Per accordi «a latere», si indicano genericamente tutte le pattuizioni che i coniugi stipulano a causa della separazione o del divorzio, senza che il loro contenuto venga trasfuso nell’omologa o nella sentenza.
La presente pronuncia chiarisce che, a differenza del procedimento di separazione, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, dove l’accordo sotteso ha natura meramente ricognitiva dei presupposti necessari allo scioglimento del vincolo coniugale ex art. 3 L. 898/1970.
L’accordo ha invece valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, consentendo al tribunale di intervenire su tali accordi nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l’adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose.
Partendo da questo presupposto, pur non potendo il giudice intervenire direttamente sull’accordo a latere tra le parti, deve prenderlo in considerazione per la decizione, sempre che non contenga espresse pattuizioni contrarie.
Il giudice dovrà tenere, quindi, in conto dell’accordo a latere anche nella valutazione della permanenza dei requisiti dell’assegno di mantenimento, alla luce della sentenza a Sezioni Unite n. 32198/2021.
Cassazione Civile, sentenza 10.07.2024, n. 18843
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va preso in considerazione dal giudice, in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio ex art.9 l. 898/1970, l’accordo contrattuale a latere operante inter partes, rimesso appunto alla libera determinazione negoziale delle parti, pur non potendo il giudice intervenire direttamente, laddove detto accordo non contenga espresse pattuizioni contrarie e sia strettamente connesso alle condizioni pattuite con il ricorso per divorzio congiunto.
Ne deriva che, una volta ritenuta la sopravvenienza di un fatto idoneo alla revisione dell’assegno, il giudice deve verificare, alla luce delle Sezioni Unite del 2021 (Cass. Sez. Un. 32198/2021), la permanenza del diritto all’assegno divorzile, in relazione alla componente perequativo-compensativa, che deve essere verificata e quantificata, anche tenendo conto della pattuizione a latere.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.9, comma 1, 898/1970, per avere la Corte d’appello ritenuto di non potersi pronunciare sulla modifica dell’obbligo assunto […] con la stipula di scrittura privata, coeva a quella poi trasfusa nel ricorso per cessazione degli effetti civili del matrimonio e nella sentenza di divorzio emessa dal Tribunale, pur trattandosi della stessa obbligazione economica.
Con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente rideterminato l’assegno divorzile a carico del ricorrente nella misura di € 3.000,00 mensili, ritenendo che detto importo, unitamente a quello di 2.500,00 € mensili previsto nella scrittura privata, rappresentasse la componente compensativo-perequativa dell’assegno divorzile di cui la M.F. aveva diritto a continuare a beneficiare senza dover fornire la prova anche del contributo offerto alla vita familiare.
- Entrambi i motivi di ricorso vanno accolti nei sensi di cui in motivazione.
2.1. Il ricorrente […] contesta il mancato assoggettamento delle pattuizioni negoziali di natura economica, pur ritenute pienamente valide, al vaglio del Giudice della famiglia in sede di revisione ex art.9 l. 898/1970, in quanto, se detti patti sono validi ed efficaci, nei limiti in cui non determinino una violazione dell’art.160 c.c., «la parte che li ha sottoscritti, in caso di sopravvivenze, atte ad alterare l’assetto negoziale raggiunto, deve inevitabilmente poterli rimettere in discussione, anche tramite la procedura di modifica ex art.9 l. 898/1970».
Il termine «disposizioni», utilizzato dall’art.9 citato, deve essere interpretato «in modo elastico (e non restrittivo)», nel senso che possono essere oggetto di revisione anche le pattuizioni concomitanti (a latere) a quelle sottoposte al vaglio del Tribunale e recepite nella sentenza di divorzio, che abbiano «sostanzialmente contenuto e natura analoga e concernenti obbligazioni periodiche e continuative (come il versamento del contributo integrativo dell’assegno divorzile) che unitamente a quelle recepite nella sentenza di divorzio formano “un unicum” inscindibile».
La Corte d’appello avrebbe dovuto, quindi, valutare congiuntamente il contenuto della scrittura privata e quello delle intese recepite nella sentenza di divorzio emessa dal Tribunale, trattandosi della «stessa obbligazione economica» (formando «un unicum inscindibile»), periodica e continuativa, concordata dalle parti, contestualmente, in relazione al loro divorzio; anche gli accordi integrativi «a latere» hanno «concorso a formare quell’equilibrio economico raggiunto in sede di divorzio».
Inoltre, in ciò confutandosi quanto argomentato dalla Corte d’appello, la risoluzione della scrittura privata contenente le pattuizioni integrative all’assegno divorzile, potrebbe avvenire, al più, solo per mutuo consenso, non potendo, essere fatta valere la risoluzione dell’accordo negoziale raggiunto in sede di divorzio ‒ stando alla tesi della Corte ‒ facendo valere «quei giustificati motivi» di cui parla l’art.9 l.div. (come l’instaurazione di una convivenza da parte del soggetto beneficiario dell’assegno).
E tanto non sarebbe possibile neppure in un giudizio di cognizione ordinario, attesa la causa di tale pattuizione, ancorata alla crisi coniugale.Il che comporterebbe una durata indefinita dell’obbligo assunto.
[…] L’autonomia negoziale riconosciuta alle parti per definire, tramite i c.d. accordi a latere, gli aspetti patrimoniali oltre che personali della vita familiare in sede di separazione e/o divorzio, col solo limite dei diritti indisponibili, non può escludere o precludere il successivo eventuale intervento del Giudice della famiglia per la loro eventuale modifica o revisione e che il legislatore
Il dettato normativo dell’art. 9 della L. 898/1970 (oggi abrogato dalla «Riforma Cartabia», di cui al d.lgs. n. 149/2022, e sostituito dall’art. 473-bis.29 c.p.c.) prescrive la necessità della sopravvenienza di «giustificati motivi» per poter procedere a una revisione delle condizioni di separazione o di divorzio.
Ciò conferma e rafforza la sopravvenienza di nuove circostanze quale unico requisito necessario e imprescindibile per poter domandare la modifica, non subordinando espressamente la modificabilità degli accordi economici pattuiti dai coniugi in sede di divorzio al fatto che gli stessi siano anche stati recepiti nella sentenza divorzile.
In sostanza, ai fini di cui all’art. 9 L. div., le allegate circostanze sopravvenute legittimanti la revisione consentono al giudice di entrare nel merito della «complessiva regolamentazione economica dei rapporti convenuta dai coniugi in sede di divorzio» a prescindere dalle modalità attuate (ricorso al Giudice o scrittura privata integrativa) per ottenerla.
[…] Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto che la moglie debba continuare a beneficiare dell’assegno divorzile, ridotto ad € 3.000,00 mensili, oltre a quello di € 2.500,00 mensili previsto dalla scrittura privata inter partes, trattandosi della componente perequativa-compensativa dell’assegno divorzile, senza dovere anche fornire la prova del contributo offerto alla vita familiare, come invece affermato dalle Sezioni Unite nell’arresto del 2021 (in relazione al fatto sopravvenuto rappresentato dall’intrapresa convivenza del coniuge beneficiario con altra persona).
[…] «La prova dell’esistenza del contributo offerto in costanza di matrimonio alla cura della famiglia e dei figli debba essere fornita anche quando l’assegno divorzile sia già stato riconosciuto e lo stesso sia stato successivamente oggetto di richiesta di revisione da parte dell’ex coniuge, che eccepisca l’intervenuta convivenza, obbligato a corrisponderlo».
Nella specie, alcun approfondimento istruttorio era stato compiuto per misurare la effettiva e reale incidenza sull’assegno della componente compensativa rispetto a quella assistenziale, avendo la Corte di merito quantificato arbitrariamente la parte compensativa – perequativa dell’assegno, facendo unicamente leva sulla sola consistenza degli sforzi economici compiuti dal marito in favore della ex moglie al momento della stipula degli accordi di divorzio, sia privati sia dinanzi al giudice.
Questi accordi erano stati vagliati questa volta in maniera complessiva, ossia comprensiva della scrittura integrativa, con violazione sia dei principi sull’onere della prova sia degli artt.115 e 116 c.p.c.
2.2. Premesso quanto precede, occorre anzitutto osservare che il divorzio congiunto ‒ fattispecie ricorrente nella specie ‒ non esclude la possibilità per le parti di sottoporre al giudice l’intervenuto mutamento delle circostanze, nelle forme di cui all’art. 9 l. 898/1970 (ex plurimis, Cass. 13424/2014).
Va poi, rilevato che, a differenza di quanto avviene nel procedimento di separazione consensuale, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell’ambito del quale l’accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale ex art. 3 della l. n. 898 del 1970.
L’accordo ha invece valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, consentendo al tribunale di intervenire su tali accordi nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l’adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose (Cass. 19540/2018).
La domanda, ai sensi dell’art.9 l.898/1970, di revoca o riduzione dell’assegno divorzile, già disposto in favore dell’altro coniuge, può sopravvenire anche al giudicato, annoverato nella categoria del giudicato rebus sic stantibus, in quanto soggetto al perdurante adeguamento alle situazioni sopravvenute, essendo il titolo esecutivo giudiziale in materia di famiglia assistito da definitività equiparabile al giudicato, ma trattandosi di un giudicato del tutto peculiare (fra le altre, Cass. 2 luglio 2019, n. 17689; Cass. 30 luglio 2015, n. 16173),
Riguardo ad esso, i fatti sopravvenuti possono rilevare attraverso un procedimento ad hoc, quale nella specie dettato dell’art. 9 l. n. 898 del 1970 per il divorzio.
La Corte a Sezioni Unite (Cass. 20495/2022), ha di recente ribadito che, in sede di revisione dell’assegno divorzile, il giudice dovrà compiere la necessaria, complessiva, approfondita e comparativa valutazione tra le situazioni rilevanti di entrambi i coniugi.
Detta valutazione va riferita a molteplici fattori, al fine dell’accertamento «di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi, idoneo a modificare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, quale presupposto fattuale – integrante i «giustificati motivi» di cui è parola nell’art. 9 – necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali (cfr. Cass. 5 giugno 2020, n. 10647; Cass. 20 gennaio 2020, n. 1119; Cass. 5 marzo 2019, n. 6386; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. 13 gennaio 2017, n. 787; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30033; Cass. 2 maggio 2007, n. 10133; Cass. 25 agosto 2005, n. 17320)».
Si deve, dunque, verificare se siano sopravvenuti elementi fattuali, idonei a destabilizzare l’assetto patrimoniale in essere, nel qual caso il giudice di merito dovrà fare applicazione dei nuovi principi, per il riconoscimento dell’assegno, quali emergenti dalle recenti pronunce della Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all’attualità, senza che possa ritenersi per converso, sufficiente ex se il solo mutamento di giurisprudenza sulla funzione dell’assegno divorzile, ove quelle circostanze di fatto non siano mutate (Cass. 1119/2020).
2.3. Il ricorso pone, in particolare, il tema della valenza degli accordi negoziali conclusi dai coniugi in sede di divorzio congiunto. In assenza di previsione normativa, con il termine accordi «a latere», si indicano genericamente tutte le pattuizioni che i coniugi stipulano a causa della separazione o del divorzio, senza che il loro contenuto venga trasfuso nell’omologa o nella sentenza.
E’ stata via via valorizzata l’autonomia negoziale privata dei coniugi, anche nella fase patologica della crisi, essendosi riconosciuto ai coniugi la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della crisi stessa (art. 4 l. n. 898/1970 e d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014).
Secondo la giurisprudenza sino ad ora espressa da questa Corte, gli accordi c.d. precedenti o coevi sono validi se, rispetto al provvedimento giurisdizionale, si pongono in posizione di conclamata ed incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo del giudice, mentre quelli c.d. successivi sono validi se non contrastano con l’art. 160 c.c. e rispondono all’esigenza di adeguare i singoli aspetti degli accordi all’esperienza reale del nucleo familiare.
Così Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 2005 n. 20290: «In tema di separazione personale, le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente all’omologazione, trovando fondamento nell’articolo 1322 del c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dagli articoli 710 e 711 del c.p.c., senz’altro limite che non sia quello di derogabilità consentito dall’articolo 160 del c.c.
Le pattuizioni, invece, convenute dagli stessi coniugi antecedentemente o contemporaneamente al decreto di omologazione, e non trasfuse nell’accordo omologato, sono operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest’ultimo, in posizione di non interferenza o in posizione di conclamata e incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo di cui all’articolo 158 del codice civile»; in senso conforme, Cass. civ., sez. I, 6 febbraio 2009 n. 2997; Cass. civ. 21 dicembre 2012, n. 23173).
Il problema che si pone, nella fattispecie oggetto di esame in questa sede, è che l’intervento richiesto del giudice ‒ ove ritenuto ammissibile ‒ verrebbe ad esplicarsi su di un accordo, avente natura negoziale, che certamente non è contrario a norme inderogabili, trattandosi di un patto, contemporaneo al deposito dell’accordo di divorzio congiunto, con il quale il marito si obbligava a corrispondere alla moglie una somma aggiuntiva a quella stabilita dalle parti come assegno di divorzio.
E l’intervento del giudice dovrebbe esplicarsi ‒ su richiesta di parte – in sede di giudizio di revisione ex art. 9 l. 898/1970.
2.4. Occorre, allora, distinguere.
E’ possibile che le parti ‒ oltre agli accordi di divorzio congiunto, sui quali il giudice non opera alcuna valutazione, se non contrari a norme inderogabili ‒ possano concludere accordi estranei all’oggetto del procedimento di divorzio congiunto, come trasferimenti di beni immobiliari o transazioni.
Tali accordi sono certamente validi, ma, trattandosi di veri e propri contratti (art. 1321 c.c.), si sottraggono alla valutazione del giudice in sede di giudizio ex art. 9 l. 898/1970, salvo che per la loro considerazione ai fini della determinazione delle condizioni economiche delle parti.
L’accordo tra coniugi avente ad oggetto un trasferimento immobiliare, nell’ambito di un procedimento di divorzio a domanda congiunta, è soggetto ‒ si è affermato ‒ alle ordinarie impugnative negoziali a tutela delle parti o di terzi, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo recepisce, spiegando quest’ultima efficacia meramente dichiarativa, come tale non incidente sulla natura di atto contrattuale privato del suddetto accordo (Cass. 15169/2022, con riferimento ad un trasferimento immobiliare).
Le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni ‒ mobili o immobili ‒ o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide.
Ciò in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c. (Cass. S.U. 21761/2021).
Ed inoltre, l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto neppure al giudice per l’omologazione (Cass. 24621/2015) e questa Corte ha stabilito che la soluzione dei contrasti interpretativi, tra una pattuizione «a latere» ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetta al Giudice di merito ordinario, il quale dovrà fare ricorso ai criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. in tema di interpretazione dei contratti.
La natura di contratti estranei all’oggetto del giudizio di divorzio (status, assegno di mantenimento per il coniuge o per i figli, casa coniugale) ‒ seppure aventi causa nella crisi coniugale ‒ ne evidenzia la natura di contratti, impugnabili secondo le regole ordinarie, ma certamente non rivedibili in sé, ai sensi dell’art. 9 l. 898/1970.
2.5. Considerazioni peculiari vanno invece svolte con riferimento a quelle pattuizioni che, sebbene contenute in un patto aggiunto e contestuale all’accordo di divorzio congiunto, siano, tuttavia, strettamente connesse a questo, per volontà delle parti, e non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, o in contrasto con norme inderogabili.
Nella specie, in sede di scrittura privata, contestuale al deposito del divorzio congiunto, le parti stabilivano che «ad integrazione del contributo al mantenimento di € 3.500,00 mensili», di cui all’art.4 delle condizioni del ricorso consensuale presentato, il T.D.M. si obbligava a versare alla M.F. «la somma integrativa» di € 2.500,00 mensili.
Nel caso concreto, dunque, il patto aggiuntivo all’accordo congiunto era espressamente qualificato come patto «ad integrazione del contributo al mantenimento», sicchè la natura di accordo integrativo degli altri accordi ‒ coevi, anche se non contestuali ‒ ascrivibile a tale patto risulta innegabile, con la conseguenza che la Corte d’appello avrebbe dovuto tenerne conto, ai fini della revisione dell’assegno divorzile, ai sensi dell’art. 9 l. 898/1970, una volta accertata l’esistenza di una sopravvenienza, costituita dalla convivenza della moglie con altra persona.
Tale patto, invero, non aveva solo causa nella crisi coniugale ma oggetto esulante dal giudizio divorzile, come i contratti autonomi succitati (Trasferimenti di beni, transazioni), ma a differenza da questi rientrava a pieno titolo nell’oggetto del giudizio divorzile, in quanto espressamente diretto ad integrare l’assegno di divorzio.
Nella specie, quindi, l’accordo stipulato contestualmente al deposito del ricorso congiunto di divorzio trovava non solo «causa» nel divorzio, ma era strettamente attinente all’oggetto di tale giudizio, attenendo all’adempimento dell’obbligo, rientrante nei doveri di solidarietà post coniugale, di versare l’assegno al coniuge economicamente più debole ad integrazione di quanto recepito nelle condizioni economiche della sentenza di divorzio, anche se esso, rientrando nella autonomia negoziale, non era assoggettato al rispetto dei criteri dettati dall’art.5 l. n. 898/1970.
2.6. Allora, se è da ritenersi valido ed efficace detto accordo, nella interpretazione evolutiva di questa giurisprudenza di legittimità, esso deve poter rilevare ai fini della revisione ex art.9 l.div. e di esso il giudice della famiglia deve tenere conto.
E ciò nel senso che, pur non potendo il giudice intervenire direttamente sull’accordo contrattuale «a latere» operante inter partes […] laddove non contenga espresse pattuizioni contrarie e sia strettamente connesso alle condizioni pattuite con il ricorso per divorzio congiunto, deve essere preso in considerazione dal giudice in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio ex art.9 l. 898/1970.
Non viene, in tal modo, ad essere direttamente modificato quell’accordo negoziale […], ma la quantificazione del nuovo assegno divorzile, spettante alla ex moglie, oramai nella sua sola componente compensativa, per effetto della nuova stabile convivenza intrapresa dalla stessa con altra persona.
Tale valutazione trae origine a seguito del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nel 2021 e deve essere operata tenendo conto di quanto complessivamente il marito è obbligato a versare alla moglie, sulla base dei provvedimenti contenuti nella sentenza di divorzio (che recepivano l’accordo tra le parti) e degli obblighi assunti nell’accordo contestuale a latere di carattere integrativo.
2.7. Anche la seconda doglianza va accolta, nel senso che il giudice del rinvio dovrà rideterminare l’assegno divorzile, tenendo conto del menzionato patto, della sopravvenienza suindicata, e dei principi esposti da Cass.Sez.Un. 32198/2021.
Nella fattispecie, in sede di separazione consensuale […] il marito aveva riconosciuto alla moglie un unico contributo al mantenimento […] mentre, in sede di divorzio, con sentenza […] emessa su conclusioni conformi delle parti, e con la scrittura privata […] il marito aveva voluto riconoscere alla ex moglie un contributo al ménage domestico ed un assegno divorzile […].
La Corte d’appello ha ritenuto, peraltro dando questa volta rilievo ‒ dopo averne, in maniera contraddittoria, escluso la rilevanza ai fini del giudizio de quo ‒ alla scrittura privata «a latere», che le parti, assistite dai rispettivi difensori, avessero inteso fare così richiamo ai vigenti principi giurisprudenziali sulla natura compositiva, assistenziale e anche perequativa-compensativa, dell’assegno divorzile.
Così la nuova convivenza non era idonea a fondare una revoca totale dell’assegno, non potendo incidere sulla componente perequativa-compensativa, ritenuta già, espressamente o implicitamente, dalle parti nel divorzio su domanda congiunta, accompagnato da pattuizione «a latere», migliorativa per il coniuge parte debole, presa in considerazione, senza necessità di ulteriore prova da parte del coniuge beneficiario […].
Ma, al contrario, una volta ritenuta la sopravvenienza di un fatto idoneo alla revisione dell’assegno, si doveva verificare, alla luce delle Sezioni Unite del 2021, la permanenza del diritto all’assegno divorzile, in relazione alla componente perequativo-compensativa, che doveva essere verificata e quantificata, anche tenendo conto della pattuizione a latere.
3 […]