Consiglio di Stato, sezione VII, sentenza 21 giugno 2024, n. 5535
PRINCIPIO DI DIRITTO
La controversia che sorge dall’impugnazione di un decreto ministeriale, nello specifico riconducibile al potere lato sensu regolatorio della competente amministrazione statale dell’uso del demanio marittimo da parte dei privati concessionari, non è riconducibile all’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle concessioni di beni pubblici, ex art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm., dovendosi invece inquadrare nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, ex art. 7, comma 1, cod. proc. amm., concernente «l’esercizio (…) del potere amministrativo, riguardant(e) provvedimenti, riconducibili (…) all’esercizio di tale potere».
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Gli appellanti hanno impugnato la sentenza del 29 dicembre 2023 n. 19990 con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sez. V ter), ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso proposto per l’annullamento del Decreto del 30 dicembre 2022, pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 7 febbraio 2023, recante Aggiornamenti relativi all’anno 2023, delle misure unitarie dei canoni per le concessioni demaniali marittime, con il quale il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha stabilito che «le misure unitarie dei canoni annui relativi alle concessioni demaniali marittime sono aggiornate, per l’anno 2023, applicando l’adeguamento del +25.15% (venticinquevirgolaquindicipercento) alle misure unitarie dei canoni determinati per il 2022».
Il Ministero intimato si è costituito solo formalmente nel presente grado di giudizio.
Alla camera di consiglio del 18 giugno 2024, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.
- In primo grado la parte ricorrente ha censurato il decreto impugnato deducendo l’illegittimità della misura dell’aggiornamento, in tesi determinata dall’errato utilizzo degli indici statistici applicabili in base all’art. 04 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400 (recante Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime; convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494).
Il decreto è censurato sostanzialmente, e in estrema sintesi, perché:
– ha assunto, quale parametro di riferimento per la determinazione delle misure unitarie dei canoni per le concessioni demaniali marittime, gli indici dei prezzi della produzione dei prodotti industriali: criterio non previsto dall’art. 04 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400 e, a suo dire, estremamente più penalizzante per i concessionari;
– ha utilizzato la variazione degli indici ISTAT rilevata a settembre 2022 (ovvero nel mese in cui si è verificato il maggiore aumento dei prezzi), in palese violazione dell’art. 04 dello stesso decreto legge, che si limita a fare riferimento alla “media degli indici determinati dall’ISTAT”: a suo dire, in assenza di diverse indicazioni di legge, il Ministero avrebbe dovuto utilizzare la media ponderata degli indici ISTAT verificatasi per tutto l’anno 2022 (che risulterebbe oltre tre volte inferiore al parametro arbitrariamente utilizzato dal Ministero).
Il Tar Lazio, con la sentenza impugnata, ha declinato la giurisdizione affermando che, nel caso di specie, non viene in rilievo un’attività valutativa/discrezionale, in quanto l’amministrazione si è limitata, come ogni anno, ad acquisire gli “indici determinati dall’ISTAT”, tra i quali ha effettuato la “media”, vale a dire la sola operazione matematica richiesta dalla norma, non essendo in gioco alcuna spendita di potere critico-valutativo inerente alla determinazione del canone.
La declinatoria di giurisdizione è stata, in particolare, fondata sul criterio di riparto di giurisdizione in materia di concessioni di beni pubblici elaborato dalla giurisprudenza di legittimità e amministrativa, secondo il quale pur in presenza del titolo di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm., sono devolute al giudice ordinario, quali controversie concernenti «indennità, canoni ed altri corrispettivi» ai sensi della medesima disposizione, quelle aventi «carattere meramente patrimoniale, che non incidano sulla qualificazione del rapporto concessorio sottostante».
Al riguardo, ricordato che rivestono il menzionato carattere le controversie in cui sia dedotta la misura del corrispettivo dovuto per l’affidamento a privati dell’uso del bene pubblico quando questa «non dipenda dall’esercizio delle prerogative pubblicistiche dell’amministrazione», la sentenza ha statuito che l’aggiornamento annuo dei canoni di concessione demaniale marittima ai sensi del citato art. 04 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, attraverso l’applicazione degli indici statistici ivi previsti, non si sostanzia in «un’attività valutativa/discrezionale».
Ciò, avuto riguardo al fatto che il Ministero competente «si deve limitare – e si è limitat(o), come ogni anno – ad acquisire gli “indici determinati dall’ISTAT”, tra i quali ha effettuato la “media”, vale a dire la sola (ed elementare) operazione matematica richiesta dalla norma».
Richiamate inoltre le norme di legge sul riparto delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo in seguito al decentramento attuato con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), la sentenza ha, infine, precisato che l’aggiornamento annuo in contestazione nel presente giudizio è riconducibile alla «pretesa creditoria del titolare del bene demaniale», in relazione alla quale il decreto ministeriale si limita «a integrare, con portata solo ricognitiva, la norma primaria dello Stato che stabilisce l’adeguamento annuale dei canoni e ne fissa la misura (in concreto determinata all’esito della semplice operazione aritmetica di cui si è detto)».
- La declinatoria di giurisdizione è censurata per falsa applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo nella materia delle concessioni di beni pubblici ed in particolare in materia di controversie concernenti i canoni concessori. Si deduce al riguardo che lungi dall’essere circoscritte a questioni di carattere meramente patrimoniale le contestazioni formulate nel presente giudizio vertono sull’«esercizio di un potere discrezionale operato dal decreto ministeriale», concernente nello specifico l’indice statistico da applicare per la determinazione dell’aggiornamento annuo in sostituzione di quello previsto dalla normativa di legge, ma ad oggi non più esistente, e cioè l’indice ISTAT dei prezzi del mercato all’ingrosso, in luogo del quale sarebbe in tesi stato illegittimamente applicato l’indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali.
Si aggiunge che l’aggiornamento ai sensi del più volte menzionato art. 04 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 400, è disposto con «atto amministrativo generale, autoritativo ed a portata generale», immediatamente lesivo delle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari, titolari pertanto di interessi legittimi la cui cognizione è devoluta al giudice amministrativo.
La parte appellante, inoltre, critica la ricostruzione operata in sentenza osservando che lo stesso Tar, con ordinanza n. 2751/2023, valutata positivamente la propria competenza e giurisdizione, aveva respinto la misura cautelare nel merito, per asserito difetto “del cd. periculum in mora in considerazione della mancata richiesta, allo stato, da parte del Ministero, dei canoni concessori, nella misura aggiornata in forza del decreto impugnato (cd. atto applicativo)”.
Fa presente che la suddetta ordinanza è stata riformata dal Consiglio di Stato, con ordinanza 31 agosto 2023, n. 3516, in cui si afferma che: «- contrariamente a quanto statuito nell’ordinanza appellata, il pregiudizio allegato dalla parte appellante riveste i connotati di irreparabilità, condividendo il Collegio le valutazioni già espresse da questa Sezione (ord. n. 2510 del 2023) in relazione ad analoga vicenda contenziosa concernente il decreto ministeriale impugnato con il ricorso di primo grado, tenuto segnatamente conto del sensibile incremento del canone e della correlata incidenza sui costi di impresa, con possibili ripercussioni sui prezzi alla clientela, con impatti immediati sulla stagione estiva non ancora conclusa;
– con riferimento alla prognosi sull’esito del ricorso, il profilo concernente l’applicazione a fini di adeguamento del canone di un indice statistico non previsto a livello normativo richiede un approfondimento nella sede del merito».
Quindi lamenta che il Tar, anziché effettuare l’approfondimento nel merito come disposto dalla Sezione, erroneamente si sarebbe spogliato della giurisdizione.
Inoltre l’appellante ricorda che con ordinanza n. 2510 del 21 maggio 2023, emessa nel diverso giudizio n. 4394 del 2023, la stessa sezione settima del Consiglio di Stato, in riforma di analogo provvedimento di rigetto del TAR Lazio, ha nuovamente sospeso il medesimo decreto ministeriale oggetto del presente contenzioso, in accoglimento della domanda cautelare formulata da un singolo concessionario, confermando la propria potestà a decidere sulla questione.
Ciò posto l’appellante ritiene che il Tar abbia fatto un’errata applicazione delle regole in tema di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133 c.p.a. e afferma la sussistenza, nel caso di specie, della giurisdizione amministrativa.
- L’appello è fondato e va accolto.
Occorre muovere dall’incontroverso dato di fatto per cui l’atto impugnato è un decreto ministeriale, nello specifico riconducibile al potere lato sensu regolatorio della competente amministrazione statale dell’uso del demanio marittimo da parte dei privati concessionari. Inoltre, altrettanto incontestabilmente, l’atto in questione è di carattere generale.
Pertanto le censure di legittimità formulate nel presente giudizio non sono riferibili ad un determinato rapporto concessorio, ma traggono origine dall’interesse ad impedire, chiedendo la sua rimozione dal mondo giuridico, che l’aggiornamento dei canoni previsto in sede ministeriale sia applicato alla generalità dei rapporti di concessione demaniale marittima.
Il descritto interesse all’annullamento è ad un tempo categoriale ed individuale, e infatti ha dato luogo alla proposizione del ricorso di primo grado di un’associazione rappresentativa degli operatori economici del settore, l’Associazione nazionale approdi e porti turistici, Asso.N.A.T., di cui l’altra appellante è una esponente, oltre che di quest’ultima, la quale peraltro non risulta dal canto suo avere azionato nel presente giudizio il proprio rapporto con l’amministrazione concedente.
Ne deriva che la controversia non è riconducibile all’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle concessioni di beni pubblici, ex art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm., dalla quale sono eccettuate le controversie di carattere meramente patrimoniale concernenti «indennità, canoni ed altri corrispettivi», su cui invece si fonda la declinatoria di giurisdizione appellata.
Il presente giudizio è invece inquadrabile nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, ex art. 7, comma 1, cod. proc. amm., concernente «l’esercizio (…) del potere amministrativo, riguardant(e) provvedimenti, riconducibili (…) all’esercizio di tale potere», nel cui paradigma è inquadrabile il decreto ministeriale di aggiornamento dei canoni di concessione demaniale marittima.
Invero, diversamente da quanto affermato dal Tar, con il ricorso introduttivo non è stata semplicemente «contestata l’entità dell’adeguamento annuale», ma è stato contestato il quomodo dell’esercizio dello stesso potere impositivo relativamente al criterio adottato dal Ministero per addivenire all’aggiornamento: criterio che la parte ricorrente ritiene essere non corrispondente a quello dettato a tal fine dalla legge, nonché selezionato, sempre a suo dire, in difformità dalla legge, in modo da risultare più penalizzante per i concessionari.
In altri termini è stata contestata proprio la spendita del potere amministrativo.
Invero, con l’impugnato decreto il Ministero non si è limitato, come ha affermato il Tar, «come ogni anno – ad acquisire gli “indici determinati dall’ISTAT”, tra i quali ha effettuato la “media”, vale a dire la sola (ed elementare) operazione matematica richiesta dalla norma» ma, al contrario, ha preventivamente selezionato un criterio di calcolo, la contestazione della cui correttezza costituisce l’oggetto del giudizio, e, a seguire, ha considerato l’incremento annuale intervenuto fra settembre 2021 e settembre 2022, anziché fare riferimento alla media ponderata degli indici ISTAT verificatasi per tutto l’anno 2022, che, a dire della parte ricorrente, sarebbe risultata di gran lunga inferiore ai parametri utilizzati nel provvedimento impugnato.
Ne discende che risultano inconferenti i richiami giurisprudenziali effettuati dal Tar, laddove si sofferma lungamente sulla inesistenza, nella fattispecie in esame, di contestazioni sulla natura del rapporto concessorio;
invero è pacifico che il petitum sostanziale non riguarda la contestazione dell’ammontare del canone riferito ad una singola concessione demaniale, il cui vaglio presuppone la preventiva qualificazione ed estensione della singola concessione.
Nel caso di specie è impugnato, come detto, un atto generale, che si assume illegittimo proprio in quanto, anziché limitarsi alla determinazione, in modo automatico, dell’aggiornamento del quantum dovuto da tutti i concessionari a titolo di canone, attenendosi ai criteri fissati dalla norma primaria, avrebbe selezionato un diverso criterio, asseritamente maggiormente pregiudizievole per i concessionari (come peraltro rilevato dalla sezione nelle citate ordinanze cautelari), venendo così in rilievo proprio l’esercizio di attività discrezionale nell’ambito di un rapporto che si configura secondo la dicotomia potere
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