Corte di Cassazione, Sez. I Penale, ud. dep. 09 luglio 2024, n. 27113
PRINCIPIO DI DIRITTO
Sotto il profilo oggettivo, la devastazione è integrata da qualsiasi azione, posta in essere con qualsivoglia modalità, produttiva di rovina, distruzione o anche di danneggiamento – comunque complessivo, indiscriminato, vasto e profondo – di una notevole quantità di cose mobili o immobili, tale da determinare non solo il pregiudizio del patrimonio di uno o più soggetti, e con esso il danno sociale conseguente alla lesione della proprietà privata, ma anche l’offesa e il pericolo concreti dell’ordine pubblico, inteso come buon assetto o regolare andamento del vivere civile, cui corrispondono, nella collettività, l’opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza (Sez. 2, n. 6961 del 06/10/2022, dep. 2023, Raducci, Rv. 284143-02; Sez. 6, n. 37367 del 06/05/2014, Seppia, Rv. 261932-01; Sez. 1, n. 20313 del 29/04/2010, Vischia, Rv. 247451-01; Sez. 1, n. 22633 del 01/04/2010, Della Malva, Rv. 247418-01; Sez. 1, n. 16553 del 01/04/2010, Orfano, Rv. 246941-01).
A queste condizioni la devastazione ex art. 419 cod. pen. si distingue dal mero danneggiamento, che resta assorbito in funzione del criterio di specialità (Sez. 1, n. 946 del 05/07/2011, dep. 2012, Proietti, Rv. 251665-01; Sez. 1, n. 25104 del 16/04/2004, Marzano, Rv. 228133-01), alla pari del furto rispetto al saccheggio (alternativamente incriminato dalla disposizione in parola e parimenti connotato in termini di estensione e offensività).
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- La memoria dell’imputato B.F. e l’atto scritto conclusionale della parte civile (OMISSIS) risultano tardivi, in quanto trasmessi oltre il termine dei quindici giorni antecedenti la data della discussione, stabilito dall’art. 611, comma 1, cod. proc. pen.e applicabile anche ai ricorsi esaminati in udienza pubblica, una volta che sia stata richiesta e disposta la trattazione orale ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in legge 18 dicembre 2020, n. 176del 2020. L’inosservanza del termine esime la Corte di cassazione dal compito di prendere in esame il contenuto di tali atti defensionali (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647-02).
- Alla disamina dei motivi dei proposti ricorsi – che sarà svolta in prosieguo anche in forma congiunta, ove la comunanza dei temi e le esigenze di razionalizzazione della motivazione lo giustificheranno – è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro giuridico di riferimento.
Essa deve interessare, in particolare, la fattispecie incriminatrice sulla cui interpretazione ed applicazione, così come operate dalla sentenza impugnata, converge (con parziale fondamento, come si può sin d’ora anticipare) parte consistente delle censure, che è dunque la fattispecie della «devastazione» contemplata, alternativamente al «saccheggio», nell’art. 419 cod. pen.
- La disposizione è inserita nel titolo V del libro II del codice stesso, che tratta «dei delitti contro l’ordine pubblico», e la figura di reato si configura rispetto a «chiunque», fuori dei casi preveduti dall’articolo 285, ossia senza lo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, «commette fatti di devastazione». La pena comminata è quella della reclusione da otto a quindici anni, aumentata, tra l’altro, se il fatto è commesso nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.
La fattispecie è oggetto di ampia e approfondita elaborazione ad opera, oltre che della dottrina, della giurisprudenza di questa Corte, giunta ormai ad approdi sistematici che possono ritenersi consolidati e non richiedono l’intervento nomofilattico chiarificatore delle Sezioni Unite.
- Sotto il profilo oggettivo, la devastazione è integrata da qualsiasi azione, posta in essere con qualsivoglia modalità, produttiva di rovina, distruzione o anche di danneggiamento – comunque complessivo, indiscriminato, vasto e profondo – di una notevole quantità di cose mobili o immobili, tale da determinare non solo il pregiudizio del patrimonio di uno o più soggetti, e con esso il danno sociale conseguente alla lesione della proprietà privata, ma anche l’offesa e il pericolo concreti dell’ordine pubblico, inteso come buon assetto o regolare andamento del vivere civile, cui corrispondono, nella collettività, l’opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza (Sez. 2, n. 6961 del 06/10/2022, dep. 2023, Raducci, Rv. 284143-02; Sez. 6, n. 37367 del 06/05/2014, Seppia, Rv. 261932-01; Sez. 1, n. 20313 del 29/04/2010, Vischia, Rv. 247451-01; Sez. 1, n. 22633 del 01/04/2010, Della Malva, Rv. 247418-01; Sez. 1, n. 16553 del 01/04/2010, Orfano, Rv. 246941-01).
A queste condizioni la devastazione ex art. 419 cod. pen. si distingue dal mero danneggiamento, che resta assorbito in funzione del criterio di specialità (Sez. 1, n. 946 del 05/07/2011, dep. 2012, Proietti, Rv. 251665-01; Sez. 1, n. 25104 del 16/04/2004, Marzano, Rv. 228133-01), alla pari del furto rispetto al saccheggio (alternativamente incriminato dalla disposizione in parola e parimenti connotato in termini di estensione e offensività).
- Il bene dell’ordine pubblico, che costituisce l’oggetto giuridico del reato e il motivo ispiratore della norma penale, non entra espressamente nella descrizione del tipo legale, come elemento costitutivo o condizione di punibilità, avendolo il legislatore considerato insito nella condotta incriminata (Sez. 1, n. 4135 del 25/01/1973, Azzaretto, Rv. 124141-01).
Esso è dunque elemento implicito di fattispecie e, come tale, punto di riferimento essenziale per la selezione dei fatti che ricadono nel perimetro dell’incriminazione.
E’ grazie ad un tale riferimento che la previsione normativa, avuto riguardo alle finalità perseguite e al contesto settoriale in cui si colloca, assume carattere di sufficiente determinazione, consentendo al suo destinatario di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del valore precettivo in essa contenuto (su questo presupposto è stata giudicato manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 419 cod. pen., per asserito contrasto con il principio di tassatività delle fattispecie penali, tutelato dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione: Sez. 1, n. 42130 del \ 13/07/2012, Arculeo, Rv. 253801-01).
Di qui la necessità che la nozione di ordine pubblico, penalisticamente intesa, sia correttamene individuata. Sul punto si annida l’insuperabile criticità della sentenza impugnata (v., amplius, oltre § 15).
Ai fini del diritto penale, e specificamente del reato in esame, l’ordine pubblico è quel bene immateriale che riflette il senso di tranquillità e sicurezza che i cittadini traggono dall’ordinario svolgimento della vita civile, e in cui si esprime e trova garanzia la pace sociale che garantisce l’ordinata convivenza dei consociati (Sez. 1, n. 4135 del 1973, cit., Rv. 124142-01).
Si tratta di un’accezione del termine appropriata alle esigenze di questo ramo dell’esperienza giuridica, e alle finalità e al senso dell’incriminazione specifica, ed essa non va quindi confusa con i più ampi concetti che il termine delinea in altri settori dell’ordinamento giuridico.
Nel diritto civile il concetto di ordine pubblico interno costituisce tradizionalmente lo strumento-limite dell’autonomia dei privati, espresso dal complesso delle regole e dei principi, desumibili da tutto il sistema giuridico positivo, che il legislatore ha reso inderogabili dai privati medesimi, perché considerati funzionali alla diretta tutela di interessi della collettività (v. già Sez. 1 civ., n. 690 del 17/03/1970, Rv. 345906-01, nonché, da ultimo, Sez. 1 civ., n. 8718 del 03/04/2024, Rv. 670655-01), mentre sotto l’egida dell’ordine pubblico e.ci. internazionale, come di recente ribadito da Sez. U civ., n. 38162 del 30/12/2022, Rv. 666544-02, è racchiuso il sistema dei valori che ispira l’ordinamento giuridico italiano e rappresenta il meccanismo di salvaguardia dell’armonia interna dell’ordinamento stesso, sbarrandovi l’ingresso di disposizioni del diritto straniero che, seppure evocate dalle norme strumentali di conflitto, unilaterali o di derivazione pattizia, con quei valori contrastino e non possono pertanto assumere nel nostro diritto alcuna funzione regolatoria.
Questi ultimi istituti sono stati evocati in modo inappropriato dalla sentenza impugnata, così come impropria è la sovrapposizione concettuale, cui essa perviene, tra la sfera dell’ordine pubblico penale e gli ambiti, solo eventualmente interferenti, che propriamente attengono all’ordine economico o alla libertà sindacale.
- L’ordine pubblico, inteso nel senso di ordine legale su cui poggia la convivenza sociale, è esso stesso un valore costituzionale, in quanto consentaneo al regime democratico e legalitario consacrato nella Carta repubblicana (v. già Corte cast., n. 19 del 1962).
Nell’ordinamento costituzionale, «ordine e sicurezza pubblica» sono nozioni richiamate dall’art. 1, comma 3, lett. I), della legge di delegazione 15 marzo 1997, n. 59, in quanto ricomprese nell’ambito materiale escluso dal trasferimento di funzioni alle Regioni, siccome riservato (ad eccezione dei compiti di polizia amministrativa locale) alla competenza legislativa dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. h), Cast.; la relativa definizione è data dall’art. 159, comma 2, d.lgs. delegato 31 marzo 1998, n. 112 («complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni»: v. anche Corte cast., n. 313 del 2003).
E’ indubbio che il turbamento di tali beni e interessi, indotto dall’insorgere di un’illegale minaccia all’ordinata, civile e sicura convivenza della comunità nazionale, è un esito da prevenire e reprimere anche attraverso la leva penale, declinata in modo proporzionato alle singole evenienze e secondo i modelli di intervento propri di tale settore dell’ordinamento giuridico.
- Non può certo costituire impedimento all’attivazione delle corrispondenti tutele l’esistenza di altri diritti costituzionalmente garantiti, quali il diritto di riunione (recessivo, ex art. 17 Cost., di fronte a «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica»: Corte cost. nn. 158 del 1971, 15 e 16 del 1973, 71 del 1978) o di libera manifestazione del pensiero (che incontra un limite implicito nell’esigenza di scongiurare, in modo conforme alle leggi, le turbative dell’ordine pubblico: Corte cost., nn. n. 1 del 1956, 33, 120 e 121 del 1957).
La tutela costituzionale dei diritti conosce sempre, infatti, un confine insuperabile nell’esigenza che attraverso la loro esplicazione non vengano sacrificati beni, ugualmente garantiti dalla Carta (ex multis, Corte cost., n. 126 del 1985). Il che tanto più vale, quando si tratti di beni che, come l’ordine pubblico, sono patrimonio della collettività intera (Corte cost., n. 19 del 1962, cit.) e devono essere dunque oggetto di necessaria considerazione e, se del caso, di opportuno bilanciamento.
- Correttamente definita la nozione di ordine pubblico, nel quadro del reato sancito dall’art. 419 cod. pen., occorre di tale reato fissare le ulteriori coordinate oggettive, perché esse verranno utili a saggiare, nelle sue rimanenti parti, la tenuta della sentenza impugnata.
E’, anzitutto, indifferente la gravità del danno in concreto prodotto dall’azione distruttrice, purché resti appunto accertato che i fatti posti in essere abbiano non soltanto leso il patrimonio, ma anche offeso l’ordine pubblico come sopra inteso (Sez. 1, n. 26830 del 08/03/2001, Mazzotta, Rv. 219899-01: quando i fatti di danneggiamento producano, oltre che un’offesa all’ordine pubblico, anche una lesione di rilevante gravità patrimoniale, è configurabile l’aggravante prevista dall’art. 61, n. 7, cod. pen.: Sez. 1, n. 11912 del 18/01/2019, Oppedisano, Rv. 275322-03).
Gli episodi di danneggiamento debbono essere necessariamente plurimi, perché la pluralità è implicata dal fatto che la devastazione è legata al loro carattere esteso, indiscriminato e profondo (un singolo atto di violenza non potrebbe da solo rilevare: Sez. 6, n. 15543 del 27/03/2009, Mescia, Rv. 243184- 01). Fermo ciò, l’obiettivo preso di mira può essere anche unico e concentrato, o fare capo ad un singolo soggetto leso, purché le distruzioni siano vaste e siano realizzate con modalità di aggressione così incisive, e potenzialmente espansive, da minare il menzionato senso di tranquillità e sicurezza dei cittadini, portando offesa al corrispondente interesse superindividuale.
L’accertamento di tali modalità è rimesso, evidentemente, alla prudente valutazione del giudice di merito, assoggettata a vaglio di legittimità secondo i consueti canoni, senza essere limitato dal rilievo dell’avvenuto impiego di mezzi particolari di distruzione o di una particolare conformazione spazio-temporale della condotta.
Deve trattarsi, pur sempre, di modalità idonee a rappresentare una minaccia per la vita collettiva e ad ingenerare la relativa sensazione di insicurezza e precarietà, essendo il reato in discorso un reato di pericolo (Sez. 1, n. 5166 del 05/03/1990, Chiti, Rv. 183951-01).
- Quanto all’elemento soggettivo, su cui non è inutile comunque in questa sede intrattenersi, il dolo del reato ha natura di dolo generico. Per la sua configurabilità è necessario che l’agente, oltre a rappresentarsi e a volere la propria condotta distruttiva, agisca con la percezione che essa risulti efficiente, nel contesto dato, alla produzione di un risultato qualificabile, per le sue proporzioni, come devastazione (Sez. 1, n. 17494 del 29/11/2022, dep. 2023, Tonin, Rv. 284476-01; Sez. 6, n. 37367 del 2014, cit., Rv. 261934-01)
- Il reato, infine, non è a concorso necessario, sicché può essere realizzato anche da un singolo agente, la cui condotta abbia consapevolmente prodotto un effetto distruttivo su larga scala (Sez. 1, n. 9520 del 03/12/2019, dep. 2020, P., Rv. 278502-01).
Ai fini della sussistenza della responsabilità a titolo di concorso eventuale non è, d’altra parte, richiesto che il compartecipe abbia compiuto materialmente atti di danneggiamento, bastando che abbia preso scientemente parte ai disordini diffusi. E’ in altre parole sufficiente che abbia posto in essere una frazione del fatto tipico o, in difetto, abbia anche solo fornito: a) un aiuto materiale nella preparazione o nella esecuzione del reato (c.d. concorso materiale), ovvero b) un semplice impulso psicologico in tale direzione, purché agevolatore o rafforzatore del proposito criminoso altrui (c.d. concorso morale).
In linea generale, infatti, il singolo contributo assume rilevanza nel diritto penale, in base al paradigma di cui all’art. 110 cod. pen., sia quando abbia rivestito efficacia causale diretta, costituendo condicio sine qua non della realizzazione del fatto, sia quando si sia limitato ad incrementare le relative chances, facilitandone la consumazione ed aumentandone le possibilità (Sez. 1, n. 11912 del 2019, cit., Rv. 275322-03; Sez. 1, n. 3759 del 07/11/2013, dep. 2014, Chiacchieretta, Rv. 258601-01); sempre che, rispetto alla devastazione, sia dimostrabile la consapevolezza dell’agente di contribuire al fenomeno distruttivo complessivamente inteso, comprendente la messa in pericolo del bene protetto dell’ordine pubblico (Sez. 1, n. 45646 del 05/06/2015, Gentile, Rv. 265277-01).
- Nella cornice legale, risultante dall’esegesi che precede, deve essere ora calato lo scrutinio delle censure avanzate negli atti di impugnazione rivolti a questa Corte, ad iniziare da quelle (primo e secondo motivo del ricorso B.F., nonché, nelle parti corrispondenti, primo motivo del ricorso B.R., primo motivo originario del ricorso C.F., secondo motivo del ricorso P.M., secondo motivo del ricorso T.F., primo motivo e motivi nuovi del ricorso U.M.) che rimproverano alla sentenza impugnata di avere indebitamente apprezzato la vastità e l’estensione delle distruzioni, riportandole ad un contesto normativo (quello di cui all’art. 419 cod. pen.) inidoneo a ricomprenderle per il solo fatto di avere esse riguardato un obiettivo specifico, anche soggettivamente ben individuato, e comunque inidoneo a ricomprenderle in rapporto ai mezzi adoperati, al tempo impiegato e al danno patrimoniale arrecato.
Tale censure sono infondate, alla luce dei principi di diritto indicati al precedente § 8 e della congrua motivazione resa al riguardo dalla sentenza impugnata, che ha posto correttamente l’accento sull’ampiezza del vandalismo, in termini di esiti non solo quantitativi (è stata comunque messa a soqquadro la sede del principale sindacato italiano), ma anche qualitativi, essendo andato distrutto – al riguardo non si registrano obiezioni – un patrimonio informativo archivistico, conservato su memoria digitale, difficilmente recuperabile.
Al di là, dunque, delle connotazioni spazio-temporali delle condotte (la cui potenzialità offensiva non si è proiettata all’interno soltanto dell’immobile, né è rimasta confinata al relativo tempo di occupazione, avendo le distruzioni interessato anzitutto gli infissi dello stabile ed essendo principiate anteriormente all’ingresso in esso), e quali che siano stati gli strumenti materiali di aggressione, l’obiettiva portata dei danneggiamenti è stata compiutamente rilevata dalla Corte di appello. Essa non risulta, in radice, incoerente con il paradigma normativo prefigurato.
- Vengono a questo punto in considerazione il quarto motivo del ricorso B.F., il secondo motivo del ricorso B.R., il secondo motivo nuovo del ricorso C.F., il quarto motivo del ricorso T.F. e il primo motivo del ricorso U.M. (ripreso dai motivi nuovi), nella parte in cui si addebita alla Corte di appello di non avere specificamente vagliato, in spregio ai motivi di gravame, le posizioni individuali dei ricorrenti e di non avere quindi rilevato, principalmente (ma non soltanto) in riferimento alle condotte di cui al capo A), l’insignificanza penale dei singoli apporti, al più qualificabili in termini di mera connivenza non punibile.
Le censure sono infondate.
La sentenza impugnata opera una rivisitazione del materiale istruttorio che appare adeguata alle esigenze argomentative del caso.
Occorre tenere presente che, allorquando i giudici del gravame, esaminando le doglianze proposte da parte appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice, e recependo sostanzialmente i passaggi logico-giuridici della prima decisione, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi probatori che la sorreggono, la nuova sentenza si salda con la precedente, così da formare un convergente corpo motivazionale, assoggettabile nel suo insieme al vaglio di legittimità (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181-01).
La decisione di primo grado illustra in dettaglio i fotogrammi che, rispetto ai momenti cruciali dell’assalto, ritraggono i singoli imputati in azione ed entrambe le sentenze si soffermano sulle caratteristiche di ciascuna condotta, mettendo partitamente in evidenza i requisiti di compartecipazione criminosa in termini di generale coerenza con i principi di diritto enunciati nel precedente § 10.
Fermo il rilievo che l’apprezzamento degli estremi del concorso punibile, in capo all’agente, va conclusivamente operato in rapporto alla specifica figura di reato ritenuta a suo carico, una volta che essa sia stata esattamente definita (e sul compiuto inquadramento giuridico del fatto sub A sarà nella specie necessario, come si vedrà, un nuovo giudizio), la generale esclusione di situazioni di mera connivenza è sorretta, nella trama motivazionale, da robuste considerazioni, non scalfite dalle confutazioni difensive.
Nessuno degli imputati, come reso esplicito dalle immagini descritte, ha invero mantenuto un comportamento esclusivamente passivo, di sola inerte e indifferente presenza (in tali termini la fisionomia del connivente è delineata dalla giurisprudenza di questa Corte; tra le molte, Sez. 5, n. 2805 del 22/03/2013, dep. 2014, Grosu, Rv. 258953-01), e tutti hanno invece fornito, in diversa misura, un contributo partecipativo efficiente – se non altro di tipo morale, in chiave di obiettivo stimolo all’azione criminosa altrui e di infusione nei correi di un maggiore senso di sicurezza – suscettibile di essere inserito nello schema normativo disegnato dall’art. 110 cod. pen.
- Separata disamina meritano il secondo motivo originario del ricorso C.F. e il suo terzo motivo aggiunto, quest’ultimo nella parte concernente i denunciati travisamenti probatori.
Le censure rispettive sono infondate.
13.1. Il tema della esatta identificazione di C.F. è adeguatamente sviluppato nella sentenza impugnata, che, dando sul punto ragionato credito alle risultanze investigative, direttamente acquisite e congruamente valutate nell’ambito del celebrato giudizio abbreviato, lasciano serenamente intendere che, dietro le condotte all’imputato riferite, si celi sempre e solo la stessa persona.
Afferma la Corte di appello, quindi, che nessun dubbio è lecito nutrire sulla reale paternità delle azioni intestate a C.F. sulla base delle videoriprese. Trattasi di un apprezzamento di fatto, esaurientemente motivato, in ordine al quale il ricorrente sollecita un sindacato che chiaramente eccede il ruolo e la funzione del giudizio di legittimità.
13.2. Quanto agli asseriti travisamenti probatori, occorre premettere che, secondo consolidata giurisprudenza, il controllo di legittimità sulla motivazione mira soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, senza potersi estendere alla rivalutazione dei risultati dell’interpretazione delle prove (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074-01).
La mancata rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali può tuttavia essere dedotta, quale motivo di ricorso, qualora comporti il così detto «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente, o nell’omissione della valutazione di un elemento esplicativo viceversa presente, o nella falsificazione dell’estrinseco), purché sia indicato in maniera specifica ed inequivoca il dato che si pretende essere stato travisato, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, e sempre che il dato probatorio che si assume travisato rivesta il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (tra le molte, Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085-01).
Ciò posto, rispetto ai travisamenti denunciati, ove mai esistenti, detto requisito di decisività non sarebbe apprezzabile. Non è stato intentato, nelle aule di giustizia della Repubblica, un processo a generico carico delle persone che, nell’esercizio delle loro libertà costituzionali, hanno partecipato ad una manifestazione politica lecitamente indetta. Non era allora compito dei giudici del merito approfondirne (e men che meno approvarne o disapprovarne) le finalità o valutare i titoli e le ragioni delle adesioni individuali.
Non si registra, al riguardo, alcun travisamento probatorio di natura omissiva. Sotto processo sono legittimamente cadute le evidenti degenerazioni cui, da un determinato momento del suo svolgimento, la manifestazione ha dato luogo, per opera di un numero circoscritto (ancorché non insignificante) di aderenti. Sono state elevate specifiche imputazioni nei confronti di costoro, nella misura in cui si è creduto di individuarli, quali autori di inauditi e ingiustificabili atti di violenza, che nessun diritto costituzionale è in grado di scriminare per quanto già osservato al § 7.
Sotto altro aspetto, è certamente priva di rilievo dirimente la circostanza che, in corso di manifestazione, possa esserne stata autorizzata la trasformazione in vista di un suo svolgimento in forma dinamica, comprendente la possibilità del corteo di avvicinarsi alla sede della (OMISSIS) o di sfilare sotto di essa.
Non si vede proprio come tale dato, quand’anche male interpretato dalla sentenza impugnata (il che non è peraltro affatto evidente), possa realmente influire, fosse anche solo dal lato dell’elemento psicologico, sulla valutazione dei comportamenti di coloro che hanno forzato il cordone di polizia posto a delimitazione del corteo, ovvero hanno sfogato la loro furia distruttrice sullo stabile che ospita la sede sindacale.
Non provati, e comunque ininfluenti, appaiono infine i travisamenti residui, dal ruolo pacificatore che il ricorrente intesta nella vicenda a C. e F., all’individuazione dell’esatta via di accesso allo stabile in questione, come anche (per le ragioni invero già precisate) all’asserita modestia dei danni patrimoniali arrecati.
- Essendo priva di rilievo dirimente (come testé rilevato) la circostanza che, in corso di manifestazione, possa esserne stata autorizzata la trasformazione in vista di un suo svolgimento in forma dinamica, è anche infondato il secondo motivo del ricorso U.M., ripreso dai motivi nuovi, che si duole del mancato approfondimento istruttorio al riguardo.
- I ricorsi passano quindi al vaglio del Collegio, nella parte in cui (terzo motivo B.F., ulteriore contenuto del primo motivo B.R., ulteriore contenuto del primo motivo originario e del terzo motivo nuovo C.F., primo motivo P.M., ulteriore contenuto del secondo motivo F.T., primo motivo U.M. e relativi motivi nuovi) essi si appuntano sulla ricostruzione giuridica della fattispecie di reato di cui all’art. 419 cod. pen., risultante dalla sentenza impugnata, e sul conclusivo giudizio di sussunzione.
Le censure sono globalmente fondate, nei termini di seguito precisati.
15.1. Si è già detto della natura di pericolo del reato in esame, integrato da fatti distruttivi di imponenza tale da minare il buon assetto e il regolare andamento del vivere civile e il corrispondente affidamento che vi ripongono i consociati. La devastazione non si risolve in un esteso danneggiamento (si tradurrebbe, altrimenti, in un reato di danno), ma postula che le relative condotte producano il ridetto effetto di turbativa dell’ordine pubblico.
Trattasi di effetto che, secondo quanto già osservato, attiene (sia pure in via interpretativa, in funzione restrittiva dell’ambito dell’incriminazione) al piano della tipicità. Per ritenere il fatto conforme al tipo, è necessario che il giudice di merito non solo motivi adeguatamente sulla vastità, ampiezza e profondità delle distruzioni, ma ne evidenzi l’idoneità offensiva rispetto al bene dell’ordine pubblico, muovendo evidentemente dalla corretta identificazione di quest’ultimo, pena la fa Isa applicazione dell’art. 419 cod. pen.
15.2. La sentenza impugnata ha errato in una tale identificazione, per le ragioni esposte al § 5. Essa non è incorsa soltanto in un’eccedenza definitoria, come sostenuto dal Procuratore generale requirente a sostegno della ritenuta ininfluenza della circostanza, ma nel vero e proprio snaturamento dell’oggetto giuridico della tutela, che l’ha indotta a confondere le nozioni privatistiche e pubblicistiche dell’istituto, nonché a far coincidere l’ordine pubblico in senso penalistico con l’ordine economico e sociale, a sua volta collegato alla libera esplicazione dell’azione sindacale. Da tale errata operazione ermeneutica sono derivate due conseguenze, che ridondano in altrettanti vizi specifici della decisione.
15.2.1. Anzitutto, con singolare inversione metodologica, la Corte di appello ha preso le mosse dall’impropria nozione di ordine pubblico (anche penalisticamente rilevante) da essa elaborata per stabilire, solo e direttamente sulla base di un tale confronto, la rilevanza penale di comportamenti rispetto ad una fattispecie incriminatrice, quale l’art. 419 cod. pen., senz’altro pensata e delineata a protezione di quel bene giuridico, ma comunque ritagliata su un ambito specifico e delimitato di sua tutela, anche in omaggio al principio di necessaria frammentarietà del diritto penale.
Ciascuna fattispecie incriminatrice è dettata per prevenire e reprimere predeterminate modalità di aggressione al bene tutelato e possiede quindi una tassativa formulazione, su cui nel tempo si consolida generalmente una data interpretazione, come è anche accaduto per il reato in esame. E’ a questa formulazione e a questa interpretazione che il giudice, per ragioni di legalità penale, deve necessariamente riportarsi, senza poter trasformare il bene giuridico, che la norma incriminatrice tutela e a cui dà fondamento e conformazione, in un meccanismo indebitamente estensivo dei confini della punibilità.
15.2.2. L’enfatizzazione del concetto di bene giuridico, ben oltre l’ambito proprio del diritto penale, ha poi impedito alla Corte di appello di mettere correttamente a fuoco il punto giuridicamente nodale, interessato da plurime contestazioni difensive, consistente nel ricostruire il corretto nesso di derivazione eziologica che deve intercorrere tra l’entità delle distruzioni e la compromissione dell’ordine pubblico in senso penalistico.
I danneggiamenti plurimi trasmodano in devastazione, se la loro estensione e profondità raggiungono un adeguato livello di compromissione, avendo indotto nella popolazione allarme, sensazione di pericolo, sentimento di insicurezza.
Occorreva allora stabilire se l’assalto vandalico al palazzo della (OMISSIS) avesse prodotto un tale effetto, non già per il luogo violato in sé e per sé, o per le insite finalità di condizionamento della dirigenza sindacale (come sembra ritenere la sentenza impugnata), quanto per le modalità dell’assalto stesso in rapporto alla sua intensità oggettiva e soggettiva e, di risulta, per la visibile e inevitabile percezione che ne potesse essere derivata in capo alla collettività, anche in dipendenza di eventuali ed ulteriori incidenti caratteristiche (simbolicità dell’obiettivo, natura proditoria dell’azione, sfondo ideologico, etc.)
La tipicità della condotta, alla stregua dell’art. 419 cod. pen., passa – ineludibilmente – per un accertamento siffatto, indebitamente omesso dalla sentenza impugnata.
L’obiettivo preso di mira poteva (e potrà, in sede di rinnovata valutazione) giocare indubbiamente un ruolo importante nel delicato apprezzamento giudiziale. Il fatto che nell’accaduto sia stata direttamente coinvolta, con amplificazione mediatica ampiamente prevedibile, la sede del più importante sindacato italiano, rilevante protagonista della dialettica politico-istituzionale del Paese, non è certo né neutro né indifferente ai fini del giudizio in discorso. Quest’ultimo, tuttavia, andrà pur sempre orientato a misurare, nel contesto dato, la capacità delle condotte di aggressione di turbare la pace sociale e il senso di sicurezza collettivo.
- L’accoglimento dei motivi testé scrutinati importa, con la caducazione allo stato della pronuncia di responsabilità relativa al capo A), l’assorbimento di tutte le censure in tema di elemento soggettivo del relativo reato, riconoscimento di attenuanti e loro bilanciamento, dosimetria della pena e sua sospensione condizionale (primo motivo, in parte qua, e quarto motivo del ricorso B.R.; primo, terzo, sesto, settimo, ottavo e decimo motivo del ricorso T.F.; secondo motivo, in parte qua, del ricorso P.M.; primo motivo, in parte qua, del ricorso U.M. e relativi motivi nuovi).
- Sono quindi da esaminare le censure formulate in rapporto al reato di resistenza a pubblico ufficiale (quinto motivo del ricorso B.F., terzo motivo del ricorso B.R., primo e secondo motivo nuovo del ricorso C.F., quinto motivo del ricorso T.F.).
Le deduzioni di T.F. sul punto sono inammissibili, per l’assoluta genericità della loro formulazione. Le doglianze degli altri imputati non sono fondate.
Il reato di resistenza a pubblico ufficiale tutela, come è noto, l’attività funzionale della pubblica amministrazione, mettendo al riparo coloro che sono tenuti a svolgerla da ingerenze violente e minacciose.
Se l’azione esecutiva consiste nell’impiego di tali mezzi in funzione di indebito contrasto all’operato del funzionario, il dolo che la sorregge ha natura specifica, concretandosi nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento dell’atto di ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato della condotta ed i motivi avuti di mira dall’agente (Sez. 6, n. 35277 del 20/10/2020, Moretti, Rv. 280166-01; Sez. 6, n. 38786 del 17/09/2014, Eki, Rv. 260469-01). Concorre moralmente nel delitto colui che, anche senza tenere specifiche condotte violente o minatorie, rafforzi l’altrui azione criminosa, o ne aggravi gli effetti, incitando l’offensore o agevolandone in qualunque modo il comportamento (Sez. 6, n. 18485 del 27/04/2012, Carta, Rv. 252690-01).
In applicazione di tali principi di diritto, l’affermazione di penale responsabilità per il reato in questione risulta ineccepibile sotto ogni profilo.
I ricorrenti B.F., B.R. e C.F. (alla pari degli altri imputati) non si limitarono ad azioni di fiancheggiamento, di contrapposizione ostile rispetto alle forze dell’ordine (che avrebbero potuto comunque assumere rilievo nell’ambito del concorso ideale), ma parteciparono fisicamente agli scontri, anche dinanzi alla sede della (OMISSIS), tenendo le condotte violente ed oppositive, efficacemente individuate e descritte sin dalla sentenza di primo grado e che sono sintetizzate al § 2 della narrativa.
Nessuna efficacia scriminante potrebbero assumere, rispetto alle condotte stesse, il fatto che il corteo diretto in (OMISSIS) fosse stato autorizzato, l’eventuale maturazione negli imputati del relativo convincimento o le ulteriori considerazioni svolte nei ricorsi sulla natura e le finalità della manifestazione.
Le condotte in esame sono state appropriatamente richiamate, in tutta la loro eloquenza, dalla sentenza impugnata, la cui motivazione – ancorché per relationem – non può essere giudicata apparente o elusiva. Essa, infatti, incorpora, mutuandoli dalla prima decisione, i contenuti ricostruttivi e valutativi degli accadimenti, senza ometterne – a cospetto delle confutazioni difensive – una ragionata condivisione.
I fatti di resistenza, per cui C.F. viene dunque condannato in questo giudizio, sono quelli svoltisi in Corso d’Italia, dinanzi alla sede del sindacato. Non si registra alcuna duplicazione di accusa rispetto a fatti di resistenza anteriori, distintamente giudicati.
- In rapporto, infine, al nono motivo del ricorso F.T., basti rilevare che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere assorbita dalla liquidazione definitiva o dal definitivo accertamento della sua mancata spettanza (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773-02).
- Dalle considerazioni che precedono derivano:
– l’annullamento della sentenza impugnata, in ordine al capo concernente il reato di devastazione, e il rinvio per il corrispondente nuovo giudizio a carico degli imputati (da condurre secondo i canoni ermeneutici tracciati) ad altra sezione della Corte di appello di Roma;
– la reiezione dei ricorsi nelle loro parti rimanenti, non assorbite.
A quest’ultima pronuncia consegue (art. 624, comma 2, cod. proc. pen.) la sopravvenuta irrevocabilità della sentenza impugnata, limitatamente all’afferma zione di penale responsabilità degli imputati in ordine al reato di resistenza a pubblica ufficiale loro ascritto.