Corte Costituzionale, sentenza 22 aprile 2024, n. 66
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.
Va altresì dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 70-octies, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettere a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell’unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.
Va inoltre dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile.
Vanno, da ultimo, dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), aggiunto dall’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, sollevate, in riferimento gli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1.– Il Tribunale ordinario di Torino, sezione settima civile, chiamato a pronunciarsi, nel corso di un giudizio di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, sulla richiesta di trasformazione in matrimonio dell’unione civile contratta dal richiedente con altro soggetto, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, che dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso senza prevedere la possibilità della conversione in matrimonio per dichiarazione congiunta delle parti, senza soluzione di continuità con il preesistente legame.
1.1.– La medesima disposizione viene censurata altresì per contrasto con l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento riservata allo scioglimento dell’unione omoaffettiva, in seguito a rettifica anagrafica di sesso di uno dei contraenti, rispetto a quanto stabilito dal successivo comma 27 dello stesso art. 1 della legge n. 76 del 2016, che, nel caso in cui il medesimo fenomeno attraversi il vincolo matrimoniale, prevede che «[a]lla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
1.2.– In riferimento ai medesimi parametri e per le medesime ragioni il dubbio di legittimità costituzionale investe altresì l’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, introdotto dall’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017, nella parte in cui non prevede, così come fa nell’ipotesi speculare di trasformazione del matrimonio in unione civile, che la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l’altro contraente dell’unione possano, fino alla precisazione delle conclusioni, con dichiarazione congiunta, resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda di rettifica, di unirsi in matrimonio, con le eventuali annotazioni relative alla conservazione del cognome comune e al regime patrimoniale, nonché nella parte in cui non prevede che il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda, ordini all’ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell’unione civile, o di registrazione se costituita all’estero, di iscrivere il matrimonio nel relativo registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti sulla scelta del cognome e del regime patrimoniale.
1.3.– Viene, infine, censurato, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, l’art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 5 del 2017, nella parte in cui non prevede che anche nell’ipotesi di cui all’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, come emendato nel senso sopra specificato, il competente ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda alla trascrizione del matrimonio nell’apposito registro, con le eventuali annotazioni relative al cognome ed al regime patrimoniale.
1.4.– Il rimettente denuncia, in definitiva, il deficit di tutela che l’indicato compendio normativo produrrebbe nella parte in cui non comprende una disposizione analoga a quella di cui all’art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016, introdotta in favore delle coppie già unite in matrimonio che, in seguito a rettifica anagrafica di sesso di uno dei coniugi, abbiano manifestato la volontà di trasformare il precedente vincolo in altro riconosciuto dall’ordinamento, con conversione del matrimonio in unione civile.
1.5.– Le parti dell’unione civile, nel caso in cui vivano analogo fenomeno secondo inversa direzione, si troverebbero prive di protezione nel lasso temporale, di durata imponderabile e che prescinde dalla loro volontà, intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione anagrafica di sesso e la celebrazione del matrimonio, con una discontinuità nella tutela, destinata ad integrare una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni analoghe (art. 3 Cost.) ed una limitazione della libertà fondamentale dell’individuo (art. 2 Cost.), con violazione dei doveri di solidarietà propri dell’unione civile come «gruppo sociale strutturato e legalmente riconosciuto».
1.6.– Si determinerebbe, inoltre, una lesione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dalla giurisprudenza convenzionale (art. 117, primo comma, Cost., e, quali parametri interposti, artt. 8 e 14 CEDU), in danno della coppia omoaffettiva nelle more della transizione verso il matrimonio, non venendo preservato il fulcro dei diritti acquisiti e dei rapporti goduti nella vigenza del regime dell’unione civile, quale formazione legalmente riconosciuta e tutelata.
2.– L’esame delle questioni sollevate richiede l’inquadramento delle stesse nella cornice normativo-giurisprudenziale di riferimento.
2.1.– Il riconoscimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso nel nostro ordinamento è stato il punto di approdo di un percorso già avviato dalle sollecitazioni del Parlamento europeo (risoluzioni 8 febbraio 1994, 16 marzo 2000 e 4 settembre 2003) e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (tra le altre, sentenze 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia; 15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia; 24 giugno 2010, Schalk and Kopf contro Austria, 24 giugno 2010; nonché quella già citata resa nella causa Hämäläinen contro Finlandia, 16 luglio 2014), che avevano evidenziato la lacuna di tutela delle unioni omoaffettive, pur assicurando a ciascuno Stato un margine di discrezionalità nella scelta del modello di regolamentazione. Un percorso tracciato, nelle sue premesse, nell’ordinamento nazionale, dalla sentenza di questa Corte n. 138 del 2010, che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale delle norme del codice civile che non consentono a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio, non ha mancato di sottolineare come nella nozione di «formazione sociale», tutelata dall’art. 2 Cost., «è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
Con la successiva sentenza n. 170 del 2014 questa Corte – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 2 Cost., degli artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982, nella parte in cui registravano il fenomeno del cosiddetto divorzio imposto, cioè lo scioglimento del matrimonio o della cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso quale effetto della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso – ha rivolto un espresso monito al legislatore perché consentisse alle parti che avessero manifestato volontà in tal senso di non sciogliere automaticamente il matrimonio e «di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore» (punto 5.7. del Considerato in diritto).
2.2.– L’intervento di questa Corte, superando l’automatismo della legge sulla rettifica (di cui ai citati artt. 2 e 4 della legge n. 164 del 1982), ha aperto alla possibilità per i coniugi, ormai dello stesso sesso, a tutela dei diritti primari della coppia, di accedere ad un istituto che garantisse loro, analogamente a quanto fanno le norme sul matrimonio, diritti ed obblighi reciproci, senza soluzione di continuità e vuoti di tutela, istituto che è stato introdotto appunto con la citata legge n. 76 del 2016. L’unione civile (art. 1, comma 1) è stata così riconosciuta quale formazione sociale che garantisce i diritti inviolabili della persona, di cui provvede a rafforzare la tutela.
Contestualmente, il legislatore ha consentito alle parti di convertire il matrimonio in unione, stabilendo che: «[a]lla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso» (art. 1, comma 27).
2.3.– Il successivo intervento del legislatore delegato, in attuazione dei principi e criteri direttivi fissati nella stessa legge n. 76 del 2016 (art. 1, comma 28), è stato ispirato alle esigenze di: «a) adeguamento alle previsioni della […] legge delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni; b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo; c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la […] legge [n. 76] delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti».
2.4.– In particolare, l’art. 7 del d.lgs. n. 5 del 2017 ha introdotto all’interno dell’art. 31 (Delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), ricompreso nel Capo IV (Delle controversie regolate dal rito ordinario di cognizione) del d.lgs. n. 150 del 2011, il comma 4-bis, che consente ai coniugi di manifestare nel giudizio di rettificazione anagrafica, fino al momento della precisazione delle conclusioni, la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, convertendolo in unione civile; mentre l’art. 1, comma 1, lettera t), dello stesso d.lgs. n. 5 del 2017 ha inserito nel d.P.R. n. 396 del 2000 l’art. 70-octies, che, al comma 5, prevede che, in tale ipotesi, l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione nel cui giudizio le parti abbiano manifestato la volontà di convertire il matrimonio in unione civile, procede all’iscrizione della stessa e alle eventuali annotazioni relative al regime patrimoniale e alla scelta del cognome della coppia.
3.– Così ricostruite le fasi della evoluzione legislativa e giurisprudenziale che ha portato alla introduzione e alla disciplina delle unioni civili, può passarsi all’esame nel merito delle questioni sollevate, che sono solo in parte fondate, nei termini di seguito precisati.
3.1.– Non è anzitutto fondato il dubbio del rimettente in ordine alla disparità di trattamento che l’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016 produrrebbe nei confronti dei componenti di una unione civile rispetto alla coppia di coniugi, con riferimento alla facoltà riconosciuta dal successivo comma 27 dello stesso art. 1 soltanto a questi ultimi – nel giudizio di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei componenti, in caso di accoglimento della relativa domanda, previa manifestazione di volontà congiuntamente resa dalle parti innanzi al giudice della rettificazione – di convertire il matrimonio in unione civile senza soluzione di continuità nelle tutele.
3.1.1.– Il rapporto coniugale si configura come un vincolo diverso da quello che ha fonte nell’unione civile, e non può essere ad esso assimilato perché se ne possa dedurre l’impellenza costituzionale di una parità di trattamento.
Matrimonio e unione civile trovano differente copertura costituzionale, essendo il primo, inteso quale unione tra persone di sesso diverso, riconducibile, nella giurisprudenza di questa Corte, all’art. 29 Cost. (sentenze n. 170 del 2014, punto 5.2. del Considerato in diritto; n. 138 del 2010, punto 9 del Considerato in diritto), e la seconda alle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., all’interno delle quali l’individuo afferma e sviluppa la propria personalità (sentenze n. 269 del 2022, n. 170 del 2014 e n. 138 del 2010).
3.1.2.– I due istituti rappresentano, dunque, fenomeni distinti, caratterizzati da differenti panorami normativi.
Il legislatore del 2016 ha certamente attinto, nell’introdurre e disciplinare l’unione civile tra persone dello stesso sesso, a molte delle disposizioni che regolamentano il matrimonio: tra le altre, quelle sulle cause impeditive alla costituzione dell’unione, sui relativi effetti e sui mezzi per azionarle, di cui all’art. 1, commi 4, 5 e 6, della legge n. 76 del 2016 nei relativi rinvii al codice civile; la disciplina dei cognomi, di cui al successivo comma 10; la previsione degli obblighi reciproci all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione ed alla contribuzione ai bisogni comuni, di cui al comma 11; il regime patrimoniale e delle donazioni e successioni di cui ai commi 13 e 21; i trattamenti previdenziali stabiliti dagli artt. 2118 e 2120 cod. civ., ai sensi del comma 17; sino a prevedere, con la cosiddetta clausola di equivalenza, posta dal comma 20 dell’art. 1, l’applicazione alle parti dell’unione civile di quelle disposizioni, ovunque ricorrenti, in cui figurino i termini «matrimonio», «coniuge» o «coniugi» «o termini equivalenti» (salve le norme del codice civile non richiamate espressamente nella stessa legge, tra le quali quelle relative alla filiazione, nonché le disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante «Diritto del minore ad una famiglia», relativo alla disciplina dell’adozione, fermo «quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti»).
3.1.3.– Si tratta di un percorso che, pur sostenuto da ampia condivisione della disciplina legale del matrimonio, ha comunque fatto permanere significative differenze, tra l’altro, in tema di costituzione del vincolo (per la quale solo il matrimonio, e non l’unione civile, deve, in via generale, essere preceduto dalle pubblicazioni, ex artt. 93 e seguenti cod. civ., cui segue la possibilità di opposizione preventiva di cui agli artt. 102 e seguenti cod. civ., per le cause che ostino alla celebrazione del matrimonio stesso, indicate negli artt. 84 e seguenti cod. civ., opposizione non prevista, invece, per l’unione civile); in tema di accesso a quest’ultima, per cui è stabilita la maggiore età (art. 1, comma 2, della legge n. 76 del 2016), laddove per il matrimonio è prevista quella di sedici anni, in presenza di autorizzazione del tribunale per i minorenni (art. 84 cod. civ.); in tema di scioglimento dell’unione civile, la cui disciplina contempla forme più agili e di attenuato formalismo rispetto al matrimonio ed accentuata accelerazione dei relativi effetti (art. 1, commi da 22 a 26 della legge n. 76 del 2016), e non prevede una situazione intermedia quale la separazione personale.
3.1.4.– Può affermarsi, in definitiva, che, alla stregua della ricognizione della regolamentazione dei due istituti in esame, il vincolo derivante dalla unione civile produce effetti, pur molto simili, ma non del tutto coincidenti e, in parte, di estensione ridotta rispetto a quelli nascenti dal matrimonio, e ricompresa nel più ampio spettro di diritti ed obblighi da questo originati.
La questione relativa alla dedotta ingiustificata disparità di trattamento tra coppie coniugate ed unite civilmente non è pertanto fondata per l’obiettiva eterogeneità delle situazioni a confronto.
4.– È, invece, fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, sollevata in riferimento all’art. 2 Cost.
L’unione civile costituisce una formazione sociale in cui i singoli individui svolgono la propria personalità, connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed esplicazione di un diritto fondamentale della persona, quello di vivere liberamente una condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri.
La coppia unita civilmente, in ragione dell’automatico scioglimento del vincolo (art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016), quale esito del percorso di transizione sessuale di uno dei suoi componenti previsto dalla legge n. 164 del 1982 (artt. 1 e 4), ove manifesti la volontà di conservare il rapporto nelle diverse forme del legame matrimoniale, va incontro comunque, nel tempo necessario alla relativa celebrazione, ad un vuoto di tutela, a causa del venir meno del complessivo regime di diritti e doveri di cui era titolare in costanza dell’unione civile.
La evidenziata mancanza di tutela nel passaggio da una relazione giuridicamente riconosciuta, qual è quella dell’unione civile, ad altra, qual è il legame matrimoniale, entra irrimediabilmente in frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto. Non senza considerare che, nel tempo necessario alla ricostituzione della coppia secondo nuove forme legali, i componenti potrebbero risentire di eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo.
4.1.– La tutela additiva reclamata dal rimettente rispetto alla coppia omoaffettiva che si sia trovata ad intraprendere il percorso di modifica del genere e voglia a sé conservare continuità nelle garanzie di legge nel passaggio tra unione civile e matrimonio, resta nei suoi presupposti riconducibile a quella categoria di situazioni “specifiche” e “particolari”, con riguardo alle quali ricorrono i presupposti per un intervento di questa Corte sotto il profilo di un controllo di adeguatezza e proporzionalità della disciplina adottata dal legislatore (sentenza n. 170 del 2014).
4.2.– Il percorso non è nuovo per questa Corte che, ancora recentemente, ha utilizzato il parametro di cui all’art. 2 Cost. per dare riconoscimento giuridico a relazioni affettive che, già connotate da una dimensione sociale, ricevono tutela in quanto strumento di formazione e sviluppo della personalità dell’individuo.
Si tratta di affermazioni di principio che rivelano, nel tempo, nuove letture dei più tradizionali istituti del diritto civile di cui rimarcano la capacità di comprendere nuove funzionalità.
Così, con riguardo all’adozione dei maggiorenni, la Corte è intervenuta sulla differenza di età tra adottante e adottando, aprendo l’applicazione dell’istituto al riconoscimento di nuovi legami familiari pur sempre, tendenzialmente, ispirati al legame tra genitore biologico e figlio (sentenza n. 5 del 2024, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, cod. civ., nella parte in cui, per l’adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l’intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottato).
L’importanza delle relazioni affettive di fatto è stata altresì occasione per la giurisprudenza costituzionale, nella prestata attenzione alla piena ed equilibrata crescita del minore di età rispettosa della sua identità personale, per ripensare, escludendoli, taluni automatismi che, nel recidere, all’interno dell’adozione legittimante, i legami del minore con la famiglia di origine, erano destinati a minare la consapevolezza delle origini ed identità personale dell’adottando (sentenza n. 183 del 2023, sull’art. 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983).
Analogamente, nell’ipotesi di adozione del minore in casi particolari (art. 44, comma 1, lettera d, della legge n. 184 del 1983), la sentenza n. 79 del 2022 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante.
Si è ancora rimeditato, sulla scorta dell’indicato abbrivo, l’ordine da darsi ai cognomi dell’adottato maggiorenne, nel riconoscimento del suo pregresso vissuto e del diritto all’identità della persona (sentenza n. 135 del 2023, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 299, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente, con la sentenza di adozione, di aggiungere, anziché di anteporre, il cognome dell’adottante a quello dell’adottato maggiore d’età, se entrambi nel manifestare il consenso all’adozione si sono espressi a favore di tale effetto; sentenza n. 131 del 2022, sull’attribuzione al figlio del doppio cognome dei genitori), nella rimarcata non appropriatezza del bilanciamento altrimenti operato tra identità personale del figlio e principio di eguaglianza tra genitori (sentenza n. 286 del 2016, sulla trasmissione del cognome della madre al figlio).
4.3.– Secondo l’indicato parametro ed in adesione al richiamato indirizzo, si tratta, nella specie, di dare contenuto al diritto inviolabile della persona di mantenere senza soluzione di continuità la pregressa tutela propria del precedente status, una volta condotto a compimento il percorso di affermazione della propria identità di genere, secondo principi di proporzione ed adeguatezza.
L’individuo non deve essere altrimenti posto, in modo drammatico, nella condizione di dover scegliere tra la realizzazione della propria personalità, di cui la perseguita scelta di genere è chiara espressione ed alla quale si accompagna l’automatismo caducatorio del vincolo giuridico già goduto, e la conservazione delle garanzie giuridiche che al pregresso legame si accompagnano, e tanto a detrimento della piena espressione della personalità.
Il rimedio deve garantire la tutela della personalità del singolo lungo il tempo, non altrimenti governabile dalle parti, strettamente necessario alla celebrazione.
4.4.– E tuttavia, avuto riguardo alle differenze, già poste in evidenza, di struttura e disciplina tra matrimonio e unione civile, il rimedio alla accertata situazione di illegittimità costituzionale non può essere quello di omologare le due situazioni, estendendo alla seconda la disciplina di cui all’art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016. Il rimedio va diversamente declinato, in modo che siano preservate dette differenze, ma, nel contempo, sia consentito di riconoscere alla coppia omoaffettiva, che, all’esito di un percorso di transizione di genere uno dei suoi componenti, voglia unirsi in matrimonio, un mezzo diverso ma destinato a replicare, in modo eguale e contrario, quello già previsto dal legislatore con l’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011. Quest’ultimo facoltizza la coppia coniugata, attraversata dalla modifica di sesso, a comparire davanti al giudice della rettificazione anagrafica per manifestare la volontà di rimanere legalmente unita, nella sopraggiunta omoaffettività.
In direzione inversa lo strumento di tutela deve evitare ai componenti dell’unione civile per il tempo necessario alla celebrazione del matrimonio quella soluzione di continuità nel rapporto di coppia che si determini in ragione dell’acquisita nuova identità di genere di uno dei suoi componenti.
4.5.– A tal fine, lo strumento di tutela deve precludere, negli effetti, l’automatismo solutorio previsto dall’art.1, comma 26, della legge sulle unioni civili.
Nella irrimediabile frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, le ragioni di proporzione ed adeguatezza del mezzo al fine sostengono l’individuazione del rimedio nella sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo per il tempo necessario a che le parti dell’unione civile, che abbiano congiuntamente manifestato una siffatta volontà davanti al giudice della rettificazione anagrafica entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, permanendo nella loro iniziale intenzione, celebrino il matrimonio.
4.6.– La durata della sospensione, da ricercarsi nel sistema e, segnatamente, nella disciplina dell’istituto matrimoniale, deve individuarsi nel termine fissato dal codice civile per la celebrazione del matrimonio a far data dalle pubblicazioni, e quindi in quello di centottanta giorni previsto dall’art. 99, secondo comma, cod. civ. decorrente, però, nel caso in esame, dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso, che resta sospesa, così nel suo decorso, limitatamente all’effetto dell’automatismo solutorio del vincolo.
4.7.– La sospensione di tale effetto lascia alle parti la facoltà di procedere alla celebrazione del matrimonio, nel contempo conservando agli uniti civilmente la tutela propria del rapporto già goduto e riconosciuto nell’ordinamento nelle more della celebrazione del matrimonio.
5.– Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge n. 76 del 2016, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.
6.– Ne consegue che il competente ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione del passaggio in giudicato di detta sentenza di rettificazione con dichiarazione del giudice di sospensione limitatamente agli effetti dello scioglimento del vincolo, a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione e sino al decorso del termine di centottanta giorni, procederà alla relativa annotazione.
7.– Va, dunque, dichiarata altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell’unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.
8.– Restano assorbite le ulteriori censure propose dal rimettente.
9.– Vanno, invece, dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150 del 2011, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, il cui accoglimento presupporrebbe l’estensione, appena esclusa, della disciplina prevista dall’art. 1, comma 27, della legge n. 76 del 2016, dettata per la ipotesi di conversione, a seguito di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, del matrimonio in unione civile, alle fattispecie speculari di rettificazione nei confronti di uno dei componenti dell’unione civile.