Corte di Giustizia UE, IV Sezione, sentenza 04 luglio 2024 (causa C-450/2022)
PRINCIPIO DI DIRITTO
1) L’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che consentono a un giudice nazionale di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale nell’ambito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti dello stesso settore economico e riguardante un numero molto elevato di contratti, purché tali contratti contengano la medesima clausola o clausole simili.
2) L’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che consentono a un giudice nazionale, investito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti del medesimo settore economico e avente ad oggetto un numero molto elevato di contratti, di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale basandosi sulla percezione del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, quando tali contratti si rivolgono a categorie specifiche di consumatori e tale clausola è stata utilizzata per un periodo molto lungo. Tuttavia, se, durante tale periodo, la percezione globale del consumatore medio riguardo a detta clausola è stata modificata dall’intervento di un evento oggettivo o di un fatto notorio, la direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale proceda a tale controllo tenendo conto dell’evoluzione della percezione di tale consumatore, fermo restando che la percezione pertinente è quella esistente al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
24 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che consentono a un giudice nazionale di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale nell’ambito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti rientranti nello stesso settore economico, e che riguarda un numero molto elevato di contratti.
25 Si deve anzitutto osservare, in proposito, che, nel sistema di tutela attuato dalla direttiva 93/13, i consumatori possono far valere i loro diritti riconosciuti da tale direttiva sia mediante un’azione individuale sia mediante un’azione collettiva.
26 Parallelamente al diritto soggettivo di un consumatore di adire un giudice per l’esame dell’abusività di una clausola di un contratto di cui è parte, il meccanismo di cui all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13 consente agli Stati membri di promuovere un controllo sulle clausole abusive contenute in contratti tipo mediante azioni inibitorie avviate nell’interesse pubblico da associazioni per la tutela dei consumatori (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba, C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 21).
27 Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13, siffatte azioni collettive possono essere dirette, nel rispetto della legislazione nazionale, separatamente o congiuntamente, contro più professionisti dello stesso settore economico o loro associazioni che utilizzano o raccomandano l’impiego delle stesse clausole contrattuali generali o di clausole simili.
28 Se è vero che i diritti riconosciuti dalla direttiva 93/13 possono quindi essere esercitati mediante un’azione individuale o un’azione collettiva, tali azioni hanno, nell’ambito di tale direttiva, obiettivi ed effetti giuridici diversi (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba, C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 30).
29 Pertanto, per quanto riguarda le azioni individuali, la situazione di disuguaglianza esistente tra un consumatore e il professionista interessato, sulla quale si basa il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13, richiede un intervento positivo del giudice nazionale che è tenuto a valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale tenendo conto, come richiesto dall’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva, della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto di cui trattasi e facendo riferimento, al momento della conclusione di tale contratto, a tutte le circostanze che accompagnano tale conclusione, nonché a tutte le altre clausole di detto contratto, o di un altro contratto da cui esso dipende (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba, C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punti da 21 a 24 e giurisprudenza ivi citata).
30 Per contro, come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, la presa in considerazione di tutte le circostanze concrete che accompagnano la conclusione di un contratto, che caratterizza le azioni individuali, non pregiudica l’applicazione dell’articolo 7 di tale direttiva e non deve, pertanto, ostare all’esercizio di un’azione collettiva.
31 La Corte ha dichiarato al riguardo che la natura preventiva e la finalità dissuasiva delle azioni inibitorie proposte dalle persone o dalle organizzazioni aventi un interesse legittimo a tutelare i consumatori di cui all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 93/13, nonché l’indipendenza di tali azioni nei confronti di qualsiasi conflitto individuale concreto, implicano che dette azioni possano essere esercitate anche qualora le clausole di cui si chiede l’inibitoria non siano state utilizzate in contratti determinati (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba, C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
32 Per quanto riguarda, in particolare, il rapporto tra le azioni individuali e le azioni collettive, occorre ricordare che, in assenza di armonizzazione nella direttiva 93/13 degli strumenti procedurali disciplinanti tale rapporto, spetta a ciascun ordinamento giuridico interno stabilire siffatte norme, in forza dell’autonomia processuale degli Stati membri, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sales Sinués e Drame Ba, C‑381/14 e C‑385/14, EU:C:2016:252, punto 32 e giurisprudenza ivi citata). Tali norme non possono quindi pregiudicare l’esercizio effettivo della possibilità di scegliere, offerta ai consumatori nella direttiva 93/13, di far valere i loro diritti mediante un’azione individuale o mediante un’azione collettiva, facendosi rappresentare da un’organizzazione avente un interesse legittimo a tutelarli.
33 Nel caso di specie, si deve osservare che il giudice del rinvio si interroga sulla misura in cui un’azione collettiva costituisce un meccanismo giurisdizionale appropriato che consente di far procedere al controllo della trasparenza di una clausola di tasso minimo contenuta in contratti di mutuo ipotecario, qualora tale azione sia diretta contro numerosi professionisti che hanno concluso numerosi contratti di questo tipo per un lungo periodo.
34 Per quanto riguarda, in primo luogo, la nozione di «trasparenza» nel contesto della direttiva 93/13, occorre ricordare che il requisito di trasparenza delle clausole contrattuali costituisce una regola generale applicabile alla redazione delle clausole utilizzate nei contratti conclusi con i consumatori. In proposito, l’articolo 5 di detta direttiva stabilisce che, nel caso dei contratti di cui tutte le clausole o talune clausole sono proposte al consumatore per iscritto, tali clausole «devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile».
35 La portata di tale obbligo di redazione chiara e comprensibile, che traduce il requisito di trasparenza gravante sui professionisti, non dipende dal tipo di azione, individuale o collettiva, mediante la quale un consumatore o un’organizzazione che abbia un interesse legittimo a tutelarlo intendono far valere i diritti riconosciuti dalla direttiva 93/13.
36 Pertanto, la giurisprudenza derivante da azioni individuali e relativa al requisito di trasparenza è trasponibile alle azioni collettive. Occorre ricordare al riguardo che, secondo tale giurisprudenza, tale requisito non può essere limitato al solo carattere comprensibile sul piano formale e grammaticale di una clausola, ma deve, al contrario, essere inteso in modo estensivo, in quanto il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 si basa sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda, in particolare, il livello di informazione [v., in tal senso, sentenza del 16 marzo 2023, Caixabank (Commissione di apertura del mutuo), C‑565/21, EU:C:2023:212, punto 30 e giurisprudenza ivi citata].
37 Detto requisito di trasparenza impone quindi non solo che una clausola sia intellegibile per il consumatore interessato sui piani formale e grammaticale, ma anche che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia posto in grado di comprendere il funzionamento concreto di tale clausola e di valutare così, sulla base di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una siffatta clausola sui suoi obblighi finanziari (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).
38 Da quanto precede risulta che, nel sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13, il controllo giurisdizionale del carattere trasparente delle clausole contrattuali non può essere limitato alle sole clausole oggetto di azioni individuali. Nessuna disposizione di tale direttiva consente infatti di ritenere che tale controllo sia escluso per quanto riguarda le clausole oggetto di azioni collettive, fatto salvo, tuttavia, il rispetto delle condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 3, di detta direttiva, vale a dire che, qualora essa sia intentata contro più professionisti, un’azione collettiva sia diretta contro professionisti di uno stesso settore economico, da un lato, che utilizzano o raccomandano l’impiego delle stesse clausole contrattuali generali o di clausole simili, dall’altro.
39 Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’esame del carattere trasparente di una clausola contrattuale che spetta al giudice nazionale effettuare nell’ambito di un’azione collettiva, si deve osservare che, per sua stessa natura, tale esame non può riguardare circostanze proprie di situazioni individuali, ma verte su prassi standardizzate di professionisti.
40 Pertanto, l’obbligo del giudice nazionale di verificare, nell’ambito di un’azione individuale, se siano stati portati a conoscenza del consumatore tutti gli elementi idonei ad incidere sull’impegno del consumatore interessato, tenendo conto delle circostanze che accompagnano la conclusione del contratto di cui trattasi e prendendo in considerazione la comunicazione, prima della conclusione di tale contratto, delle informazioni relative alle condizioni contrattuali e alle conseguenze di tale conclusione, [v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, D.V. (Compenso dell’avvocato – Principio della tariffa oraria), C‑395/21, EU:C:2023:14, punti 38 e 39 e giurisprudenza ivi citata], deve essere adattato alle particolarità delle azioni collettive, in particolare tenuto conto della natura preventiva di queste ultime e della loro indipendenza rispetto a qualsiasi conflitto individuale concreto, ricordate al punto 31 della presente sentenza.
41 Pertanto, nell’ambito di un’azione collettiva, spetta al giudice nazionale, nel valutare il carattere trasparente di una clausola contrattuale, quale una clausola di tasso minimo, esaminare, in funzione della natura dei beni o dei servizi oggetto dei contratti di cui trattasi, se il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia in grado, al momento della conclusione del contratto, di comprendere il funzionamento di tale clausola e di valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di quest’ultima. A tal fine, detto giudice deve tener conto dell’insieme delle pratiche contrattuali e precontrattuali standard seguite da ciascun professionista interessato, tra le quali figurano, in particolare, la redazione di detta clausola e il posizionamento di quest’ultima nei contratti tipo utilizzati da ciascun professionista, la pubblicità che è stata fatta dei tipi di contratti oggetto dell’azione collettiva, la diffusione delle offerte precontrattuali generalizzate rivolte ai consumatori nonché ogni altra circostanza che detto giudice ritenga rilevante al fine di esercitare il suo controllo per quanto concerne ciascuno dei convenuti.
42 Per quanto riguarda, in terzo luogo, la questione se la complessità di una causa, a causa del numero molto elevato dei convenuti, dei contratti conclusi nel corso di un lungo periodo e delle molteplici formulazioni delle clausole interessate, possa impedire la realizzazione di un controllo della trasparenza di tali clausole, occorre anzitutto osservare che, come rilevato al punto 38 della presente sentenza, l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 subordina l’esercizio di un’azione collettiva nei confronti di più professionisti a due condizioni, vale a dire che una siffatta azione sia diretta contro professionisti di uno stesso settore economico, da un lato, e che questi ultimi utilizzino o raccomandino l’utilizzo delle stesse clausole contrattuali generali o di clausole simili, dall’altro.
43 Per quanto riguarda la prima di tali condizioni, è pacifico nel caso di specie che i convenuti nel procedimento principale appartengono allo stesso settore economico, vale a dire quello degli enti creditizi. La circostanza che l’azione intentata nel procedimento principale sia diretta contro un numero considerevole di enti creditizi non costituisce un criterio pertinente al fine di valutare l’obbligo che incombe al giudice nazionale di esaminare la trasparenza di clausole contrattuali simili, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13, in quanto, come risulta da tale disposizione, un’azione collettiva può essere diretta, separatamente o congiuntamente, contro più professionisti del medesimo settore. Infatti, la complessità di una causa non può pregiudicare l’effettività dei diritti soggettivi riconosciuti dalla direttiva 93/13 ai consumatori che non possono essere messi in discussione dalle sfide di ordine organizzativo sollevate da una causa.
44 Per quanto riguarda la seconda di dette condizioni, occorre constatare che spetta al giudice nazionale determinare, nel rispetto del suo diritto interno, se tra le clausole contrattuali oggetto di un’azione collettiva esista un grado di somiglianza sufficiente a consentire l’esercizio di tale azione. In proposito, dalla formulazione stessa dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 risulta che non è necessario che tali clausole siano identiche. Inoltre, una siffatta somiglianza non può essere esclusa per il solo fatto che i contratti in cui esse figurano sono stati conclusi in momenti diversi o in vigenza di normative diverse, a pena di svuotare l’articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva 93/13 di gran parte del suo contenuto e di pregiudicare così l’effetto utile di tale disposizione.
45 Nel caso di specie, fatte salve le verifiche che spetterà al giudice del rinvio effettuare, risulta che le clausole di tasso minimo utilizzate nei contratti di mutuo ipotecario di cui trattasi contengono, in sostanza, l’indicazione di un tasso minimo al di sotto del quale il tasso d’interesse variabile non può diminuire, allorché il loro meccanismo di funzionamento è, in linea di principio, sempre lo stesso. Di conseguenza, tali clausole sembrano poter essere qualificate come «simili», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13.
46 Alla luce di tutto quanto precede, si deve rispondere alla prima questione che l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi consentono a un giudice nazionale di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale nell’ambito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti dello stesso settore economico e riguardante un numero molto elevato di contratti, purché tali contratti contengano la medesima clausola o clausole simili.
Sulla seconda questione
47 Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 consentano a un giudice nazionale, investito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti del medesimo settore economico e avente ad oggetto un numero molto elevato di contratti, di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale, basandosi sulla percezione del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, qualora tali contratti si rivolgano a categorie specifiche di consumatori e tale clausola sia stata utilizzata per un periodo molto lungo nel corso del quale il grado di conoscenza di quest’ultima si è evoluto.
48 Al riguardo occorre rilevare che, come risulta da una giurisprudenza costante e come ricordato al punto 37 della presente sentenza, la trasparenza di una clausola contrattuale e la misura in cui tale clausola consente di comprenderne il funzionamento e di valutarne le conseguenze economiche, potenzialmente significative, sono esaminati prendendo in considerazione la percezione del consumatore medio, definito come normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto [v., in tal senso, in particolare, sentenze del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 51, e del 20 aprile 2023, Ocidental – Companhia Portuguesa de Seguros de Vida, C‑263/22, EU:C:2023:311, punto 26 e giurisprudenza ivi citata].
49 Analogamente alla nozione generica di «consumatore», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, che ha carattere oggettivo e prescinde dalle conoscenze concrete che l’interessato può avere o dalle informazioni di cui egli realmente dispone (v., in tal senso, sentenza del 21 marzo 2019, Pouvin e Dijoux, C‑590/17, EU:C:2019:232, punto 24 e giurisprudenza ivi citata), l’utilizzo di un criterio di riferimento astratto per il controllo della trasparenza di una clausola contrattuale consente di evitare di far dipendere tale controllo dal ricorrere di un complesso insieme di fattori soggettivi che è difficile, se non impossibile, dimostrare.
50 Come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 83 delle sue conclusioni, dal momento che, nell’ambito di un’azione individuale, le conoscenze specifiche che si ritiene abbia un consumatore non sono tali da giustificare un qualsiasi scostamento dal livello di conoscenze del consumatore medio, le caratteristiche individuali di diverse categorie di consumatori non possono, a maggior ragione, essere prese in considerazione nell’ambito di un’azione collettiva.
51 Nel caso di specie, il giudice del rinvio rileva che, a causa del numero considerevole di professionisti che hanno concluso contratti di mutuo ipotecario, della loro ripartizione geografica su tutto il territorio nazionale nonché del lungo periodo di utilizzo delle clausole di tasso minimo durante il quale si sono succedute diverse normative, l’azione collettiva di cui al procedimento principale riguarda categorie specifiche di consumatori difficili da raggruppare, ossia, in particolare, consumatori che hanno ripreso prestiti conclusi da promotori immobiliari, consumatori rientranti in programmi di finanziamento di alloggi sociali o di accesso agli alloggi pubblici secondo determinate fasce di età o ancora consumatori che hanno avuto accesso ai prestiti a regime speciale a causa della loro professione.
52 Orbene, si deve osservare che è proprio l’eterogeneità del pubblico interessato, a causa della quale è impossibile esaminare la percezione individuale di tutti gli individui che compongono tale pubblico, a rendere necessario il ricorso alla finzione giuridica del consumatore medio, consistente nel considerare quest’ultimo come una sola ed unica entità astratta la cui percezione globale è rilevante ai fini del suo esame.
53 Di conseguenza, nell’ambito della sua analisi della trasparenza delle clausole di tasso minimo al momento della conclusione dei contratti di mutuo ipotecario di cui trattasi, spetterà al giudice del rinvio basarsi sulla percezione del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, e ciò indipendentemente dalle differenze esistenti tra ciascun consumatore individuale cui si rivolgono i contratti in questione, in particolare per quanto riguarda il grado di conoscenza della clausola di tasso minimo, il livello di reddito, l’età o l’attività professionale. La circostanza che tali contratti si rivolgano a categorie specifiche di consumatori non è tale da condurre ad una conclusione diversa. Infatti, al fine di esaminare la trasparenza di clausole che figurano nelle condizioni generali di tutti questi contratti e il cui funzionamento è sostanzialmente identico, consistenti nel limitare la diminuzione del tasso d’interesse variabile al di sotto di una certa soglia, un giudice nazionale non può basarsi sulla percezione né di un consumatore meno avveduto del consumatore medio, né su quella di un consumatore più avveduto di quest’ultimo [v., in tal senso, sentenza del 21 settembre 2023, mBank (Registro polacco delle clausole illecite), C‑139/22, EU:C:2023:692, punto 66].
54 Tuttavia, non si può escludere a priori che, a causa dell’intervento di un evento oggettivo o di un fatto notorio, quali una modifica della normativa applicabile o un’evoluzione giurisprudenziale ampiamente diffusa e dibattuta, il giudice del rinvio ritenga che la percezione globale del consumatore medio riguardo alla clausola di tasso minimo, durante il periodo di riferimento, si sia modificata e abbia consentito a quest’ultimo di prendere coscienza delle conseguenze economiche, potenzialmente significative, derivanti da tale clausola.
55 In una fattispecie del genere, la direttiva 93/13 non osta a che si tenga conto dell’evoluzione, durante tale periodo, della percezione del consumatore medio, laddove il livello di informazione e di attenzione di quest’ultimo può quindi dipendere dal momento della conclusione dei contratti di mutuo ipotecario. Tuttavia, il giudice del rinvio deve applicare tale possibilità sulla base di elementi concreti e oggettivi che dimostrino l’esistenza di una siffatta modifica, che il mero decorso del tempo non è sufficiente a presumere.
56 Nel caso di specie, come risulta dalle discussioni svoltesi all’udienza dinanzi alla Corte, detto evento oggettivo o detto fatto notorio potrebbero consistere nel crollo dei tassi di interesse, caratteristico degli anni 2000, che ha comportato l’applicazione delle clausole di tasso minimo e quindi la presa di coscienza dei consumatori degli effetti economici di tali clausole o nella pronuncia della sentenza n. 241/2013 del Tribunal Supremo (Corte suprema), del 9 maggio 2013, che ha constatato la mancanza di trasparenza di dette clausole. Spetterà al giudice del rinvio verificare se, ai fini del controllo della trasparenza delle stesse clausole, tale crollo dei tassi di interesse o la pronuncia di tale sentenza abbiano potuto determinare un cambiamento, nel corso del tempo, del livello di attenzione e di informazione del consumatore medio al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario.
57 Alla luce di tutto quanto precede, si deve rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che consentono a un giudice nazionale, investito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti del medesimo settore economico e avente ad oggetto un numero molto elevato di contratti, di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale basandosi sulla percezione del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, quando tali contratti si rivolgono a categorie specifiche di consumatori e tale clausola è stata utilizzata per un periodo molto lungo. Tuttavia, se, durante tale periodo, la percezione globale del consumatore medio riguardo a detta clausola è stata modificata dall’intervento di un evento oggettivo o di un fatto notorio, la direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale proceda a tale controllo tenendo conto dell’evoluzione della percezione di tale consumatore, fermo restando che la percezione pertinente è quella esistente al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario.
Sulle spese
58 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
1) L’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori,
devono essere interpretati nel senso che:
consentono a un giudice nazionale di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale nell’ambito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti dello stesso settore economico e riguardante un numero molto elevato di contratti, purché tali contratti contengano la medesima clausola o clausole simili.
2) L’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 93/13
devono essere interpretati nel senso che:
consentono a un giudice nazionale, investito di un’azione collettiva diretta contro numerosi professionisti del medesimo settore economico e avente ad oggetto un numero molto elevato di contratti, di procedere al controllo della trasparenza di una clausola contrattuale basandosi sulla percezione del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, quando tali contratti si rivolgono a categorie specifiche di consumatori e tale clausola è stata utilizzata per un periodo molto lungo. Tuttavia, se, durante tale periodo, la percezione globale del consumatore medio riguardo a detta clausola è stata modificata dall’intervento di un evento oggettivo o di un fatto notorio, la direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale proceda a tale controllo tenendo conto dell’evoluzione della percezione di tale consumatore, fermo restando che la percezione pertinente è quella esistente al momento della conclusione di un contratto di mutuo ipotecario.