Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza, 2 luglio 2024, n. 18092
PRINCIPIO DI DIRITTO
Nell’ipotesi di un contratto di prestazione di servizi fra un consumatore residente in un dato Stato membro ed un professionista, che effettua la sua prestazione servendosi di un sito internet in lingua inglese accessibile ad una platea indefinita di possibili acquirenti, sparsi in diversi Stati dell’Unione, ai fini dell’applicabilità dell’art. 18 del Regolamento UE n. 1215/2012, va dichiarata necessaria la manifestazione di volontà del professionista in questione di stabilire rapporti professionali e/o commerciali con i consumatori di un determinato Stato membro.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 17 e 18 del Regolamento UE n. 1215 del 2012, censurando la decisione impugnata per non avere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello austriaco.
Si assume al riguardo che la Corte di appello avrebbe dovuto considerare che l’attività del mediatore di ricerca dell’acquirente si era svolta avvalendosi del suo sito internet, nella duplice versione in lingua italiana ed in lingua inglese, che era pacificamente attivo e consultabile in altri Paesi e quindi anche in Austria, da cui il ricorrente stesso, che vi è residente, lo aveva individuato al fine di conferirgli l’incarico professionale.
Ne consegue che, essendosi l’attività professionale del mediatore svolta anche in Austria e dovendosi riconoscere all’attuale ricorrente nell’ambito del rapporto la qualità di consumatore, la domanda avrebbe dovuto essere proposta, ai sensi del citato Regolamento, davanti al giudice austriaco.
- Il motivo è infondato.
2.1. Occorre precisare che la qualità di consumatore va riconosciuta al soggetto – che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente esercitata – il quale, al fine di vendere un suo immobile, dà incarico ad una agenzia immobiliare di ricercare un acquirente.
Il rapporto contrattuale che si instaura a seguito dell’incarico delinea infatti posizioni del tutto coincidenti con le definizioni di professionista e consumatore di cui all’art. 4 della Direttiva 2013/11/UE ed all’art. 3, comma 1, lett. a) e c), del d.lgs. n. 206 del 6. 9. 2005, vedendo, da una parte, l’agente immobiliare che esercita la propria attività in forma professionale e, dall’altra, il cliente, che agisce quale comune consumatore.
Questa conclusione, che costituisce del resto un dato pacifico in causa, trova conferma sia nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (sentenza 9. 3. 3023 C-177/22, in tema di applicazione del Regolamento UE n. 1215/2012), che nella giurisprudenza nazionale, che, sulla base delle definizioni contenute nell’art. 3 del d.l.gs. 6.9.2005, n. 206, applica al rapporto di agenzia immobiliare le disposizioni contenute nel codice del consumo (Cass. n. 783 del 2024; Cass. n. 9612 del 2023; Cass. n. 19565 del 2020; Cass. n. 23412 del 2018).
2.3. L’art. 7, n. 1) a), del Regolamento UE n. 1215 del 12.12.2012, prevede che, in materia contrattuale, una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta davanti all’autorità giudiziaria del luogo di esecuzione della obbligazione dedotta in giudizio, individuabile, nel caso di prestazione di servizi, nel luogo in cui la a relativa attività è stata o avrebbe dovuto essere svolta in base al contratto.
L’art. 18, comma 2, inserito nella Sezione 4, “Competenza in materia di contratti conclusi da consumatori”, deroga tuttavia alla regola suddetta, stabilendo che “L’azione dell’altra parte del contratto contro il consumatore può essere proposta solo davanti alle autorità giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore”.
Ai sensi del precedente art. 17, il criterio posto dall’art. 18 non si applica però in tutti i casi di contratti conclusi da consumatori, ma soltanto in una serie di fattispecie, tra cui, per quanto qui interessa, quella in cui “il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali si svolgono nello Stato membro in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato membro o verso una pluralità di Stati che comprende tale Stato membro, purché il contratto rientri nell’ambito di dette attività“ ( comma 1 lett. c) ).
Nell’ipotesi considerata, la regola secondo cui il consumatore può essere convenuto solo nello Stato ove ha il suo domicilio resta pertanto condizionata dalla circostanza che l’attività commerciale o professionale si sia svolta, anche in forma non esclusiva, in detto Stato.
Proprio la ricorrenza nel caso di specie di tale condizione costituisce la questione controversa sollevata con il primo motivo di ricorso.
2.4. In particolare, il motivo ripropone l’eccezione, già svolta in sede di opposizione a decreto ingiuntivo e poi reiterata in appello, di difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello austriaco.
Il ricorrente argomenta la censura sulla base del duplice rilevo di avere la propria residenza in Austria, senza alcun domicilio in Italia, e che la controparte, nell’espletare l’attività di esecuzione dell’incarico per la ricerca di un acquirente del proprio immobile, si era avvalsa del proprio sito internet, sia in lingua italiana (http:/www.golhause.it/it) che in lingua inglese (http:/www.golhause.it/en ), così orientando l’offerta ad una platea di possibili acquirenti sparsa in diversi Paesi, tra cui certamente anche l’Austria, da cui lo stesso opponente, tramite il suddetto sito, lo aveva individuato e quindi contattato al fine di conferire l’incarico di mediazione per la vendita.
La Corte di appello, data per accertata e pacifica la residenza dell’opponente in Austria, ha rigettato l’eccezione affermando che non vi era prova che la mediatrice S.M. svolgesse la propria attività professionale anche in Austria, deponendo anzi in contrario la circostanza che ella utilizzasse un dominio internet italiano, sicché doveva ritenersi che la sua attività si rivolgesse esclusivamente ad una clientela italiana e quindi si dispiegasse interamene in Italia.
Ha quindi ritento mancante la condizione di fatto in presenza della quale il citato Regolamento, nelle cause in cui il consumatore è convenuto, stabilisce la giurisdizione esclusiva del Paese in cui egli ha il domicilio.
2.5. La questione posta dal motivo è se l’attività del mediatore professionale volta alla ricerca di un possibile acquirente di un bene immobile, realizzata mediante l’inserimento dell’offerta in un sito internet, possa considerarsi, di per sé, vale a dire in forza del mezzo di comunicazione usato, attività diretta verso una pluralità di Stati, ai sensi dell’art. 17, comma 1 lett. c), del Regolamento UE n. 1215/2012.
Il quesito merita risposta negativa, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea.
In particolare deve darsi conto che la Corte di Giustizia, interpellata in via pregiudiziale, con la sentenza del 7. 12. 2010 C-585/08 e C-144/09, riferita all’art. 15 del Regolamento CE n. 44, avente identico tenore dell’art. 17, comma 1 lett. c) del successivo Regolamento n. 1215 del 2012, ha avuto modo di precisare che, ai fini della sua applicabilità, è necessario che il professionista abbia manifestato la propria volontà di stabilire rapporti con i consumatori di uno o più Stati membri, tra cui quello ove il consumatore è domiciliato.
Dato atto che il Regolamento in questione ha disatteso il suggerimento di inserire un considerando a termini del quale la commercializzazione di beni o servizi mediante uno strumento elettronico accessibile in uno Stato membro costituirebbe un’attività “diretta verso” lo Stato medesimo, la sentenza ha quindi affermato in via di principio che la formula impiegata dalla citata disposizione deve essere interpretata nel senso che la fattispecie ricorre laddove il professionista utilizzi forme di comunicazione o di pubblicità intenzionalmente indirizzate a svolgere l’attività in un Paese diverso da quello in cui normalmente la svolge, implicanti a tal fine l’utilizzo di risorse finanziarie, mentre deve escludersi per il solo fatto che tale attività sia svolta a mezzo internet, che per sua natura è accessibile in tutti i paesi dell’Unione, indipendentemente dalla volontà del professionista di rivolgersi o meno ai consumatori di altri Stati membri, fatta salva comunque la valutazione di concomitanti indizi che portino a ritenere che l’uso di internet sia rivolto proprio a raggiungere gli utenti di un determinato Paese.
La tesi propugnata dal ricorso, secondo cui la pubblicazione sul sito internet implicherebbe di per sé un’attività dell’agente rivolta ad una pluralità di Stati, compreso quello in cui egli era residente, non può pertanto essere accolta.
E’ noto infatti il principio che le sentenze della Corte di Giustizia UE hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, essendo tale organo il solo deputato all’interpretazione delle norme comunitarie (Cass. n. 2468 del 2016; Cass. n. 17993 del 2015; Cass. n. 22557 del 2012).
2.6. Rimane tuttavia la questione se, nel caso concreto, vi siano elementi per poter ritenere che l’agente immobiliare, attraverso la suddetta pubblicazione, avesse manifestato la volontà di svolgere la propria attività di mediazione anche nel Paese di residenza del ricorrente.
La sentenza della Corte europea citata, nel ritenere insufficiente a tale effetto la mera utilizzazione di un sito internet, ammette infatti che la volontà del professionista di svolgere la propria attività nel Paese in cui è domiciliato il consumatore possa essere presunta da una serie di circostanze, che elenca in modo non esaustivo ed in cui comprende, per quanto qui rileva, la lingua usata.
Assume al riguardo il ricorso che al fine di dimostrare che l’attività del mediatore si era svolta anche in Austria sarebbero rilevanti due circostanze: l’avere lo stesso ricorrente scelto e contattato, dall’Austria, l’agenzia di Milano attraverso il suo sito internet e il fatto che esso abbia anche una versione in lingua inglese.
Premesso che sulle questioni di giurisdizione questa Corte ha cognizione piena anche in ordine alla valutazione dei fatti (Cass. Sez. un. n. 567 del 2024; Cass. Sez. un. n. 34851 del 2023; Cass. Sez. un. n. 1717 del 2020), si osserva che nessuna di dette circostanze è idonea a provare che l’attività di mediazione sia stata intenzionalmente diretta a realizzarsi anche in Austria.
Non la prima, che dimostra soltanto la mera accessibilità da quello Stato al sito dell’agenzia, che di per sé è conseguenza insita nel sistema internet; non la seconda, in quanto la lingua usata è quella più diffusa in ambito internazionale e non è quella principale propria del Paese di residenza del ricorrente.
Il motivo va pertanto respinto.
3.1. Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., assumendo che la Corte di appello, nell’affermare la fondatezza della pretesa dell’agente al pagamento della provvigione, non ha valutato correttamente i documenti e le risultanze di causa.
In particolare non ha considerato che il diritto alla provvigione non era sorto dal momento che il B.M. non aveva concluso alcun contratto con il futuro acquirente dell’immobile.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che la proposta irrevocabile di acquisto formulata dalla Fabris fosse stata accettata dal ricorrente, senza avvedersi che la risposta da questi data conteneva una controproposta, su cui non era mai sopraggiunta accettazione. Ne consegue che, in mancanza di un contratto relativo alla vendita del bene, il diritto del mediatore alla provvigione non era maturato.
3.2. Il motivo è inammissibile.
La censura investe la valutazione dei documenti di causa da parte della Corte di appello, che costituisce un’operazione demandata dalla legge alla esclusiva competenza del giudice di merito, in quanto tale non sindacabile in sede di giudizio di legittimità.
Si osserva inoltre che il ricorso nemmeno riproduce il contenuto dell’atto che assume erroneamente interpretato, mancanza che impedisce di per sé ogni apprezzamento in ordine alla sua decisività.
Si richiama in proposito la pronuncia di questa Corte a Sezioni unite n. 20867 del 2020, la quale ha precisato che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli dalla legge, mentre la censura di violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, attribuendole un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente mezzo di prova.
- Il ricorso va pertanto respinto.
Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso