Corte di Cassazione civile, sezione II, ordinanza 25 giugno 2024, n. 17437
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di confisca disposta alla stregua della legislazione antimafia, il terzo che vanti diritti sul bene che ne è oggetto deve rivolgere la pretesa restitutoria davanti al giudice dell’esecuzione penale ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen., il quale solo, nel rispetto dell’esigenza di non vanificare l’intervento sanzionatorio dello Stato, può provvedervi alla duplice condizione della buona fede dell’istante e della anteriorità della trascrizione del titolo.
La buona fede del terzo che vanti diritti sul bene oggetto di confisca non ricorre nei confronti di chi, pur non essendo assoggettabile a provvedimenti di prevenzione, pone in essere attività agevolative idonee a determinare un’obiettiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività mafiosa.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
[…]
- Venendo al merito, il primo motivo è infondato.
Va, innanzitutto, premesso che la confisca per cui è causa è avvenuta in applicazione della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, recante “Disposizioni contro la mafia”, la quale, nella lotta alla criminalità organizzata, prevede l’applicazione di misure repressive e sanzionatone di carattere patrimoniale volte a sottrarre alle organizzazioni criminali almeno una parte della loro ricchezza, riducendone il potere economico, senza che detti provvedimenti possano, tuttavia, pregiudicare i diritti dei terzi estranei ai fatti che hanno dato luogo ai procedimenti nei quali esse sono adottate (Cass., Sez. 1, 12/11/1999, n. 12535).
A tal proposito, giova ricordare come, in tema di legislazione antimafia, la Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3-quinques, comma 2, della medesima legge, nella parte in cui consente che il provvedimento di confisca dei beni ivi previsto possa riflettersi su soggetti per i quali non ricorrano i presupposti per l’immediata applicazione di una misura di prevenzione personale, abbia stabilito, con la sentenza del 10/1/1995, n. 487, che la situazione di “sostanziale incolpevolezza” segna il limite della confisca, aggiungendo che una simile condizione soggettiva, su cui è fondata la tutela del terzo in buona fede, non ricorre nei confronti di chi, pur non essendo assoggettabile a provvedimenti di prevenzione, pone in essere attività agevolative idonee a determinare un’obiettiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività mafiosa.
Alla stregua di tale principio, questa Corte, nell’interpretare la legislazione antimafia anche alla luce di una lettura costituzionalmente orientata, ha affermato che la salvaguardia del preminente interesse pubblico non possa giustificare il sacrificio inflitto al terzo di buona fede, titolare di un diritto reale di godimento o di garanzia, dovendo considerarsi la sua posizione “protetta dal principio della tutela dell’affidamento incolpevole, che permea di sé ogni ambito dell’ordinamento giuridico” (Corte Cost., 10/1/1997, n. 1 ), sicché non può mai prescindersi dalla prova dell’effettiva terzietà di chi assume avere diritti sul bene oggetto di confisca, non potendo considerarsi terzo colui che, avendo ricavato vantaggi e utilità, non si sia trovato in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole (Cass. pen., Sez. 1, 13/11/2008, n. 43715).
Ne consegue che i terzi titolari di diritti reali, anche di garanzia, su beni immobili sottoposti a confisca ai sensi della predetta disposizione, ove non siano potuti intervenire nel procedimento di prevenzione, possono far accertare, in sede di esecuzione (penale), l’esistenza delle condizioni di permanente validità di detti diritti, costituite essenzialmente dall’anteriorità della trascrizione dei relativi titoli rispetto al provvedimento di sequestro cui ha fatto seguito la confisca e da una situazione soggettiva di buona fede, intesa come affidamento incolpevole, da desumersi sulla base di elementi di cui spetta agli interessati fornire la dimostrazione, la quale consiste nella mancanza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attività illecita del proposto indiziato di mafia, derivante da condotte di agevolazione o, addirittura, di fiancheggiamento (Cass. pen., Sez. 1, 11/2/2005, n. 12317; Cass. pen., Sez. 1, 13/11/2008, n. 43715; Cass. pen., Sez. 1, 14/1/2009, n. 2501).
Pertanto, alla stregua del consolidato principio, secondo cui la confisca non comporta, di per sé, l’estinzione dei preesistenti diritti reali vantati dai terzi sul bene oggetto di ablazione, ai predetti, rimasti estranei al relativo procedimento, incluso quello di prevenzione reale (rispetto alla misura già disciplinata dall’art. 2-ter, terzo comma, legge n. 575 del 1965, assorbito dall’art. 24 D.Lgs. n. 159 del 2011), e perciò formalmente non soggetti agli effetti del giudicato penale, è consentito, in linea con i valori protetti dagli artt. 24 e 42 della Cost., far accertare, mediante incidente di esecuzione dinanzi allo stesso giudice della prevenzione, l’esistenza delle condizioni di permanente “validità” della situazione giuridica loro intestata, purché versino in buona fede e, anteriormente alla confisca (o al sequestro a questa prodromico, se intervenuto), abbiano trascritto il loro titolo (Cass. pen., Sez. 1, 6/3/2018, n. 22899; Cass. pen., Sez. 1, 30/05/2013, n. 27201 ; Cass. pen., Sez. 1, 21/2/2008, n. 14928; Cass. pen., Sez. 1, del 21/11/2007, n. 45572; Cass. pen., Sez. 6, n. 18/9/2002, Cass. pen., Sez. 1, del 13/6/2001, n. 34019; Cass. pen., Sez. 1, 20/10/1997, n. 5840).
In sostanza, al titolare formale del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene oggetto di ablazione al momento in cui il provvedimento di confisca è divenuto definitivo, che sia rimasto estraneo al relativo procedimento, è data facoltà di proporre incidente di esecuzione davanti al giudice dell’esecuzione per la tutela del proprio diritto, alla duplice condizione che versi in buona fede e che abbia anteriormente trascritto il proprio titolo (Cass., SEZ. 1 pen., 6/3/2018, n. 22899; Cass., Sez. 1 pen., 18/3/2008, n. 16709; Cass., Sez. pen., 27/6/1996, n. 4399).
La competenza del giudice penale trova la propria ratio nell’esigenza di non vanificare l’intervento sanzionatorio dello Stato e di evitare, perciò, che l’accertamento del diritto del terzo sia limitato alla verifica del proprio titolo e della data della sua trascrizione, esigenza che impone, dunque, un’indagine più estesa ed approfondita che, per intuibili ragioni, può essere svolta solo dal giudice penale, con garanzia del contraddittorio, in sede di procedimento di esecuzione (si veda in tema di creditori privilegiati Cass., Sez. 1, 12/11/1999, n. 12535).
È dunque il giudice dell’esecuzione penale ad avere, nella materia in esame, l’esclusiva competenza sui diritti che i terzi rimasti estranei al procedimento penale possano vantare sul bene assoggettato a confisca, i quali possono far valere le proprie ragioni nelle forme e secondo le modalità previste dagli artt. 665 e ss. cod. proc. pen., norme che attribuiscono per l’appunto al giudice dell’esecuzione la competenza a decidere in ordine alla confisca e che impongono al terzo di rivolgere a questi la pretesa ai sensi dell’art. 676 cod. proc. civ.
Orbene, i giudici di merito, dopo avere premesso che, nell’ambito della confisca, la tutela dei diritti del terzo risponde alla duplice necessità di evitare un pregiudizio sia ai diritti privatistici, sia agli interessi pubblicistici sottesi alla devoluzione del bene al patrimonio indisponibile dello Stato, hanno sostanzialmente fondato la decisione tenendo conto sia della dimostrazione della titolarità formale del bene, nella specie giudicata certa in capo al dante causa degli odierni ricorrenti, sia della prova della buona fede o dell’affidamento incolpevole del terzo richiedente, ossia dell’assoluta estraneità dello stesso al sodalizio criminoso, ritenendo che il giudice penale avesse accertato, dandone adeguato conto nella motivazione, la soggezione del bene al dominio del soggetto attinto dalla misura patrimoniale.
Né può dirsi che vi fosse l’obbligo del giudice penale di rimettere la questione della proprietà al giudice civile e che quest’ultimo fosse tenuto a pronunciarsi sul punto, senza dichiarare, come avvenuto, l’improcedibilità della domanda, non essendo ravvisabile alcuna contestazione tra più aventi diritto alla proprietà del bene e sussistendo, quale unica situazione di contrasto, quella dei ricorrenti con lo Stato, divenuto titolare del bene proprio per effetto della confisca.
Alla stregua di quanto detto, deve allora affermarsi l’infondatezza della prima censura, rispondendo la decisione impugnata al principio secondo cui, in tema di confisca disposta alla stregua della legislazione antimafia, il terzo che vanti diritti sul bene che ne è oggetto deve rivolgere la pretesa restitutoria davanti al giudice dell’esecuzione penale ai sensi dell’art. 676 cod. proc. pen., il quale solo, nel rispetto dell’esigenza di non vanificare l’intervento sanzionatorio dello Stato, può provvedervi alla duplice condizione della buona fede dell’istante e della anteriorità della trascrizione del titolo.
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