Corte di Cassazione civile, Sezione III, ordinanza 09 luglio 2024, n. 18676
PRINCIPIO DI DIRITTO
In materia di immissioni, i limiti posti dai singoli regolamenti amministrativi sono puramente indicativi in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l’appunto, da valutarsi tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti che è ciò che il consulente ha fatto.
Anche un ente pubblico è soggetto all’obbligo di non provocare immissioni rumorose ed è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannato al risarcimento del danno, così come al “facere” necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità, dal momento che tali domande non investono – di per sé – atti autoritativi e discrezionali, bensì un’attività materiale soggetta al richiamato principio del “neminem laedere”»
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.- La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado.
Nel corso del giudizio di primo grado infatti era stata espletata una consulenza tecnica, che aveva rilevato il rumore sia a finestre chiuse che a finestre aperte, e comunque in diverse ore del giorno, ed erano state altresì assunte prove testimoniali sulle immissioni rumorose e sull’attività che le produceva.
La Corte di appello ha inoltre rigettato l’argomento del comune appellante in base al quale il CTU avrebbe fatto riferimento, per le misurazioni, al DPCM del 1997 relativo invece alle attività produttive, e che non poteva applicarsi alle manifestazioni culturali, quali erano quelle che il comune organizzava in quella piazza.
A tale riguardo, la Corte di appello ha osservato che il tribunale non ha fatto applicazione di quel DPCM, quanto piuttosto ha usato il metodo comparativo indicato dalla giurisprudenza secondo cui la tollerabilità va valutata caso per caso in relazione alle circostanze concrete.
Ha inoltre osservato che l’interesse pubblico allo svolgimento degli spettacoli non poteva comportare il sacrificio del diritto del privato oltre il limite della tollerabilità.
Infine, quanto al danno, la corte di merito ha ritenuto che quello non patrimoniale era stato provato per via presuntiva dalla impossibilità di utilizzare la casa per le vacanze, ed, in accoglimento dell’appello incidentale, ha rideterminato in 3.000 € l’ammontare del risarcimento sulla base della considerazione che quel risarcimento deve essere integrale e non limitato ai soli giorni di effettivo probabile utilizzo dell’immobile, ma deve tener conto della circostanza che l’immobile diventa per i ricorrenti inutilizzabile comunque.
3.- Questa ratio è contestata con due motivi.
Con il primo motivo si eccepisce l’illegittima applicazione del DPCM del 1997 e dell’articolo 844 del codice civile.
Il motivo contiene due censure.
Quanto alla prima censura, la tesi del ricorrente è che il CTU ha erroneamente preso a base delle sue valutazioni le immissioni considerate dal DPCM del 1997, senza tener conto però che tale provvedimento è relativo alle attività produttive, commerciali e professionali, tra le quali certamente non rientra lo svolgimento di manifestazioni culturali e di spettacoli.
Secondo i ricorrenti l’eccezione non ha tenuto conto del regolamento delle attività rumorose adottato dallo stesso consiglio comunale nel 2004, che consente, nell’ipotesi, per l’appunto di manifestazioni e spettacoli all’aperto, di arrivare fino al limite di 70 decibel.
La seconda censura attiene alla liquidazione del danno e mira a dire che erroneamente esso è stato liquidato equitativamente e ritenuto sussistente.
Il motivo va disatteso.
Quanto alla prima censura, le ragioni di infondatezza sono due: in generale, i limiti posti dai singoli regolamenti, compreso dunque quello richiamato dal comune, e dallo stesso comune approvato, sono puramente indicativi in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l’appunto, da valutarsi tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti (Cass. 28201/ 2018), che è ciò che il consulente ha fatto.
In secondo luogo, anche un ente pubblico è soggetto all’obbligo di non provocare immissioni rumorose ed «è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno, così come al “facere” necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità, dal momento che tali domande non investono – di per sé – atti autoritativi e discrezionali, bensì un’attività materiale soggetta al richiamato principio del “neminem laedere”» (Cass. 14209/ 2023, in caso analogo)
La seconda censura, invece, è del tutto insufficiente a costituire motivo di ricorso: apoditticamente si contesta la prova e la stima del danno, senza indicare quali criteri legali siano stati in concreto violati ed in che termini lo siano stati.
Il secondo motivo prospetta omesso esame di un fatto decisivo e controverso e rimprovera alla decisione impugnata di non aver tenuto in alcuna considerazione l’interesse pubblico allo svolgimento di tali manifestazioni: ove la Corte lo avesse fatto avrebbe potuto verificare che un tale interesse può costituire deroga al limite di tollerabilità delle emissioni.
Il motivo è inammissibile.
La Corte ha tenuto conto dell’interesse pubblico, ed ha correttamente osservato che non può giustificare il sacrificio del diritto del privato oltre la normale tollerabilità.
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