Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza 20 giugno 2024, n. 17097
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento) -, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i cd. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento.
Ne deriva che tale vizio non è configurabile per errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo.
La negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma ottavo, Cost., atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Motivi della decisione
- Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 1, e 362 cod. proc. civ., “difetto di giurisdizione per violazione dei limiti esterni, con appropriazione di funzioni proprie della PA” “contrasto tra la volontà espressa dalla Regione Lazio nella DGR 841/09 e il contenuto sostanziale della pronuncia gravata”; impugna, in particolare, i considerati in diritto nn. 8, 9, 11, 11.1, 14 e “denuncia violazione degli articoli 112 c.p.c., 1, 2, 3 e 7 c.p.a. per contrasto con gli articoli 111, 103, 3, 24 Cost. nonché 47 della Carta dei diritti fondamentali UE”.
1.1. Il Consiglio di Stato, nell’interpretare la delibera regionale impugnata, avrebbe fornito una soluzione che “non corrisponde con nessuna delle linee difensive delle parti pubbliche convenute” e “contrasta con prepotenza con la stessa lettera del provvedimento amministrativo”, finendo per sostituire “il volere della Regione Lazio… con il proprio intendimento” “irrimediabilmente travalicando i limiti posti dall’ordinamento alla propria giurisdizione”.
- Il secondo motivo denuncia “difetto di giurisdizione per grave irregolarità nella composizione del collegio. Violazione artt. 1, 2, 3, 6 c.p.a., 3, 24, 111 Cost.” posto che: 1) componeva il collegio giudicante la dott.ssa Loria Emanuela, già relatrice in fase istruttoria in primo grado innanzi al TAR Lazio; 2) poche settimane prima dell’udienza il presidente del collegio era stato sostituito (dottor Lopilato Vincenzo in luogo della dott.ssa Quadri), in violazione dei criteri di sostituzione.
- Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 1, e 362 cod. proc. civ., “difetto di giurisdizione per violazione dei limiti interni con rifiuto di giustizia”, impugnando i “considerati in diritto n. 10.5, 11.2, 11.3, 11.4, 11.5, 11.6, 11.7, 12, 12.1, 12.2, 12.3, 13, 14 per error iuris: violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 C.p.a., art. 5 PS1 di cui al DPCM 03/09/1998 in coord. con gli articoli 7 e 10 LU, nonché violazione della l. 183/1989 e del Dlgs 152/2006 in riferimento agli articoli 42 97 Cost. nonché degli artt. 1372, 2043 c.c., 112 c.p.c., nonché art. 3, 7, 9, 14, 14 quater l. 241/90 per contrasto con 111, 103, 3, 24 Cost e art 47 Carta dei diritti fondamentali UE, nonché falsa interpretazione degli atti di causa, in particolare del contenuto precettivo del verbale del comitato tecnico dell’Autorità di Bacino del fiume Tevere richiamato nel parere 397/C del 10/02/2009, nonché della determina conclusiva della conferenza Prologis del 22/11/2018 e conseguente rifiuto di giurisdizione in relazione ai motivi di diritto sub d1, d2, d3, d4, d5, e d6, articolati nell’atto d’appello”.
3.1. Il Consiglio di Stato, nel ritenere che la delibera regionale n. 841/2009 non costituiva atto di approvazione condizionato ma diniego, avrebbe statuito in “totale carenza di motivazione e totale assenza di analisi delle censure di appello”, realizzando un rifiuto di giurisdizione.
- Preliminarmente occorre precisare che, nel presente giudizio, non si pone una questione, formale, di “doppia conforme” quale limite alla proposizione del ricorso e delle censure in diritto.
4.1. La limitazione alla proponibilità del ricorso per cassazione, prevista originariamente dall’art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ. (ed ora trasfusa nel quarto comma dell’art. 360 per effetto dell’art. 3, comma 27, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), riguarda esclusivamente il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ossia di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, nella specie non formulato, né comunque in sé proponibile in punto di giurisdizione.
4.2. Resta pertanto disattesa l’eccezione di inammissibilità del controricorrente Regione Lazio, sollevata, peraltro, in relazione alle deduzioni sub lett. c1) del ricorso stesso.
- Tuttavia, il ricorso è parimenti inammissibile.
5.1. Appare opportuno premettere che, secondo il consolidato orientamento di queste Sezioni Unite, l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento) -, nonché di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i cd. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sé, ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento (tra le altre, Sez. U, n. 8311/2019; Sez. U, n. 19675/2020; Sez. U, n. 15573/2021; Sez. U, n. 11549/2022; Sez. U, n. 14301/2022; da ultimo Sez. U, n. 23532/2023).
Ne deriva che tale vizio non è configurabile per errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (tra le molte, successivamente alla sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, v. Cass., Sez. U, n. 7926/2019, Cass., Sez. U, n. 8311/2019, Cass., Sez. U, n. 29082/2019, Cass., Sez. U, n. 7839/2020, Cass., Sez. U, n. 19175/2020, Cass., Sez. U, n. 18259/2021, Cass. Sez. U, n. 31311/2021, Cass. Sez. U, n. 19341/2022).
5.2. Quanto alla dedotta violazione di norme unionali o della CEDU, invocate nel primo e terzo motivo (peraltro in carenza di specifica articolazione), va parimenti sottolineato che, secondo il recente ma consolidato orientamento di questa Corte, del tutto coerente con gli arresti della Corte di giustizia (sentenza 21 dicembre 2021, Randstad Italia Spa, in C-427/20), la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma ottavo, Cost., atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione (Sez. U, n. 32773/2018; Sez. U, 10087/2020; Sez. U, n. 19175/2020, Sez. U, n. 18882/2022).
- In tale ambito si collocano i motivi primo e terzo, che, come emerge univocamente dalla stessa formulazione, mirano in realtà a censurare le modalità di esercizio della funzione giurisdizionale e, anzi, a contestare sia l’attività di interpretazione delle norme, sia la valutazione degli atti operata dal giudice, attingendo le scelte ermeneutiche e processuali operate dal giudice, sicché resta estraneo al sindacato delle Sezioni Unite la verifica sulla delimitazione interna dell’ambito di un plesso giurisdizionale dal medesimo concretamente operata, posto che un controllo siffatto involgerebbe un inammissibile sindacato sui limiti interni a quella stessa giurisdizione.
6.1. Ne deriva, in particolare, che esula dal sindacato di questa Corte l’attività di interpretazione degli atti amministrativi oggetto di impugnazione per come operata dal Consiglio di Stato, esegesi che risponde al proprium dell’attività giurisdizionale, nella specie mirata, in evidenza, solo ad accertare il contenuto dell’atto e non a sostituire la scelta effettuata dall’Amministrazione con autonome valutazioni di opportunità o convenienza.
Del pari, la censura basata sull’asserita assenza di motivazione della sentenza o la carente decisione sulle doglianze proposte in appello non può essere esaminata in questa sede in quanto non compresa nei limiti del sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
6.2. Il Consiglio di Stato, in ogni caso, ha adeguatamente esposto le ragioni della decisione, che discendono dall’articolato esame dei rapporti tra i diversi piani territoriali (Piano di Bacino, PRG) e del dato letterale dell’atto impugnato, per cui l’approvazione riguardava solo le previsioni che erano “mera conferma delle vigenti” poiché queste erano “le uniche realizzabili secondo le prescrizioni”, mentre l’approvazione delle ulteriori modifiche dello strumento generale del Comune di Monterotondo restava rinviata successivamente “alla definizione e attivazione degli interventi per la messa in sicurezza”.
- Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
7.1. Il primo profilo (l’asserita partecipazione in sede istruttoria in primo grado di un componente del collegio) è, sotto un primo versante, inammissibile poiché quando “si contesti la eventuale partecipazione al collegio giudicante di un magistrato che avrebbe dovuto astenersi” la censura verte in tema di violazione di norme processuali “come tale esorbitante dai limiti del sindacato delle Sezioni Unite, atteso che la carenza di giurisdizione in relazione all’illegittima composizione dell’organo giudicante, è ravvisabile solo nelle diverse ipotesi di alterazioni strutturali dell’organo medesimo, per vizi di numero o qualità dei suoi membri, che ne precludono l’identificazione con quello delineato dalla legge” (Sez. U, n. 8951 del 18/03/2022; Sez. U, n. 27173 del 15/09/2022; Sez. U, n. 36628 del 14/12/2022).
Inoltre, nella concreta vicenda, sotto un secondo versante, neppure era configurabile un dovere di astensione: l’asserita partecipazione in primo grado aveva riguardato solo la fase istruttoria e non il momento decisionale (v. Cass. n. 23520 del 18/11/2016, secondo cui “L’obbligo di astensione imposto dall’art. 51, n. 4, c.p.c., la cui violazione, ove oggetto di deduzione mediante rituale istanza di ricusazione, è causa di nullità della sentenza, va circoscritto alla sola ipotesi in cui il giudice abbia partecipato alla decisione del merito della controversia in un precedente grado di giudizio, e non può estendersi al caso in cui questi si sia limitato ad istruire la causa in primo grado senza deciderla, oppure abbia ivi reso una pronuncia relativa alle deduzioni probatorie, trovandosi, poi, a conoscerne in grado di appello, trattandosi di provvedimento tipicamente ordinatorio, privo, pertanto, di qualunque efficacia decisoria.”; v. anche Cass. n. 25487 del 21/09/2021; Cass. n. 32837 del 8/11/2022); a maggior ragione, dunque, la questione resta estranea alla giurisdizione.
7.2. Inammissibile è anche il secondo profilo in quanto:
– la censura è meramente ipotetica e carente di specificità;
– la deduzione è articolata su un’eventuale violazione delle regole tabellari in ordine alla designazione del sostituto, sicché, in ogni caso, è inidonea a determinare un’alterazione qualitativa o quantitativa del collegio giudicante ovvero una totale carenza di legittimazione di uno o più dei suoi componenti o, anche, una assoluta inidoneità degli stessi e da comportare una non coincidenza dell’organo giurisdizionale con quello delineato dalla legge.
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