Corte Costituzionale, sentenza 4 dicembre 2023 n. 212
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va considerata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 142 del 2015 «nella parte in cui rinvia all’art. 14 d.lgs. 286/1998, implicando che il termine di quarantotto ore per richiedere la convalida del trattenimento disposto dal questore decorra, anche nel caso di trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6 c. 3 d.lgs. 142/2015, dall’adozione del provvedimento con cui il questore dispone il trattenimento e non dal momento in cui si considera avere il soggetto trattenuto acquisito la qualità di “richiedente protezione internazionale” ai sensi dell’art. 2 let. a) d.lgs. 142/2015» in quanto, il rimettente ha omesso di farsi carico della norma che si rinviene nell’ultimo periodo della disposizione censurata, la quale così prevede: «[q]uando il trattenimento è già in corso al momento della presentazione della domanda, i termini previsti dall’articolo 14, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si sospendono e il questore trasmette gli atti al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea per la convalida del trattenimento per un periodo massimo di ulteriori sessanta giorni, per consentire l’espletamento della procedura di esame della domanda».
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, dubita, in riferimento all’art. 13 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 142 del 2015, «nella parte in cui rinvia all’art. 14 d.lgs. 286/1998, implicando che il termine di quarantotto ore per richiedere la convalida del trattenimento disposto dal questore decorra, anche nel caso di trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6 c. 3 d.lgs. 142/2015, dall’adozione del provvedimento con cui il questore dispone il trattenimento e non dal momento in cui si considera avere il soggetto trattenuto acquisito la qualità di “richiedente protezione internazionale” ai sensi dell’art. 2 let. a) d.lgs. 142/2015».
Il rimettente è chiamato a decidere il ricorso per riesame della convalida di un provvedimento di trattenimento, emesso dal Questore di Milano, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 142 del 2015, nei confronti di uno straniero che, in data 25 ottobre 2022, aveva manifestato l’intenzione di richiedere la protezione internazionale.
Nella ordinanza di rimessione si evidenzia che il provvedimento di trattenimento, oggetto di convalida, è stato notificato allo straniero in data 31 ottobre 2022, mentre costui si trovava già ristretto presso il centro di permanenza per i rimpatri di Milano.
Nella stessa data il provvedimento è stato inviato al Tribunale civile competente per la convalida.
L’atto del questore è stato motivato in relazione alla fattispecie prevista dall’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 142 del 2015, quella, cioè, del richiedente protezione internazionale che si trova già trattenuto, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, in attesa dell’esecuzione di un provvedimento di respingimento o di espulsione, e che, per espresso dettato normativo, deve rimanere nel centro «quando vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del respingimento o dell’espulsione».
Nel descritto contesto, il rimettente ravvisa il contrasto con l’evocato parametro costituzionale del rinvio, operato dal censurato art. 6, comma 5, del d.lgs. n.142 del 2015, all’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto la disposizione secondo la quale il termine di quarantotto ore per la trasmissione degli atti debba decorrere dall’adozione del provvedimento non risulterebbe adeguata a dare attuazione al precetto dell’art. 13 Cost., nel caso in cui dall’adozione di detto provvedimento «non dipenda il dispiegamento della forza coercitiva pubblica in grado di privare un soggetto della libertà personale, altrimenti inviolabile, ma la riaffermazione di tale volontà coercitiva nei confronti di un soggetto già privato della libertà personale che abbia tuttavia perduto lo statuto giuridico in forza del quale la prima privazione era stata legittimamente disposta».
2.– Devono preliminarmente essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato.
2.1.– La prima di esse concerne la presunta irrilevanza della questione nel procedimento a quo, avuto riguardo alle caratteristiche del giudizio di riesame della convalida pendente dinanzi al Tribunale rimettente.
Si tratta del rimedio individuato, in via giurisprudenziale, in diretta applicazione dell’art. 9, paragrafo 5, della direttiva 2013/33/UE, a norma del quale «[i]l provvedimento di trattenimento è riesaminato da un’autorità giurisdizionale a intervalli ragionevoli, d’ufficio e/o su richiesta del richiedente in questione, in particolare nel caso di periodi di trattenimento prolungati, qualora si verifichino circostanze o emergano nuove informazioni che possano mettere in discussione la legittimità del trattenimento».
Ebbene, secondo la difesa erariale, tale procedimento sarebbe ancorato al presupposto che il soggetto sia effettivamente trattenuto, non potendo essere attivato o proseguito qualora lo straniero abbia riacquistato la libertà.
Nel caso di specie, posto che al momento della trattazione del riesame il ricorrente risultava già rimpatriato, sarebbe venuto meno il requisito della «costanza di trattenimento», posto a fondamento della norma della menzionata direttiva UE, la quale sarebbe self-executing, con la conseguenza che, nel giudizio a quo, dovrebbe «ritenersi verosimilmente cessata la materia del contendere».
L’eccezione è destituita di fondamento.
Premesso, come si vedrà a breve, che il rimettente interviene in sede di convalida ai sensi dell’ultimo periodo della disposizione censurata, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la misura del trattenimento dello straniero presso centri di permanenza e assistenza comporta una situazione di «assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale» (così, da ultimo, sentenza n. 127 del 2022; in precedenza, anche sentenza n. 105 del 2001).
Acquisisce, dunque, posizione centrale, nella disamina della presente questione, proprio la situazione di restrizione alla libertà personale che viene sofferta dallo straniero. Nel caso di specie, si è di fronte alla fattispecie particolare dello straniero che è anche richiedente asilo, il quale dunque si trova in una situazione ancor più delicata, che richiederebbe un alto grado di protezione, secondo le norme del diritto dell’Unione europea (di cui alle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE).
L’esame dell’eccezione formulata dalla difesa erariale deve tenere conto di quanto precede.
Secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, lo straniero trattenuto che abbia ormai riacquistato la libertà (ad esempio, perché rimpatriato) mantiene interesse alla decisione del giudizio che ha ad oggetto il provvedimento di trattenimento, e ciò «sia per il diritto al risarcimento derivante dall’illegittima privazione della libertà personale, sia al fine di eliminare ogni impedimento illegittimo al riconoscimento della sussistenza delle condizioni di rientro e soggiorno nel territorio italiano» (così, ex plurimis, da ultimo, Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 26 luglio 2023, n. 22529; con specifico riguardo al giudizio di riesame della convalida di un provvedimento di trattenimento, nello stesso senso, anche Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanze 16 marzo 2023, n. 7743 e 13 dicembre 2021, n. 39735).
La motivazione spesa dal rimettente sul requisito della rilevanza non può dunque considerarsi implausibile, vieppiù alla luce del fatto che egli ha affermato esplicitamente la persistenza dell’interesse ad agire in quanto il ricorrente, nell’ambito del medesimo giudizio, ha avanzato domanda risarcitoria per l’illegittima detenzione.
Né può ritenersi – come ulteriormente argomenta la difesa erariale – che il rimettente si troverebbe ormai spogliato della propria potestas iudicandi, analogamente a quanto questa Corte ha già valutato in altri casi (vengono richiamate le ordinanze di manifesta inammissibilità n. 187 del 2002, n. 387 e n. 297 del 2001).
I richiamati precedenti non sono pertinenti. Nel decidere sulla legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, in relazione a giudizi a quibus (aventi ad oggetto la convalida del trattenimento) in cui le autorità rimettenti avevano espressamente disposto il rilascio del trattenuto, questa Corte ha affermato che i relativi procedimenti principali si erano conclusi con la stessa ordinanza di rimessione, aggiungendo che, «con la consumazione della potestas iudicandi in capo al remittente, è venuto anche meno l’indefettibile presupposto della incidentalità della questione di legittimità costituzionale» (ordinanza n. 297 del 2001). Nel caso odierno, invece, nel procedimento principale non si è avuto alcun provvedimento de libertate e, anzi, quel procedimento non è affatto concluso, proprio perché il rimettente è chiamato a pronunziarsi sulla domanda risarcitoria.
Va pertanto riaffermato l’interesse di colui che è stato privato della libertà personale a una pronuncia sulla legittimità del provvedimento restrittivo, pur avendo egli, nelle more, riacquistato la libertà (sentenza n. 54 del 1993 e ordinanza n. 304 del 1991); e va altresì ribadito che, quando il giudice dubiti della legittimità costituzionale delle norme che regolano presupposti e condizioni del potere di convalida, la cessazione dello stato di restrizione non può essere di ostacolo al promovimento della relativa questione di legittimità costituzionale (sentenza n. 137 del 2020, punto 2.1. del Considerato in diritto).
2.2.– In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce l’inammissibilità della questione osservando che, qualora questa Corte la accogliesse, «il legislatore avrebbe discrezionalità nell’individuare il dies a quo da cui far decorrere il termine di quarantotto ore per la richiesta di convalida», potendo decidere di ancorare il termine stesso al momento della presentazione della domanda di protezione internazionale ovvero a quello della manifestazione di tale volontà.
Neanche questa eccezione è fondata.
L’eventuale accoglimento della questione non lascerebbe aperta alcuna scelta discrezionale per il legislatore, il quale sarebbe chiamato a far decorrere il termine delle quarantotto ore, per la richiesta di convalida, dal momento in cui lo straniero ha acquisito lo status di richiedente protezione internazionale (che è esattamente quanto si rinviene nel petitum formulato dal giudice rimettente), e ciò sulla base di quanto stabiliscono le rilevanti disposizioni sia del diritto dell’Unione europea, prima richiamate, sia del diritto nazionale.
3.– La questione sollevata dal Tribunale di Milano è comunque inammissibile, sia pure per un diverso ordine di ragioni.
Il rimettente, nel porsi il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 142 del 2015, ha omesso di farsi carico della norma che si rinviene nell’ultimo periodo della disposizione censurata, la quale così prevede: «[q]uando il trattenimento è già in corso al momento della presentazione della domanda, i termini previsti dall’articolo 14, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si sospendono e il questore trasmette gli atti al tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea per la convalida del trattenimento per un periodo massimo di ulteriori sessanta giorni, per consentire l’espletamento della procedura di esame della domanda».
Si tratta di una norma che contempla specificamente la fattispecie del giudizio a quo, in cui si discute di un richiedente asilo che, al momento della domanda, si trovava già trattenuto presso un centro di permanenza per i rimpatri.
La mancanza del riferimento a tale prescrizione nell’ordinanza di rimessione emerge in modo particolare laddove il rimettente, nel riportare tra virgolette il testo del comma 5, omette di citarne proprio l’ultimo periodo e, quanto al procedimento di convalida, aggiunge che null’altro è indicato circa le modalità di controllo giurisdizionale, mentre, in realtà, detto ultimo periodo menziona espressamente proprio il giudizio di convalida.
Il rimettente ha perciò omesso di considerare proprio la porzione normativa della disposizione censurata che è rivolta a disciplinare la scansione procedimentale e temporale del giudizio di convalida, in accordo alla struttura che ad esso conferisce direttamente l’art. 13, terzo comma, Cost., quando si tratta di convalidare provvedimenti provvisori di restrizione della libertà personale emessi dall’autorità di pubblica sicurezza. In base a tale previsione costituzionale, infatti, la convalida deve intervenire entro un termine che non può che decorrere dalla data di adozione del provvedimento, posto che quest’ultimo ne costituisce l’oggetto.
Al di fuori di tale ipotesi, restrizioni alla libertà costituzionale che, nei casi e modi previsti dalla legge, non siano state disposte con atto motivato dell’autorità giudiziaria sono senza eccezione lesive della garanzia fondamentale dell’habeas corpus e originano, innanzi al giudice competente, un’azione volta all’accertamento di simile lesione e all’immediato ripristino dello stato di libertà.
L’ultimo periodo della disposizione censurata, trascurato dal rimettente, si premura, tuttavia, di stabilire che i termini di restrizione della libertà personale dello straniero previsti dall’art. 14, comma 5, del d.lgs. n. 142 del 2015 (e, dunque, effetto di un primo provvedimento dell’autorità di pubblica sicurezza già convalidato) sono sospesi fino a quando non sopraggiunga la decisione sulla ulteriore convalida, che ne può permettere la protrazione per un massimo di altri sessanta giorni.
Il giudice al quale spetti la competenza a verificare la sussistenza o la persistenza di un legittimo titolo restrittivo della libertà personale dello straniero già trattenuto non può, pertanto, che confrontarsi con tale previsione normativa, con la quale il legislatore ha inteso disciplinare lo status libertatis nel tempo che intercorre tra la presentazione della domanda di protezione internazionale e il preliminare esame di essa da parte dell’autorità amministrativa, quanto alla eventuale protrazione, nei casi indicati dalla legge, del restringimento in corso.
Se, infatti, da un lato la norma non permette all’autorità giudiziaria di rilevare la carenza del titolo restrittivo per tale periodo (che nella prassi può durare a lungo, sebbene ciò non sia accaduto nel caso oggetto del giudizio principale), dall’altro lato resta integro il potere del giudice non certo di disapplicarla (come accadrebbe se, nonostante tale previsione, si ritenesse cessata l’efficacia del primo provvedimento restrittivo, a seguito della presentazione della domanda di protezione internazionale), ma, invece, di valutarla, nei limiti delle proprie competenze, con riferimento al fascio delle garanzie assicurate dall’art. 13 Cost., e, in particolare, alla regola che impone alla legge di determinare i termini massimi dei trattenimenti disposti in via preventiva, allo scopo di evitare che essi si prolunghino indefinitamente, anche a causa di prassi applicative distorte.
La mancata considerazione della norma e della incidenza della stessa sui termini della questione sollevata ridonda nel vizio di non completa ricostruzione del quadro normativo rilevante, da cui discende l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenze n. 257, n. 256 e n. 225 del 2022, n. 123 e n. 15 del 2021).