Consiglio di Stato, sentenza 25 giugno 2024, n. 5616
PRINCIPIO DI DIRITTO
La decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex
nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio genus dell’autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente: a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall’art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I primi due motivi di appello sono fondati, e ciò si rivela dirimente ai fini della
fondatezza dell’appello e del suo accoglimento.
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, avendo qualificato il provvedimento
come di annullamento in autotutela della licenza di somministrazione ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, per l’esercizio del quale è necessario, ma non sufficiente, un vizio di legittimità dell’atto annullato, occorrendo ulteriori requisiti, quali la motivazione sull’interesse pubblico ed il rispetto di un termine ragionevole che, comunque, non può superare i diciotto mesi, requisiti dei quali il provvedimento impugnato è privo.
Il Collegio, invece, ritiene che il provvedimento in contestazione sia correttamente
qualificabile come un provvedimento di revoca/decadenza.
Gli atti amministrativi, infatti, vanno interpretati non solo in base al loro tenore
letterale, ma soprattutto risalendo all’effettiva volontà dell’Amministrazione e al potere concretamente esercitato.
In proposito, soccorre la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 18
del 2020, secondo cui la decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio genus dell’autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente: a) per l’espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall’art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall’istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti.
I detti presupposti ricorrono nel caso di specie, in cui vi è stata violazione di
prescrizioni amministrative essenziali per il perdurante godimento dei benefici o comunque vi è stato il venir meno dei requisiti per la continuazione del rapporto ed è stata conseguentemente applicata la disciplina dell’art. 3, comma 7, della L. n. 287 del 1991, ai sensi della quale la decadenza costituiva atto necessitato.
Infatti, tra i presupposti del legittimo svolgimento dell’attività commerciale va
annoverata la regolarità edilizia dell’immobile in cui l’attività è esercitata, rispondendo ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato uno spazio, con la presenza dell’utenza, in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia (ex multis, da ultimo, Cons. Stato, V, 8 aprile 2024, n. 3182). Il legittimo esercizio di un’attività commerciale, insomma, postula, sia in sede di rilascio del titolo abilitativo che per l’intera durata del suo svolgimento, l’inziale e perdurante regolarità, sotto il profilo urbanistico- edilizio, dei locali in cui l’attività è espletata, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati atti di accertamento e/o provvedimenti repressivi di abusi edilizi (cfr. Cons. Stato, V, 8 aprile 2024, n. 3182, che richiama Cons. Stato, Sez. II, 27 luglio 2020 n. 4774; Id., Sez. III, 26 novembre 2018 n. 6661; Id., Sez. V, 17 luglio 2014 n. 3793).
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, per altro verso, è oramai da tempo
consolidata nel senso di ritenere che nel rilascio di una autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 9 aprile 2024, n. 3232, che richiama Consiglio di Stato sez. V, 21 aprile 2021, n. 3209 e Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5537).