<p style="text-align: justify;"><strong>CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 13 marzo 2019 n. 45</strong></p> <p style="text-align: justify;">La fissazione di un termine entro cui il terzo controinteressato può attivare i poteri di verifica dell’Amministrazione implica una scelta tra diverse soluzioni, come è reso evidente dalla molteplicità delle tesi sostenute in dottrina e in giurisprudenza e illustrate dal rimettente, soluzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore nella configurazione degli istituti processuali e nella fissazione di termini di decadenza o prescrizione o di altre disposizioni condizionanti l’azione (ex plurimis, sentenze n. 6 del 2018, n. 94 del 2017 e n. 155 del 2014); il giudice a quo, tuttavia, consapevole della difficoltà di individuare una soluzione a rime obbligate, a fronte della ritenuta omissione legislativa in materia, correttamente invoca una pronuncia “additiva di principio”, che – come è noto – è utilizzata dalla Corte proprio al fine di non invadere la sfera riservata al legislatore e, nelle more del relativo intervento, di fornire al giudice comune uno strumento duttile per rinvenire una soluzione del caso concreto conforme a Costituzione.</p> <p style="text-align: justify;">Oggetto delle questioni di legittimità costituzionale è il comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, il quale comma, chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, attribuisce al terzo interessato la facoltà di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3», dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo); nulla dice la disposizione circa il termine entro cui va fatta la sollecitazione da parte del terzo e, quindi, entro cui vanno esercitati i poteri di verifica da parte della PA.</p> <p style="text-align: justify;">L’art. 19 della legge n. 241 del 1990 prevede che all’immediata intrapresa dell’attività oggetto di segnalazione (SCIA) si accompagnino successivi poteri di controllo dell’amministrazione, più volte rimodulati, da ultimo dall’art. 6 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche); in particolare, il comma 3 dell’art. 19 attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi), esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA, dando la preferenza a quelli conformativi, «[q]ualora sia possibile»; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili «in presenza delle condizioni» previste dall’art. 21-novies della stessa legge n. 241 del 1990; quest’ultimo, a propria volta, disciplina l’annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi; il comma 6-bis dell’art. 19 applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a 30 giorni e prevedendo, inoltre, che, «restano […] ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali». Contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, è a questi poteri che deve ritenersi faccia riferimento il comma 6-ter, conclusione alla quale si perviene anzitutto sulla base del dato testuale: la locuzione «verifiche spettanti all’amministrazione» lascia chiaramente intendere infatti che la norma rinvia a poteri già previsti; questa piana lettura testuale trova perlatro conferma, da una parte, nella genesi della disposizione censurata e, dall’altra, nella evoluzione del quadro normativo di riferimento. Quanto al primo profilo, il comma 6-ter è stato introdotto dall’art. 6, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, in aperta dialettica con la nota sentenza n. 15 del 2011 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la finalità di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento: il riferimento alle «verifiche spettanti all’amministrazione», dunque, non è finalizzato ad introdurre nuovi poteri, ma è funzionale alla sollecitazione da parte del terzo; quanto al secondo profilo, la diversa opzione ermeneutica seguita dal giudice a quo darebbe luogo ad una evidente incongruenza del sistema, per come si è evoluto a seguito della introduzione − ad opera della legge n. 124 del 2015 − del termine di esercizio dell’autotutela nell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, termine reso applicabile anche ai poteri di controllo sulla SCIA dall’art. 19, comma 4, della stessa legge: si avrebbe qui, infatti, un potere sempre vincolato, e quindi più incisivo, e purtuttavia temporalmente illimitato; più in generale, il riconoscimento di un potere “in bianco” nel comma 6-ter sarebbe in manifesto contrasto con il principio di legalità-tipicità che caratterizza, qualifica e limita tutti i poteri amministrativi, principio che, com’è noto, ha fondamento costituzionale (artt. 23, 97, 103 e 113 Cost.) e va letto non solo in senso formale, come necessità di una previsione espressa del potere, ma anche in senso sostanziale, come determinazione del relativo ambito, e cioè dei fini, del contenuto e delle modalità del suo esercizio (sentenze n. 115 del 2011, n. 32 del 2009, n. 307 del 2003 e n. 150 del 1982). Non meno evidente, infine, è l’incompatibilità della lettura proposta con l’istituto della SCIA, per come conformato dalla sua storia normativa e giurisprudenziale; il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una – sia pur importante – parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi; una dilatazione temporale dei poteri di verifica della PA, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere.</p> <p style="text-align: justify;">Le verifiche cui è chiamata l’Amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i 60 o 30 giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi 18 mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies); decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’Amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo; questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue, secondo una conclusione, che, oltre che piana, è necessitata, non potendo essere messa in discussione dal timore del rimettente che ne derivi un vulnus alla situazione giuridica soggettiva del terzo medesimo. Il problema indubbiamente esiste, ma trascende la norma impugnata, e va affrontato in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati a tutela della situazione giuridica del terzo; in particolare, nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»); potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’Amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. (Testo A)», ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis; esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti); al di là delle modalità di tutela dell’interesse legittimo, poi, rimane il fatto giuridico di un’attività che si assuma illecita, nei confronti della quale valgono le ordinarie regole di tutela civilistica del risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica. Tutto ciò, peraltro, non esclude l’opportunità di un intervento normativo del Legislatore sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sollecitazione da parte sua, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’Amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere.</p> <p style="text-align: justify;">Vanno dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) - nella parte in cui quest’ultima norma non prevede un termine finale per la sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri di verifica sulla segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA) spettanti alla pubblica amministrazione - sollevate, in riferimento agli artt. 3, 11, 97, 117, primo comma – quest’ultimo in riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993 – e secondo comma, lettera m), della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana.</p>