Cassazione civile, Sez. lav., sentenza 26 giugno 2024, n. 17586
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di dequalificazione professionale, ove il lavoratore richieda l’accertamento della illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande di tipo risarcitorio, l’interesse ad ottenere la pronunzia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro, incidendo quest’ultimo evento soltanto sull’eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, ma non sul diritto all’accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto.
Su un piano più generale, qualora l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e la conseguente condanna del convenuto ad un facere, la circostanza che nel corso del giudizio sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione di fare non determina la cessazione della materia del contendere, perché non si estingue l’interesse dell’attore all’accertamento del fatto controverso.
Sempre sul piano generale, la domanda di condanna all’adempimento in forma specifica contiene in sé la domanda di accertamento dell’inadempimento, il cui interesse permane anche nel caso in cui l’adempimento in forma specifica non sia più possibile al momento della decisione. Infatti, in omaggio al principio di economia processuale in tal caso resta integro l’interesse ad una pronunzia di accertamento dell’inadempimento come fatto giuridicamente qualificato, idonea a passare in giudicato e, quindi, a potere essere utilizzata in un successivo giudizio risarcitorio, limitato solo ai profili dell’esistenza e dell’ammontare del danno.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – Con il primo motivo, proposto senza ricondurlo espressamente ad alcuno dei motivi a critica vincolata previsti dall’art. 360, co. 1, c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 112 c.p.c., ossia un’omessa pronunzia sulla deduzione – contenuta nel ricorso originario e riproposta nei successivi gradi di giudizio – circa l’illegittimità del mutamento di mansioni ex art. 2103 c.c., che integrava apposita domanda.
Con il secondo motivo, proposto senza ricondurlo espressamente ad alcuno dei motivi a critica vincolata previsti dall’art. 360, co. 1, c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 100 c.p.c. per aver negato l’interesse ad agire rispetto all’accertamento dell’illegittimità del mutamento di mansioni.
I due motivi – da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono fondati. In via di principio questa Corte ha già affermato che in tema di dequalificazione professionale, ove il lavoratore richieda l’accertamento della illegittimità della destinazione ad altre mansioni e del diritto alla conservazione di quelle in precedenza svolte, costituendo il suddetto accertamento la premessa logica e giuridica per ulteriori domande di tipo risarcitorio, l’interesse ad ottenere la pronunzia permane anche dopo l’estinzione del rapporto di lavoro, incidendo quest’ultimo evento soltanto sull’eventuale domanda di condanna alla reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza, ma non sul diritto all’accertamento che tale obbligo sussisteva fino alla cessazione del rapporto (Cass. ord. n. 4410/2022; Cass. n. 19009/2010; Cass. n. 12844/2003).
Su un piano più generale, qualora l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e la conseguente condanna del convenuto ad un facere, la circostanza che nel corso del giudizio sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione di fare non determina la cessazione della materia del contendere, perché non si estingue l’interesse dell’attore all’accertamento del fatto controverso (Cass. ord. n. 28100/2017). Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda di accertamento dell’illiceità del mutamento di mansioni non fosse stata proposta. Invece, alla luce dei princìpi di diritto sopra ricordati, va evidenziato che la domanda di condanna all’adempimento in forma specifica dell’obbligo di protezione ex art. 2087 c.c. – già ravvisato da questa Corte nella precedente sentenza n. 20080/2018 di cassazione con rinvio – implica inevitabilmente e necessariamente quella di accertamento dell’inadempimento del medesimo obbligo (integrato dall’illecito mutamento di mansioni), perché solo se sussiste tale inadempimento sarà possibile per il giudice condannare il convenuto all’adempimento della specifica prestazione. In definitiva, la domanda di condanna all’adempimento contiene sempre in sé anche una domanda (pregiudiziale) di accertamento dell’inadempimento.
Nel caso di specie tale inadempimento contrattuale è rappresentato proprio dall’avvenuta adibizione a mansioni inferiori e pregiudizievoli per il diritto alla salute del de cuius, sicché su tale domanda – che costituiva implicito ma essenziale e necessario presupposto di quella di condanna all’adempimento in forma specifica – la Corte territoriale doveva pronunziarsi. D’altronde, la domanda di condanna all’adempimento in forma specifica contiene in sé la domanda di accertamento dell’inadempimento, il cui interesse permane anche nel caso in cui l’adempimento in forma specifica non sia più possibile al momento della decisione. Infatti, in omaggio al principio di economia processuale (e, in ultima analisi, del giusto processo ex art. 111 Cost.), in tal caso resta integro l’interesse ad una pronunzia di accertamento dell’inadempimento come fatto giuridicamente qualificato, idonea a passare in giudicato e, quindi, a potere essere utilizzata in un successivo giudizio risarcitorio, limitato solo ai profili dell’esistenza e dell’ammontare del danno.
Altrimenti resterebbe inesorabilmente vanificata tutta l’attività giurisdizionale sviluppatasi fino al momento in cui si è verificata la circostanza (nel caso in esame il decesso del lavoratore) che ha reso impossibile l’adempimento in forma specifica della prestazione di fare da parte dell’obbligato (nel caso in esame il datore di lavoro). Dunque ha errato la Corte territoriale nel ritenere che l’interesse ad agire fosse da valutare soltanto rispetto all’unica domanda espressamente proposta, ossia quella di reintegrazione nelle mansioni di addetto alla portineria o equivalenti. Peraltro, l’interesse rispetto alla domanda di accertamento dell’illegittimità del mutamento di mansioni è collegato alla futura, ma già prospettata, pretesa risarcitoria, che conferma ancora una volta la sussistenza dell’interesse ad agire.
- – Restano in tal modo assorbiti sia il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta solo in subordine “violazione e falsa applicazione” degli artt. 91, 92, 100 e 112 c.p.c. per non avere la Corte territoriale deciso con la declaratoria di cessazione della materia del contendere; sia il quarto motivo, con cui il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte territoriale compensato le spese. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio per la decisione di merito, nonché per la regolazione delle spese di tutti i gradi di giudizio nonché del presente giudizio di legittimità.
Collegamenti sistematici Art. 34 comma 3 c.p.a. (D.lgs 104/2010): 3. Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori.