Corte di Cassazione civile, sezione II, ordinanza 24 giugno 2024, n. 17298
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’interversione da detenzione in possesso non consiste in un atto volitivo interiore del detentore, ma si estrinseca in uno o più atti esteriori che manifestano inequivocabilmente al possessore la determinazione del detentore di iniziare a possedere la cosa in nome e per conto proprio e di convertire così in possesso la detenzione da lui esercitata fino a quel momento.
La servitù prediale si distingue nettamente dall’obbligazione meramente personale, essendo requisito essenziale della servitù l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità ovvero per la maggiore comodità o amenità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una qualitas inseparabile di entrambi, mentre si versa nell’ipotesi del semplice obbligo personale quando il diritto attribuito sia stato previsto esclusivamente per un vantaggio della persona delle persone indicate nel relativo atto costitutivo e senza alcuna funzione di utilità fondiaria.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – Il primo motivo (p. 7) del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 5 D.Lgs. 28/2010, 36 e 167 c.p.c. per avere la Corte di appello considerato tardiva l’eccezione di improcedibilità della domanda riconvenzionale, eccezione fondata sulla mancata partecipazione del convenuto al procedimento di mediazione.
Il motivo è oggetto di rinuncia, avanzata nella memoria depositata in vista dell’udienza (p. 2), e quindi va espunto dallo scrutinio della Corte.
- – Il secondo motivo (p. 9) del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 1141, 1146, 1061 e 2697 c.c.e fa valere che il passaggio sul fondo era oggetto di un diritto personale di godimento, che si è estinto quindi con la morte della concedente; mentre, quanto al periodo successivo alla scomparsa di quest’ultima, fa valere che non si ravvedono gli estremi di un’interversione della detenzione in possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale su cosa altrui.
In particolare, si censura che la Corte di appello, da un lato, ritenga che il “passaggio così costituito in base agli atti pare atteggiarsi più ad una concessione di un diritto personale, che non ad una vera e propria servitù” (sentenza, p. 10); dall’altro, che essa accolga poi la domanda di usucapione, in quanto “può dirsi inconfutabilmente provato (…) che il C.C. abbia esercitato, unendo al proprio, il possesso della servitù pedonale carraia per raggiungere i propri fondi attraverso il passaggio già indicato in atti sui fondi serventi di proprietà A.A. – B.B. per un tempo superiore al ventennio, a far (data) dal decesso della signora D.D. e quindi dal (omissis)” (sentenza, p. 14).
Il secondo motivo è fondato.
La Corte d’Appello ha affermato (v. pag. 10 sentenza) che il convenuto in negatoria servitutis ha cominciato ad esercitare il passaggio carrabile sull’originaria base della concessione di un diritto personale di godimento, quindi come detentore.
Si applica pertanto l’art. 1141 co. 2 c.c.: se alcuno ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non venga a essere mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore.
Tale interversione da detenzione in possesso non consiste in un atto volitivo interiore del detentore, ma si estrinseca in uno o più atti esteriori che manifestano inequivocabilmente al possessore la determinazione del detentore di iniziare a possedere la cosa in nome e per conto proprio e di convertire così in possesso la detenzione da lui esercitata fino a quel momento (così, tra le altre, Cass. 26521/2020).
In questo caso, non emerge dall’attività istruttoria, così come rivalutata in secondo grado con un apprezzamento di merito tale da non prestare il fianco a censure ammissibili in sede di giudizio di legittimità, che vi siano state delle condotte tali da manifestare in modo inequivocabile ai proprietari del fondo l’intenzione del detentore, dopo la cessazione del diritto personale di godimento per morte della concedente, di convertire in possesso il proprio animus nei confronti del passaggio sul fondo altrui. Tale è infatti l’apprezzamento della Corte di appello, che non qualifica mai in termini di “interversione” le condotte che pur sono prese in considerazione.
Esemplare (nel senso di un siffatto apprezzamento di merito) è la considerazione che la Corte di appello svolge sul precedente del Tribunale di Novara – Borgomanero n. 127/2010, ove si fa riferimento agli anni dal 1955 al 1985 (p. 15) e si affastella quindi un decennio in cui l’animus era di detenzione (alla stregua della valutazione della stessa Corte di appello).
In questo contesto di valutazione che non distingue tra periodo anteriore e posteriore alla data della morte della concedente, anche il riferimento agli altri precedenti di merito (ove si menzionano attività successive, come l’incarico ad un giardiniere) non assumono carattere decisivo in favore di un apprezzamento in termini di interversione.
Non si rinvengono pertanto nel caso di specie gli estremi richiesti dal menzionato orientamento giurisprudenziale per cogliere un apprezzamento positivo della l’interversione della detenzione in possesso.
Ne segue l’erronea mancata applicazione dell’art. 1141 co. 2 c.c. e quindi la falsa applicazione dell’art. 1159 c.c.
Il secondo motivo è accolto.
- – L’accoglimento del secondo motivo determina logicamente l’assorbimento del terzo motivo (p. 13) con cui si denuncia la violazione degli artt. 1059, 1061, 1065, 1168, 2909, 2697, 115 e 116 c.p.c. e si fa valere che non si tratta di una servitù apparente (mancavano opere destinate all’esercizio del diritto di passaggio) e che quindi non si può dare acquisto per usucapione.
- – Con il ricorso incidentale è manifestato l’interesse a un riesame della questione con riguardo al diverso fondamento del diritto per cui è causa, che ne ripristini l’accertamento in forza dei titoli agli atti.
Con il primo motivo (p. 22) si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c.
Il secondo motivo del ricorso incidentale censura l’interpretazione raggiunta dalla Corte d’Appello sulla natura personale del diritto di passaggio concesso al dante causa del ricorrente con gli atti notarili del ’53 e del ’57, come frutto di violazione delle regole in materia di ermeneutica contrattuale.
Si denuncia omesso esame di fatti decisivi, violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2697 c.c., nonché violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.
I due motivi del ricorso incidentale condividono l’obiettivo di attaccare l’interpretazione degli atti negoziali e la motivazione con cui la Corte di appello ha accertato la natura personale del diritto di passaggio concesso alla parte convenuta.
Dapprima la sentenza rileva (p. 8): “In base alla copiosa documentazione acquisita in atti è agevole rilevare come, indubbiamente, in forza dei contratti stipulati nel 1953 e nel 1957, fossero state costituite le servitù di passaggio a carico dei fondi di proprietà dei signori A.A. – B.B. ed a favore di quelli del C.C. (E.E. prima e C.C., successivamente)”.
Dopo avere riprodotto i passi degli atti notarili, la Corte sostiene (p. 10): “gli atti notarili di cui si tratta attribuiscono a E.E. (dante causa di C.C.) soltanto la concessione di un passaggio – il primo pedonale e il secondo senza ulteriori indicazioni -, assoggettato a scadenza (e quindi atteggiantesi quale servitù temporanea), coincidente con la durata della vita della titolare del fondo servente.
La natura del passaggio così costituito, in base agli atti, pare atteggiarsi più ad una concessione di un diritto personale, che non ad una vera e propria servitù.
Infatti, la pattuizione contrattuale era diretta ad accordare il diritto di passaggio ad una determinata persona e per accedere al fondo in quanto di sua proprietà con la conseguenza che la durata del rapporto, in relazione a quanto previsto nel contratto, è collegata all’esistenza della persona che aveva attribuito all’altra il diritto personale di godimento. (…)
La servitù prediale (…) si distingue nettamente dall’obbligazione meramente personale, essendo requisito essenziale della servitù l’imposizione di un peso su un fondo (servente) per l’utilità ovvero per la maggiore comodità o amenità di un altro (dominante), in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una qualitas inseparabile di entrambi, mentre si versa nell’ipotesi del semplice obbligo personale quando il diritto attribuito sia stato previsto esclusivamente per un vantaggio della persona delle persone indicate nel relativo atto costitutivo e senza alcuna funzione di utilità fondiaria.
Difettando le qualità tipiche idonee alla configurabilità della costituzione di una servitù, pedonale e quindi carraia, non può ritenersi sussistente la costituzione di detto diritto di godimento in forza degli atti pubblici sopra menzionati.
Né valgono a comprovare, sul piano delle evidenze probatorie, le osservazioni svolte nella c.t.u. esperita in corso di causa, in ordine alla regolamentazione dell’accesso pedonale e carraio tramite il cancello che dà sulla pubblica via.
La tesi secondo la quale, a seguito della stipulazione dell’atto del 1953 (…) fosse stata creata una servitù di accesso per il solo mappale (omissis) (ora (omissis), (omissis) parte e (omissis) parte) e che si trattasse di una servitù, in origine solo pedonale, e, al decesso della signora F.F., protrattasi come priva di limiti, non può – in relazione a quanto esposto – condividersi.
Né è configurabile il diritto di cui si tratta nei termini prospettati, di un ampliamento dello stesso oltre la scadenza – coincidente con il decesso della F.F.
Trattandosi di diritto di godimento personale, l’esercizio dello stesso non può protrarsi oltre il termine stabilito, coincidente con il decesso della concedente.
Quanto al secondo contratto, si deve rilevare come in esso non sia configurata la ricorrenza di una servitù, né pedonale, né carraia, ma sia stata convenuta soltanto la possibilità di accesso – sempre riservata al C.C. – dal cancello che si apre sulla via pubblica e che risulta in comproprietà tra la F.F. ed il sig. G.G..
La servitù si può configurare soltanto come rapporto tra fondi appartenenti a diversi proprietari e non quale obbligazione meramente personale”.
Alla stregua della parte di motivazione appena riportata, il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.
Sul vizio motivazionale denunziabile in cassazione cfr. tra le tante SSUU sentenza n. 8053/2014. La contraddittorietà lamentata dal primo motivo non sussiste.
Nonostante l’isolato refuso che si coglie a pag. 8 rigo 27, la lunga ricostruzione si conclude con il convincimento motivato sufficientemente che si tratti non di una servitù di passaggio, bensì della concessione di un diritto personale di godimento.
Il secondo motivo è parimenti in parte rigettato, poiché sollecita una interpretazione della volontà delle parti meramente alternativa rispetto a quella compiuta dalla Corte (cfr. Cass. 28319/2017, 5158/2024, 4494/2024); 4812/2024).
Esso è inoltre inammissibile laddove introduce la questione della trascrizione senza attestare specificamente di averla fatta valere nel giudizio di merito.
Il ricorso incidentale è rigettato.
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