Cassazione civile, sez. I, ordinanza 18 settembre 2024, n. 25067
PRINCIPIO DI DIRITTO
“L’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, ivi comprese quelle della Corte di cassazione, postula l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali, e deve a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività, senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive, c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa”
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.1. – Con l’unico motivo di ricorso si chiede la revocazione per errore di fatto ai sensi dell’art. 395 nr. 4 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 316-bis, 433 e 2697 c.c., nonché errore di fatto, ex artt. 391 bis e 395 c.p.c. punto 4), il tutto in relazione all’art. 360, punto 5 c.p.c., per avere la Corte di legittimità presupposto l’esistenza di un fatto (ossia la accertata insolvenza del padre, obbligato principale) la cui verità – invece – sarebbe da ritenere – a parere dei ricorrenti – incontestabilmente esclusa, alla stregua degli stessi atti di causa. Secondo i ricorrenti, si tratta di un errore incontrovertibile che ha indotto la Suprema Corte a fondare la sua valutazione sulla supposta esistenza di una accertata impossibilità ad ottenere – da parte del padre – il pagamento degli assegni in favore della minore, senza considerare che la originaria parte ricorrente non aveva neppure tentato di ricuperare il credito (assegno per la minore) per le vie ordinarie (ossia esecuzioni forzate, ricerca di beni da aggredire con pignoramenti ecc.) in danno dell’obbligato principale. I ricorrenti si dolgono che la Corte di legittimità, nell’ordinanza revocanda non abbia valutato neppure incidentalmente la questione or ora richiamata, né le critiche degli odierni ricorrenti i quali, in pieno contrasto con le tesi avversarie avevano sempre sostenuto che occorresse, preventivamente, escutere il debitore principale prima di giungere al debitore sussidiario, e non abbia esaminato il fatto decisivo.
2.2. – Il motivo è inammissibile.
2.3. – Com’è noto, l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, ivi comprese quelle della Corte di cassazione, postula l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali, e deve a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività, senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive, c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (cfr. Cass. n. 16439-2021; Cass. n.3190-2006). In riferimento alle sentenze di cassazione, esso deve inoltre riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, cioè quelli che la Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di cassazione (cfr. Cass. n. 26643-2018; Cass. n. 4456-2015; Cass. n. 3820-2014). Inoltre, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo, non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass. n. 3760-2018).
2.4. – Nel caso di specie – posto che il mancato esperimento di azioni esecutive da parte di C.C. nei confronti di E.E. è circostanza acquisita agli atti, di cui si dà espresso conto nell’ordinanza impugnata – ove è illustrata l’incidenza avuta propriodai ripetuti comportamenti elusivi del padre su tale mancanza e sulla dimostrazione dell’insufficienza dei mezzi (fol.4) – risulta evidente che la censura non riguarda alcun fatto, ma la motivazione reiettiva dell’originario ricorso.
2.5. – Invero, questa Corte nell’impugnata ordinanza n. 13345-2023, ha – sulla basedi una valutazione delle risultanze processuali del giudizio di merito – ritenuto corretta la sentenza della Corte d’appello che aveva applicato la responsabilità sussidiaria dei nonni, ex art. 316-bis c.c., in considerazione del fatto che il padre della minore si era reso irreperibile, cambiando di continuo abitazione e lavoro, in modo da non consentire di agire nei suoi confronti, e che il medesimo era stato perfino condannato ai sensi dell’art. 570 c.p. L’impugnata sentenza è, peraltro, conforme alla giurisprudenza di questa Corte circa l’obbligo sussidiario dei nonni (Cass. n.10419-2018), che ha ritenuto sussistente, con valutazione in diritto insindacabile in questa sede.
- – In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto. Oscuramento dei dati personali.