Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 25 luglio 2024, n. 30591
PRINCIPIO DI DIRITTO
Deve escludersi infatti che sussistano gli estremi del delitto di cui all’art. 388, comma 2, cod. pen. laddove la contestazione risulti, come nella specie, limitata, al semplice riferimento al mancato adempimento all’obbligo, imposto in sede di separazione personale, di versare una certa somma mensile al coniuge, quale contributo per il mantenimento dei figli minori. L’inosservanza di tale obbligo non rientra, infatti, nel paradigma delittuoso delineato dalla citata disposizione, la quale dà rilievo penale alla elusione dell’esecuzione di un “provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescrive misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito”. Il concetto di “affidamento” di cui alla richiamata disposizione attiene esclusivamente alla relazione di fatto con la persona (tenendola presso di sé) o al complesso dei rapporti morali o giuridici di protezione relativa alla persona; di contro, esula da tale concetto, pur ampio, l’aspetto economico connesso al provvedimento di affidamento, autonomo rispetto a questo e non riverberantesi sull’esecuzione di esso. Conseguentemente, la violazione dell’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori non concreta l’elusione del provvedimento del giudice in tema di affidamento dei minori stessi, proprio perché non va ad incidere direttamente sul rapporto interpersonale, che è oggetto esclusivo ed immediato della statuizione che disciplina l’affidamento.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il ricorso merita un parziale accoglimento cui consegue, per le ragioni di seguito precisate, l’annullamento con rinvio della decisione gravata limitatamente al tema della rideterminazione del trattamento sanzionatorio da irrogare all’imputato.
- In linea di principio va ribadito che, in caso di ribaltamento di una precedente statuizione assolutoria, la decisione di appello con la quale si pervenga al giudizio di responsabilità potrà ritenersi immune ai vizi solo se il relativo percorso argomentativo risulti tracciato mettendo in luce l’incompletezza o la non correttezza ovvero l’incoerenza delle argomentazioni spese a sostegno dell’assoluzione: la motivazione che sostiene la condanna disattendendo l’assoluzione resa in primo grado non può che essere frutto di una rigorosa e penetrante analisi critica della prima decisione seguita da completale/convincente dimostrazione che, sovrapponendosi ” in toto” a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, così da rispettare senza incertezze la regola di giudizio di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen.
- Avuto riguardo alla condanna per maltrattamenti, ad avviso del Collegio, la Corte di appello si è puntualmente attenuta al detto obbligo di “motivazione rafforzata”.
3.1. Al fine, giova evidenziare che il primo giudice ebbe a delimitare l’ambito delle condotte da considerare rispetto ai maltrattamenti contestati all’arco temporale, successivo al dicembre del 2015, nel corso del quale, dopo una iniziale separazione, sfociata nel provvedimento presidenziale citato dal capo a) della imputazione, era ripresa la convivenza familiare. In particolare, il portato della conflittualità da valorizzare nell’ottica dei ritenuti maltrattamenti venne circoscritto al periodo compreso tra settembre 2016 e giugno 2017, momento nel quale la convivenza ebbe (nuovamente) a cessare. Avuto riguardo a siffatto torno temporale, il Tribunale, senza mettere in discussione l’attendibilità soggettiva della persona offesa (ed anzi rimarcandone l’assenza di animosità e di intenti persecutori), nel pervenire all’esito assolutorio riferito ai maltrattamenti ebbe a sottolineare la genericità di riferimenti resi dalla dichiarante e per altro verso la intrinseca contraddittorietà del relativo narrato. Più precisamente, la persona offesa non sarebbe stata in grado di contestualizzare in modo circostanziato l’aggressività messa in atto dal marito, solo genericamente prospettata, limitandosi a puntualizzare solo tre episodi, due dei quali avvenuti (a dicembre 2016 e giugno 2017) nel corso della convivenza mentre un terzo doveva ritenersi successivo al cessare della stessa (quello dell’ottobre del 2017, confermato anche dal referto medico acquisito). Al contempo, la sentenza appellata mise in evidenza una contraddittorietà intrinseca del relativo narrato, giacché la persona offesa avrebbe riferito di violenze patite ogni sera nel tentativo di opporsi a rapporti sessuali imposti dal marito ma al contempo avrebbe anche evidenziato che lo stesso usciva ogni sera, per poi rientrare a tarda notte e spesso dopo giorni. Si evidenziava, ancora, l’altrettanto generico portato delle dichiarazioni della madre della persona offesa, che avrebbe notato lividi su braccia e gambe della figlia (piangente dopo un litigio), senza contestualizzare il dato riferito (se precedente o coincidente con quello coperto dalla imputazione).
3.2. In appello, una volta sentita nuovamente la persona offesa, se ne è invece rimarcata, alla luce anche delle precisazioni rese nel corso della nuova deposizione, la adeguatezza probatoria. Si è precisato che le condotte, ingiuriose e aggressive, tenute dall’imputato e riferite dalla B.B., avevano connotato anche la fase matrimoniale precedente alla separazione del 2014; e che, al ricongiungimento, avvenuto nel 2016, si era pervenuti solo per ragioni economiche, atteso che l’imputato non provvedeva al versamento del dovuto a titolo di mantenimento. In questa fase, dopo un iniziale momento di serenità, dal dicembre del 2016 erano nuovamente iniziate le condotte aggressive, verbali e fisiche, realizzate con cadenza pressoché quotidiana, sfociate talvolta in imposizioni sessuali. Condotte che in genere si realizzavano di notte e che erano continuate anche dopo la nuova separazione. Con la sentenza gravata, inoltre, si è ribadito che tali dichiarazioni avrebbero trovato conferme documentali (in particolare il referto medico del 2017 e foto attestanti le conseguenze di lesioni patite nel 2013, che seppur antecedenti al periodo coperto dall’imputazione, valevano da riscontro alla attendibilità della dichiarante); ma anche supporto nel narrato della madre (che, pur non riuscendo a circostanziare temporalmente i fatti riferiti, aveva raccolto gli sfoghi della figlia e visto dei lividi sul corpo della stessa, ancora una volta a conferma della complessiva attendibilità della parte civile). Il tutto a fronte di un narrato lineare, puntuale e sufficientemente circostanziato non messo in discussione dalle incertezze mostrate in primo grado, giustificate dalla delicatezza delle situazioni in fatto rassegnate con la deposizione e dal tempo trascorso rispetto al momento dell’escussione.
3.3. Ciò premesso, ritiene la Corte che la decisione di appello regga senza incertezze il confronto comparato con le argomentazioni spese in primo grado a sostegno della assoluzione, considerata, in particolare, l’evidente inadeguatezza di quest’ultima, peraltro connotata da una impostazione di fondo tutt’altro che condivisibile.
3.3.1. Sotto quest’ultimo versante, in particolare, non può non rimarcarsi come la decisione appellata delimitasse erroneamente il portato dell’imputazione da valorizzare nell’ottica dei maltrattamenti alle sole condotte realizzate nel corso del secondo momento di convivenza, escludendo quelle realizzate dopo la fine della relativa coabitazione, quando il ricorrente ebbe ad abbandonare definitivamente il domicilio coniugale. Di contro, in linea con quanto ritenuto in appello, la perduranza dei vincoli familiari -correlati al rapporto di coniugio, all’epoca non integralmente rescisso- dava conto della persistente sussistenza del contesto sociale apprezzato dalla norma di riferimento anche per le condotte successive al venir meno della seconda convivenza coniugale (così da consentire di implementare il numero degli episodi circostanziati già acquisiti in forza del narrato reso in primo grado primo, considerando in particolare anche quello dell’ottobre del 2017).
3.3.2. Ancora, la sentenza di primo grado escludeva, dal novero dei fatti apprezzabili a sostegno della credibilità della persona offesa, i riferimenti operati alle condotte tenute nel corso della convivenza matrimoniale precedente alla prima interruzione del rapporto. Condotte, queste, certamente estranee all’imputazione, ma altrettanto coerentemente apprezzate dalla Corte del merito nel valutare la complessiva credibilità soggettiva della persona offesa e del suo racconto, perché comunque destinate ad offrire un quadro di riferimento del relativo contesto familiare all’evidenza compatibile con il narrato della B.B., perché ulteriormente ribadito dagli specifici episodi, circostanziati e mai disconosciuti dal primo giudice, avvenuti nel torno di tempo compreso dall’imputazione. In questa ottica, del resto, anche le dichiarazioni della madre della B.B. sono state coerentemente apprezzate dalla Corte del merito, a differenza di quanto opinato dal Tribunale: per un verso, infatti, dette propalazioni non consentono di escludere che le condotte aggressive del ricorrente riferitele continuarono dopo il primo abbandono del domicilio comune; per altro verso, danno complessivo corpo al tema della aggressività del ricorrente siccome riferita alla dichiarante dalla figlia, quale che fosse il contesto temporale al quale riferire le confidenze riferite dalla persona offesa.
3.3.3. A ciò si aggiunga, ancora, che il modesto ambito temporale coperto dalle condotte in contestazione (in definitiva poco meno di un anno, considerato che l’ultima aggressione risale all’ottobre del 2017), di per sé non ostativo al riscontro della abitualità tipica dei maltrattamenti, finiva, al contempo, per contribuire al riscontro dei tratti costitutivi dell’ipotesi di reato contestata, già fermandosi al quadro fattuale fotografato dal primo giudice: denotava, infatti, una intensità reiterativa, nel breve periodo, degli episodi di vessazione puntualmente circostanziati dal narrato della B.B., già validati, nel loro portato di credibilità anche dal Tribunale. Al contempo, finiva anche per dare sostanza anche alle più generiche indicazioni legate agli agiti quotidiani patiti dalla persona offesa, che, proprio per la detta cadenza sistematica, erano difficili da circostanziare con maggiore dettaglio.
3.3.4. Il fatto, poi, che nella sentenza di appello non siano state apprezzate le altre deposizioni testimoniali è aspetto privo di valenza dirimente, alla luce del contesto unicamente familiare nel quale si innestavano le condotte vessatorie descritte dalla persona offesa, tale da rendere probatoriamente indifferente il narrato dei terzi estranei alla relativa realtà. Quanto, infine, alla intrinseca contraddittorietà rappresentata dal Tribunale (con riferimento ai diuturni abusi sessuali patiti dalla persona offesa riferiti in primo grado), vale osservare che la stessa, nella sua effettiva consistenza, risulta essenzialmente neutralizzata dalle precisazioni rese nel corso della deposizione resa in appello (con la quale le condotte aventi uno sfondo ” sessuale” non sono state più rappresentante in termini di sistematica quotidianità): in parte qua, piuttosto, il narrato si connota per una certa genericità (tanto da non aver supportato alcuna ulteriore imputazione ai danni del ricorrente) ma tanto non vale, di per sé, a mettere in discussione la complessiva attendibilità del racconto della B.B., per altri versi, probatoriamente consolidato. Da qui la reiezione del ricorso avuto riguardo alla condanna per maltrattamenti.
- Ad una soluzione diversa si perviene con riguardo alle altre imputazioni.
4.1. La sentenza merita una conferma parziale quanto alla ritenuta responsabilità per il reato di cui all’art. 570 comma 2, n. 2, cod. pen., escluso in primo grado per la ritenuta insussistenza del dolo. In linea di principio non possono che condividersi le argomentazioni rese dalla decisione gravata in relazione alla sostanziale indifferenza – sia sul piano della relativa condotta materiale che su quello del riscontro dell’elemento soggettivo del reato in contestazione – da ascrivere agli adempimenti parziali realizzati dal ricorrente laddove gli stessi non siano stati in grado di incidere sullo stato di bisogno dei soggetti beneficiari (nel caso non solo presunto, in ragione della minore età dei figli ma anche concretamente confermato dalla comprovata necessità della persona offesa di rivolgersi ai propri genitori a causa del mancato sostegno economico correlato agli inadempimenti del ricorrente). La sentenza, piuttosto, entra in una insanabile contraddizione laddove si precisa che in occasione del secondo periodo di coabitazione coniugale (settembre 2016/giugno 2017) il A.A. ” avrebbe pagato tutte le spese familiari e il canone di locazione”: situazione fattuale, quest’ultima, che mal si attaglia all’ipotesi di un adempimento parziale e lascia più coerentemente pensare all’insussistenza in sé della condotta materiale contestata in questo determinato contesto materiale. Siffatta situazione, così ricostruita, avrebbe dovuto portare alla conferma della decisione appellata limitatamente a tali condotte, seppur mutando la formula assolutoria. Ma produce, anche, ulteriori ricadute sulla responsabilità del A.A. in relazione a tale capo. La soluzione di continuità creata dal riscontrato adempimento impone, infatti, di frazionare in tre autonome porzioni fattuali l’unitarietà della contestazione mossa con l’imputazione. Occorrerà considerare partitamente, infatti: -le condotte comprese tra dicembre 2015 e agosto 2016, precedenti al detto adempimento integrale, attualmente tutte prescritte in mancanza di periodi di sospensione, non utilmente riscontrati; -le condotte comprese tra settembre 2016 e giugno 2017, per le quali, l’imputato andava assolto, per quanto già evidenziato; -le condotte successive al luglio 2017, realizzate sino alla sentenza di primo grado (9 ottobre 2020), in ragione del tipo di contestazione mossa (non chiusa alla data di esercizio dell’azione penale), rispetto alla quale vale il giudizio di responsabilità reso in appello, a fronte della indifferenza degli adempimenti parziali addotti dalla difesa mentre la mantenuta unitarietà della condotta riferita a questa porzione degli inadempimenti, riscontrati sottrae la relativa vicenda fattuale alla disciplina della prescrizione, portandola sotto l’egida propria dell’improcedibilità dettata dall’art 344 bis cod. proc. pen. Si impone in coerenza un annullamento della decisione impugnata che assume i toni dell’intervento rescindente integrale per i primi due periodi sopra indicati; e dell’annullamento con rinvio al solo fine di definire la quota di pena da considerare in aumento per il capo di imputazione in questione, limitatamente alla sola parte di condotta ricompresa nei più ristretti ambiti temporali definiti dalla presente statuizione.
4.2. L’annullamento è invece senza rinvio con riguardo all’imputazione mossa ai sensi dell’art 388 cod. pen., contestato all’interno del medesimo capo di imputazione relativo all’art 570 cod. pen. La sentenza impugnata, per il vero, argomenta con esclusivo riferimento solo su tale ultima imputazione; né, ancora, contiene cenni esplicativi riferiti alla imputazione di cui all’art 388 cod. pen. in tema di determinazione dell’aumento apportato per la continuazione riconosciuta con i maltrattamenti (complessivamente irrogato in mesi due di reclusione). Ciò premesso, in radice, va esclusa la correttezza in diritto di questa contestazione. Deve escludersi infatti che sussistano gli estremi del delitto di cui all’art. 388, comma 2, cod. pen. laddove la contestazione risulti, come nella specie, limitata, al semplice riferimento al mancato adempimento all’obbligo, imposto in sede di separazione personale, di versare una certa somma mensile al coniuge, quale contributo per il mantenimento dei figli minori. L’inosservanza di tale obbligo non rientra, infatti, nel paradigma delittuoso delineato dalla citata disposizione, la quale dà rilievo penale alla elusione dell’esecuzione di un “provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescrive misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito”. Il concetto di “affidamento” di cui alla richiamata disposizione attiene esclusivamente alla relazione di fatto con la persona (tenendola presso di sé) o al complesso dei rapporti morali o giuridici di protezione relativa alla persona; di contro, esula da tale concetto, pur ampio, l’aspetto economico connesso al provvedimento di affidamento, autonomo rispetto a questo e non riverberantesi sull’esecuzione di esso. Conseguentemente, la violazione dell’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori non concreta l’elusione del provvedimento del giudice in tema di affidamento dei minori stessi, proprio perché non va ad incidere direttamente sul rapporto interpersonale, che è oggetto esclusivo ed immediato della statuizione che disciplina l’affidamento (in termini, pedissequamente riportati, Sez. 6, n. 9414 del 02/05/2000, Rv. 217704). Da qui l’annullamento senza rinvio della decisione gravata in parte qua.
- All’annullamento segue la competenza del Giudice del rinvio quanto alla determinazione delle spese affrontate dalla parte civile nel grado, come da nota allegata; nonché l’eventuale correzione dell’errore materiale indicato dalla difesa dell’imputato nel ricorso.