Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza del 24.06.2024, n. 5547
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’onere della prova dell’ultimazione entro una certa data di un’opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe in linea generale sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto.
Il giudice amministrativo (o civile) può utilizzare – in mancanza di qualsiasi divieto di legge e in ossequio al principio dell’atipicità delle prove – come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa amministrativa (o civile), e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall’interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale, e purché la valutazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli (Sezione Terza), n. 00562/2020, recante declaratoria d’estinzione del ricorso principale, proposto dal sig. Antonio Borrello avverso l’ordinanza n.164 (prot. n. 29179) con la quale l’amministrazione comunale di Portici ha ingiunto la demolizione di opere edilizie realizzate abusivamente, e statuizione di rigetto del ricorso per motivi aggiunti proposto avverso l’ordinanza dirigenziale n. 469 (prot. n. 71743), con la quale l’amministrazione comunale di Portici ha ingiunto la demolizione di altre opere edilizie realizzate abusivamente dopo aver revocato la prima ordinanza per erronea identificazione delle opere abusive.
- Con il ricorso introduttivo il sig. Antonio Borrello ha impugnato l’ordinanza di demolizione n. 164 notificata il 23 maggio 2016.
Con ordinanza, l’amministrazione comunale di Portici ha ingiunto all’appellante, in qualità di comproprietario e committente dei lavori, la demolizione, ai sensi dell’art. 33 d.p.r. 380/2001, di opere abusive nell’unità immobiliare sita alla Via San Gennariello n. 8.
Le opere riscontrate consistevano esattamente in:
– sul lato corto prospiciente il giardino, diminuzione della superficie del manufatto di circa mq. 12,00 rispetto alla planimetria catastale;
– sulla facciata prospiciente il giardino, esecuzione di una modifica delle bucature e precisamente trasformazione del varco finestra centrale in vano di passaggio nonché dell’ultimo vano di passaggio a sinistra in vano finestra;
– nello spiazzo antistante il fabbricato prospiciente il giardino, realizzazione, per
una superficie di circa mq. 60,00 di un massetto di cemento;
– all’interno dell’unità immobiliare, diversa distribuzione degli ambienti interni con demolizione e spostamento di pareti.
Precedentemente alla notifica del ricorso introduttivo, perveniva all’amministrazione comunale nota (prot. n. 40467 del 7 luglio 2016) da parte dell’avvocato di parte appellante, con allegata perizia tecnica di parte, nella quale si evidenziava l’errore commesso dagli accertatori dell’Ufficio tecnico e della Polizia municipale nell’individuare l’immobile interessato.
Sull’area infatti insistono due distinti manufatti, benché uniti da una tettoia, entrambi a forma di “L” e posti in successione sul vialetto esterno privato con ingresso da Via San Gennariello n. 8.
L’ordinanza n. 164/2016 si riferisce erroneamente al manufatto individuato al catasto al Foglio 1, particella 675, sub 1, mentre quello interessato dall’attività abusiva perché privo di permesso a costruire avrebbe dovuto essere il manufatto retrostante, individuato al catasto alla sub-particella 2, medesimi Foglio 1 e particella 675, sub 2, edificato su area di corte.
Per questo, con nota (prot. n. 48295 del 31 agosto 2016), il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale invitava l’appellante a fornire “documentazione attestante la liceità del manufatto oggetto di contestazione”, in risposta, l’appellante inviava nota (prot. n. 57844 dell’11 ottobre 2016), con allegata planimetria catastale e copia della revisione del 1955 dell’estratto di mappa di zona. Documenti dai quali, a suo avviso, si ricaverebbe la preesistenza del manufatto almeno sin dal lontano 1955 e, comunque, anteriormente al 1967.
L’amministrazione comunale, negando la pregressa esistenza del manufatto, con ordinanza n. 321 (prot. n. 49759 dell’8 settembre 2016), disponeva la revoca dell’ordinanza n. 164/2016; con la relazione tecnica (prot. n. 60873 del 21 ottobre 2016), riferiva circa gli esiti del nuovo sopralluogo e degli accertamenti svolti nell’unità immobiliare alla Via San Gennariello; infine, nota (prot. n. 60873 del 24 ottobre 2016), comunicava al ricorrente, ai sensi dell’art. 7 l. 241/1990, l’avvio del procedimento volto alla demolizione del manufatto, cui seguivano osservazioni scritte (prot. n. 66301 del 17 novembre 2016 e prot. n. 66959 del 21 novembre 2016).
Respinte le osservazioni, con ordinanza (n. 469 del 13 dicembre 201), il Comune ingiungeva, ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 380/2001, la demolizione dell’intero manufatto riscontrato, a forma di L , composto di un solo piano fuori terra e superficie di mq 42, in quanto privo di titolo edilizio.
Avverso quest’ultima ordinanza, il sig. Borrello ha proposto ricorso per motivi aggiunti,
- Con la pronuncia appellata, il Giudice di prime ha ravvisato la legittimazione ad agire in capo all’appellante, respingendo l’eccezione di inammissibilità del ricorso e dei relativi motivi aggiunti formulata dal Comune secondo cui l’appellante non sarebbe più proprietario dell’area sul quale insistono i manufatti, oggetto delle due impugnate ordinanze, ormai espropriata dall’amministrazione per ragioni di pubblica utilità.
In secondo luogo, il Tar ha dichiarato la cessata materia del contendere relativamente al ricorso introduttivo, in quanto l’ordinanza n. 164/2016 è stata annullata dal Comune con ordinanza n. 321/2016 e vi ha fatto seguito una nuova ordinanza la n. 469/2016 con la quale è stato, a seguito di più approfondita istruttoria, identificato esattamente il manufatto interessato, riscontrato come totalmente abusivo.
Il Tar ha infine respinto il ricorso per motivi aggiunti.
Col ricorso per motivi aggiunti, l’appellante sosteneva che il fabbricato, individuato nella nuova ordinanza n. 469/2016, sarebbe in realtà preesistente, come testualmente asserito dal personale di Polizia municipale e dell’Ufficio tecnico comunale di Portici sia nel verbale di sequestro del 16 marzo 2016 sia nella relazione tecnica istruttoria prot. n. 17568 di pari data.
Il ricorrente, ad avviso del Tar, non avrebbe dimostrato la preesistenza del manufatto, almeno a partire dal 1967, non essendo allo scopo esaustivi i documenti prodotti nel contraddittorio procedimentale né mostrandosi risolutive la visura catastale storica e la planimetria dell’unità immobiliare, quest’ultima redatta di recente nel 2016.
Il Tar osserva che “sulla base della relazione di sopralluogo prot. n. 60405 del 21 ottobre 2016, eseguita dai tecnici del comune emerge che, nell’area interessata: – secondo le fotogrammetrie del 1964 insistevano delle tettoie, presumibilmente ad uso agricolo; – secondo la successiva fotogrammetria del 1998, risulta un manufatto di circa mq 17,00 ed in aderenza una tettoia; – allo stato delle verifiche in loco, nell’area insiste un manufatto a forma di L, composto da un piano fuori terra con struttura in muratura e solaio in ferro e tavelloni, avente una superficie di circa mq 42.00.
Quest’ultimo, presente nella sua struttura completa e definita, mancante dei soli infissi interni ed esterni, è privo di titolo abilitativo, senza che il ricorrente, in senso contrario, abbia fornito esaustiva e chiara dimostrazione circa l’epoca in cui il fabbricato fu effettivamente costruito ovvero trasformato nella sua attuale consistenza.
A ciò deve aggiungersi che, nello spiazzo antistante il manufatto, è presente un massetto in cemento di circa 60,00 metri quadri, la cui preesistenza è solo argomentata deduttivamente dal ricorrente con l’esistenza del cordoletto di delimitazione e di separazione dal giardino di fronte, senza, anche in questo caso, una inequivoca dimostrazione che non vi sia stato nei fatti edificazione abusiva di superficie.
È per questa ragione che l’amministrazione comunale, dalla lettura dell’estratto di mappa consegnato dal ricorrente nel corso del contraddittorio procedimentale in data 11 ottobre 2016, anche a volere ammettere a tutto concedere la preesistenza del manufatto, ha rilevato una difformità sostanziale, nei volumi e nelle superfici, tra la sagoma riportata in mappa e quanto rilevato sul luogo”.
Né, s’aggiunge in sentenza, appaiono dirimenti le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice penale (Quarta Sezione penale del Tribunale di Napoli) con la sentenza n. 11251 del 12 novembre 2019 a conclusione del giudizio sorto a seguito della segnalazione che ha condotto all’adozione dei provvedimenti amministrativi impugnati in questa sede.
- Appella la sentenza il sig. Antonio Borrello.
- Si è costituito in giudizio il Comune di Portici.
- Alla pubblica udienza del 23 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
- Con l’appello in esame in via preliminare l’appellante ribadisce la sussistenza del suo interesse ad agire nel presente giudizio.
L’infondatezza nel merito dell’appello esonera il Collegio dalla delibazione della questione di rito.
- Con un’unica articolata censura, si lamenta l’illegittimità della pronuncia per “carenza o insufficienza della motivazione; difetto di istruttoria; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380/2001”.
L’appellante deduce che la carenza di motivazione e il difetto di istruttoria, che vizierebbero la pronuncia gravata, sarebbero suffragati dal travisamento degli elementi istruttori nel corso del procedimento sanzionatorio.
Gli accertamenti compiuti dal Tribunale Penale di Napoli sarebbero tutt’altro che “confusionari” e a tal fine richiama in particolare la disposizione resa dall’ing. Antonio Vitale durante l’udienza del 01/04/2019.
Inoltre, l’orientamento giurisprudenziale predominante che onera in capo al proprietario o al responsabile dell’abuso la prova del carattere risalente del manufatto oggetto di demolizione, ad avviso del ricorrente, andrebbe rivisitato stante il dovere dell’autorità che adottata l’ordinanza di ingiunzione di verificare in maniera adeguata la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere sanzionatorio.
8.1 L’appello è infondato.
Costituisce principio consolidato in giurisprudenza , qui condiviso, che “l’onere della prova dell’ultimazione entro una certa data di un’opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe in linea generale sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del manufatto” (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 24 marzo 2023, n. 3011; Id., sez. VI, 12 ottobre 2020, n. 6112 secondo cui “grava esclusivamente sul privato l’onere della prova in ordine alla data della realizzazione dell’opera edilizia al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio per essere stata l’opera medesima realizzata secondo il regime originariamente previsto dall’art. 31, comma 1, l. 17 agosto 1942, n. 1150, ossia prima della novella introdotta dall’art. 10 della c.d. legge ponte, l. 6 agosto 1967, n. 765, tenuto conto che tale onere discende attualmente, in linea di principio, dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a. in forza dei quali spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 8 maggio 2020 n. 2906)”).
Sebbene il Collegio sia a conoscenza che, nell’ambito del richiamato indirizzo giurisprudenziale (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3177), si ammette un temperamento secondo ragionevolezza nel caso in cui, il privato, da un lato, alleghi, a sostegno della tesi sulla realizzazione dell’intervento prima del 1967, elementi dotati di un alto grado di plausibilità (aeorofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione ante 1 settembre 1967) e, dall’altro, il Comune fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio, o con variazioni essenziali: non si ravvisano nel caso di specie i parametri richiamati per ammettere il temperamento dell’onere che gravava sull’appellante.
In merito alle risultanze probatorie del giudizio penale, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato il giudice amministrativo (o civile) “ben può utilizzare – in mancanza di qualsiasi divieto di legge e in ossequio al principio dell’atipicità delle prove – come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa amministrativa (o civile), e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall’interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale, e purché la valutazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova (v. in tal senso, per tutte, Cass. 29 ottobre 2010, n. 22200; Cass. 2 marzo 2009, n. 5009; Cass. 7 febbraio 2005, n. 2409)” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28 marzo 2012, n. 1833).
Come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure nella vicenda in esame, la sentenza del giudice penale si fonda prevalentemente su testimonianze, peraltro confuse e con ricordi frammentari, assunte nel corso del processo penale, nessuna delle quali afferma con certezza che il manufatto è precedente al 1967.
Pertanto deve ravvisarsi la mancanza di prove certe e attendibili che dimostrino l’ultimazione del manufatto in data antecedente al 1967 ( come si ricava 1) dalla relazione di sopralluogo del 2016 citata nel provvedimento 469 del 2016; relazione valorizzata dal Tar con valutazione condivisa da questo giudice e 2) dalla mancanza di certezze ricavabili dalla documentazione catastale prodotta dall’odierno appellante nel corso del procedimento e giustamente ritenuta non probante dall’amministrazione in ossequio agli orientamenti della giurisprudenza amministrativa sulla necessità di una prova rigorosa della preesistenza ante 1967 ).
Va altresì rilevato che il manufatto di cui all’impugnato provvedimento – per quanto risultante dal certificato di destinazione urbanistica – ricade nella fascia di rispetto cimiteriale di Portici: non può quindi considerarsi assolutamente edificabile un suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale ed assoggettato al relativo vincolo, trattandosi di limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, siccome riconducibile a previsione generale, concernente tutti i cittadini in quanto proprietari di beni che si trovino in una determinata situazione e, pertanto, individuabili a priori.
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