Corte di Cassazione penale, sentenza 5 luglio 2024, n. 26507
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose (ai sensi del secondo comma dell’art. 393 cod. pen.) si configura come un reato complesso (art. 84 cod. pen.), in quanto considera circostanza aggravante del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone fatti che costituirebbero, per sé stessi, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose.
Nei reati di “ragion fattasi” la violenza sulle cose è quella (e solo quella) che è strumentale («mediante» violenza sulle cose) al farsi ragione da sé medesimo, è solo entro tale limite che si può determinare l’assorbimento dei fatti di danneggiamento, laddove, qualora gli stessi fatti di danneggiamento risultino sproporzionati rispetto alle esigenze che sono connesse alla realizzazione del preteso diritto, il reato di danneggiamento concorrerà con quello di “ragion fattasi”.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo non è fondato.
Nel capo b) dell’imputazione era stato contestato all’imputato il fatto, in esso enunciato, di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, aggravato dall’essere stato commesso anche con violenza sulle cose (art. 393, primo e secondo comma, cod. pen.).
Come si è detto nella parte in fatto, il Tribunale di Torre Annunziata ha assolto l’imputato da tale reato aggravato «perché il fatto non sussiste» in quanto ha ritenuto che, nella specie, ricorresse la causa speciale di giustificazione dell’auto-reintegrazione nel possesso di una cosa, nei termini indicati da Sez. 6, n. 6226 del 15/01/2020, Martinucci, Rv. 278614-03.
A tale proposito, si deve rilevare l’erroneità della formula assolutoria «perché il fatto non sussiste» che è stata utilizzata dal Tribunale di Torre Annunziata, atteso che, come è stato ormai da tempo chiarito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240814-01), l’accertamento dell’esistenza di una causa di giustificazione – quale è quella, speciale, che è stata ravvisata nel caso in esame – determina l’assoluzione dell’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato” e non con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Ciò rilevato, occorre anzitutto osservare che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose (ai sensi del secondo comma dell’art. 393 cod. pen.) si configura come un reato complesso (art. 84 cod. pen.), in quanto considera circostanza aggravante del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone fatti che costituirebbero, per sé stessi, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose.
Ciò posto, si deve altresì osservare come il suddetto reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose finisca allora per potersi configurare come un reato complesso anche perché la legge considera come suo elemento costitutivo e come sua circostanza aggravante fatti che costituirebbero, per sé stessi, il reato di danneggiamento commesso con violenza alla persona o con minaccia.
In particolare: a) come suo elemento costitutivo, la violenza alla persona o la minaccia; b) come circostanza aggravante, il danneggiamento della cosa.
A quest’ultimo proposito, si deve considerare che, nel reato di cui all’art. 392 cod. pen. (il quale è assorbito, per quanto si è detto, nella circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 393 cod. pen.), il farsi arbitrariamente ragione da sé medesimo deve intervenire «mediante violenza sulle cose» (primo comma).
Poiché nella vigenza dell’art. 235 del Codice Zanardelli (regio decreto 30 giugno 1889, n. 6133), in ordine a tale requisito del reato, erano insorti numerosi contrasti interpretativi, il legislatore del Codice penale del 1930 ha ritenuto opportuno precisare che, «[a]gli effetti della legge penale», si ha «violenza sulle cose» allorché la cosa viene «danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione» (secondo comma dell’art. 392 cod. pen.).
Per la nozione di danneggiamento della cosa, si deve fare riferimento all’art. 635, primo comma, cod. pen., il quale precisa che la cosa è danneggiata quando è distrutta, dispersa, deteriorata o resa in tutto o in parte inservibile.
Da ciò consegue che la legge considera elemento costitutivo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose e come circostanza aggravante speciale di cui al secondo comma dell’art. 393 cod. pen. fatti che, di per sé stessi, possono essere puniti a titolo di danneggiamento («allorché la cosa viene danneggiata»).
Con la necessaria precisazione, però, che, poiché nei reati di “ragion fattasi” la violenza sulle cose è quella (e solo quella) che è strumentale («mediante» violenza sulle cose) al farsi ragione da sé medesimo, è solo entro tale limite che si può determinare l’assorbimento dei fatti di danneggiamento, laddove, qualora gli stessi fatti di danneggiamento risultino sproporzionati rispetto alle esigenze che sono connesse alla realizzazione del preteso diritto, il reato di danneggiamento concorrerà con quello di “ragion fattasi”.
Tirando le fila di tale discorso, esso comporta che la figura del reato complesso, prevista dall’art. 84 cod. pen., implica l’assorbimento dei fatti di danneggiamento commessi con violenza alla persona o con minaccia nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose, a condizione che i fatti di danneggiamento non risultino sproporzionati rispetto alle esigenze che sono connesse alla realizzazione del diritto. In queste ultime ipotesi, invece, il reato di danneggiamento concorrerà con quello di “ragion fattasi”.
Tornando alla fattispecie di causa, essa, ad avviso del Collegio, integra una di tali ipotesi, atteso che l’imputato, con la propria condotta, non si era limitato a distruggere le tegole che erano state collocate dalla persona offesa e che gli impedivano di esercitare il proprio preteso diritto di entrare e uscire dal parcheggio ma aveva anche deteriorato un macchinario “transpallet” e distrutto diversi tavoli da lavoro in acciaio che la stessa persona offesa aveva in custodia, con la conseguenza che i fatti di danneggiamento complessivamente realizzati dallo stesso imputato si devono ritenere eccedenti e, perciò, non proporzionati, rispetto alle esigenze che erano connesse alla realizzazione del suo preteso diritto.
Da tanto il Collegio ritiene allora conclusivamente discendere che, ancorché il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose sia stato considerato scriminato dal Tribunale di Torre Annunziata, in ragione della reputata sussistenza della causa speciale di giustificazione dell’auto-reintegrazione nel possesso della cosa, tale conclusione non può essere estesa anche al reato di danneggiamento, atteso che tale reato, per le ragioni che si sono dette, non si può ritenere contenuto come elemento costitutivo e come circostanza aggravante nel suddetto reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone aggravato dall’essere stato il fatto commesso anche con violenza sulle cose, giacché la violenza sulle cose, in quanto è consistita non solo nella distruzione delle tegole ma anche nel deterioramento del macchinario “transpallet” e nella distruzione dei tavoli da lavoro, risulta avere ecceduto il menzionato limite della strumentalità di essa rispetto al farsi ragione da sé medesimo.
- Il secondo motivo è manifestamente infondato.
L’elemento costitutivo del danneggiamento costituito dalla violenza alla persona o minaccia (art. 635, primo comma, cod. pen.: «con violenza alla persona o con minaccia»), era stato così contestato nel capo d’imputazione (capo a): «usando violenza consistita nell’aver ignorato la presenza del predetto [A.M.], che solo grazie alla sua abilità evitava l’investimento».
Ciò posto, si deve osservare come la Corte d’appello di Napoli, come già il Tribunale di Torre Annunziata («l’imputato alla guida di un autocarro […] stava per investire anche la p.o., che con uno scatto repentino, riusciva a non farsi investire»), abbia accertato come l’imputato, a bordo del proprio autocarro, avesse compiuto una serie di manovre pericolose che avevano abbattuto le tegole che erano state collocate dal nipote/persona offesa «rischiando di investirlo» (pag. 4 della sentenza impugnata).
Tale condotta di dirigere un autoveicolo, che si sta conducendo, contro una persona, costringendola a scansarsi per evitare di essere investita – fatto che, come si è visto, era stato contestato all’imputato nel capo a) dell’imputazione – si deve ritenere integrare il requisito del reato di danneggiamento della minaccia, atteso che, con la stessa condotta, l’agente, pur non facendo uso della forza personale fisica, si serve dell’energia meccanica di un autoveicolo per tenere una comportamento che risulta senz’altro minaccioso nei confronti della vittima, dovendosi, evidentemente, ritenere tale la minaccia di investire taluno con un autoveicolo.
- Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Si deve anzitutto rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato, atteso che l’eventuale accoglimento di tale doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, dep. 2013, Tannoia, Rv. 256314-01; successivamente: Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281-01; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745-01; Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell’Utri, Rv. 263980-01).
Ciò rammentato, la censura – effettivamente non esaminata dalla Corte d’appello di Napoli e qui riproposta – è manifestamente infondata.
A tale proposito, si deve anzitutto osservare che, nell’invocare l’accessione al suolo del muro di tegole che era stato costruito dalla persona offesa, il ricorrente: a) da un lato, non ha neppure chiaramente sostenuto di essere il proprietario dello stesso suolo, avendo piuttosto affermato di averne l’uso (secondo lo stesso ricorrente, infatti, il suolo sarebbe stato «nella proprietà dell’imputato (o meglio nella parte del piazzale pacificamente in uso all’imputato)»; corsivo aggiunto); b) dall’altro lato, ha del tutto omesso di indicare da quale atto processuale sarebbe risultata la proprietà, in capo a sé, del suolo sul quale la persona offesa aveva costruito il muro di tegole. Con la conseguenza che la censura si appalesa anzitutto come del tutto generica.
In ogni caso, essa è, comunque, manifestamente infondata, atteso che, a norma dell’art. 936 cod. civ., il proprietario del suolo, per divenire proprietario delle opere fatte dal terzo con materiali propri, deve esercitare il diritto di ritenzione delle stesse opere (o lasciare scadere il termine di sei mesi dal giorno in cui ha avuto notizia dell’incorporazione), il che, nella specie, considerato che l’imputato risulta avere immediatamente distrutto il muro di tegole, non si è certamente verificato.
- Il quarto motivo non è fondato.
L’art. 131-bis, primo comma, cod. pen., stabilisce che la punibilità è esclusa (nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla suddetta pena) quando l’offesa è di particolare tenuità «per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato».
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Napoli ha escluso che il fatto si potesse ritenere di particolare tenuità in considerazione sia delle modalità aggressive della condotta dell’imputato, le quali erano state tali da rendere necessario l’intervento dei Carabinieri, sia delle conseguenze dannose della stessa condotta, che aveva comportato la distruzione di ben 1.200 tegole e di diversi tavoli da lavoro in acciaio e il deterioramento di un macchinario “transpallet”.
Tale motivazione, anche a prescindere dalla ritenuta futilità dei motivi per i quali l’imputato avrebbe agito (ciò che avrebbe effettivamente richiesto la contestazione, quanto meno in fatto, della corrispondente circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 1, cod. pen.: Sez. 3, n. 29674 del 03/06/2021, Caterino, Rv. 281719-01), appare di per sé evidentemente sufficiente e, perciò, adeguata, a escludere la particolare tenuità dell’offesa.
A fronte di ciò, la deduzione del ricorrente in ordine alla propria condotta «rigorosa e irreprensibile» susseguente al reato appare generica, atteso che non viene indicato né in cosa tale condotta sarebbe consistita né come essa avrebbe inciso sull’entità dell’offesa recata.
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