obblighi propri del liquidatore di società, che appartengono alla sfera del diritto civile, sicché questa Corte, condivisibilmente, afferma che si tratta di responsabilità di natura civilistica e fa riferimento alla responsabilità risarcitoria verso il creditore che l’art. 1218 cod.civ. pone in capo al debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta, e rinvia al parametro della normale diligenza di cui all’art. 1176 cod.civ. in base al quale valutare la responsabilità del liquidatore.
Coerente con tale ricostruzione risarcitoria civilistica è, altresì, la limitazione della responsabilità del liquidatore alla misura delle imposte che sarebbero state pagate e incassate dal Fisco se il liquidatore avesse agito con diligenza.
Nel momento in cui sorge la debenza dell’imposta, ancorché non riscuotibile, il liquidatore è chiamato, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, a compiere quanto necessario per avere l’attivo occorrente per pagare l’imposta.
8.2. In altri termini, come evidenziato anche da parte della dottrina, la responsabilità del liquidatore ex art. 36 cit. sorge nella vicenda solutoria delle imposte dovute dalla società la cui cura diligente incombe ex lege sul liquidatore stesso proprio a tutela della corretta attuazione della capacità contributiva del soggetto in liquidazione.
Ne segue che, sul piano giuridico, la sua responsabilità rispetto all’obbligo del diligente versamento delle imposte non nasce per i fatti per cui sorge l’obbligazione tributaria. L’obbligazione tributaria societaria è mero presupposto, nascendo l’obbligo risarcitorio dalla rimproverabilità al liquidatore della mancata salvaguardia del credito erariale, in ciò differenziandosi tale responsabilità di natura civilistica dalla responsabilità di imposta, di cui all’art. 64, comma 3, del d.P.R. n. 600/73.
Egualmente va esclusa ogni ipotesi di sussidarietà di tale tipo di responsabilità, in quanto la stessa non implica coobbligazione con i debiti tributari né una forma di responsabilità per successione a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese ex art. 2495 cod. civ. 8.3. In definitiva la ratio della norma, coerente al fine della rapida realizzazione del credito tributario, è tesa a evitare che i liquidatori assegnino beni ai soci, o favoriscano altri creditori, lasciando insoddisfatti i diritti del Fisco e ha per sfondo i medesimi doveri che – già per il diritto civile a tutela dei creditori privati – incombono sui liquidatori.
Ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973, il liquidatore della società è responsabile, nei confronti dell’Erario, in proprio e in forma autonoma rispetto all’obbligazione tributaria societaria, trattandosi di responsabilità fondata su un diverso titolo: al mancato pagamento delle imposte dovute dalla società deve aggiungersi la condotta personale del liquidatore che, violando gli obblighi conseguenti alla carica rivestita, ha utilizzato l’attività di liquidazione per l’assegnazione di beni ai soci oppure per soddisfare crediti di ordine inferiore a quelli tributari che perciò sono rimasti insoluti.
8.4. Al distinto titolo e alla stessa diversità di oggetto della responsabilità posta a carico del liquidatore dall’art. 36 cit. consegue allora che il debito tributario della società costituisce mero presupposto fattuale di tale responsabilità, rispetto alla quale l’iscrizione a ruolo del credito fiscale, quale condizione necessaria di esperibilità della relativa azione, non appare giustificabile.
- Tale soluzione – che, come già esposto, trova conforto anche nel dato testuale della norma che richiede l’inadempimento all’obbligo di pagare le imposte dovute, nel significato generale che a tale locuzione viene attribuito dal d.P.R. n. 602 del 1973 ove la stessa è stata collocata e tiene conto del diverso passato contesto normativo e ordinamentale in cui si è formata la giurisprudenza in materia – non solo risolve le incoerenze sistematiche, evidenziate nell’ordinanza di rimessione, comportanti una ingiustificata posizione deteriore, o quanto meno più gravosa, per il creditore Fisco rispetto alla generalità dei creditori sociali, ma, al contempo, non esclude il contemperamento dei contrapposti interessi di rango costituzionale dati dall’esigenza di rapida realizzazione del credito tributario, da un lato, e dall’esigenza di ampi poteri difensivi in capo al liquidatore, dall’altro.
Come detto, il quinto comma del citato art.36 prevede che “La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall’Ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600” e il sesto comma che “Avverso l’avviso di accertamento è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636”, con applicazione del primo comma dell’art. 39 (il quale disciplina la sospensione amministrativa della riscossione).
La norma prevede, dunque, che i presupposti della responsabilità, ivi necessariamente compresa l’esistenza a carico della società di imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, vengano accertati dall’Amministrazione con atto motivato e che tale atto sia ricorribile innanzi agli organi di giustizia tributaria dal liquidatore: è in tale sede, pertanto, e non al di fuori di essa, che la certezza del debito della società dovrà essere acquisita nei confronti del liquidatore, il quale potrà ivi esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, contestando la sussistenza dei presupposti della propria responsabilità invocata dall’Erario.
Una volta cioè ribadito (v., sopra, paragrafi 4 e 8) l’orientamento pacifico di questa Corte che vede l’obbligazione fiscale societaria mero presupposto fattuale della responsabilità in capo ai liquidatori ex art. 36 d.P.R. n. 602/1973, non può dubitarsi (come, peraltro, da concordi conclusioni del Procuratore Generale e dell’Avvocatura dello Stato) che il liquidatore, in sede di ricorso innanzi agli organi di giustizia tributaria, possa confutare anche la sussistenza (come accertata nell’avviso emesso nei suoi confronti) di imposte a carico della società, al fine di escludere il contestatogli inadempimento agli obblighi connaturati alla carica ricoperta.
- Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, può, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto: «in materia di responsabilità del liquidatore ex art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, traente titolo per fatto proprio, ex lege, di natura civilistica e non tributaria, la preventiva iscrizione a ruolo del credito tributario societario non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell’atto di accertamento emesso, ai sensi del quinto comma dello stesso art. 36, nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società».
- In applicazione dell’enunciato principio il ricorso va rigettato. Nel caso in esame, come è incontestato, il liquidatore aveva provveduto a ripartire le attività, attraverso la soddisfazione dei soli crediti chirografari, senza alcuna considerazione dei crediti erariali che traevano fonte da imposte dichiarate (ritenute alla fonte e IVA) e non versate per il periodo di imposta 2004.
La Commissione tributaria regionale ha, quindi, accertato non solo che l’Ufficio aveva indicato puntualmente nell’avviso di accertamento emesso ai danni di Pietro Luigi D’Addario le circostanze legittimanti gli addebiti al liquidatore ma anche l’illiceità della condotta dello stesso che aveva proceduto al pagamento dei creditori senza alcuna considerazione della esistenza di debiti erariali certi nel loro ammontare in quanto relativi ad imposte dichiarate e non versate.
Nella specie, pertanto, nel pieno esercizio del suo diritto di difesa (preceduto peraltro, come risulta dalla sentenza impugnata, dall’invio da parte dell’Amministrazione finanziaria di un questionario, rimasto senza esito), il liquidatore nulla ha dedotto in ordine alla eventuale non debenza o insussistenza del debito tributario che, invece, secondo l’ordinaria diligenza conseguente alla carica rivestita e agli obblighi alla stessa connessi, avrebbe dovuto appostare nel bilancio di liquidazione, e quindi, soddisfare nei limiti della capienza del patrimonio sociale, invece di procedere, come avvenuto, alla ripartizione dell’attivo ai creditori chirografari.
- La soluzione della controversia, che ha richiesto l’intervento di queste Sezioni Unite, induce a compensare integralmente tra le parti le spese processuali.
- Si dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.