Corte di Cassazione, Sez. Unite civili, ord. Interlocutoria, 12 luglio 2024, n. 19197
PRINCIPIO DI DIRITTO
La Corte, visti gli artt. 134 Cost. e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2,3,4,35,41 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 57 della legge 31 dicembre 2012. n. 247, nella parte in cui reca il divieto di deliberare la cancellazione dall’albo durante lo svolgimento del procedimento disciplinare. Sospende il presente giudizio e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
Rilevato che
- Con delibera in data 5 luglio 2019 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di rigettava l’istanza proposta dall’Avvocato, volta ad ottenere la cancellazione dall’albo degli avvocati formulata in considerazione del suo grave stato di salute che impediva lo svolgimento di qualsiasi attività professionale.
- Il Consiglio dell’Ordine denegava la cancellazione in considerazione della pendenza di diversi procedimenti disciplinari, a carico del professionista, aperti dinanzi al competente Consiglio distrettuale di disciplina.
- In data 9 settembre 2019 il professionista presentava altra istanza di cancellazione, del pari rigettata dal Consiglio dell’Ordine, in data 27 settembre 2019.
- Il professionista proponeva, in data 20 aprile 2020, ricorso al Consiglio Nazionale Forense, assumendo la fondatezza della richiesta cancellazione alla stregua di una interpretazione dell’art. 57 della legge professionale volta ad escludere l’automatismo del divieto di cancellazione in presenza di un procedimento disciplinare.
- Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza in epigrafe indicata, accoglieva il ricorso e mandava al Consiglio dell’Ordine di per i provvedimenti conseguenti.
- Il Consiglio Nazionale ha censurato il rigetto della domanda di cancellazione per avere il professionista documentalmente provato le precarie condizioni di salute e il diritto a fruire di trattamenti previdenziali ed assistenziali, sicché l’esigenza di garantire l’interesse al corretto esercizio della professione ed elementari considerazioni inerenti al rispetto della dignità dell’individuo e alla tutela dei suoi diritti fondamentali, consentivano di disporre la cancellazione, pur in pendenza di procedimento disciplinare, quale eccezione al divieto di cancellazione di cui all’art. 17, co. 16 legge n.247 del 2012.
- Il Consiglio Nazionale ha affermato, in premessa, che il godimento dei diritti fondamentali, quale quello alla pensione di anzianità che per gli avvocati è subordinato alla cancellazione dall’albo professionale, prevale, in virtù della copertura costituzionale del diritto alla previdenza sancito dall’art 38 Cost., sulla disposizione dell’ordinamento forense che indirettamente lo limiterebbe ove si dovesse applicare il divieto di cancellazione, dall’Albo, dell’avvocato sottoposto a procedimento disciplinare.
- Il Consiglio Nazionale ha interpretato la norma della legge professionale, che inibisce la cancellazione in pendenza di un procedimento disciplinare, in modo tale da escluderne un’applicazione automatica, valorizzando il contemperamento della regola espressa dalle norme professionali con le superiori esigenze di rango costituzionale e la tutela dei diritti primari.
- Avverso tale sentenza il Consiglio dell’Ordine forense di ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, avverso il quale l’Avvocato in epigrafe indicato ha resistito con controricorso.
- L’Ufficio del Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo rigettarsi il ricorso.
- Il ricorso, avviato alla trattazione camerale, è stato fissato per l’odierna pubblica udienza all’esito del rinvio a nuovo ruolo, con ordinanza interlocutoria n. 30196 del 31 ottobre 2023.
- In vista dell’odierna udienza sono state depositate ulteriori memorie.
- L’Ufficio del Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo rigettarsi il ricorso all’esito dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 57 legge n. 247 del 2012.
Considerato che
- Con il primo motivo, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di censura la violazione degli artt. 17, comma 16, e 57 della legge n. 247 del 2012, in relazione all’art. 12 disp. prel. cod.civ. Ritiene la parte ricorrente che la nettezza ed univocità della formulazione letterale dell’art. 57 della l. n. 247 cit. (a mente del quale «durante lo svolgimento del procedimento, dal giorno dell’invio degli atti al consiglio distrettuale di disciplina non può essere deliberata la cancellazione dall’albo») non consentirebbe di assoggettare il divieto, ivi contenuto, ad eccezioni di sorta.
Assume che il postulato conflitto del divieto con la tutela di diritti costituzionalmente garantiti potrebbe, al più, fondare un’eccezione di illegittimità costituzionale della suddetta disposizione, restandone preclusa, invece, l’elusione attraverso l’interpretazione costituzionalmente orientata, della quale mancherebbe il presupposto (rappresentato dall’astratta suscettibilità di diverse interpretazioni).
- Si contesta, pertanto, l’interpretazione costituzionalmente orientata, sperimentata dal Consiglio Nazionale, in ragione della palese contrarietà alla lettera della legge, per essere il chiaro dettato dell’art. 57 cit. tale da non consentire alcuna deroga.
- Si assume la chiarezza ed univocità della formulazione della norma nel disporre un generale divieto di pronunciare la cancellazione durante lo svolgimento del procedimento, inteso nella più ampia accezione di procedura disciplinare che trova inizio dalla notizia dell’illecito trasmessa al Consiglio Distrettuale, e che non si evincono ipotesi derogatorie al divieto, di portata assoluta, tanto da operare anche in ipotesi di rinuncia dell’iscritto all’iscrizione.
- Si richiama Cass., Sez. Un., n. 15406 del 2003, e il principio, ivi enunciato, secondo cui l’art. 37 r.d.l n.1578/33 – precedente all’art. 57 L. n.247 cit. ma con formulazione pressoché analoga – pone un divieto, di portata generale, di pronunciare la cancellazione dall’Albo dell’avvocato nei confronti del quale sia in corso un procedimento disciplinare.
- Si richiama, ulteriormente, Cass.,Sez.Un., n. 18771 del 2004, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 8, r.d.l. n. 1578 cit., in relazione agli artt. 3, comma 1, e 13, comma 1, Cost., e al principio di ragionevolezza, nella parte in cui non consente la cancellazione dell’iscritto dall’albo professionale, in pendenza di un procedimento disciplinare, e in quanto costringerebbe la persona a far parte di un’associazione professionale contro la sua volontà, con il pagamento dei relativi contributi e con l’impossibilità di poter svolgere attività ritenute incompatibili.
- Si ricorda la ratio fondante la legittimità costituzionale della norma, id est l’esigenza di vietare che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati possa far ricorso, in via breve, alla misura della cancellazione come forma di autotutela nei confronti degli iscritti.
- Si ribadisce, ancora, che il principio sotteso alla norma, nell’attuale formulazione e nell’interpretazione datane dalla Suprema Corte, è volto a tutelare non solo la credibilità dell’ordine professionale e l’immagine dell’avvocatura, potenzialmente compromesse o offuscate dalla condotta dell’iscritto al vaglio dell’organo disciplinare, con conseguente necessità di ripristinarne il prestigio violato, ma anche l’interesse generale al corretto esercizio della professione; si rimarca che le dette tutele sarebbero, di fatto, impedite qualora l’iscritto potesse eludere il procedimento disciplinare attraverso la richiesta della cancellazione dall’Albo.
- Si assume, parimenti, che la norma assolve all’altrettanto importante e complementare funzione di garanzia nei confronti del professionista, vietando la cancellazione anche quale possibile forma di autotutela cui il Consiglio dell’Ordine potrebbe ricorrere nelle ipotesi in cui l’iscritto sia raggiunto da una contestazione disciplinare, compromettendone, con ciò, le sue facoltà difensive.
- Delineati nei termini anzidetti il criterio ispiratore e la ratio della norma, il Consiglio dell’Ordine ricorrente contesta la pretesa del Consiglio Nazionale di introdurre, nel silenzio della legge, un’eccezione al divieto sancito dalla disposizione in esame, radicata nel rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti a livello costituzionale (diritto alla salute e godimento delle pretese previdenziali ed assistenziali) giacché l’interpretazione costituzionalmente orientata, fornita dal Consiglio Nazionale, finirebbe per superare la portata stessa della norma, valicandone il significato: per il tramite dell’interpretazione si finirebbe per conseguire l’effetto che solo una pronuncia d’illegittimità costituzionale potrebbe produrre.
- Viene rammentato che la lettera della legge costituisce un limite invalicabile all’interpretazione del Giudice e all’interpretazione conforme a Costituzione e che ai giudici non spetta il potere di disapplicare la legge, né il riferimento alla Costituzione consente di oltrepassare il vincolo costituzionale della soggezione alla legge, per ottenere una declaratoria di incostituzionalità.
- Si ribadisce che, nel caso in esame, l’art. 57 impone al Consiglio locale un divieto assoluto di cancellazione che non incontra – letteralmente – eccezioni con riferimento alla sussistenza di problemi di salute e ai valori costituzionali richiamati dal Consiglio Nazionale, e che siffatta lacuna potrebbe essere sollevata davanti alla Corte Costituzionale ma giammai essere corretta in ragione di un percorso interpretativo, del Giudice di merito, e finanche di legittimità, con l’esito della disapplicazione della legge.
- Si assume l’inconferenza dei precedenti giurisprudenziali richiamati dal Consiglio Nazionale, in riferimento all’art. 17 della legge n.247 cit. che prevede, quale deroga, le ipotesi di sopravvenuta incompatibilità professionale ovvero di perdita dei requisiti di legge o, ancora, della mancanza, ab origine, di uno dei requisiti di legge.
- In altri termini, si ritiene giustificata la cancellazione dall’Albo per insussistenza dei requisiti in presenza di un procedimento disciplinare e con interruzione dello stesso per la mancata soggezione di chi è stato impropriamente iscritto all’Albo alle norme disciplinari previste dall’ordinamento forense; per converso, a diversa conclusione si ritiene debba condurre la sussistenza di motivi di salute, visto che neppure dall’impianto della legge n. 247 cit. si ricavano elementi o argomenti logico giuridici atti a supportare la conclusione cui è giunta la sentenza impugnata.
- Si ricorda, per finire, che per l’iscrizione all’albo professionale non è richiesta alcuna certificazione delle condizioni fisiche del richiedente, così da poter invocare l’eventuale compromissione della salute quale mancanza sopravvenuta dei requisiti richiesti.
- Con il secondo motivo viene eccepita, invece, la violazione degli artt. 1 e ss. e dell’art. 6 della l. n. 241 cit., per essere stata sollevata, dal professionista, la questione della conculcazione del diritto al trattamento assistenziale e previdenziale unicamente in sede di ricorso al CNF, senza che mai fosse stata dedotta nella pregressa fase amministrativa presso il Consiglio dell’Ordine.
Sarebbe mancata, conseguentemente, qualsivoglia prova del venir meno dei suddetti emolumenti, in contrasto con quanto disposto dal richiamato art. 6, che pone a carico del responsabile del procedimento un dovere di soccorso istruttorio, declinabile unicamente in termini di regolarizzazione degli elementi precedentemente introdotti dall’interessato, e non già in funzione integrativa degli stessi.
- In altre parole, si addita alla sentenza il richiamo a valori di primaria importanza, quali il diritto alla salute e ai trattamenti previdenziali, la cui compromissione non era stata allegata e prospettata in sede di richiesta di cancellazione davanti al Consiglio territoriale, non avendo il professionista dedotto, nelle domande di cancellazione, la volontà di avvalersi delle prestazioni previdenziali e assistenziali, erogate dalla Cassa Forense, dipendenti dallo stato di salute e subordinate alla previa cancellazione dall’albo.
- In definitiva, si assume che l’Organo nazionale avrebbe accolto il ricorso sul presupposto di una questione, quale il pregiudizio economico, introdotta per la prima volta in sede di ricorso giurisdizionale, in violazione della legge n.241 cit.
- Nel controricorso, il professionista ribadisce che le certificate patologie cardiache (e psichiche) dalle quali è affetto rendono assolutamente impossibile l’esercizio della professione forense, ponendolo, dunque, in una condizione certamente equiparabile alla carenza dei requisiti formali che, alla stregua dell’art. 17 l. n. 247 cit., consente la cancellazione anche in pendenza di procedimento disciplinare.
- Quanto al secondo motivo del ricorso, osserva il controricorrente che in nessun modo avrebbe potuto comprovare, a corredo dell’istanza di cancellazione, il venir meno del diritto alle provvidenze assistenziali, dal momento che il relativo diritto sorge solo all’esito della cancellazione medesima (nella specie, negata).
- Nel concludere per il rigetto del ricorso, l’avvocato eccepisce, in via subordinata, l’illegittimità costituzionale degli artt. 17, comma 16, e 57 della l. n. 247/2012, in quanto formalmente non contemplano eccezioni al divieto di cancellazione dall’albo in pendenza di procedimento disciplinare, eccezioni che devono ravvisarsi nella tutela del diritto alla salute del cittadino/avvocato -art. 32 Cost.- del diritto alle prestazioni previdenziali subordinate alla cancellazione dall’albo degli Avvocati, eccezioni la cui mancata previsione legislativa comporta la violazione di diritti costituzionali e urta frontalmente contro il principio della ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost.
- Ritiene questo Collegio, per le ragioni che di seguito si andranno ad esporre, che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.57 della l. n. 247 del 2012 per avere introdotto il divieto di cancellazione dall’Albo, in pendenza di un procedimento disciplinare, senza contemplare l’ipotesi eccettuativa fondata sulla cancellazione volontaria richiesta dal professionista, impossibilitato ad esercitare l’attività professionale, per violazione degli artt. 2,3,4,35,41 Cost.
Sulla rilevanza
- Come si evince dai motivi di ricorso sopra sintetizzati, la parte ricorrente, con l’adesione del professionista controricorrente, propone la questione della non manifesta infondatezza dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale degli artt. 17, comma 16, e 57 della l. n. 247/2012, in quanto formalmente non contemplano eccezioni al divieto di cancellazione dell’avvocato dall’albo in pendenza di procedimento disciplinare, eccezioni la cui mancata previsione legislativa comporta la violazione di diritti costituzionali, sotto vari profili che, di seguito, partitamente si esamineranno.
- La decisione sul ricorso e la pretesa cancellazione dall’Albo in pendenza del procedimento disciplinare dipendono fondamentalmente dall’applicazione dell’art. 57 della l. n. 247 cit. che non contempla eccezioni al divieto di cancellazione dall’Albo in pendenza di un procedimento disciplinare, in presenza di condizioni preclusive per l’esercizio stesso dell’attività professionale: di qui la rilevanza del dubbio d’illegittimità costituzionale in quanto, se la disposizione sospettata venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, il professionista, in presenza delle condizioni pregiudizievoli allo stesso esercizio della professione, otterrebbe la cancellazione dall’Albo, presupposto per reclamare la tutela previdenziale prevista in caso di totale riduzione della capacità di esercitare la professione.
- Le argomentazioni svolte dal Consiglio dell’Ordine ricorrente in ordine all’inerte condotta del professionista quanto al promovimento dell’iter per la tutela previdenziale, per non avere, medio tempore, proposto alcuna domanda, non tengono conto dell’alveo normativo in cui si iscrive la normativa a tutela delle condizioni di totale inabilità del professionista che, per l’erogazione della pensione d’inabilità, postula la cancellazione dall’albo professionale (art. 4, comma 3, l. n. 576/1980).
- La rilevanza, del resto, dev’essere valutata in relazione al nesso di pregiudizialità tra la decisione sul dubbio di costituzionalità e l’applicazione della norma di cui si dubita e tale nesso, nello specifico, sicuramente sussiste.
- La decisione sul ricorso del Consiglio dell’Ordine, dunque, dipende fondamentalmente dall’applicazione del divieto di cancellazione, normativamente previsto, in pendenza del procedimento disciplinare: di qui la rilevanza del dubbio di illegittimità costituzionale in quanto, se la disposizione sospettata venisse dichiarata costituzionalmente illegittima per la mancata previsione, nel corpo normativo, dell’ipotesi eccettuativa della cancellazione volontaria, un’eventuale decisione additiva di principio per porre frattanto rimedio al difetto di normazione, in via d’individuazione della regola del caso concreto, in attesa di un intervento legislativo, farebbe riespandere la libertà della persona, e del professionista, di cancellarsi dall’ordine, con decadenza dall’azione disciplinare.
- Avuto riguardo, invece, all’orientamento interpretativo formatosi nella giurisprudenza di legittimità, il cui dato normativo non autorizza una interpretazione diversa da quella imposta dal testo con formula sufficientemente chiara, consolidatasi in una situazione di diritto vivente, ove la stessa non fosse ritenuta costituzionalmente illegittima, la decisione del Consiglio Nazionale dovrebbe essere rigettata, confermandosi la sussistenza del divieto di cancellazione dall’Albo in pendenza del procedimento disciplinare.
- Al contrario, ove le questioni di costituzionalità promosse dovessero ritenersi fondate, la decisione impugnata dovrebbe essere confermata, affermandosi l’insussistenza del divieto di cancellazione.
Sulla non manifesta infondatezza
- Come tutti gli ordini professionali, quello forense è un ente pubblico associativo con la precipua funzione di contemperare l’interesse pubblico – connesso al riconoscimento della funzione sociale della professione – all’esercizio della professione forense con quello interno alla categoria professionale (interesse all’ordinato e diligente esercizio della professione).
- La potestà disciplinare nei confronti dei propri iscritti rappresenta un mezzo di imparziale autoregolamentazione interna delle conseguenze delle condotte patologiche che si realizzano nel micro-ordinamento di appartenenza del professionista, ostative al corretto raggiungimento dei fini istituzionali, che si traduce anche in uno strumento punitivo, rapido ed efficace, volto a prevenire, dissuadere e al contempo sanzionare, dall’interno, violazioni di regole e valori fondanti della professione.
- Attraverso il procedimento disciplinare viene, dunque, perseguita la violazione delle regole deontologiche, con efficacia diretta nei confronti degli iscritti, interna a ciascuna categoria professionale a tutela dell’onore e degli interessi corporativistici e anticoncorrenziali della stessa, ma con rilevanza indiretta anche verso i terzi che si avvalgono dell’attività dei professionisti, gli utenti consumatori dei servizi resi, i quali, in questo modo, possono anch’essi reputarsi destinatari, per quanto indiretti, delle stesse norme deontologiche.
- Nelle libere professioni la fissazione di regole legislative e deontologiche (che completano e dettagliano i precetti legislativi) e la previsione di una potestà sanzionatoria interna esercitata da soggetti pubblici (quali sono gli Ordini professionali) nei confronti degli appartenenti, sono un mezzo imparziale di autoregolamentazione dell’ordinamento professionale mediante un rapido ed efficace strumento punitivo a garanzia del mantenimento di uno standard di qualità minimo nell’esercizio della professione, nonché della credibilità e affidabilità sociale nella categoria e nelle funzioni della stessa.
- Applicando le norme deontologiche, l’organizzazione professionale vigila affinché l’esercizio della professione avvenga in armonia con i fini perseguiti nel settore, e affinché l’attività, meramente privata, dei professionisti, compiuta con fine di lucro, raggiunga i fini di pubblica utilità, che l’ordinamento intende salvaguardare.
- L’imposizione di obblighi e di limitazioni, nelle quali si sostanzia la disciplina della professione, è preordinata a realizzare il decoro e la dignità della professione che costituiscono, secondo l’espressione tradizionalmente usata, i beni supremi che gli enti professionali debbono salvaguardare, e che, da un punto di vista giuridico, si identificano con l’interesse pubblico corrispondente della classe e dell’ente professionale.
- L’ordinamento intende far sì che l’attività dei professionisti si svolga in maniera consona alle prescrizioni di legge ed alle norme dell’etica professionale.
- Il diritto di esercitare la professione è la situazione giuridica attiva che permea il complesso rapporto che s’instaura tra il professionista e l’ente professionale, così come, dal lato passivo, il complesso degli obblighi costituenti il compendio normativo di settore che disciplina la sua attività, che egli è tenuto ad osservare in virtù dell’adesione al substrato corporativo dell’ente stesso.
- Gli obblighi sono complementari ai diritti, ai poteri e alle facoltà del professionista, in quanto mirano ad impedire un esercizio pregiudizievole per la collettività.
- Il raggiungimento dei fini pubblici, attraverso l’esercizio della professione liberale, si attua attraverso l’imposizione di obblighi e il conferimento di diritti e la correlativa protezione.
- Lo Stato riconosce e disciplina, nel proprio ordinamento, le sanzioni disciplinari dell’istituzione-ordine, sul presupposto dell’attribuzione di una rilevanza pubblica all’interesse espresso dal gruppo e il potere disciplinare è espressione della supremazia (di diritto pubblico) dell’Ordine professionale, cui fa da contraltare la corrispondente soggezione del professionista.
- Per tale ragione, può essere sottoposto a procedimento disciplinare unicamente chi sia iscritto all’Albo e i provvedimenti punitivi disciplinari colpiscono il singolo soltanto in quanto appartenente a quella particolare collettività, perché mirano a far valere solo l’osservanza dei doveri specifici che il singolo stesso ha nei confronti di quest’ultima.
- Le disposizioni in tema di cancellazione dall’albo professionale degli avvocati sono contenute negli artt. 17 e 57 della legge professionale forense (legge n. 247/2012).
- L’art. 17, rubricato «Iscrizione e cancellazione», al comma 9, recita: «La cancellazione dagli albi, elenchi e registri è pronunciata dal consiglio dell’ordine a richiesta dell’iscritto, quando questi rinunci all’iscrizione, ovvero d’ufficio o su richiesta del procuratore generale: a) quando viene meno uno dei requisiti indicati nel presente articolo; b) quando l’iscritto non abbia prestato l’impegno solenne di cui all’articolo 8 senza giustificato motivo entro sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento di iscrizione; c) quando viene accertata la mancanza del requisito dell’esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione ai sensi dell’articolo 21; d) per gli avvocati dipendenti di enti pubblici, di cui all’articolo 23, quando sia cessata l’appartenenza all’ufficio legale dell’ente, salva la possibilità di iscrizione all’albo ordinario, sulla base di apposita richiesta».
- L’art. 17, comma 15, prevede, poi, che «l’avvocato cancellato dall’albo ai sensi del presente articolo ha il diritto di esservi nuovamente iscritto qualora dimostri la cessazione dei fatti che hanno determinato la cancellazione e l’effettiva sussistenza dei titoli in base ai quali fu originariamente iscritto e sia in possesso dei requisiti di cui alle lettere da b) a g) del comma 1. Per le reiscrizioni sono applicabili le disposizioni dei commi da 1 a 7».
- Il successivo comma 16 statuisce che «non si può pronunciare la cancellazione quando sia in corso un procedimento disciplinare, salvo quanto previsto dall’articolo 58».
- L’art. 57, rubricato «Divieto di cancellazione», recita: «Durante lo svolgimento del procedimento, dal giorno dell’invio degli atti al consiglio distrettuale di disciplina non può essere deliberata la cancellazione dall’albo».
- La medesima prescrizione è contenuta anche nell’art. 13 del Regolamento del CNF sul procedimento disciplinare, n. 2 del 21 febbraio 2014.
- La cancellazione, dunque, può essere disposta su istanza dell’interessato ovvero d’ufficio. La prima ipotesi – la rinuncia all’iscrizione – è rimessa alla libera scelta del professionista, il quale, per le più svariate ragioni, si determini a non continuare più a svolgere la professione. La seconda ipotesi è subordinata, invece, alla ricorrenza di presupposti che si ricollegano alla (originaria) sussistenza (o effettiva permanenza) dei requisiti specificamente individuati dalla legge quali condizioni necessarie per l’iscrizione, e rappresenta una sorta di esercizio, in senso uguale e contrario, del potere originariamente spiegato ai fini dell’ammissione del richiedente nell’ordine professionale.
- La libera scelta del professionista di non continuare più a svolgere la professione, sorretta da qualsivoglia determinazione, incontra la sola preclusione della pendenza del procedimento disciplinare.
- Detta preclusione alla libera determinazione di non svolgere più la professione era già enunciata nel previgente art. 37, comma 8, r.d.l. n. 1578/1933, che recitava: «non si può pronunciare la cancellazione quando sia in corso un procedimento penale o disciplinare».
- La ratio del divieto di cancellazione, e vale fin d’ora precisare, del divieto temporaneo di cancellazione fino al compimento del procedimento disciplinare, è stata più volte scrutinata, con esito interpretativo restrittivo datane dal giudice della nomofilachia consolidatasi in una situazione di diritto vivente.
- Cass.,Sez.Un., n. 18771 del 2004 ha escluso dubbi di legittimità costituzionale, prospettati per violazione degli artt. 3, comma 1, e 13, comma 1, Cost., rinvenendo la ratio del divieto nell’esigenza garantista di vietare, al C.O.A., in via breve, l’uso della misura della cancellazione come forma di autotutela nei confronti degli iscritti.
- La decisione del 2004 si è saldata, invero, al precedente, costituito da Cass.,Sez.Un., n. 10382 del 1993, che aveva ritenuto la pendenza di un procedimento penale o disciplinare (alla stregua dell’art.8 comma dell’art. 37 cit.,ratione temporis applicabile) come temporaneamente ostativa alla cancellazione, in quanto evenienze insorte solo successivamente al momento della iscrizione nell’Albo, sul presupposto che fosse illogico ipotizzare l’apertura di un procedimento disciplinare a carico non già di un iscritto all’albo ma di un aspirante alla iscrizione, e cioè di un soggetto non ancora titolare dello status riconnesso all’assoggettamento ai doveri deontologici e ai poteri disciplinari propri dell’Ordine professionale di appartenenza; del pari, riteneva illogico ipotizzare che l’apertura di un procedimento penale a carico di un mero aspirante a far parte dell’ordine professionale costituisse contemporaneamente evenienza inidonea a provocare l’assoggettamento a responsabilità disciplinare ed idonea ad interdire al Consiglio dell’ordine poteri di autotutela (quali quelli nella specie adottati) in ordine al requisito di moralità dei suoi iscritti.
- La ratio della disposizione di cui all’ottavo comma dell’art. 37 cit. veniva colta, da Cass.,Sez.Un. n. 10382 cit., nella esigenza garantista di vietare che alla misura della cancellazione, quale forma di autotutela, il Consiglio dell’Ordine potesse fare ricorso, per via breve, nei casi in cui il comportamento del proprio iscritto o avesse già dato luogo all’apertura di un procedimento disciplinare o dovesse dar adito ad una contestazione disciplinare (di riflesso ai fatti imputati in sede penale) con maggiore ampiezza di difesa per l’inquisito (nella specie, un procuratore legale aveva ottenuto l’iscrizione al relativo albo sottacendo fatti – segnatamente, l’apertura di un procedimento penale a proprio carico, per fatti ostativi all’iscrizione medesima – la cui successiva conoscenza aveva indotto il Consiglio dell’Ordine a disporne la cancellazione, in ragione della carenza originaria del requisito della condotta illibata).
- Ebbene – soggiunsero le Sezioni Unite – «non sembra dubitabile che il difetto del requisito della condotta illibata determini, in pregiudizio dello aspirante, una situazione incompatibile con il chiesto riconoscimento del diritto alla iscrizione e che tale inconciliabilità, pur non comportando di per sé la nullità della iscrizione sino al momento in cui sia accertata e rilevata dagli organi competenti, per altro verso impone a questi ultimi il dovere di procedere alla rimozione dell’originario ed illegittimo provvedimento di iscrizione (come nella fattispecie in esame è avvenuto)».
- Al di là della diversità della fattispecie rispetto a quella ora all’esame del Collegio (nella quale il procedimento disciplinare è stato intentato per fatti occorsi successivamente a un’iscrizione illo tempore validamente effettuata, sulla base della sussistenza dei relativi presupposti), le due decisioni dianzi citate esplicitano la ratio sottesa al divieto di cancellazione, finalizzata a far sì che l’incolpato, una volta instaurato il procedimento disciplinare, possa giovarsi delle prerogative difensive che la legge gli riserva, senza essere esposto a cancellazioni, per così dire, ritorsive, disposte, in via breve, dall’Ordine di appartenenza.
- Non va sottaciuto che, in dottrina, quest’affermazione è stata criticata da chi ritiene la norma diretta non a tutelare una esigenza garantista, dell’incolpato, da un possibile abuso del consiglio sibbene volta, all’opposto, ad assicurare il rispetto delle norme deontologiche, da parte dell’incolpato che, alle stesse, potrebbe sottrarsi richiedendo la cancellazione dall’albo.
- Esigenza, quest’ultima, collimante con l’interesse pubblico del quale è depositario il gruppo organizzato, che la giurisprudenza di legittimità ha effettivamente affiancato alla prima, con riferimento ai casi in cui sia l’avvocato a chiedere la propria cancellazione, in pendenza di un procedimento disciplinare.
- In quest’ultima ipotesi, il divieto in discorso è stato correlato all’esigenza di salvaguardare il corretto (e completo) esplicarsi della potestà punitiva dell’organo disciplinare, a tutela dell’onorabilità degli iscritti e degli interessi pubblici coessenziali alla stessa esistenza e al funzionamento dell’ordine professionale, che risulterebbero sostanzialmente vanificati se si consentisse all’incolpato di sottrarsi, a proprio piacimento, al procedimento, attraverso una mera richiesta di cancellazione dall’albo.
- In tali termini è stato l’impianto argomentativo svolto da Cass.,Sez.Un., n. 15406 del 2003, chiamata a dirimere la vexata quaestio dell’inapplicabilità del divieto di cancellazione (ex art. 37, comma 8, del r.d.l. n. 1578/1933, ratione temporis applicabile) in caso di rinuncia del professionista all’iscrizione, alla luce della ratio del divieto, evocata dal professionista, del diritto di difendersi, con maggiore ampiezza, nel procedimento penale o disciplinare.
- Le Sezioni Unite n.15406 cit., rimarcata la portata generale della disposizione, senza distinguo tra le diverse ipotesi previste nel primo comma, comprensive, in modo espresso, della rinunzia dell’avvocato all’iscrizione, hanno escluso che la rinunzia potesse sottrarsi al divieto emergente dal dettato normativo.
- Inoltre, sul presupposto che Cass.,Sez.Un. n. 10382 del 1993 avesse identificato solo una delle ragioni giuridiche giustificative del precetto, per Cass.,Sez.Un., n.15406 cit., proprio l’ampiezza del precetto normativo imponeva di ricomprendervi anche la rinunzia, dovendo affiancare, all’esigenza garantista individuata dalla citata sentenza delle Sezioni Unite del 1993, l’esigenza di tutelare, in via prioritaria, in pendenza di un procedimento penale o disciplinare, il prestigio della classe forense leso dalla condotta del professionista, affiancandosi, all’esigenza di tutelare la posizione del professionista, quella di assicurare tutela anche alla credibilità dell’ordine professionale, nel quadro di una scelta operata dal legislatore, coerente e ragionevole avuto riguardo alla specifica posizione degli iscritti all’ordine forense.
- In Cass.,Sez.Un., n. 27695 del 2005, l’avvocato censurava il rigetto della propria istanza di cancellazione, basata sulla sopravvenuta incompatibilità per trasformazione del rapporto di lavoro che lo legava a una pubblica amministrazione, da tempo parziale a tempo pieno, sul presupposto dell’irrilevanza della pendenza di un procedimento disciplinare a suo carico (valorizzata, invece, dall’Ordine di appartenenza), non potendosi applicare, a suo dire, l’art. 37 alla cancellazione a richiesta dell’interessato, ma solo a quella disposta d’ufficio.
- Anche in questo caso, le Sezioni Unite, ritenendo che la lettera della richiamata disposizione non fornisse alcun appiglio testuale alla riduttiva tesi interpretativa auspicata dal professionista, ne hanno sottolineato, per contro, il collegamento con le due concorrenti ragioni giuridiche dianzi illustrate, escludendo alcuna incompatibilità, sul piano giuridico e logico, posto che «all’esigenza di tutelare la posizione del professionista ben si affianca quella di assicurare tutela anche alla credibilità dell’ordine professionale».
- L’orientamento illustrato è stato riaffermato da Cass., Sez.Un., n. 15574 del 2015, in riferimento a domanda di cancellazione volontaria presentata prima dell’inizio del procedimento disciplinare, conclusosi, poi, con la sanzione della radiazione dall’Albo, e da Cass.,Sez.Un.,n. 23990 del 2023 che ha, del pari, ribadito che l’art. 17, comma 16, della l. n. 247 cit. preclude la cancellazione nel corso del procedimento disciplinare, aggiungendo che la disposta cancellazione non spiegava, quindi, alcuna efficacia sospensiva o interruttiva del distinto procedimento disciplinare relativo alla radiazione, né tanto meno determinava la cessazione della materia del contendere in relazione a quest’ultimo.
- Infine, Cass. n. 25824 del 2009, la quale, a fronte dell’accoglimento della domanda proposta da un avvocato nei confronti del proprio Ordine, per il risarcimento dei danni conseguenti al rigetto della sua istanza di trasferimento presso altro albo, ha accolto il ricorso del Consiglio dell’Ordine, motivando in ragione del fatto che il trasferimento presupponeva la possibilità di cancellazione dall’ordine di provenienza, nella specie preclusa dalla pendenza di un procedimento disciplinare, ai sensi dell’art. 37, comma 9, r.d.l. n. 1578/1933.
- Non resta che richiamare, con mero cenno, la giurisprudenza disciplinare del CNF, costantemente incline all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 57 della legge n. 247, volta a porre un’eccezione al divieto di cancellazione ivi previsto ogni qualvolta venga in gioco la tutela dei diritti fondamentali dell’interessato, interpretazione che non può, tuttavia, costituire diritto vivente non promanando dall’organo giudiziario di legittimità depositario della funzione nomofilattica.
- Peraltro, l’affermazione della regula juris, nelle pronunce del giudice disciplinare, da un lato non si accompagna allo svolgimento di alcun ragionamento ermeneutico, che sperimenti l’applicabilità dei diversi canoni dell’interpretazione letterale, logico-sistematica e costituzionalmente orientata, e dall’altro si traduce, il più delle volte, in una declamazione di principio, non risultando mai esplicitato il diritto inviolabile dedotto a fondamento della domanda di cancellazione ed enfatizzando, piuttosto, il concorrente profilo del venir meno dei requisiti per l’iscrizione.
- Si appalesa impraticabile, pertanto, un’interpretazione adeguatrice dell’art. 57 della legge professionale forense: se è vero che ricorrere all’interpretazione conforme non autorizza affatto a decampare dal testo, ma consente semplicemente di optare, fra le varie alternative aperte dal testo, per quella capace di non comportare la conseguenza dell’illegittimità, particolarmente delicato, per quanto ineludibile, si mostra l’aspetto del superamento del dato testuale chiaramente orientato ad esprimere un divieto di cancellazione generalizzato.
- Va esclusa, pertanto, la possibilità di sperimentare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione scrutinata, posto che secondo la costante giurisprudenza costituzionale «l’onere di interpretazione conforme viene meno, lasciando il passo all’incidente di costituzionalità, allorché il giudice rimettente sostenga che il tenore letterale della disposizione non consenta tale interpretazione» (fra tante, Corte cost. n. 104 del 2023; nello stesso senso, Corte cost. n. 102 del 2021, n. 253 del 2020 e n. 232 del 2013, tutte richiamate, da ultimo, da Corte cost. n. 5 del 2024).
- Nella specie, la formula perentoria del divieto di cancellazione in pendenza del procedimento disciplinare enunciato dalla norma ora in disamina integra, all’evidenza, detto limite all’onere d’interpretazione conforme e alla possibilità di ricavare dall’enunciato divieto un significato che possa situarsi comunque nell’orizzonte di senso della lettera e dell’univoco tenore della norma.
- Inoltre, la ricerca di una soluzione ermeneutica conforme alla Costituzione impone che si riveli non improbabile alla luce sia della lettera sia dell’eventuale diritto vivente e, nella specie, detto ultimo parametro, con il quale l’interpretazione adeguatrice deve necessariamente rapportarsi, non si rinviene giacché, come detto dianzi, la possibilità di trarre la norma applicata dalla costante giurisprudenza espressa dal Consiglio Nazionale, secondo la quale il divieto di cancellazione ivi contemplato non si applica allorquando comporti la lesione di diritti fondamentali dell’interessato, rimane confinata nell’alveo della giurisprudenza disciplinare forense non connotata dal rilievo nomofilattico.
- Venendo, allora, alla disamina dei principi costituzionali, va premesso che il Collegio non ravvisa un vulnus ai parametri costituzionali evocati dalle parti in giudizio, vale a dire gli articoli 32 e 38 della Costituzione.
- La salute del professionista non è pregiudicata, invero, dal temporaneo divieto di cancellazione dall’albo professionale, correlato alla durata del procedimento disciplinare, e non può indurre una significativa conculcazione del nucleo fondante del diritto alla salute, come favorire un peggioramento delle relative condizioni o pregiudicare l’espletamento e il compimento di cure adeguate, potenzialmente necessarie ad un miglioramento o al ripristino di condizioni di benessere.
- Ciò anche valutando i margini di coincidenza dello status formale derivante dalla permanente iscrizione all’albo con lo svolgimento effettivo dell’attività professionale (che, nella vicenda all’esame, il professionista deduce di non svolgere più, di fatto, sin dal 2019), posto che, ove ciò fosse, un vulnus all’art. 32 si correlerebbe, in tesi, ad un obbligo, non predicabile, di continuare ad esercitare effettivamente la professione, nonostante uno stato precario di salute incompatibile.
- Del resto, per la giurisprudenza costituzionale, un mero inconveniente di fatto è inidoneo, di per sé, a fondare un profilo di legittimità costituzionale, in quanto ricollegabile non già direttamente alla previsione normativa, quanto piuttosto a circostanze contingenti attinenti alla sua concreta applicazione (v., fra le alte, Corte cost., nn. 219 del 2022, 220 del 2021, 115 del 2019, 225 del 2018, 114 del 2017, 158 del 2014, 157 del 2014, 270 e 117 del 2012).
- Neanche si appalesa pertinente il richiamo all’art. 38 Cost., non risultando infirmata la tutela previdenziale e assistenziale del professionista, affidata a fonti di normazione primaria e secondaria, queste ultime neanche scrutinabili nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, tutela né già reclamata dal professionista né denegata dalla competente Cassa professionale, comunque estranea al presente giudizio.
- Al di là dai non pertinenti parametri evocati dalle parti, al Collegio appare non manifestamente infondato il dubbio di incostituzionalità, nei parametri di seguito evidenziati, della norma censurata la quale, nell’esegesi prevalsa nella giurisprudenza di legittimità, e assurta a regola di diritto vivente, introduce profili di irragionevolezza intrinseca e incoerenza nel sistema normativo che, nel sanzionare la condotta del professionista non conformata alle regole di deontologia professionale, vieta la cancellazione volontaria dall’Albo affinché detto espediente non diventi strumento per sottrarsi alla potestà disciplinare categoriale.
- L’eventualità, in tesi, che il professionista, una volta cancellato, possa richiedere la reiscrizione all’albo (reiscrizione prevista, in via generale, dall’art. 17 legge n. 247 cit.)non potrebbe ostare alla elisione del divieto giacché sarebbe sufficiente, per scongiurare qualsivoglia finalità meramente elusiva del professionista, un intervento normativo, de jure condendo, che introducesse, come strumento di salvaguardia, la sospensione dei termini di prescrizione dell’azione disciplinare per effetto della cancellazione volontaria, termini che riprenderebbero a decorrere con la reiscrizione all’ordine (per i magistrati, titolari peraltro di un munus publicum, sono possibili le dimissioni dall’ordine giudiziario, con estinzione del procedimento disciplinare, ma in un contesto ordinamentale in cui la salvaguardia, da intenti meramente elusivi, è data dall’impossibilità di farvi rientro).
- La disposizione scrutinata dal Collegio si appalesa non conforme all’art.2 Cost. e alla protezione del nucleo essenziale della dignità umana e al pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali, con riferimento al diritto del professionista, esplicante la sua personalità anche nell’organizzazione professionale ordinistica, comprensiva della libertà di autodeterminarsi, per l’irragionevole compromissione derivante dalla coartata permanenza nel gruppo professionale, attraverso l’iscrizione all’Albo non più espressione, ormai, di una scelta di libertà, riverberantesi sulla sfera della personalità del professionista, nel suo complesso.
- Con riferimento al parametro dell’art. 3 Cost. e alla intrinseca irragionevolezza della previsione normativa che preclude la libera electio del professionista di autodeterminarsi nella cancellazione dall’albo, con decadenza dall’azione disciplinare, per un tempo di durata incerta, non prevedibile, ex ante, se esiguo o meno, necessario all’espressione della definitiva potestà disciplinare.
- Il divieto di cancellazione, espressione della supremazia dell’ordine sui propri iscritti mediante l’esercizio del potere disciplinare al fine di evitare una cancellazione strumentale ed elusiva della responsabilità disciplinare, secondo il disegno dato dal legislatore del 2012, ripetitivo della diposizione già recata dal regio decreto del 1933, e l’esegesi datane fin qui dalla Corte della nomofilachia, si rivela confliggente con l’esercizio del diritto potestativo del professionista che, per versare nell’assoluta impossibilità di esercitare la professione di avvocato, si autodetermini alla cancellazione volontaria.
- Detto interesse potestativo di instare per la cancellazione dall’Albo professionale non dovrebbe patire condizionamenti dagli interessi dell’organizzazione professionale, ancorchè conformati alla tutela di un interesse pubblicistico, esterno e superiore all’interesse del gruppo professionale (come definito da Corte cost. n. 114 del 1970).
- La disposizione all’esame non si conforma all’art. 4 Cost., nel cui alveo va ricondotta l’attività del professionista, espressione di un diritto di libertà, peraltro collocato in apicibus del testo costituzionale e non inserito nella trama di limiti e relazioni sistematiche che altre previsioni costituzionali di vantaggio (ad esempio l’art. 41) offrono, ma correlata alla generale garanzia apprestata dalla Costituzione, per il tramite del predetto articolo, quale matrice costituzionale fondamentale delle situazioni e dei rapporti che trovano svolgimento nel titolo terzo della parte prima della Carta costituzionale.
- L’iscrizione coattiva all’Albo stride con il diritto di libertà del professionista al lavoro e il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
- Il precetto recante l’assoluto divieto di cancellazione non si conforma, inoltre, all’art. 35 Cost., e alla tutela del lavoro in tutte le sue forme, la cui portata generale include le libere professioni e, all’evidenza, la professione forense, perché la permanenza coattiva nell’ordinamento categoriale, in funzione esclusiva dell’immanente esigenza pubblicistica sottesa all’autogoverno del gruppo professionale, non tutela il professionista che, versando nell’impossibilità di attendere all’attività professionale, non sia in condizione di poter esercitare appieno il diritto dovere al lavoro in tutte le sue espressioni, in ispecie in riferimento alla spendita di energie e capacità di adoperarsi nel rendere servizi professionali efficienti e svolgere quel complesso di attività miranti ad assicurare cognizioni tecnico-giuridiche, esperienza processuale, distaccata serenità, profusione di consigli che consentano di valutare adeguatamente le situazioni prospettate e controverse. In breve, per esercitare, al meglio, la difesa tecnica alla quale il professionista è deputato.
- Infine, il precetto in scrutinio non si conforma al parametro dell’art. 41, primo comma, Cost., per essere l’iniziativa economica privata del professionista, per effetto del divieto di cancellazione, avulsa dalla libera scelta dell’autonomo svolgimento di un’attività economica socialmente utile e in guisa da comprimere la dignità umana del professionista, quanto ai limiti enunciati nel secondo comma.
- Conclusivamente, non essendo percorribile la strada di una interpretazione della disposizione conforme a Costituzione, il Collegio ritiene che l’articolo 57 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che reca il divieto di deliberare la cancellazione dall’albo durante lo svolgimento del procedimento disciplinare, ponga seri dubbi di costituzionalità nella parte in cui non prevede deroghe al divieto allorquando la perdurante iscrizione all’Albo comporti la lesione di diritti fondamentali del professionista, per violazione degli artt. 2,3,4,35,41 della Costituzione.
- Si dispone l’oscuramento dei dati identificativi del professionista intimato.
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt. 134 Cost. e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2,3,4,35,41 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 57 della legge 31 dicembre 2012. n. 247. Sospende il presente giudizio. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al Pubblico Ministero presso questa Corte e al Presidente del Consiglio dei ministri; ordina, altresì, che l’ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.