Consiglio di Stato, III Sezione, sentenza 05 luglio 2024, n. 5973
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Per ragioni di tassonomia processuale, deve essere esaminato prioritariamente l’appello incidentale.
Con riguardo all’ordine da seguire per la trattazione del gravame principale e di quello incidentale con effetto paralizzante in ragione di contestazioni che mirano alla reciproca esclusione delle imprese ammesse, la giurisprudenza, nell’evoluzione della riflessione a partire dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato 15 febbraio 2014, n. 9, ha stabilito che “la possibilità di utilizzare il ricorso incidentale quale strumento per paralizzare l’azione proposta dal ricorrente principale sia stata progressivamente circoscritta dal giudice eurounitario, il quale ha dapprima affermato che, laddove due concorrenti all’affidamento di un contratto pubblico presentino impugnative incrociate intese alla reciproca esclusione, l’accoglimento del ricorso incidentale dell’aggiudicatario non può comportare il rigetto del ricorso principale, quantomeno nell’ipotesi in cui vi siano due sole offerte in gara e queste siano afflitte dal medesimo ordine di vizi (Corte di Giustizia UE, sez. X, 4 luglio 2013, C-100/12 “Fastweb”); per poi estendere il principio all’ipotesi in cui le imprese partecipanti alla gara, come nella fattispecie de qua, siano più di due, anche se soltanto due fra loro hanno proposto ricorso, precisando che “il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto pubblico […], così come il numero di partecipanti che hanno presentato ricorsi e la divergenza dei motivi dai medesimi dedotti, sono privi di rilevanza ai fini dell’applicazione del principio giurisprudenziale che risulta dalla sentenza Fastweb” (Corte giustizia UE, Grande Sezione, 5 aprile 2016, C-689/13 “Puligienica”).” (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione V, 10 gennaio 2024, n. 334).
Nel caso all’esame del Collegio, si impone l’esame prioritario dell’appello incidentale, col quale l’Amministrazione sostiene che il giudice amministrativo sarebbe privo di giurisdizione nella fattispecie, perché, in caso di fondatezza dell’eccezione sollevata in prime cure e reiterata in questa sede dalla ASL, il Consiglio di Stato non avrebbe la potestas iudicandi per decidere nel merito della controversia.
- In questa prospettiva, mette conto rilevare che oggetto dell’appalto aggiudicato ad Innova è il servizio di ristorazione presso le sedi delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere della Regione Lazio, rispetto al quale l’aggiudicataria ha assunto il seguente impegno: “per le stoviglie monouso, laddove richieste come da capitolato, impiegheremo prodotti biodegradabili e compostabili composti da tovaglietta, bicchiere, piatti, posate e tovaglioli” (cfr. pagina 54 della relazione tecnica di Innova, in atti).
A seguito dell’entrata in vigore in data 14 gennaio 2022 della Direttiva UE 2019/904 del Parlamento europeo del 3 luglio 2021 e del Consiglio del 5 giugno 2019, è stata vietata l’immissione sul mercato prodotti di plastica monouso a favore dell’utilizzo di materiali alternativi.
Con note aventi ad oggetto “istanza di rinegoziazione e revisione prezzi” ed acquisite al protocollo della ASL rispettivamente col n. 99/22 del 26 maggio 2022, n. 12/23 del 3 febbraio 2023, n. 41/2023 del 21 marzo 2023 e n. 74/2023 del 6 giugno 2023, la ditta aggiudicataria ha chiesto di procedere ad “una rideterminazione dei prezzi del contratto al fine di poter garantire il mantenimento dello standard di qualità originario e funzionale al perseguimento dell’interesse della Pubblica Amministrazione”, tenuto conto “delle mutate condizioni economiche che hanno interessato ormai da mesi il settore delle materie prime necessarie alla produzione dei beni oggetto di fornitura e all’espletamento del servizio annesso”.
In un primo tempo, la ASL ha ritenuto di “di modificare – ai sensi dell’art.106, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 50/2016 – il contratto in essere con l’operatore economico relativamente al riconoscimento dei maggiori costi dovuti all’utilizzo di prodotti plastic free” con il provvedimento n. 370/2023, successivamente oggetto della revoca impugnata in prime cure.
Respingendo la relativa eccezione sollevata dall’Amministrazione intimata, il Tar ha rigettato il ricorso, ritenendo che sussista la giurisdizione del g.a., poiché, “secondo orientamento giurisprudenziale pacifico, “Ai sensi dell’art. 133 comma 1 lett. e) n. 2, c.p.a., rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia inerente alla revisione dei prezzi in un contratto qualificabile come appalto pubblico di servizi”, considerato che “nella fattispecie in esame, oggetto della controversia è l’an debeatur, che implica necessariamente spendita di potere pubblico, e non il quantum debeatur”.
La questione deve essere risolta con riguardo alla domanda effettiva spiegata dalla ricorrente e alle ragioni che ne sono alla base.
Come rilevato in varie occasioni dalla giurisprudenza, “è appena il caso di ricordare, richiamando gli oramai noti arresti della Corte regolatrice della giurisdizione, che “Ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione”. Pertanto, “La giurisdizione del giudice ordinario si configura in tutte le controversie in cui si denunci un comportamento della P.A. privo di ogni interferenza con un atto autoritativo, non potendosi reputare neanche mediatamente espressione dell’esercizio del potere autoritativo, o quando l’atto o il provvedimento di cui la condotta dell’amministrazione sia esecuzione non costituisca oggetto del giudizio, facendosi valere unicamente l’illiceità del comportamento del soggetto pubblico ex art. 2043 c.c., suscettibile di incidere su posizioni di diritto soggettivo del privato” (Cass. Sez. U. 29 dicembre 2016, n. 27455; Cass. Sez. U., 01/03/2023, n.6100). (tra le tante, Consiglio di Stato, Sezione III, 10 giugno 2024, n. 5171; in terminis, Sezione III, 24 maggio 2024, n. 4649).
Orbene, nel caso all’esame della Sezione l’appaltante ha qualificato la propria domanda nei termini che seguono: “Nella fattispecie in esame non si tratta di disposizioni normative sopravvenute che modificano i prezzi dei prodotti offerti, bensì di disposizioni normative che impediscono la fornitura dei prodotti oggetto di gara e previsti dal capitolato (in plastica rigida) da sostituire con prodotti completamente diversi (biodegradabili e biocompostabili). La maggiorazione del prezzo non deriva da una disposizione normativa che ha modificato il prezzo del prodotto, bensì da una normativa sopravvenuta che ha vietato l’uso dei prodotti offerti, obbligando il ricorso a prodotti diversi che implicano un impegno economico maggiore.” (cfr. pagina 9 dell’appello).
Se, dunque, la richiesta di modifica delle condizioni contrattuali sottindendeva l’impossibilità oggettiva di eseguire l’appalto nei termini concordati con l’Amministrazione a seguito della gara esperita, la conseguenza che se ne deve trarre comporta che non può trovare applicazione, come adeguatamente motivato dall’Amministrazione col provvedimento di revoca impugnato in prime cure, l’articolo 106, comma 1, lettera c), n. 1, ai sensi del quale è possibile accedere ad una modifica del contratto “ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per gli appalti nei settori ordinari dal comma 7:
1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all’oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti;
2) la modifica non altera la natura generale del contratto”.
Come osservato, nel caso in esame, Innova lamenta che l’introduzione della nuova normativa unionale che vieta l’uso di plastica comporta, di fatto, l’obbligo di fornire prodotti plastic free, asseritamente diversi da quelli offerti in gara dall’aggiudicataria.
Da questo punto di vista, indipendentemente dal rilievo che la modifica sostanziale della composizione dei materiali offerti si sarebbe potuta tradurre nell’obbligo di fornire un prodotto diverso ma, in tesi, meno costoso, ritiene il Collegio che i presupposti cui la Legge ancora la possibilità di una revisione prezzi sono la imprevedibilità di circostanze non note al momento dell’assunzione delle obbligazioni dedotte in contratto, come, ad esempio, l’aumento dei prezzi dei materiali con cui produrre i beni da offrire o l’imposizione di dazi per la loro importazione.
In effetti, l’originaria modifica contrattuale, poi annullata in autotutela con il provvedimento censurato in prime cure, era stata adottata ai sensi dell’articolo 106, comma 1, lettera c), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, vigente ratione temporis, e dunque – come correttamente evidenziato dall’Amministrazione appellante incidentale – non costituiva una “revisione prezzi” in senso tecnico (tale essendo, nel vigore del codice del 2016, solo quelle operate in attuazione di apposite clausole contrattuali ai sensi della lettera a) del medesimo articolo 106), ma piuttosto una più complessiva operazione di riequilibrio contrattuale che il codice dei contratti impropriamente faceva rientrare nella generale denominazione di “variante in corso d’opera”.
Conseguentemente, nella specie non poteva venire in rilievo la giurisprudenza amministrativa, formatasi nel vigore del precedente codice, che ritiene riconducibile alla giurisdizione esclusiva di cui all’articolo 133, comma 1, lettera e), n. 1, c.p.a. le controversie in cui si discuta dell’an della revisione prezzi, e invece appartenenti al g.o. – siccome afferenti a rapporti paritetici – quelle in cui si discuta del quantum (giurisprudenza probabilmente destinata a essere superata con l’entrata in vigore del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36), dovendo invece richiamarsi l’indirizzo della Corte di Cassazione, secondo cui è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa all’impugnazione di un provvedimento che non riguardi la materia dell’adeguamento dei prezzi, ma afferisca a un vero e proprio riequilibrio del sinallagma contrattuale, il quale si pone nella fase esecutiva del rapporto, con la conseguenza che anche la cognizione su di essa attiene all’aspetto privatistico, esulando dal piano autoritativo(cfr. Cassazione Civile, Sezioni Unite, 18 ottobre 2018, n. 26253).
In altri termini, l’appellante non lamenta l’eccessiva onerosità sopravvenuta delle obbligazioni cui era tenuta, legate, ad esempio, ad un aumento dei costi delle materie prime, ma uno squilibrio nel rapporto tra prestazione e controprestazione in relazione proprio all’oggetto del contratto, le cui vicende non possono che essere rimesse alla cognizione all’a.g.o., trattandosi di questione che mira a verificare la sussistenza di un corretto rapporto del sinallagma intercorrente tra le parti, che, una volta concluso l’accordo negoziale, sono poste in posizione paritetica tra loro, in disparte il rilevo che la formazione della volontà dell’Amministrazione deve al riguardo sempre formarsi attraverso un atto deliberativo.
Non si tratta, in sostanza, di compensare l’operatore economico con un importo aggiuntivo rispetto a quello originariamente pattuito in ragione dell’aumento dei costi di produzione o erogazione del servizio, ma di valutare l’effettiva incidenza sulla struttura del rapporto tra le prestazioni dedotte in contratto delle conseguenze derivanti dalla modifica normativa unionale, che ha imposto la fornitura di beni aventi una composizione ontologicamente diversa da quelli offerti in gara.
In tutta evidenza, la questione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un profilo che attiene direttamente alla fase successiva alla procedura di evidenza pubblica, riguardando soltanto l’assetto degli interessi che le parti hanno inteso attribuire al loro vincolo contrattuale nel valutare la convenienza della propria prestazione in rapporto a quella della controparte e l’equilibrio che ne deriva in termini di appetibilità complessiva dell’affare.
- Deve, in conclusione, essere accolto l’appello incidentale della ASL e dichiarato inammissibile il ricorso in primo grado per difetto di giurisdizione, che deve essere declinata in favore dell’a.g.o..
L’appello principale va dichiarato improcedibile, fatta salva, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del codice del processo amministrativo, la possibilità per Innova, in applicazione dei principi della translatio iudicii, di riproporre il processo dinanzi al giudice ordinario entro il termine perentorio di tre mesi dalla comunicazione o notificazione della presente decisione, precisandosi che è stata assunta tenendo altresì conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cassazione, Sezioni Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242), tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione Civile, Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cassazione Civile, Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021, n. 6209, 13 settembre 2022, n. 7949, e 18 luglio 2016, n. 3176).
- La particolarità della vicenda contenziosa e delle questioni giuridiche trattate consente di disporre la compensazione delle spese del grado.