Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza 8 agosto 2024, n. 32249
PRINCIPIO DI DIRITTO
La norma dichiarata incostituzionale, ove più favorevole, può continuare ad essere applicata, per il principio del favor rei, soltanto ai fatti commessi sotto la sua apparente vigenza ma non anche ai fatti che siano stati commessi nella operatività della normativa precedente, dovendo escludersi che una norma costituzionalmente illegittima possa determinare un trattamento più favorevole anche con riferimento a fatti pregressi, posti in essere nel vigore della normativa più severa.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
- Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano l’affermazione di responsabilità per la ritenuta configurabilità del reato ascritto all’attuale ricorrente in difetto del “fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”, deducendo che questo inciso, introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. 1° marzo 2018, n. 21, nella disposizione incriminatrice di cui all’art. 9, comma 7, legge n. 376 del 2000, in occasione della sua trasposizione nell’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., sebbene dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte costituzionale n. 105 del 2022, resta comunque applicabile ai fatti pregressi, quale disposizione più favorevole.
2.1. La questione posta, nei suoi termini generali, è se una disposizione penale di favore, la quale restringa l’area della punibilità, successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, sia comunque applicabile ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, in forza del principio dell’operatività della legge più favorevole.
2.2. In argomento, vanno innanzitutto richiamate le indicazioni fornite proprio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 105 del 2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., limitatamente alle parole “al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.
Questa decisione, per quanto di diretto interesse in questa sede, ha fatto espresso rinvio alla giurisprudenza costituzionale, e segnatamente a Corte cast. sent. n. 394 del 2006, per gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale da essa pronunciata in ordine ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen. Corte cast. sent. n. 105 del 2022, infatti, segnala: “Quanto agli effetti sui singoli imputati dei giudizi penali principali, le cui condotte sono precedenti all’entrata in vigore della disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima, competerà ai giudici rimettenti valutare le conseguenze applicative che potranno derivare dalla pronuncia di accoglimento, tenendo conto della costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 394 del 2006)”.
Corte costituzionale n. 394 del 2006, a sua volta, nel dichiarare l’illegittimità di disposizioni penali di favore in materia di reati elettorali, rileva, innanzitutto, che ” il principio di legalità non preclude lo scrutinio di costituzionalità, anche in malam partem, delle c.d. norme penali di favore: ossia delle norme che stabiliscano, per determinati soggetti o ipotesi, un trattamento penalistico pi1 favorevole di quello che risulterebbe dall’applicazione di norme generali o comuni”.
Osserva, poi, che, per i fatti commessi in epoca precedente alla formale entrata in vigore di una disposizione penale di favore, non viene in rilievo il principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, ma, diversamente, “il distinto principio di retroattività della norma penale più mite”. Rappresenta, quindi, che il principio di retroattività della norma penale più mite trova il suo fondamento nel principio di uguaglianza.
Precisa però “Il collegamento del principio della retroattività in mitius al principio di eguaglianza ne segna, peraltro, anche il limite: nel senso che, a differenza del principio della irretroattività della norma penale sfavorevole – assolutamente inderogabile – detto principio deve ritenersi suscettibile di deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli (sentenze n. 74 del 1980 e n. 6 del 1978; ordinanza n. 330 del 1995)”.
E, decisivamente, con riguardo alla questione esaminata in questa sede, aggiunge: “Ma soprattutto, per quanto interessa nella specie, è giocoforza ritenere che il principio di retroattività della norma penale più favorevole in tanto è destinato a trovare applicazione, in quanto la norma sopravvenuta sia, di per sé, costituzionalmente legittima.
Il nuovo apprezzamento del disvalore del fatto, successivamente operato dal legislatore, può giustificare – in chiave di tutela del principio di eguaglianza – l’estensione a ritroso del trattamento più favorevole, a chi ha commesso il fatto violando scientemente la norma penale più severa, solo a condizione che quella nuova valutazione non contrasti essa stessa con i precetti della Costituzione.
La lex mitior deve risultare, in altre parole, validamente emanata: non soltanto sul piano formale della regolarità del procedimento dell’atto legislativo che l’ha introdotta e, in generale, della disciplina delle fonti (v., con riferimento alla mancata conversione di un decreto legge, sentenza n. 51 del 1985); ma anche sul piano sostanziale del rispetto dei valori espressi dalle norme costituzionali.
Altrimenti, non v’è ragione per derogare alla regola sancita dai citati art. 136, primo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, non potendosi ammettere che una norma costituzionalmente illegittima – rimasta in vigore, in ipotesi, anche per un solo giorno – determini, paradossalmente, l’impunità o l’abbattimento della risposta punitiva, non soltanto per i fatti commessi quel giorno, ma con riferimento a tutti i fatti pregressi, posti in essere nel vigore dell’incriminazione o dell’incriminazione più severa”.
2.3. Alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale risulta allineato l’indirizzo ampiamente prevalente della giurisprudenza di legittimità.
Invero, costituisce affermazione costante quella per cui la norma dichiarata incostituzionale, ove più favorevole, può continuare ad essere applicata, per il principio del favor rei, soltanto ai fatti commessi sotto la sua apparente vigenza ma non anche ai fatti che siano stati commessi nella operatività della normativa precedente, dovendo escludersi che una norma costituzionalmente illegittima possa determinare un trattamento più favorevole anche con riferimento a fatti pregressi, posti in essere nel vigore della normativa più severa.
In particolare, il principio è stato applicato: a) con riguardo alla cessione di droghe c.d. “pesanti” avvenuta nella vigenza dell’art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 309 del 1990 nella versione, meno favorevole, anteriore all’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla legge n. 49 del 2006, successivamente dichiarate incostituzionali con la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014 (cfr. Sez. 3, n. 41046 del 14/02/2018, Zungri, Rv. 274324 – 01, nonché Sez. 3, n. 4185 del 19/10/2016, dep. 2017, Facciuto, Rv. 269068 – 01); b) in materia edilizia, relativamente alla costruzione di un capanno in legno, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, in epoca antecedente all’entrata in vigore di una legge regionale, che lo avrebbe consentito, ma che successivamente era stata dichiarata incostituzionale (cfr. Sez. 3, n. 28233 del 03/03/2016, Menti, Rv. 267410 – 01).
2.4. Il principio sopra richiamato – secondo cui una disposizione penale di favore, la quale restringa l’area della punibilità, o introduca un trattamento più mite, se successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, non è applicabile ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore – deve essere confermato anche dalla presente decisione.
La difesa ha sostenuto l’operatività di un opposto principio – secondo cui la disposizione penale di favore, pur se successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, sarebbe applicabile ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore – in ragione delle esigenze sottese al principio di uguaglianza e richiamando un precedente giurisprudenziale di legittimità (Sez. 1, n. 24834 del 22/09/2017, dep. 2017, Augussori, Rv. 270567 – 01).
Precisamente, si è osservato, in linea con la decisione appena citata, che, quando una norma di favore rimane in vigore per un apprezzabile periodo di tempo, la stessa trova applicazione per altri soggetti, i cui processi vengono definiti prima della dichiarazione di incostituzionalità, sicché l’applicazione di un diverso trattamento sanzionatorio alle persone giudicate in epoca successiva costituirebbe una irragionevole violazione del principio di uguaglianza in danno di queste ultime.
L’obiezione appena evidenziata, in realtà, non risulta dirimente. Il principio dell’uguaglianza, infatti, come osservato da Corte cost., sent. n. 394 del 2006, non è ragione idonea a “derogare alla regola sancita dai citati art. 136, primo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, non potendosi ammettere che una norma costituzionalmente illegittima – rimasta in vigore, in ipotesi, anche per un solo giorno – determini, paradossalmente, l’impunità o l’abbattimento della risposta punitiva, non soltanto per i fatti commessi quel giorno, ma con riferimento a tutti i fatti pregressi, posti in essere nel vigore dell’incriminazione o dell’incriminazione più severa”.
Precisamente, le disposizioni di cui all’art. 136, primo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, escludono, in modo testuale, la prima l'”efficacia” e la seconda l'”applicazione” delle norme dichiarate incostituzionali dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Né una deroga implicita a tali previsioni normative può essere riconosciuta in via interpretativa individuando una soluzione che consenta ad una norma costituzionalmente illegittima di determinare, al di fuori di ogni sindacato, “l’impunità o l’abbattimento della risposta punitiva”, con riguardo ai fatti realizzati “nel vigore dell’incriminazione o dell’incriminazione più severa”.
E questo, tanto più se si considera che permarrebbe comunque un trattamento diverso, e deteriore, in termini di configurabilità dell’illecito penale, o di più severa sanzionabilità, per tutti i fatti giudicati prima dell’entrata in vigore della disposizione, poi dichiarata costituzionalmente illegittima.
- Infondate, nel complesso, sono le censure formulate nel secondo e nel terzo motivo, da esaminare congiuntamente, perché strettamente connesse, che contestano l’affermazione della configurabilità del reato oggetto di condanna, deducendo che, nella specie, non è attribuibile all’imputato una condotta di commercializzazione di sostanze vietate, siccome questa richiede la disponibilità di ingenti quantità di farmaci ed una durevole offerta degli stessa al pubblico, e, per tali circostanze fattuali non sono state correttamente evidenziate nella sentenza impugnata.
3.1. Occorre premettere che, secondo un principio giurisprudenziale assolutamente consolidato, integra il delitto di commercio di anabolizzanti di cui all’art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, e oggi di cui all’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., qualsiasi attività – purché svolta in forma continuativa e con il supporto di un’organizzazione anche elementare – di predisposizione e tenuta di canali di commercio sovrapponibili e alternativi a quelli costituiti dalle farmacie e dispensari autorizzati, unici centri di vendita all’interno dei quali il commercio non deve ritenersi clandestino (cfr., nella vigenza dell’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., Sez. 3, n. 26289 del 14/05/2019, Battistelli, mass. per altro, nonché, in precedenza, tra le tante: Sez. 3, n. 19198 del 28/02/2017, Forti, Rv. 269935 – 01; Sez. 3, n. 46246 del 23/10/2013, Dasic, Rv. 257857 – 01; Sez. 6, n. 17322 del 20/02/2003, Frisinghelli, Rv. 224957 – 01).
Va poi evidenziato che ripetuto e non contrastato è anche l’indirizzo ermeneutico secondo cui il delitto di commercio di anabolizzanti di cui all’art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, e oggi di cui all’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., si configura con la mera immissione della merce sul mercato, sia pure tramite canali riservati o pubblicizzati con specifici accorgimenti, e non presuppone l’individuazione di specifici acquirenti, non essendo richiesto, ai fini del perfezionamento del delitto, la vendita dei medicinali in questione, che costituisce solo un posterius rispetto alla fattispecie incriminatrice (così Sez. 3, n. 26289 del 14/05/2019, Battistelli, Rv. 276083 – 01, e Sez. 2, n. 7081 del 09/10/2003, dep. 2005, Randazzo, Rv. 230790 – 01, quest’ultima relativa a fattispecie di sequestro di una notevole quantità di sostanze proibite all’interno dell’autovettura dell’imputatoe nella sua abitazione, circostanze che lasciavano configurare la predisposizione di un’attività nella prospettiva di una offerta al pubblico destinata a durare nel tempo e che i prodotti fossero a disposizione di un pubblico, ancorché non avessero formato oggetto di un negozio di compravendita).
3.2. La sentenza impugnata ha affermato la responsabilità dell’attuale ricorrente, gestore della palestra “(Omissis)”, per il reato di cui all’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., sulla base di risultati di intercettazioni nonché di perquisizioni e sequestri. Quanto ai risultati delle intercettazioni, si segnalano, in particolare, le conversazioni intercettate tra il 24 ed il 25 maggio 2016.
Si rappresenta, precisamente, che: a) in una conversazione del 24 maggio 2016, F.F. chiedeva all’attuale ricorrente di dedicare un poco di tempo ad un amico, il quale “vorrebbe allenarsi e comunque devi fare scheda alimentazione queste cose qua”; b) il successivo 25 maggio 2016, come verificato a mezzo di un servizio di osservazione della polizia giudiziaria, F.F. si recava presso la palestra “(Omissis)” ed incontrava l’attuale ricorrente; c) dopo l’incontro, il medesimo 25 maggio 2016, F.F. inviava a G.G. un s.m.s. nel quale scriveva: “prodotti arrivati, domani puoi venirli a ritirare al pub”, e riceveva in risposta il messaggio: “va bene grazie”.
Quanto alle perquisizioni e ai sequestri, si richiamano gli atti compiuti il 9 giugno 2016 e il 12 aprile 2017.
Si evidenzia che la perquisizione del 9 giugno 2016, ha permesso di rinvenire e sequestrare, nella palestra “(Omissis)”, nonché nell’abitazione dell’attuale ricorrente, un rilevante quantitativo di farmaci dopanti, di variegata tipologia, puntualmente elencati nell’imputazione di cui al capo D (si tratta complessivamente di non meno di 282 compresse, nonché di 30 fiale, e di ulteriori due confezioni), alcuni dei quali particolarmente pericolosi perché costituiti da anabolizzanti per cani.
Si segnala, poi, che la perquisizione del 12 aprile 2017, ha permesso di rinvenire e sequestrare, nella palestra ” (Omissis)”, nell’abitazione dell’attuale ricorrente, ed in un’automobile in uso al medesimo, una ulteriore elevata quantità di prodotti dopanti di pronta consegna, puntualmente elencati nell’imputazione di cui al capo E (si tratta di flaconi, confezioni contenenti ampolle, confezioni contenenti cinquanta tablets da 10 mg. ciascuno, e di una siringa riempita con sostanza liquida), unitamente a fogli manoscritti riportanti programmi chimici di allenamento con riferimenti specifici proprio a detti farmaci.
Si rappresenta, ancora, che l’imputato, in occasione del primo sequestro, ha sostenuto di aver acquistato i prodotti pochi giorni prima ad una fiera, ad un prezzo di cui non ricordava l’importo, per farne uso personale, ed ha però poi negato di aver mai fatto uso delle sostanze rinvenute.
Sulla base di questi elementi, la sentenza impugnata conclude, che la reiterazione delle condotte da parte dell’attuale ricorrente, a distanza di tempo, con riferimento a quantitativi elevati di sostanze proibite, complessivamente superiori a duecento tra fiale, compresse e confezioni, detenute in più luoghi, e in particolare nella palestra gestita dal medesimo, unitamente ai fogli manoscritti riportanti programmi chimici di allenamento da compiere con tali sostanze, evidenzia sia un apparato organizzativo, pur elementare, di predisposizione e tenuta di canali di commercializzazione illecita, sia la continuità di tale illecita attività.
Aggiunge che, a fronte degli elementi acquisiti, risulta irrilevante l’assenza di dichiarazioni accusatorie da parte delle diverse persone sentite nell’ambito del procedimento, a maggior ragione se si considera che dette persone risiedevano in un Comune diverso da quello in cui abitava e gestiva la palestra l’attuale ricorrente.
3.3. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi. La Corte d’Appello ha fatto applicazione dei consolidati, e non contestati, principi giurisprudenziali pertinenti alla fattispecie in esame, indicando elementi di fatto precisi e congrui. Invero, sia il profilo organizzativo, sia il profilo della continuità sono correttamente desunti dalla ripetuta disponibilità, da parte dell’attuale ricorrente, di notevoli quantità di sostanze proibite, dalla varietà delle stesse, dalla allocazione dei prodotti anche in palestra, e dalla presenza dei fogli manoscritti riportanti programmi chimici di allenamento da compiere con tali sostanze.
Particolarmente significativo, ai fini del giudizio affermativo della legittimità della motivazione della sentenza impugnata, è l’elevato numero di confezioni, fiale e compresse rinvenute nella disponibilità dell’imputato: si tratta, infatti, di un dato che, a maggior ragione se valutato unitamente agli altri elementi appena segnalati, è precisamente indicativo della predisposizione, da parte dell’attuale ricorrente, di un’attività di offerta al pubblico di sostanze proibite destinata a durare nel tempo.
- Manifestamente infondate sono le censure enunciate nel quarto motivo, che contestano la mancata applicazione della pena sostitutiva, deducendo che, nella specie, la stessa è applicabile in forza delle modifiche ai limiti di ammissibilità;) introdotti dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Invero, al momento della pronuncia della sentenza impugnata, emessa il 13 luglio 2022, non erano applicabili i più ampi limiti di ammissibilità di applicazione della pena pecuniaria sostitutiva introdotti dal D.Lgs. n. 150 del 2022, siccome successivo; e, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. cit., la pena detentiva poteva essere sostituita con pena pecuniaria solo se fissata nel limite dei sei mesi, mentre l’imputato è stato condannato alla pena di un anno di reclusione e 4.000,00 di multa.
Ciò posto, la questione dell’eventuale applicabilità delle pene sostitutive sulla base della disciplina di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, in caso di procedimento pendente davanti alla Corte di cassazione, può essere proposta soltanto davanti al giudice dell’esecuzione, attesa l’espressa previsione di cui all’art. 95, comma 1, del medesimo D.Lgs.
- Alla complessiva infondatezza delle censure seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per completezza, deve precisarsi che non è decorso il termine di prescrizione nemmeno con riguardo al primo episodio, innanzitutto perché il reato di cui all’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen. è reato abituale, e, poi, perché, quand’anche si volesse prendere in considerazione il primo episodio in modo atomistico, ricorrono cause di sospensione determinate dall’applicazione della disciplina emergenziale per il COVID e dai rinvii delle udienze del 1° ottobre 2021, del 21 gennaio 2022 e dell’8 aprile 2022, disposti tutti su istanza del difensore dell’attuale ricorrente per concomitante impegno professionale.