Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza 2 settembre 2024, n. 33334
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorità fisica o psichica, l’induzione a compiere o a subire atti sessuali, rilevante a norma dell’art. 609-bis, comma secondo, n. 1, cod. pen. si realizza quando l’agente, con un’opera di persuasione spesso, ma non necessariamente, sottile o subdola, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente quest’ultima non avrebbe compiuto, avvalendosi consapevolmente delle condizioni in cui essa si trova al momento del fatto. […] In tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all’età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
Il ricorso è infondato.
- Iniziando dai primi due motivi, suscettibili di essere affrontati unitariamente, perché tra loro sovrapponibili, occorre evidenziare che l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato non presenta alcun vizio di legittimità.
Deve al riguardo premettersi che le due conformi sentenze di merito, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi in un apparato motivazionale unitario, hanno innanzitutto operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, valorizzando in particolare il racconto compiuto dal giovane B.B., classe 1997, prima nella querela sporta il 9 marzo 2018, poi L’11 aprile 2018 in sede di sommarie informazioni e infine il 4 dicembre 2018 in sede di incidente probatorio.
Il denuncìante riferiva in tali occasioni di aver subito molestie sessuali, tra il 2014 e il 2017, dal suo insegnante privato di pianoforte, A.A., detto (Omissis), che egli conosceva da quando aveva 7 anni e che ha frequentato negli anni, intensificando nel tempo le lezioni private, giunte anche a 4 in una settimana.
Sin dall’inizio il legame tra i due era stato molto affettuoso, avendo B.B. individuato in A.A. una sorta di padre, avendo il ragazzo sofferto la mancanza del padre biologico, che si era disinteressato di lui dopo il divorzio dalla madre.
Allo stesso modo l’imputato, accortosi del talento del giovane, lo trattava come il suo allievo prediletto, anche al cospetto degli altri studenti, spronandolo a lasciare gli studi di musica classica per quelli di jazz, senza informare di ciò la madre B.B. a un certo punto entrò anche a far parte di una band di cui A.A. era l’arrangiatore e, a partire dalla Pasqua del 2014, il denunciante iniziò talora a dormire a casa dell’imputato (che aveva allestito uno studio di registrazione presso la sua abitazione),condividendo con lui il letto matrimoniale.
In una di queste occasioni, nell’estate 2014, B.B., al momento del risveglio, si accorse che A.A. gli stava toccando il pene, avendogli infilato la mano sotto il pigiama, salvo poi ritirarla non appena il ragazzo gli chiese spiegazioni, avendo l’imputato prima risposto che si trattava di un gesto dimostrativo, che se si fosse ripetuto avrebbe dovuto indurlo a lasciare la stanza, mentre poi a colazione gli disse che, se pure i due avessero avuto dei rapporti sessuali, non ci sarebbe stato nulla di male, in virtù del legame che si era instaurato tra loro; tale legame peraltro tra il 2014 e il 2017 divenne ancora più intenso, fino a quando, agli inizi del 2017, B.B., in un’altra occasione in cui aveva dormito a casa di A.A., notò al risveglio, con sorpresa, che questi, dopo avergli abbassato i pantaloni, gli stava massaggiando la zona del pube, sostenendo che vi fossero dei noduli che egli avrebbe sciolto con le mani, al che il giovane lo fermò prima di riaddormentarsi.
In quel periodo, peraltro, più volte l’imputato gli aveva massaggiato varie parti del corpo, affermando che ciò gli serviva per allentare la sua rigidità muscolare. Nel gennaio 2017 B.B., turbato da alcuni sogni a sfondo sessuale, avviava un percorso di psicoterapia analitica e alcuni mesi dopo assistette alla visione di un film riguardante la rivelazione di un abuso subito dalla figlia ad opera del padre.
Fu in quel momento che il giovane B.B. realizzò di aver subito molestie da parte dell’imputato, per cui, dopo aver informato prima la sua fidanzata F.F., e poi la madre C.C., decise di sporgere querela a carico di A.A.
1.1. Orbene, all’esito di un’ampia rassegna delle fonti dimostrative acquisite, sia il G.U.P. che la Corte di Appello hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni di B.B., rimarcandone la precisione, la costanza, l’assenza di enfatizzazioni o di espressioni di rancore, oltre che la spontaneità, essendo in tal senso significativa la genesi del racconto, in quanto il disvelamento degli abusi è avvenuto ad anni di distanza dai fatti, a seguito di un percorso di natura psicoanalitica che ha consentito al giovane di acquisire consapevolezza del proprio vissuto, ciò peraltro in una fase in cui si era già allontanato dal ricorrente.
La narrazione di B.B., già intrinsecamente credibile, ha trovato poi significative conferme, in particolare rispetto al suo particolare rapporto con A.A. e al trauma dell’acquisizione della consapevolezza di aver subito molestie sessuali, nelle convergenti dichiarazioni della madre C.C., della fidanzata F.F., oltre che della psicoterapeuta E.E., la quale ha seguito il giovane dal gennaio 2017, riscontrando sì un quadro ansioso con tratti depressivi e aspetti ossessivi, ma in un contesto soggettivo connotato da un ottimo livello cognitivo, che ha consentito al giovane di elaborare la realtà in modo adeguato, pur con la difficoltà di dover gestire una delicata fase emotiva.
Proprio alla luce delle dichiarazioni della dottoressa E.E., oltre che della mancata sussistenza di patologia idonee a incidere sulla capacità di deporre di B.B., peraltro già ampiamente maggiorenne quando è stato escusso, la Corte di Appello ha legittimamente ritenuto di non accogliere la richiesta difensiva di disporre perizia al fine di accertare la capacità di testimoniare del denunciante, tanto più che alcuna sollecitazione in tal senso era stata formulata in primo grado.
Tale decisione risulta immune da censure, dovendosi richiamare il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266820), secondo cui la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il Giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti, come adeguatamente esposto nel caso di specie.
1.2. Alcuna criticità si ravvisa anche rispetto alla qualificazione giuridica dei fatti. Al riguardo deve premettersi che il reato è stato contestato sia nella forma costrittiva di cui all’art. 609-bis, comma 1, cod. pen., sia nella forma induttiva ex art. 609-bis, comma 2, n. 1 cod. pen., ciò con riferimento all’abuso da parte di A.A., in forza del ruolo rivestito, della condizione di inferiorità del suo allievo.
In realtà la prima contestazione deve ritenersi già pertinente rispetto agli episodi avvenuti nel letto matrimoniale dell’imputato, atteso che la dinamica descritta da B.B. è quella di una costrizione attuata senza che il ragazzo fosse in grado di opporsi ai toccamenti della sfera pubica compiuti mentre egli stava dormendo.
In tal senso, la Corte territoriale ha correttamente rimarcato sia la natura sessuale degli atti, sia la loro repentinità, essendo gli stessi avvenuti quando la vittima si trovava nel dormiveglia ed era impossibilitato a prestare un valido consenso.
Viceversa, la contestazione dell’art. 609-bis, comma 2, n. 1, cod. pen. si attaglia alle altre condotte poste in essere da A.A. che, con il pretesto di dover sciogliere i muscoli per migliorare le sue prestazioni musicali, ha indotto B.B. a subire vari toccamenti in zone erogene, in ciò approfittando non solo della posizione di preminenza connessa con il suo ruolo di insegnante (il fatto che fosse un docente privato non rileva, secondo gli insegnamenti della sentenza delle Sezioni Unite n. 27326 del 16/07/2020, Rv. 279520), ma anche della fiducia e della deferenza che l’allievo nutriva nei confronti di colui che egli considerava come un padre.
In tal senso il giudizio sulla configurabilità del reato si pone in sintonia con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 44171 del 19/09/2023, Rv. 285289-02), secondo cui, in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorità fisica o psichica, l’induzione a compiere o a subire atti sessuali, rilevante a norma dell’art. 609-bis, comma secondo, n. 1, cod. pen. si realizza quando l’agente, con un’opera di persuasione spesso, ma non necessariamente, sottile o subdola, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente quest’ultima non avrebbe compiuto, avvalendosi consapevolmente delle condizioni in cui essa si trova al momento del fatto.
1.3. In definitiva, in quanto sorretta da considerazioni coerenti con le acquisizioni probatorie e scevre da aspetti di irrazionalità, la valutazione dell’attendibilità della persona offesa compiuta nelle due conformi sentenze di merito non presta il fianco alle censure difensive, che si articolano, peraltro in termini non adeguatamente specifici, nella sostanziale proposta di una lettura alternativa (e frammentaria) del materiale istruttorio, operazione questa non consentita in questa sede, dovendosi ribadire che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal Giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), essendosi in tal senso precisato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre diversa conclusione del processo, sicché non sono consentite tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747).
Di qui l’infondatezza delle censure in punto di responsabilità.
- Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al terzo motivo. Ed invero, per quanto concerne il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 609-bis comma 3 cod. pen., deve rimarcarsi che, in senso ostativo alla configurabilità dell’ipotesi di minore gravità rispetto ai fatti contestati, la Corte di Appello (pag. 10 della sentenza impugnata) ha ragionevolmente valorizzato, nell’ambito di una valutazione complessiva della vicenda, il non lieve grado di compromissione della libertà sessuale del giovane B.B., il quale, dopo aver scoperto il significato degli abusi sessuali subiti dal suo insegnante di musica, ha avuto difficoltà ad avere una sana relazione intima con la fidanzata, tanto da arrivare a rinunciare a lei dopo l’emersione del trauma per le molestie subite, molestie che sono state reiterate e tali provocare, pur se non particolarmente invasive, un profondo turbamento nella vittima, e tanto anche e soprattutto in ragione dell’affetto e della fiducia che egli provava nei confronti dell’imputato.
Ciò posto, deve ritenersi che la mancata applicazione dell’attenuante ex art. 609-bis ultimo comma cod. pen. sia immune da censure, essendosi posti i giudici di merito in piena sintonia con la consolidata affermazione di questa Sezione (cfr. Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, Rv. 277615 e Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196), secondo cui, in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all’età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto, il che è stato escluso nel caso di specie all’esito di un percorso argomentativo tutt’altro che illogico, non potendosi peraltro sottacere che, in ragione della natura e del numero degli atti compiuti, la pena a carico di A.A. è stata ridotta in appello da anni 4 e mesi 2 ad anni 3 e mesi 2 di reclusione.
- In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di A.A. deve essere rigettato, con condanna al ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, liquidate nei termini e nei modi di cui dispositivo.