Cassazione civile, Sez. lav., ordinanza 19 ottobre 2023, n. 29101
PRINCIPIO DI DIRITTO
La reiterazione, l’intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento ma è chiaro che nessuna offesa ad interessi protetti al massimo livello costituzionale come quelli in discorso può restare senza la minima reazione e protezione rappresentata dal risarcimento del danno, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale, come è proprio della responsabilità contrattuale in cui è invece il datore che deve dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza. E’ invero è noto l’orientamento costante di codesta Suprema Corte (sent. n. 18164/2018, n. 3977/2018 n. 7844/2018,12164/2028, 12437/2018, 4222/2016), secondo cui lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing perchè priva della continuità delle vessazioni ma sempre riconducibile all’art. 2087 c.c., sicchè se viene accertato lo straining e non il mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta (Cass. 29 marzo 2018 n. 7844, Cass. 10 luglio 2018 n. 18164, Cass. 23 maggio 2022 n. 16580, Cass. 11 novembre 2022 n. 33428). Codesta Corte con ordinanza del 7 febbraio 2023 n. 3692 ha assegnato valore dirimente al rilievo dell'”ambiente lavorativo stressogeno” quale fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorchè apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell’art. 2087 c.c. Negli stessi termini da ultimo v. Cass. nn. 33639/2022, 33428/2022, 31514/2022.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
La Corte d’appello, pur avendo accertato tale condotta, ha affermato tuttavia che andasse negata l’illiceità della stessa trattandosi di un episodio isolato che esulava dalla sistematicità di una condotta vessatoria persecutoria o discriminatoria reiterata e protratta nel tempo, con una chiara finalità che deve sussistere per poter qualificare come mobbizzante la condotta del datore di lavoro hotel superiore gerarchico. Ha negato perciò qualsiasi tutela risarcitoria in relazione alla domanda svolta. Così facendo però la Corte non ha fatto buon governo delle regole di diritto che vengono in rilievo in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore essendo oramai risalente l’orientamento (Cass. n. 3291 del 19 febbraio 2016) secondo cui, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica).
La Corte di appello dovrà quindi procedere ad un nuovo apprezzamento alla luce della regola di diritto evocata essendo stati dedotti i fatti e dovendo il giudice sempre apprezzare, pure ex officio, il contenuto anche potenziale della domanda. In questi termini vale l’insegnamento (Cass. n 3012/2010) secondo cui: “Il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione delcontenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale.
In conclusione il ricorso deve essere accolto nei limiti indicati e la sentenza cassata nei limiti indicati; la causa va rinviata al giudice indicato in dispositivo il quale nella decisione della stessa si atterrà ai principi sopra indicati e procederà altresì alla regolazione delle spese del giudizio di Cassazione. Non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Cassazione civile, Sez. lav., ordinanza 19 ottobre 2023, n. 29101