<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In un rapporto giuridico obbligatorio la figura del debitore, da identificarsi in colui che è chiamato a soddisfare - attraverso la prestazione e l’adempimento - l’interesse del creditore, può mutare su iniziativa del debitore originario (delegazione), del nuovo debitore (espromissione) ovvero sulla base di un accordo intercorso tra entrambi (accollo); in tutti e tre i casi gli effetti possono essere liberatori ovvero cumulativi, in questa seconda ipotesi (a differenza che nella prima) aggiungendosi al vecchio un nuovo debitore. Non sempre facile appare poi tracciare i confini con altre figure civilistiche limitrofe, tanto in materia di obbligazioni e contratti quanto in tema di garanzie personali, potendo peraltro talvolta le tre figure intrecciarsi tra loro, con innesto dell’una nell’altra, e con ulteriori complicazioni derivanti dalla natura pregressa o futura del debito “</em>ambulatorio<em>”, anche nella relativa, differente consistenza </em>ab origine<em> in termini di soggezione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale Zanardelli non disciplina l’accollo (che viene comunque isolato dalla dottrina più illuminata), mentre in tema di delegazione ed espromissione resta nella sostanza fedele alla tradizione romanistica, disciplinando implicitamente le due figure in seno alla disciplina della novazione c.d. soggettiva. L’art.1267 del codice, dedicato alla novazione, distingue infatti la novazione oggettiva di cui al n.1 (quando il debitore contrae verso il suo creditore un nuovo debito, il quale viene sostituito all’antico che rimane estinto) dalle due tipologie di novazione soggettiva, rispettivamente, passiva (n.2: quando un nuovo debitore è sostituito all’antico, il quale viene liberato dal creditore) e attiva (n.3: quando in forza di una nuova obbligazione un nuovo creditore viene sostituito all’antico, verso cui il debitore rimane liberato). Mentre la novazione soggettiva passiva richiama le attuali figure della delegazione e dell’espromissione (oltre che dell’accollo), quella attiva richiama invece la cessione del credito. Per quanto concerne la novazione soggettiva passiva, vanno additati più in specie gli articoli 1270 – onde la novazione che si fa col sostituire un nuovo debitore può effettuarsi tra detto nuovo debitore ed il creditore senza il consenso del primo debitore: si tratta della espromissione – e 1271 alla cui stregua la “<em>delegazione</em>” (espressamente additata dunque come tale) attraverso la quale un debitore assegna al creditore un altro debitore, il quale si obbliga verso il creditore medesimo, non produce novazione se il creditore non ha dichiarato espressamente la propria volontà di liberare il debitore originario che ha fatto la delegazione (c.d. delegante).</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il R.D. n.262, nuovo codice civile (entrato in vigore il successivo 21 aprile), che – come chiarisce la Relazione - scongiura ulteriori confusioni tra la novazione e le diverse figure della delegazione e dell’espromissione. La novazione nel nuovo codice è esclusivamente oggettiva ed è disciplinata dagli articoli 1230 e seguenti quale modo estintivo dell’obbligazione (non satisfattivo) diverso dall’adempimento, mentre all’art.1235 – norma di chiusura rubricata “<em>novazione soggettiva</em>” - si dispone che quando un nuovo debitore <a href="https://www.brocardi.it/dizionario/1594.html">viene sostituito</a> a quello originario che viene liberato, si osservano le norme contenute nel capo VI del medesimo titolo (articoli 1268 e seguenti), e dunque proprio le norme sulla delegazione, sull’espromissione e sull’accollo, ricevendo anche quest’ultimo una specifica disciplina. In sostanza, tutte le volte che si è in presenza di una delegazione, di una espromissione e di un accollo “<em>liberatori</em>” rispetto al debitore originario, lì si ha novazione soggettiva “<em>passiva</em>”, la cui disciplina transita dunque proprio nell’area di queste tre figure fondamentali in tema di ambulatorietà del lato passivo del debito. Interessante il n.589 della Relazione al codice, laddove si afferma in modo esplicito che l’accollo (esterno) costituisce una tipica applicazione del contratto a favore di terzo di cui all’art.1411 e seguenti c.c. Significativo, in ottica commerciale, anche quanto dispone l’art.2560, rubricato “<em>debiti relativi all’azienda ceduta</em>”, secondo il cui primo comma l'alienante di un’azienda non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'<a href="https://www.brocardi.it/dizionario/3052.html">azienda</a> ceduta ed anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito: si tratta di una forma di accollo cumulativo <em>ex lege</em> dei debiti pregressi aziendali che, laddove il trasferimento abbia ad oggetto un’azienda commerciale (comma 2), concerne i soli debiti (pregressi) che risultano dai libri contabili obbligatori, e che vede in veste di accollante l’acquirente (o cessionario) di azienda, in veste di accollato l’alienante (o cedente) dell’azienda medesima ed in veste di creditori quei terzi che risultino tali in base a titoli anteriori alla cessione, e che possono sempre consentire alla liberazione dell’alienante/cedente, in questo caso conferendo all’accollo effetti liberatori.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1943</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 maggio esce la sentenza della Cassazione n.1053 alla cui stregua l’accollo (esterno) configura un contratto a favore di terzi, onde esso si perfeziona sulla scorta del solo accordo tra nuovo debitore accollante e vecchio debitore accollato, mentre l’adesione del creditore a tale accordo ha una funzione che non attiene alla relativa perfezione (rendendo piuttosto irrevocabile la stipulazione a proprio favore).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Viene varata la Costituzione repubblicana secondo la quale, ai sensi dell’art.41, l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/181.html">iniziativa economica privata</a> è libera, non potendosi tuttavia svolgere in contrasto con l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/182.html">utilità sociale</a> o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; viene demandato alla legge di determinare i <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/184.html">programmi</a> e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/185.html">fini sociali</a>. Si tratta di una norma che fonda l’autonomia negoziale dei privati – anche in termini di possibilità di forgiare contratti atipici ai sensi dell’art.1322 c.c. - e, ad un tempo, ne richiama i pertinenti limiti, orientati a tutelare interessi costituzionalmente rilevanti sia dal punto di vista individuale che collettivo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1970</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.122 che abbraccia – in tema fallimento e di delegazione – la c.d. teoria atomistica alla cui stregua la fattispecie delegatoria non configura un unico negozio trilaterale, quanto piuttosto tre negozi bilaterali distinti ma collegati tra loro; si tratta di una opzione ermeneutica che, per la Corte, sembra meglio aderente alla struttura (bilaterale appunto) del rapporto obbligatorio.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1973</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.676 che si occupa della delegazione cumulativa astratta, nella quale cioè non vi è richiamo ai rapporti di provvista e di valuta: si assiste ad un collegamento tra incarico del delegante e promessa del delegato nei confronti del creditore delegatario il quale ultimo, laddove abbia accettato l’obbligazione del terzo delegato, non può rivolgersi al debitore originario delegante se prima non ha richiesto l’adempimento, per l’appunto, al nuovo debitore delegato, secondo la regola del c.d. <em>beneficium ordinis</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1979</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 febbraio esce la sentenza della Cassazione n.2663 che ribadisce come l’accollo esterno costituisca una tipica applicazione di contratto a favore di terzo di cui all’art.1411 e seguenti c.c.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 settembre esce l’importante sentenza della III sezione della Cassazione n.4799 alla cui stregua in caso di delegazione “<em>pura</em>” o astratta l’obbligazione del nuovo debitore delegato nei confronti del creditore delegatario prescinde totalmente dai vizi dei rapporti sottostanti: fa eccezione la fattispecie della nullità, non già solo del rapporto di valuta tra debitore originario delegante e creditore delegatario, esplicitamente richiamato dal codice all’art.1271 c.c. (laddove, al comma 2, parla di “<em>nullità</em>” di tale rapporto), ma anche – per “<em>derivazione</em>” - di quello di provvista tra debitore originario delegante e nuovo debitore delegato, tanto che la Corte parla di nullità della doppia causa (un rapporto di valuta nullo inficia la trilateralità dell’operazione “<em>causalmente</em>” additabile come delegazione). Diversa la fattispecie della delegazione c.d. titolata, in quanto le parti dell’operazione delegatoria fanno a quei rapporti espresso riferimento, onde il nesso con i ridetti rapporti di base è ben più stretto e consente al nuovo debitore delegato di opporre al creditore delegatario le eccezioni nascenti dal rapporto di valuta e dunque afferenti alla sussistenza dell’originario diritto di credito vantato dal delegatario nei confronti del delegante; secondo la Corte peraltro la “<em>diversa pattuizione</em>” cui accenna l’art.1271 c.c. consente alle parti di dare rilievo anche al rapporto di provvista, vincolando l’esazione del credito da parte del creditore delegatario alla validità di tale rapporto che – intercorrendo tra vecchio debitore delegante e nuovo debitore delegato – vedrebbe detto creditore originariamente estraneo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 novembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.6935 onde l’espromissione – tanto liberatoria quanto cumulativa – configura sempre un contratto a prestazioni corrispettive tra terzo nuovo debitore espromittente e creditore espromissario, laddove alla prestazione cui si obbliga il nuovo debitore espromittente si giustappone quella del creditore espromissario in termini di liberazione del vecchio debitore espromesso (fattispecie liberatoria) ovvero di degradazione a sussidiaria della relativa responsabilità (fattispecie cumulativa, laddove il creditore espromissario deve comunque prima chiedere al nuovo debitore espromittente e solo poi al vecchio debitore espromesso).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1985</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 gennaio esce la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite che si pronuncia in tema di patti traslativi del debito di imposta, di natura tributaria, e violazione del principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 della Costituzione, con riferimento alla nullità per violazione di norme imperative (c.d. virtuale) prevista dall’art. 1418 c.c., I comma, nell’ambito dei contratti di mutuo. Nelle SS.UU. n. 5 del 1985, si è in particolare affermato che è nulla - sia ai sensi dell'art. 1418, 1 co., c.c. che per contrasto con l'art. 53 Cost. -, la clausola con la quale -sia pure con effetti limitati al rapporto fra le parti- venga convenuta l'imposizione a carico del mutuatario di quanto il mutuante è tenuto a versare all'erario (nel caso, per IRPEG ed ILOR ) in ragione dello stipulato contratto, stante l'immediato valore vincolante del principio del concorso di tutti alle spese pubbliche alla stregua della rispettiva capacità contributiva fissato dalla norma costituzionale, che si traduce nel divieto inderogabile per il debitore d'imposta -sia diretta che indiretta- di riversare il relativo onere su un altro soggetto, e quindi su patrimonio diverso da quello rispetto al quale è contemplato il prelievo fiscale (v. Cass., Sez. Un., 5/1/1985, n. 5 ). Nell'occasione le Sezioni Unite hanno argomentato dal rilievo che in base alla previsione di cui all'art. 53 Cost. tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della rispettiva capacità contributiva, e secondo il criterio della progressività dell'imposta. Il sacrificio economico derivante dal pagamento del tributo, e cioè la riduzione patrimoniale conseguente all'adempimento, deve -si è precisato- essere sopportato effettivamente e definitivamente dal soggetto alla cui capacità contributiva si riferisce l'obbligazione, e non già da altri, l'art. 53 Cost. esigendo che ad una determinata capacità contributiva faccia seguito l'adempimento del dovere di concorrere alla spesa pubblica, ed escludendo che tale obbligo possa sorgere in capo a soggetto privo di capacità contributiva; come pure che un soggetto possa accollarsi -anche di fatto- il carico contributivo altrui, essendo contrario all'interesse della collettività che il concorso alla spesa pubblica gravi -anche di fatto- su soggetto diverso da colui che vi è tenuto ex lege, in quanto ogni soggetto dotato di capacità contributiva deve in misura corrispondente contribuire personalmente al costo dei servizi e dei vantaggi sociali. Si è ulteriormente avvertito che nelle imposte dirette (in particolare, IRPEG e ILOR) la correlazione con la capacità contributiva è immediata, sicché più pressante è l'esigenza che il tributo incida effettivamente sul soggetto obbligato per legge, e non su soggetti diversi; segnalandosi essere la rivalsa obbligatoria lo strumento idoneo a far concorrere alla spesa pubblica il titolare della capacità contributiva ogniqualvolta altri adempia alla correlata obbligazione tributaria ( es., sostituto d'imposta). La nullità del patto volto a trasferire ( sia pure senza efficacia nei confronti dello Stato) su altri il peso del proprio dovere di solidarietà sociale di concorrere alla spesa pubblica si è ravvisato trovare ragione nella circostanza che, pur giovandosi dei vantaggi e dei benefici della vita associata, il soggetto obbligato ex lege in tal modo sottrae la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà e di perequazione. Nel considerare inammissibile il patto traslativo d'imposta, in quanto idoneo a consentire al soggetto tenutovi per legge di giovarsi «dei vantaggi e dei benefici della vita associata» sottraendo «la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà e di perequazione», con la sentenza n. 5 del 1985 le Sezioni Unite della Corte hanno dunque considerato in termini generali «vietato e nullo ( ai sensi dell'art. 1418, 1° comma, c.c. e per contrasto con l'art. 53 Cost.>> ) qualunque patto «con il quale un soggetto, ancorché senza effetti nei confronti dell'erario, riversi su altro soegetto, pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d'imposta e dal cosiddetto contribuente di fatto il peso della propria imposta, sia che si tratti d'imposta diretta che di imposta indiretta».</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 dicembre (a quasi un anno dalle precedenti Sezioni Unite) esce altra sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la n. 6445, la quale invero si muove in senso difforme dalla pronuncia precedente. Con la sentenza n. 6445 del 1985 le Sezioni Unite della Corte hanno diversamente affermato che il patto traslativo d'imposta è nullo per illiceità della causa contraria all'ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito. Pertanto, posto che l’art. 53, I comma, della Costituzione, nel riferimento alle imposte dirette intende assicurare che la ricchezza venga colpita in capo al soggetto che presenta adeguata capacità contributiva, ma si disinteressa dei modi in cui il contribuente che ha pagato recupera ricchezza in misura corrispondente, il patto co cui il mutuatario si obbliga a rimborsare all’ente mutuante quanto da esso pagato a titolo di i.r.p.e.g. e di i.l.o.r.è valido quando la sua efficacia è limitata inter partes, atteso che in tal caso l’imposta afferente al reddito viene comunque corrisposta al fisco dal soggetto che ne è percettore.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 16 aprile esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.2997 onde l’espromissione – tanto liberatoria quanto cumulativa – configura sempre un contratto a prestazioni corrispettive tra terzo nuovo debitore espromittente e creditore espromissario, laddove alla prestazione cui si obbliga il nuovo debitore espromittente si giustappone quella del creditore espromissario in termini di liberazione del vecchio debitore espromesso (fattispecie liberatoria) ovvero di degradazione a sussidiaria della relativa responsabilità (fattispecie cumulativa, laddove il creditore espromissario deve comunque prima chiedere al nuovo debitore espromittente e solo poi al vecchio debitore espromesso).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.861 alla cui stregua l’accollo costituisce un negozio giuridico avente una finalità autonoma ed una causa a sé stante (generica e tipica: l’estinzione del debito altrui) distinta rispetto a quella del rapporto fondamentale cui accede, onde se il terzo accollante ha assunto un debito altrui (originariamente in capo al debitore accollato) ed il creditore accollatario ha consentito alla liberazione del vecchio debitore (l’accollato appunto), è irrilevante per il creditore medesimo il titolo in forza del quale l’accollo è intervenuto tra accollante e accollato. Importante la presa di posizione onde, sulla scia di parte della dottrina, in ogni ipotesi di accollo cumulativo, e più in generale in ogni ipotesi di solidarietà tra obbligazioni nascenti da fonti diverse, si configura sempre una sussidiarietà nel rapporto tra gli obbligati in solido e dunque è sempre operativo il c.d. <em>beneficium ordinis</em> sulla cui scorta il creditore deve chiedere la prestazione sempre prima al nuovo debitore accollante e solo sussidiariamente al debitore originario: il corollario di questa impostazione ermeneutica è che non soltanto nell’accollo liberatorio (in cui il consenso del creditore appare in effetti imprescindibile), ma anche in quello cumulativo, generandosi comunque un pregiudizio al creditore (che si trova costretto a chiedere l’adempimento al terzo accollante prima di poter tornare a far valere le proprie ragioni contro il debitore originario), è da assumersi imprescindibile il consenso del creditore accollatario in termini di condizione di efficacia dell’accollo esterno nei relativi confronti, dovendo assumersi il ridetto consenso indispensabile affinché l’accollo spieghi l’effetto di attribuirgli una ragione di credito verso il terzo accollante.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 settembre viene varato il decreto legislativo n.385, testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui art.58 disciplina in modo peculiare la cessione dell’azienda bancaria onde, ai sensi dei comma 2 e 5, la banca cessionaria dà notizia dell'avvenuta cessione mediante relativa iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella G.U. della Repubblica italiana (potendo peraltro la Banca d'Italia stabilire forme integrative di pubblicità); a quel punto i creditori ceduti hanno facoltà, nei successivi 3 mesi, di esigere dal cedente o dal cessionario l'adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione, mentre trascorso il ridetto termine trimestrale il cessionario risponde in via esclusiva. In sostanza, a differenza di quanto prescritto dall’art.2560 c.c., in caso di cessione di azienda bancaria l’accollo <em>ex lege</em> è cumulativo solo nei primi 3 mesi dall’iscrizione della cessione nel registro delle imprese, divenendo poi liberatorio per il debitore accollato cedente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5770 alla cui stregua nella delegazione “<em>pura</em>” (o astratta) l’obbligazione del nuovo debitore delegato nei confronti del creditore delegatario è sganciata dal rapporto sottostante di provvista tra il vecchio debitore delegante ed appunto il nuovo debitore delegato e da quello di valuta tra il vecchio debitore delegante ed il creditore delegatario, onde i vizi di tali rapporti ordinariamente non rilevano e non si verifica una obbligazione trilatera: il creditore delegatario non deve infatti aderire al rapporto di provvista tra delegante e delegato (al quale resta estraneo), e non può d’altronde rifiutare l’adempimento offertogli dal delegato (su incarico del delegante), in quanto il rapporto (di valuta) che egli ha con il delegante è autonomo rispetto al rapporto (di provvista) tra delegante e delegato e ciò implica, ad un tempo, che il nuovo debitore delegato non potrebbe opporgli le eccezioni che invece potrebbe opporgli il vecchio debitore delegante. Ciò tuttavia – precisa la Corte – fatta salva l’ipotesi della c.d. “<em>nullità della doppia causa</em>”, che fa venire meno la funzione della delegazione e appunto la relativa causa: si parla di “<em>nullità della doppia causa</em>” anche se il codice civile, all’art.1271, comma 2, fa riferimento alla sola nullità del rapporto di valuta (tra delegante e delegatario: in sostanza, alla nullità del titolo che fonda il debito originario) che – pur non rendendo nullo in senso relativo (ed automaticamente) il titolo che fonda rapporto di provvista – rende tuttavia nulla in senso assoluto la complessiva operazione delegatoria nella relativa struttura trilaterale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.4185 che si occupa del principio processuale del divieto di domande nuove in appello, additandolo quale canone di ordine pubblico che, come tale, non può essere sanato dall'accettazione del contraddittorio da parte dell'appellato, spiegando efficacia tale accettazione solo nell'ipotesi di novità di domande proposte in primo grado, laddove il pertinente divieto risponde alla diversa esigenza (derogabile) di tutela della regolarità del contraddittorio; ne consegue per la Corte che è improponibile in appello – giacché integrante domanda nuova - la deduzione di una diversa <em>causa petendi</em> che, per essere fondata sulla prospettazione di nuove circostanze di fatto, determini il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione. Interessante, dal punto di vista sostanziale, la fattispecie addotta innanzi alla Corte: i giudici di appello, nel condannare una società di calcio ed un calciatore al pagamento, in solido tra loro, del compenso per le prestazioni sanitarie effettuate dal medico attore in prime cure a favore del calciatore, hanno assunto l'autorizzazione data dalla società all'attore di effettuare le prestazioni nei confronti del calciatore configurare un'espromissione cumulativa con cui, ai sensi dell'art. 1272 c.c., la società stessa si è assunta nei confronti del medico creditore, in aggiunta, il debito altrui (del calciatore appunto); la Corte, nel formulare il principio processuale richiamato, cassa la decisione d’appello rilevando la novità della <em>causa petendi</em> dedotta in appello posto che in primo grado l'attore, a fondamento della domanda, aveva invece fatto perno sull'accollo cumulativo del debito - con adesione del medico creditore medesimo - intercorso fra il debitore (il calciatore) e la società (il terzo), laddove l'espromissione (figura diversa) postula piuttosto l'assunzione del debito altrui da parte del terzo nei confronti del creditore.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.9982 alla cui stregua in presenza di un accollo cumulativo (ovvero di un accollo esterno non liberatorio per il debitore accollato originario, che si perfeziona comunque con il consenso del creditore), in analogia con quanto previsto per la delegazione dall’art.1268, comma 2 c.c., l’obbligazione del debitore originario accollato degrada ad obbligazione sussidiaria, di tal che il creditore accollatario ha l’onere di chiedere preventivamente l’adempimento all’accollante, pur non essendo tenuto ad escuterlo preventivamente, e solo dopo che tale richiesta sia risultata infruttuosa può rivolgersi all’accollato. Sul versante dei rapporti tra accollo interno ed accollo esterno, la Corte afferma come ogni accollo nasca in realtà “<em>interno</em>”, divenendo poi “<em>esterno</em>” se il creditore presta il proprio consenso, che dunque assume carattere costitutivo (e non si limita a rendere irrevocabile la stipulazione a proprio favore).</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.19396 alla cui stregua l'accordo contrattuale con cui si fa luogo ad un'espromissione ex art. 1272 c.c. intercorre unicamente tra il creditore espromissario e il nuovo debitore espromittente (che è terzo rispetto all'originario rapporto di credito - debito) e non ha - di per sé stesso - una causa necessariamente gratuita o necessariamente onerosa. Più in particolare, l'esistenza in concreto di una causa onerosa può per la Corte derivare dalla individuazione di un corrispettivo stabilito a favore del terzo espromittente, ma a tal fine non possono essere considerati gli effetti - come il regresso nei confronti del debitore originario espromesso - che dall'esecuzione dell'accordo possano derivare, laddove essi non siano intrinseci alla causa stessa del contratto e non integrino la ragione giustificatrice delle reciproche prestazioni delle parti; l'esistenza in concreto di una causa onerosa può poi derivare - al pari di quanto accade nell'assunzione di garanzia per debito altrui, e pur in difetto di formale partecipazione anche del debitore originario espromesso all'accordo - da sottostanti rapporti tra debitore originario espromesso medesimo e terzo espromittente nei quali si possa radicare il corrispettivo per quest'ultimo, e che possono anche consistere in vincoli di controllo o collegamento societario; a tal fine tuttavia, in difetto di indicazioni in proposito contenute nell'accordo, spetta alla parte che sostenga l'onerosità del negozio dedurre e dimostrare l'esistenza di tali rapporti e l'esatta portata di tali vincoli, oltre al modo in cui essi si siano eventualmente riflessi sugli interessi dedotti nel negozio di espromissione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 settembre viene varato il decreto legislativo n.209, c.d. codice delle assicurazioni private, i cui articoli 122 e seguenti si occupano in particolare della assicurazione obbligatoria della responsabilità civile connessa alla circolazione di veicoli o di natanti: interessante <em>ratione materiae</em> la procedura di “<em>risarcimento diretto</em>” disciplinato dall’art.149, coinvolgente il caso dell’incidente tra due veicoli entrambi assicurati per la responsabilità civile (molto frequente), circostanza nella quale ciascuno dei danneggiati deve chiedere l’indennizzo direttamente alla propria assicurazione che ha assunto il rischio della responsabilità civile connesso al veicolo utilizzato e circolante: ciascuna “<em>propria</em>” assicurazione è <em>ex lege</em> obbligata alla liquidazione del danno al proprio assicurato per conto dell’impresa di assicurazione dell’altro veicolo responsabile, configurandosi dunque un accollo <em>ex lege</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.8622 onde, laddove l’espromissione sia cumulativa (e dunque il vecchio debitore non ne risulti liberato), si è al cospetto non di un contratto a prestazioni corrispettive, quanto piuttosto, nella sostanza, di un atto unilaterale negoziale del nuovo debitore espromittente con il quale egli si assume il debito originariamente gravante in capo solo al debitore espromesso, dovendosi ritenere il consenso del creditore come meramente eventuale, stante la superfluità della relativa accettazione con riguardo ad effetti per lui solo favorevoli (lo schema richiama dunque quello dell’art.1333 c.c.); per la Corte nel contratto di espromissione l’impegno del nuovo debitore espromittente si perfeziona nei confronti del creditore espromissario al momento in cui lo stesso ne venga a conoscenza, senza che vi sia bisogno da parte sua di un atto di accettazione. Per la Corte - ammesso e non concesso che sia corretto configurare l’espromissione come contratto, mentre parrebbe più appropriato discorrere di negozio unilaterale, e premesso che la volontà dell’espromittente non deve rivestire forme sacramentali, potendo concretizzarsi financo in un comportamento concludente - si ritiene comunemente che il consenso del creditore espromissario si atteggi non già ad elemento necessario della fattispecie, quanto piuttosto ad elemento meramente eventuale; normalmente l’impegno del nuovo debitore espromittente si perfeziona infatti nei confronti del creditore nel momento in cui giunge a conoscenza di quest’ultimo, senza che occorra all’uopo un atto di accettazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.13459 alla cui stregua, in caso di simulazione relativa riguardante un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta <em>ad substantiam</em>, la prova dell'accordo simulatorio, traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato, deve essere data, ai sensi dell'art. 2725 c.c., mediante atto scritto, cioè con un documento contenente la controdichiarazione sottoscritta dalle parti, e comunque dalla parte contro la quale esso sia fatto valere in giudizio, con salvezza della prova testimoniale nella sola ipotesi, prevista dall'art. 2724, n. 3, c.c., di perdita incolpevole del documento. In applicazione di tale principio, la Corte cassa la sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che un'operazione bancaria consistente nello sconto di cambiali emesse da un terzo e nell'accreditamento del relativo importo sul conto corrente del cliente dissimuli un'espromissione cumulativa (attraverso la quale il terzo espromittente ha assunto il debito del correntista nei confronti della banca), senza accertare se, trattandosi di simulazione relativa di un contratto bancario, l'accordo simulatorio sia stato provato mediante un atto scritto, richiesto a pena di nullità dall'art. 117 del d.lg. 1° settembre 1993 n. 385.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 ottobre esce la sentenza del Tribunale di Modena n.1677 onde l'offerta di risarcimento del danno rivolta dall'assicuratore (della responsabilità civile) al terzo danneggiato - implicita nell'invito a definire transattivamente l'entità del danno medesimo - concreta una proposta di espromissione e, ove sia accettata, dà vita al relativo contratto, il quale non è soggetto ad onere di forma e del quale va assunta possibile la volontaria conclusione tacita.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4762 onde, in tema di contratti bancari, il bonifico (ossia l'incarico del terzo dato alla banca di accreditare al cliente correntista – creditore delegatario - la somma oggetto della provvista) costituisce un ordine (delegazione) di pagamento che la banca delegata, se accetta, si impegna (verso il delegante) ad eseguire. Da tale accettazione non discende, dunque, un'autonoma obbligazione della banca verso il correntista (creditore) delegatario, trovando lo sviluppo ulteriore dell'operazione la propria causa nel contratto di conto corrente che implica un mandato generale conferito alla banca dal correntista a eseguire e ricevere pagamenti per conto del cliente correntista medesimo, con autorizzazione a far affluire nel conto le somme così acquisite in esecuzione del mandato. Deriva da quanto precede per la Corte che, secondo il meccanismo proprio del conto corrente, la banca (delegata), facendo affluire nel conto passivo il pagamento ricevuto dall'ordinante (delegante), non esaurisce il proprio ruolo in quello di mero strumento di pagamento del terzo (delegante medesimo), ma diventa l'effettiva beneficiaria della rimessa, con l'effetto ad essa imputabile (se l'accredito intervenga nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento, e ricorrendo il requisito soggettivo della revocatoria fallimentare) di avere alterato la "<em>par condicio creditorum</em>".</p> <p style="text-align: justify;">L’11 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.19090 onde, sulla scorta di consolidata giurisprudenza, la delegazione è da intendersi quale negozio a forma libera, l'assunzione dell'obbligazione da parte del delegato (nei confronti del delegatario) non richiedendo speciali requisiti di forma e potendo derivare anche da <em>facta concludentia</em> oppure da una formazione progressiva e non contestuale dell’accordo. Ne deriva che se il delegato ha direttamente indirizzato la propria dichiarazione di adesione al delegante, e non anche al delegatario, ciò non esclude di per sé il perfezionamento del negozio, una volta che quella dichiarazione sia pervenuta al delegatario e questi la abbia, a propria volta, accettata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 01 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.17954 onde, in tema di contratti bancari, il bonifico (ossia l'incarico del terzo dato alla banca di accreditare al cliente correntista – creditore delegatario - la somma oggetto della provvista) costituisce un ordine (delegazione) di pagamento che la banca delegata, se accetta, si impegna (verso il delegante) ad eseguire. Da tale accettazione non discende, dunque, un'autonoma obbligazione della banca verso il correntista (creditore) delegatario, trovando lo sviluppo ulteriore dell'operazione la propria causa nel contratto di conto corrente che implica un mandato generale conferito alla banca dal correntista a eseguire e ricevere pagamenti per conto del cliente correntista medesimo, con autorizzazione a far affluire nel conto le somme così acquisite in esecuzione del mandato. Deriva da quanto precede per la Corte che, secondo il meccanismo proprio del conto corrente, la banca (delegata), facendo affluire nel conto passivo il pagamento ricevuto dall'ordinante (delegante), non esaurisce il proprio ruolo in quello di mero strumento di pagamento del terzo (delegante medesimo), ma diventa l'effettiva beneficiaria della rimessa, con l'effetto ad essa imputabile (se l'accredito intervenga nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento, e ricorrendo il requisito soggettivo della revocatoria fallimentare) di avere alterato la "<em>par condicio creditorum</em>".</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.26863 alla cui stregua, posto che l'espromissione non può avere ad oggetto un debito non ancora sorto, indeterminato nell' "<em>an</em>" anche se determinabile nel "<em>quantum</em>", in mancanza di un'obbligazione altrui precedente all'assunzione del debito, si configura non già un’espromissione quanto piuttosto un'obbligazione di garanzia per futuri possibili debiti dell'obbligato, istituto in relazione al quale è ammessa la facoltà di recesso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.4482 onde, nell'accollo cumulativo esterno non liberatorio per il debitore originario - che si perfeziona con il consenso del creditore, il quale può aderire alla convenzione di accollo anche successivamente, in tal modo acquisendo il diritto ad ottenere l'adempimento nei confronti del terzo - l'obbligazione dell'accollato, in analogia alla disciplina dettata per la delegazione dall'art. 1268, comma 2, c.c., degrada ad obbligazione sussidiaria, con la conseguenza che il creditore ha l'onere di chiedere preventivamente l'adempimento all'accollante, anche se non è tenuto ad escuterlo preventivamente, e soltanto dopo che la richiesta sia risultata infruttuosa può rivolgersi all'accollato. Il consenso del creditore si configura come elemento perfezionativo del contratto di accollo esterno, da assumersi sempre trilaterale, secondo la c.d. “<em>teoria dell’offerta</em>” alla cui stregua l’accollo richiede sempre l’accettazione del creditore (tesi affiorata in Italia sulla scorta della dottrina tedesca), discorrendosi in proposito di “<em>negozio aperto all’adesione del creditore</em>” piuttosto che di “<em>negozio a favore del terzo creditore</em>”; si tratta di tesi che la Corte abbraccia come conseguenza della presa di posizione del 2004 in tema di (sfavorevole al creditore) necessaria degradazione a sussidiaria dell’obbligazione del debitore originario accollato, valorizzandosi il disposto dell’art. 1273, ultimo comma, onde “<em>in ogni caso il terzo è obbligato verso il creditore che ha aderito alla stipulazione nei limiti in cui ha assunto il debito</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.15691, alla cui stregua, attesa la struttura unitaria della delegazione – compendiantesi in un rapporto unico con tre soggetti e due rapporti sottostanti - debbono sussistere per gli effetti delegatori due condizioni, vale a dire che il delegante sia creditore del delegato e debitore del delegatario e che il delegato abbia assunto l'obbligo di pagare a quest'ultimo il debito del delegante, mentre la formazione del negozio giuridico di delegazione può essere anche progressiva e non contestuale, senza che faccia venir meno la ridetta unicità del pertinente rapporto, così come è irrilevante, nella fattispecie di cui agli art. 1268 e 1269 c.c., la consapevolezza dell'esistenza e della natura della provvista, non essendo richiesta dalla norma.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 ottobre esce la sentenza della X sezione del Tribunale civile di Milano n. 13502 alla cui stregua nel giudizio che il soggetto danneggiato in occasione di un sinistro stradale – quando risulti applicabile la procedura di risarcimento diretto - abbia promosso nei confronti dell'assicuratore del responsabile, è ammissibile, e ha natura litisconsortile, l'intervento volontario dell'assicuratore del danneggiato attore medesimo che con tale atto manifesta, in forza della convenzione sottoscritta dalle imprese assicuratrici ai fini della regolazione dei rapporti relativi alla gestione del risarcimento diretto - dove si prevede la delegazione di debiti futuri - la volontà di obbligarsi verso il danneggiato medesimo, assumendo le obbligazioni risarcitorie asseritamente sorte in capo all'altro assicuratore (quello del danneggiante).</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 25862, onde, configurando l’accollo esterno un contratto a favore di terzo, il consenso del creditore accollatario non è mai indispensabile per fargli acquistare il credito verso il terzo nuovo debitore accollante, nemmeno come <em>condicio juris</em> di efficacia della stipulazione a proprio favore, spiegando la sola funzione di rendere irrevocabile tale stipulazione secondo la disciplina, per l’appunto, del contratto a favore di terzi, ma non occorrendogli per acquistare il diritto verso il terzo accollante, trattandosi di effetto che si produce automaticamente.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.1758 che ribadisce <em>in primis</em> come - configurando l’accollo esterno un contratto a favore di terzo - il consenso del creditore accollatario non è mai indispensabile per fargli acquistare il credito verso il terzo nuovo debitore accollante, nemmeno come <em>condicio juris</em> di efficacia della stipulazione a proprio favore, spiegando la sola funzione di rendere irrevocabile tale stipulazione secondo la disciplina, per l’appunto, del contratto a favore di terzi, ma non occorrendogli per acquistare il diritto verso il terzo accollante, trattandosi di effetto che si produce automaticamente. Per la Corte l’adesione del creditore, in analogia con quanto previsto in materia di delegazione all’art. 1268, 2° comma, fa degradare a sussidiaria l’obbligazione del debitore originario accollato, e tuttavia, anche in difetto dell’adesione, l’accollo è comunque perfezionato e idoneo ad attribuire al creditore il diritto verso l’accollante, senza però che in tal caso si configuri alcun onere di preventiva richiesta a quest’ultimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.22166 alla cui stregua l'espromissione è un contratto fra creditore espromissario e terzo espromittente, il quale ultimo assume spontaneamente il debito altrui, non venendo in considerazione i rapporti interni fra debitore originario espromesso e terzo espromittente, né palesandosi giuridicamente rilevanti i motivi che hanno indotto l'intervento del terzo espromittente; la causa di tale contratto è costituita dall'assunzione del debito altrui tramite un'attività del tutto svincolata dai rapporti eventualmente esistenti fra terzo espromittente e debitore originario espromesso, non richiedendosi tuttavia l'assoluta estraneità dell'obbligato espromesso rispetto al terzo espromittente ed essendo piuttosto necessario che il terzo, presentandosi al creditore espromissario, non giustifichi il proprio intervento con un preesistente accordo con l'obbligato.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 giugno esce la sentenza della V sezione del Tribunale di Napoli onde - rispetto all’intervento spontaneo per il pagamento del debito altrui, in cui si sostanzia l’istituto dell’espromissione - la presenza o l’assenza di causa non può valutarsi con riguardo al rapporto di provvista (tra terzo espromittente ed originario debitore espromesso), ma solo ed esclusivamente con riferimento a quello di valuta, nel senso che in ogni caso non è possibile obbligarsi indipendentemente dall’altrui obbligazione da assumere (e dunque dall’obbligazione originaria gravante sul debitore espromesso nei confronti del creditore); altrimenti - pure in presenza del patto di cui all’art. 1272, comma 2, c.c. (possibilità per il nuovo debitore espromittente di opporre al creditore le eccezioni afferenti ai propri rapporti con il debitore originario espromesso), che è modalità accidentale e non causa - non si potrebbe parlare di espromissione ma di un contratto in cui una parte si obbliga verso un’altra senza alcuna giustificazione razionale, ossia senza causa, la quale ultima si configura per il semplice fatto di assumere un debito altrui, sempre che tale debito vi sia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;"> Il 24 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 4383 che si occupa di una fattispecie già affrontata dalla precedente sentenza 25863 del 2011 in materia di accollo interno e di relativa natura giuridica, con possibilità di estensione al negozio di accollo (intercorrente tra vecchio debitore accollato e nuovo debitore accollante) degli eventuali vizi che affettano il rapporto di valuta tra debitore originario accollato e creditore accollatario (nel caso di specie, interessi anatocistici non dovuti). Nel caso di specie, una impresa appaltatrice viene resa destinataria di un decreto ingiuntivo da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari committente per il pagamento di alcune somme di denaro: in base ad accordi intercorsi, l’IACP si è impegnato ad anticipare le somme dovute all’impresa quale corrispettivo degli eseguiti lavori in ragione dei pertinenti stati d’avanzamento (ancora prima di ricevere i relativi finanziamenti all’uopo disposti dalla Regione) facendosi finanziare da una banca con un’apertura di credito in conto corrente; l’accollo diviene rilevante dal momento che l’impresa si è a propria volta impegnata ad accollarsi appunto (accollo interno) il debito degli interessi passivi dovuti dall’IACP alla banca finanziatrice. L’impresa rifiuta nondimeno di pagare gli interessi passivi, adducendo da un lato una negligenza dell’IACP nell’attivarsi per ottenere i finanziamenti regionali e dall’altro, massime, l’illegittimità degli interessi dovuti dall’Istituto alla banca, da assumersi anatocistici e frutto di capitalizzazione trimestrale in frizione con il disposto dell’art. 1283 c.c.. La Corte, confermando i giudizi di merito, ravvisa nella fattispecie un accollo “<em>interno</em>” (o semplice) del debito da interessi dovuti dall’Istituto alla banca, quale accordo ad effetti obbligatori che opera nei soli rapporti interni tra accollante (nel caso di specie, l’impresa) e accollato (nel caso di specie, l’IACP) - a differenza di quanto accade nell’accollo c.d. “<em>esterno</em>” di cui all’art. 1273 c.c. – dacché debitore della banca resta sempre e soltanto l’IACP quale debitore originario accollato, mentre l’impresa (accollante) si obbliga <em>sic et simpliciter</em> ad assumersi il peso economico del pertinente debito nei confronti dell’IACP senza rendersi – ad un tempo ed a propria volta - debitrice della banca finanziatrice. Tale accollo interno, come la dottrina ha fatto notare, è fonte dell’obbligo alternativo, in capo all’accollante, di rimborsare il debitore accollato allorché questi abbia pagato il creditore; ovvero di fornirgli in anticipo la somma con cui procedere al ridetto pagamento; ovvero di adempiere direttamente nelle mani del creditore come terzo ex art. 1180 c.c.; ovvero ancora di stipulare con il creditore un’espromissione con cui il terzo accollante interno (ed espromittente) si assume il debito dell’accollato (ed espromesso). Quello che è certo per la Corte è che, nell’accollo interno, l’accollante non diventa mai a propria volta (direttamente) debitore del creditore accollatario, nemmeno laddove questi aderisca al contratto di accollo (dovendosi assumere per la Corte superata la tesi onde ogni accollo nasce come accollo interno, divenendo poi esterno se il creditore presta il proprio consenso): l’accollo che nasce come interno è un patto che riguarda i soli contraenti da esso coinvolti, onde l’accollante si obbliga a tenere indenne l’accollato del peso economico di una obbligazione da questi contratta, e ciò, di volta in volta, a titolo di corrispettivo di un’operazione contrattuale, ovvero per spirito di liberalità (e ricorre allora una donazione obbligatoria), ovvero ancora per estinguere una precedente obbligazione tra le parti (c.d. accollo interno <em>solvendi causa</em> laddove, piuttosto che adempiere direttamente, il terzo accollante si impegna appunto a tenere indenne il proprio creditore accollato da un debito di lui verso il creditore accollatario, con possibilità di configurare una <em>datio in solutum</em> o una novazione a seconda del momento estintivo della precedente obbligazione tra accollato creditore e accollante debitore). L’accollo attribuisce invece al creditore accollatario una autonoma ragione di credito verso il terzo nuovo debitore accollante solo se la volontà delle parti si esprime chiaramente in tal senso, configurandosi allora un contratto a favore di terzo, aperto alla adesione del terzo creditore accollatario che, laddove intervenga, rende irrevocabile la stipulazione a proprio favore, ai sensi dell’art. 1273, comma 1, c.c. L’accollo interno non incide dunque, per la Corte, sull’obbligazione originaria tra debitore accollato e creditore accollatario, non essendo idonea a realizzare né una successione nel debito né tampoco una novazione soggettiva, l’obbligazione “<em>accollata</em>” fungendo solo da parametro per determinare, <em>per relationem</em>, l’oggetto dell’obbligazione che l’accollante si va ad assumere verso l’accollato in virtù del contratto tra gli stessi precipuamente intercorso, tale oggetto della prestazione dovuta dall’accollante all’accollato palesandosi per l’appunto determinabile con riferimento alla prestazione dovuta dall’accollato debitore originario al creditore accollatario (nel caso di specie, l’obbligo per l’IACP di corrispondere gli interessi alla banca), senza che si verifichi alcun subentro nell’obbligazione originaria, che continua a gravare sul (del pari) originario debitore (e dunque sull’IACP). Per la Corte, sulla scorta di queste premesse, l’eventuale illegittimità degli interessi corrisposti dall’IACP all’istituto di credito va fatta valere esclusivamente dallo stesso IACP nei confronti della banca creditrice, essendo l’Istituto l’unico titolare passivo del rapporto obbligatorio, mentre la prestazione dovuta dall’impresa accollante non si compendia in quella di corrispondere i ridetti interessi, palesandosi solo parametrata su quest’ultima, pur dovendosi in qualche modo tutelare l’accollante interno per il caso di eventuale inerzia dell’accollato (nel caso di specie, dell’IACP) laddove questi negligentemente non faccia valere le proprie ragioni verso la banca in tal modo aggravando la posizione contrattuale di chi si è accollato il peso economico del debito, con un rimedio che tuttavia, per la Corte, può al più atteggiarsi a risolutorio e risarcitorio per violazione del dovere di buona fede sulla scorta della c.d. <em>exceptio doli generalis</em>, senza tuttavia che l’accollante possa invocare la nullità del contratto (dal quale nasce l’obbligazione “<em>accollata</em>”) per violazione dell’articolo 1283 c.c. (divieto di anatocismo). Nella pronuncia non manca peraltro, seppure in <em>obiter dictum</em>, un riferimento anche al c.d. accollo esterno, che la Corte inquadra quale contratto a favore di terzo onde il creditore acquista il credito nei confronti del nuovo debitore accollante indipendentemente da un proprio espresso consenso, che nella eventualità svolge la sola funzione di rendere irrevocabile la stipulazione a proprio favore alla stregua dall’art. 1273, 1° comma, c.c. (con palese richiamo alla disciplina dell’art. 1411 proprio in materia di contratto a favore di terzo). Più nel dettaglio, sul crinale dell’accollo c.d. esterno, la Corte supera – seppure sempre <em>in obiter</em> - l’orientamento inaugurato nel 1992 e ribadito dalla propria sentenza 9982.04 laddove, sulla scia di parte della dottrina, in ogni ipotesi di accollo cumulativo, e più in generale in ogni ipotesi di solidarietà tra obbligazioni nascenti da fonti diverse, vi sarebbe sempre una sussidiarietà nel rapporto tra gli obbligati in solido e dunque sarebbe sempre operativo il c.d. <em>beneficium ordinis</em> sulla cui scorta il creditore dovrebbe chiedere la prestazione sempre prima (nel caso di specie) all’accollante e solo sussidiariamente al debitore originario accollato: il corollario di questa impostazione ermeneutica è che non soltanto nell’accollo liberatorio (in cui il consenso del creditore appare imprescindibile), ma anche in quello cumulativo, affiorando comunque un pregiudizio al creditore (che si trova costretto a chiedere l’adempimento al terzo accollante prima di poter tornare a far valere le proprie ragioni contro il debitore originario), è da assumersi imprescindibile il consenso del creditore accollatario in termini di condizione di efficacia dell’accollo esterno nei relativi confronti, dovendo assumersi il ridetto consenso indispensabile affinché l’accollo spieghi l’effetto di attribuirgli una ragione di credito verso il terzo accollante; secondo una opzione ancora più rigorosa, il consenso del creditore si configura come elemento perfezionativo del contratto di accollo esterno, da assumersi sempre trilaterale conformemente alla c.d. “<em>teoria dell’offerta</em>” (formulata dalla dottrina tedesca ed abbracciata da parte della dottrina italiana) alla cui stregua l’accollo richiederebbe sempre l’accettazione del creditore, discorrendosi di negozio aperto all’adesione del creditore piuttosto che di negozio a favore del terzo creditore; in giurisprudenza, questa tesi è riemersa proprio dopo la presa di posizione della Cassazione del 2004 sulla necessaria degradazione a sussidiaria dell’obbligazione del vecchio debitore accollato, massime in Cass., 24 febbraio 2010, n. 4482, tendendosi all’uopo a valorizzare il disposto dell’art. 1273, ultimo comma, onde “<em>in ogni caso il terzo è obbligato verso il creditore che ha aderito alla stipulazione nei limiti in cui ha assunto il debito</em>”. Con questa pronuncia la Corte sembra invece inserirsi nella propria scia pretoria intesa a rivedere il precedente orientamento (testé richiamato) onde, configurando l’accollo esterno piuttosto un vero e proprio contratto a favore di terzo, il consenso del creditore accollatario non è mai indispensabile per fargli acquistare il (nuovo) credito verso il terzo accollante, nemmeno come <em>condicio juris</em> di efficacia della stipulazione a proprio favore, spiegando la sola funzione di rendere irrevocabile tale stipulazione a proprio favore secondo la disciplina, per l’appunto, del contratto a favore di terzi, ma non occorrendogli per acquistare il diritto verso il terzo accollante, effetto quest’ultimo che si produce automaticamente nella propria sfera giuridica, l’adesione del creditore - in analogia con quanto previsto in materia di delegazione all’art. 1268, 2° comma - occorrendo semmai a far degradare a sussidiaria l’obbligazione del debitore originario, dovendosi nondimeno, anche in difetto dell’adesione creditoria, assumere l’accollo comunque perfezionato e idoneo ad attribuire (automaticamente) al creditore il diritto verso l’accollante, senza in tal caso alcun onere di preventiva richiesta a quest’ultimo. Per la Corte, l’accollo esterno ha dunque natura di contratto a favore di terzo, con acquisto del credito in capo al creditore accollatario nei confronti del nuovo creditore accollante che consegue direttamente dal perfezionamento del negozio di accollo tra l’accollante e il debitore accollato; solo l’accollo liberatorio (laddove si prevede già con apposita clausola del pertinente contratto la liberazione del debitore originario accollato) va per la Corte assunto come negozio trilaterale che richiede come tale il necessario consenso dell’accollatario, mentre nell’accollo cumulativo il diritto del creditore accollatario si acquista in capo a lui per effetto della semplice stipulazione tra originario debitore accollante e nuovo debitore accollato, il consenso del creditore occorrendo solo a rendere irrevocabile la stipulazione a proprio favore e a far degradare a sussidiaria l’obbligazione del debitore originario accollato il quale ultimo, senza il ridetto consenso del creditore, non potrebbe fruire di alcun <em>beneficium ordinis</em> nei confronti del nuovo debitore accollante, analogamente a quanto previsto – in tema di <em>delegatio promittendi</em> - dall’art. 1268, 2° comma, c.c., con sussidiarietà solo laddove il creditore accetti la delegazione medesima.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"> <strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;"> Il 21 aprile esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.8090 che rimette alle SSUU la questione se, e a quali condizioni, la cessione o il conferimento dell’azienda accolli al cessionario o conferitario il debito restitutorio (futuro) nascente dalla sopravvenuta revocatoria fallimentare del pagamento di crediti aziendali: in sostanza, revocato il pagamento di un credito a suo tempo operato a favore dell’azienda, il problema è quello di capire se chi si è reso cessionario o conferitario dell’azienda medesima si ritrovi, in quanto tale, accollante del pertinente debito restitutorio - futuro rispetto alla cessione o al conferimento – dell’azienda medesima (con cedente o conferente in veste di accollato). Limitandosi, per semplificare, alla fattispecie della cessione di azienda, viene chiesto alle SSUU se detta cessione dell'azienda comporti comunque, per il cessionario, l'accollo dei debiti anche futuri di cui risultino già i presupposti (ad esempio, è stato stipulato il contratto dal quale il debito sorge) al momento della cessione e, in particolare, dei debiti che affioreranno dalla sopravvenuta dichiarazione di inefficacia di pagamenti di crediti aziendali risultanti dalla documentazione contabile al momento della cessione dell'azienda medesima, e dalla stessa in un primo momento incassati. Fa rilevare la Sezione rimettente che, stando alla giurisprudenza prevalente, l'art. 58 del d.lgs. 10 settembre 1993, n. 385 - nel prevedere il trasferimento delle passività al cessionario in forza della sola cessione e del decorso del termine di 3 mesi dalla pubblicità notizia di essa (secondo quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 58), e non la mera aggiunta della responsabilità di quest'ultimo a quella del cedente, deroga all'art. 2560 c.c. (accollo liberatorio e non cumulativo), su cui prevale in virtù del principio di specialità (si richiama Cass., sez. III, 26 agosto 2014, n. 18258) comportando perciò il trasferimento anche dei debiti per sanzioni irrogate dopo la cessione, quand’anche in relazione a fatti commessi in precedenza (Cass., sez. I, 29 ottobre 2010, n. 22199, m. 614833). Se per la Corte rimettente è indiscutibile che l'art. 58 legge bancaria prevede la liberazione del cedente alla scadenza del ridetto termine di 3 mesi (Cass., sez. I, 3 maggio 2010, n. 10653), questa deroga non esclude affatto che – negli altri casi - quello previsto dall'art. 2560 c.c. sia un accollo cumulativo, con trasferimento dei debiti (anche) al cessionario; senonché, se nel caso della cessione di azienda bancaria è la legge a prevedere che ne consegua il trasferimento di tutte le situazioni soggettive attive e passive - comprese quelle maturate <em>medio tempore</em> e successivamente alla intervenuta cessione - non si vede perché un analogo effetto traslativo “<em>onnicomprensivo</em>” non debba aversi anche per le cessioni delle altre aziende commerciali, almeno quando sia l'atto di cessione a includere espressamente (come nel caso scandagliato) tutte le situazioni attive e passive quali risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute, compreso dunque l’eventuale pagamento ricevuto dal cedente, presente nelle ridette scritture contabili e dipoi revocato a seguito di fallimento del <em>solvens</em>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n. 5054 che si pronuncia sulla trasferibilità al soggetto cessionario d’azienda dei debiti (restitutori) futuri, sorti in capo al soggetto cedente in epoca successiva alla cessione ed in virtù dell’accoglimento della domanda revocatoria di pagamenti ricevuti dal cedente medesimo in epoca antecedente alla cessione dell’azienda <em>de qua</em>, assumendo di non poter condividere la ricostruzione estensiva operata nel caso di specie dalla Corte territoriale (I sezione) in quanto contrastante con il dato testuale ricavabile dall’<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/03/31/dell-azienda#art2560">art. 2560 c.c.,</a> il cui tenore letterario, valorizzato dal Collegio, costituisce parametro ermeneutico prioritario e poziore ai sensi dell’art. 12 delle c.d. preleggi. Proprio il dato testuale non consente per la Corte di includere nel trasferimento d’azienda posizioni giuridiche soggettive non qualificabili tecnicamente come “<em>debitorie</em>”, ma correlate piuttosto all’esercizio, da parte di un terzo soggetto, di un diritto potestativo, come nel caso appunto della posizione di soggezione rispetto ad una successiva (eventuale) azione revocatoria promossa dal curatore del fallimento del <em>solvens</em> che pagò, a suo tempo, al cedente d’azienda. Per le SSUU l’obbligazione pecuniaria di restituzione sorta a carico dell’<em>accipiens</em> (il cedente dell’azienda) a seguito dell’accoglimento dell’azione revocatoria promossa dal curatore del fallimento del <em>solvens</em> si configura, rispetto al trasferimento d’azienda, quale sopravvenienza passiva caratterizzata dall’avere, come “<em>fatto genetico mediato</em>”, il rapporto contrattuale - preesistente rispetto al perfezionamento della vicenda traslativa - in esecuzione del quale è stato effettuato dal <em>solvens in bonis</em> il pagamento successivamente dichiarato inefficace a favore del cedente dell’azienda; tale sopravvenienza passiva rinviene invece il proprio “<em>fatto genetico immediato</em>” nell’accoglimento dell’azione revocatoria, e ciò in quanto il debito di restituzione sorge con la sentenza - alla quale è pacificamente riconosciuta natura costitutiva (come si ricava, <em>ex multis</em>, da Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 2016, n. 509) - che, pronunciando appunto la revoca del pagamento allora effettuato, attualizza il diritto potestativo esercitato dalla massa con l’azione del curatore (Cass. civ., sez. I, 3 luglio 2015, n. 13767); onde è la sentenza emessa a definizione dell’azione revocatoria a produrre, per la Corte, l’effetto caducatorio dell’atto giuridico impugnato (il pagamento) ed il contestuale sorgere del conseguente credito del fallimento alla restituzione di quanto pagato dal fallito (Cass. civ., sez. I, 30 luglio 2012, n. 13560). L’ulteriore precipitato è che, fino alla sentenza (costitutiva appunto) di revoca del pagamento effettuato dal <em>solvens</em>, è da escludere l’esistenza di un credito restitutorio a favore del <em>solvens</em> medesimo e di una corrispondente obbligazione restitutoria a contenuto pecuniario a carico dell’<em>accipiens</em>, dacché solo una volta perfezionatosi l’accertamento giudiziale e prodottosi il relativo effetto costitutivo, sorge per le SSUU la conseguente obbligazione restitutoria (Cass. civ., sez. I, 30 luglio 2012, n. 13560). L’inefficacia dell’atto solutorio posto in essere a suo tempo dal <em>solvens</em> <em>in bonis</em> (nelle mani dell’<em>accipiens</em>, e dunque del cedente d’azienda) sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda, che ha natura costitutiva (Cass. civ., sez. I, 10 giugno 2011, n. 12736), e che ha ad oggetto l’esercizio di un diritto potestativo e non di un diritto di credito (Cass. civ., sez. I, 15 dicembre 2011, n. 27084). Atteso allora, prosegue la Corte, che - stando al valorizzato dato letterale - nell’ambito di applicazione del comma 2 dell’art. 2560 c.c. rientrano testualmente i debiti già maturati ed annotati nei libri contabili, l’obbligazione restitutoria a contenuto pecuniario sorta in capo all’<em>accipiens</em> soccombente in virtù della sentenza costitutiva di accoglimento della domanda revocatoria spiegata dal curatore del <em>solvens</em> <em>medio tempore</em> fallito, costituendo una sopravvenienza passiva, non può ritenersi estensivamente ricompresa nel compendio aziendale ceduto, né può essere assunta quale accessorio che segue l’azienda nella relativa vicenda circolatoria; ciò in quanto, a diversamente opinare, si finirebbe con l’attribuire rilevanza ad un documentato fatto genetico mediato (il contratto dal quale è nata l’obbligazione pecuniaria adempiuta dal <em>solvens in bonis</em>), ovvero ad un mero rischio di sopravvenienza passiva, con la conseguente, inaccettabile produzione di un <em>vulnus</em> al legittimo affidamento del cessionario, la cui tutela è invece per la Corte essenziale ai fini del corretto svolgimento della circolazione di beni (massime se di particolare rilievo commerciale), e per garantire la quale - attesa la palese <em>ratio</em> protettiva sottesa all’<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/03/31/dell-azienda#art2560">art. 2560 c.c.</a>, quale norma intesa precipuamente a presidiare il cessionario onde consentirgli di acquisire adeguata e specifica cognizione dei debiti assunti (Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 2012, n. 23828) - la responsabilità del cessionario deve essere necessariamente ricondotta nell’alveo dell’evidenza diretta, risultante dai libri contabili obbligatori dell’impresa. Le SSUU risolvono allora la questione loro sottoposta statuendo il principio di diritto onde la chiara dizione della rubrica (debiti relativi all’azienda ceduta) e del testo dell’<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/03/31/dell-azienda#art2560">art. 2560 cod. civile</a> non consente di ritenere estensivamente inclusa nel trasferimento dell’azienda commerciale anche una situazione non già di debito, bensì di soggezione ad una successiva (futura ed eventuale) azione revocatoria promossa dal curatore del fallimento del <em>solvens</em>, un possibile ampliamento della portata applicativa dell’<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/03/31/dell-azienda#art2560">art. 2560 cod. civ.</a> palesandosi predicabile nelle sole, circoscritte ipotesi in cui sia ravvisabile una perdurante identità soggettiva sostanziale tra cedente e cessionario come, esemplificativamente, nell’ipotesi di conferimento dell’azienda di un’impresa individuale in una società unipersonale, laddove tale identità soggettiva sostanziale appare significativa di una conoscenza diretta dei rapporti giuridici <em>in fieri</em>, estranea alla <em>ratio</em> protettiva del successore a titolo particolare nell’azienda, sottesa all’<a href="http://www.altalex.com/documents/news/2014/03/31/dell-azienda#art2560">art. 2560 cod. civile</a>. Va aggiunta poi, secondo parte della dottrina, l’ulteriore considerazione onde ammettere l’accollo da parte del cessionario di azienda di “<em>debiti</em>” che in realtà sono <em>ab origine</em> mere soggezioni, quand’anche con possibilità di tradursi – in futuro – in veri e propri “<em>debiti</em>” (restitutori) finisce con il cozzare anche con la necessaria determinatezza (o comunque determinabilità) dell’oggetto dell’accollo <em>ex lege</em>, siccome mutuabile dall’art.1346 c.c. laddove disciplina l’oggetto dell’accollo convenzionale, a tutela del terzo creditore accollatario (nella specie, per l’appunto il cessionario di azienda).</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione penale n.34534, che rammenta come la giurisprudenza di legittimità abbia da tempo e senza oscillazioni chiarito il negozio giuridico di delegazione avere una struttura unitaria, essendo composto di un rapporto unico con tre soggetti e due rapporti sottostanti; per conseguenza debbono sussistere, per l’integrazione degli effetti delegatori, due condizioni, e cioè che il delegante sia creditore del delegato e debitore del delegatario, e che il delegato abbia assunto l’obbligo di pagare a quest’ultimo il debito del delegante. Per la Corte è pacifico che la delegazione passiva possa avere ad oggetto tanto una promessa di futuro pagamento (<em>delegatio promittendi</em>, con funzione creditoria), quanto un pagamento immediato (<em>delegatio solvendi</em> o <em>dandi</em>, con funzione solutoria); e che essa possa assolvere quindi sia alla finalità di predisporre un futuro adempimento e di rafforzare il rapporto obbligatorio, aggiungendovi un nuovo debitore (delegato) con posizione di obbligato principale accanto al debitore originario (delegante), la cui obbligazione diventa, peraltro, sussidiaria (delegazione cosiddetta cumulativa), sia alla finalità di rendere possibile l’adempimento, in atto, di un’obbligazione già scaduta, ad opera di un terzo (delegato) anziché ad opera del debitore (delegante), con funzione immediatamente solutoria (viene rammentata in proposito la sentenza della I sezione della Cassazione civile n. 676 del 12/03/1973). E’ vero, prosegue la Corte, che la formazione del negozio giuridico di delegazione può essere anche progressiva e non contestuale, senza che ciò possa far venire meno la unicità del rapporto; tuttavia gli elementi costitutivi della fattispecie delegatoria, allorché siano tali da escludere il fine di evasione delle imposte, vanno rigorosamente provati (e non già solo assertivamente allegati) da colui che ne invoca la sussistenza; ciò atteso come - in tema di delitto di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (fatture emesse dal creditore nei confronti di un debitore che non è quello che adempie) - quando risulti provata dall’accusa la fittizietà della intestazione delle fatture in relazione ai soggetti tra i quali il rapporto contrattuale e’ intercorso, spetta all’emittente della fattura fittizia provare la corrispondenza tra il dato fattuale, inerente ai rapporti giuridici che si ipotizzano effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale detti rapporti siano stati attestati (nella fattura).</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 luglio esce la sentenza delle SSUU n. 18725 in tema di bancogiro nullo in difetto di atto pubblico, configurando il medesimo una donazione diretta e non già indiretta: per la Corte infatti <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=A%3dLaJZP%26H%3dDg%269%3dWJhMf%262%3dYLaFcS%26Q%3duREL_5ynv_F9_Cwfx_MB_5ynv_EDHS0.B4NvREKrE4Q6R4Vv9.4P_5ynv_ED9A0Q_Cwfx_MBL_Plyc_Z1fMhUfKcNfK_Plyc_Z1t8J7K_vJ_w71A0CvP0_OrLK7_nREK_3Sw8yGxK.uR8H_5ynv_FDFPz_Q0Q5Az_Nd1k_Yqlzm_1CHOyCEPrP_Cwfx9v7n_Mb8R8_IrB4Qz_Plyc_ayAz94H_5ynv_EdFPz_AvI394C1_Plyc_ayjro%26y%3d%26E6%3dZOeIh">in tema di proprietà di beni mobili e di donazione, l’atto recante il trasferimento, a mezzo banca, di strumenti finanziari, dal conto deposito-titoli a quello del beneficiario, si qualifica quale </a><a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=A%3dLaJZP%26H%3dDg%269%3dWJhMf%262%3dYLaFcS%26Q%3duREL_5ynv_F9_Cwfx_MB_5ynv_EDHS0.B4NvREKrE4Q6R4Vv9.4P_5ynv_ED9A0Q_Cwfx_MBL_Plyc_Z1fMhUfKcNfK_Plyc_Z1t8J7K_vJ_w71A0CvP0_OrLK7_nREK_3Sw8yGxK.uR8H_5ynv_FDFPz_Q0Q5Az_Nd1k_Yqlzm_1CHOyCEPrP_Cwfx9v7n_Mb8R8_IrB4Qz_Plyc_ayAz94H_5ynv_EdFPz_AvI394C1_Plyc_ayjro%26y%3d%26E6%3dZOeIh">donazione diretta</a><a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=A%3dLaJZP%26H%3dDg%269%3dWJhMf%262%3dYLaFcS%26Q%3duREL_5ynv_F9_Cwfx_MB_5ynv_EDHS0.B4NvREKrE4Q6R4Vv9.4P_5ynv_ED9A0Q_Cwfx_MBL_Plyc_Z1fMhUfKcNfK_Plyc_Z1t8J7K_vJ_w71A0CvP0_OrLK7_nREK_3Sw8yGxK.uR8H_5ynv_FDFPz_Q0Q5Az_Nd1k_Yqlzm_1CHOyCEPrP_Cwfx9v7n_Mb8R8_IrB4Qz_Plyc_ayAz94H_5ynv_EdFPz_AvI394C1_Plyc_ayjro%26y%3d%26E6%3dZOeIh">, e ciò anche se trans-mortem, l’ordine di bonifico richiedendo dunque la </a><a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=A%3dLaJZP%26H%3dDg%269%3dWJhMf%262%3dYLaFcS%26Q%3duREL_5ynv_F9_Cwfx_MB_5ynv_EDHS0.B4NvREKrE4Q6R4Vv9.4P_5ynv_ED9A0Q_Cwfx_MBL_Plyc_Z1fMhUfKcNfK_Plyc_Z1t8J7K_vJ_w71A0CvP0_OrLK7_nREK_3Sw8yGxK.uR8H_5ynv_FDFPz_Q0Q5Az_Nd1k_Yqlzm_1CHOyCEPrP_Cwfx9v7n_Mb8R8_IrB4Qz_Plyc_ayAz94H_5ynv_EdFPz_AvI394C1_Plyc_ayjro%26y%3d%26E6%3dZOeIh">forma scritta pubblica</a><a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=A%3dLaJZP%26H%3dDg%269%3dWJhMf%262%3dYLaFcS%26Q%3duREL_5ynv_F9_Cwfx_MB_5ynv_EDHS0.B4NvREKrE4Q6R4Vv9.4P_5ynv_ED9A0Q_Cwfx_MBL_Plyc_Z1fMhUfKcNfK_Plyc_Z1t8J7K_vJ_w71A0CvP0_OrLK7_nREK_3Sw8yGxK.uR8H_5ynv_FDFPz_Q0Q5Az_Nd1k_Yqlzm_1CHOyCEPrP_Cwfx9v7n_Mb8R8_IrB4Qz_Plyc_ayAz94H_5ynv_EdFPz_AvI394C1_Plyc_ayjro%26y%3d%26E6%3dZOeIh"> tra beneficiante e beneficiario.</a> Nel contesto motivazionale della pronuncia, la Corte precisa peraltro che una liberalità non donativa può essere realizzata anche con un contratto a favore di terzo, ossia in virtù di un accordo tra disponente/stipulante e promittente con il quale al terzo beneficiario è attribuito un diritto, senza che quest’ultimo paghi alcun corrispettivo e senza prospettiva di vantaggio economico per lo stipulante. Il contratto a favore di terzo, per la Corte, può bensì importare una liberalità a favore del medesimo, ma costituendo detta liberalità solo la conseguenza non diretta né principale del negozio giuridico avente una causa diversa, si tratta di una donazione indiretta, la quale, se pure è sottoposta alle norme di carattere sostanziale che regolano le donazioni, non sottostà invece alle norme riguardanti la forma di queste ( viene richiamata Cass., Sez. I, 29 luglio 1968, n. 2727). Seguendo quest’ordine di idee, precisa il Collegio, si è ricondotta alla donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario (vengono richiamate Cass., Sez. II, 10 aprile 1999, n. 3499; Cass., Sez. I, 22 settembre 2000, n. 12552; Cass., Sez. II, 12 novembre 2008, n. 26983); per la Corte anche la cointestazione di buoni postali fruttiferi, ad esempio operata da un genitore per ripartire fra i figli anticipatamente le proprie sostanze, può configurare, ove sia accertata l’esistenza dell’<em>animus donandi</em>, una donazione indiretta, in quanto, attraverso il negozio direttamente concluso con il terzo depositario, la parte che deposita il proprio denaro consegue l’effetto ulteriore di attuare un’attribuzione patrimoniale in favore di colui che ne diventa beneficiario per la corrispondente quota, essendo questi, quale contitolare del titolo nominativo a firma disgiunta, legittimato a fare valere i relativi diritti (viene richiamata Cass., Sez. II, 9 maggio 2013, n. 10991). La Corte precisa poi, con riguardo al c.d. bancogiro, che il passaggio di valori patrimoniali a titolo di liberalità dal beneficiante al beneficiario eseguito a mezzo banca non ricade nell’ambito del contratto a favore di terzo, schema attraverso il quale lo stipulante può realizzare un’attribuzione patrimoniale indiretta a favore del terzo avente i connotati della spontaneità e del disinteresse, e ciò in quanto nel contratto a favore di terzo il patrimonio del promittente è direttamente coinvolto nel processo attributivo e non si configura – come è stato affermato - come mera "<em>zona di transito</em>" tra lo stipulante e il terzo: l’oggetto dell’attribuzione <em>donandi causa</em> in favore del terzo si identifica con la prestazione del promittente e non con quanto prestato dallo stipulante al promittente medesimo, come invece accade appunto nel bancogiro. A ciò deve aggiungersi per la Corte che, mentre nel contratto a favore di terzo nasce immediatamente un diritto azionabile del terzo verso il promittente, il terzo beneficiario che sia destinatario di un ordine di giro non acquista alcun diritto nei confronti della banca proveniente dal contratto che intercorre tra la banca medesima e l’ordinante, e ciò in quanto secondo la giurisprudenza della Corte (vengono richiamate Cass., Sez. III, 1° dicembre 2004, n. 22596; Cass., Sez. I, 19 settembre 2008, n. 23864; Cass., Sez. I, 3 gennaio 2017, n. 25, cit.), l’ordine di bonifico ha natura di negozio giuridico unilaterale, la cui efficacia vincolante scaturisce da una precedente dichiarazione di volontà con la quale la banca si è obbligata ad eseguire i futuri incarichi ad essa conferiti dal cliente, ed il cui perfezionamento è circoscritto alla banca e all’ordinante, con conseguente estraneità del beneficiario, nei cui confronti, pertanto, l’incarico del correntista di effettuare il pagamento assume natura di delegazione di pagamento. Anche il delegato al pagamento può essere obbligato, ma solo se il medesimo si obbliga personalmente verso il creditore delegatario e questi accetti l’obbligazione del delegato, ai sensi dell’art. 1269, comma 1, cod. civ..</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 ottobre esce la sentenza del Tribunale di merito di Ferrara n. 19083, la quale si pronuncia sulla cessione di attività e di passività da parte di banche in dissesto agli enti - ponte. La sentenza statuisce che ove parte attrice agisca contro l’ente-ponte non per ottenere il rimborso delle azioni ma per chiedere il risarcimento del danno derivato da un inadempimento della banca ad obblighi informativi, va respinta l’eccezione di carenza di legittimazione passiva dell’ente-ponte. L’art.47, comma 7, del D.Lgs. 180/2015 preclude l’azione verso l’ente ponte a coloro che sono titolari di posizioni non cedute alla nuova banca, ovvero gli obbligazionisti secondari. La norma non pone dunque nessuna preclusione per coloro che facciano valere diritti relativi all’adempimento a contratti stipulati dalla vecchia banca, a prescindere dal fatto che essi siano o meno esauriti.</p> <p style="text-align: justify;">Il giorno 8 novembre esce la sentenza del Tribunale di Milano, sez. impresa, n. 11173, che statuisce, nello stesso senso della sentenza da ultimo citata, che la cessione all’ente-ponte di tutti i diritti, attività e passività della azienda della banca posta in risoluzione determina la successione dell’ente-ponte nei contratti in corso, con la conseguenza che l’ente-ponte è tenuto a rispondere dei danni derivanti dall’inadempimento degli obblighi informativi posti essere dalla banca in dissesto in epoca anteriore alla cessione d’azienda.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 aprile esce la sentenza della Corte Costituzionale n. 90, che sancisce il principio di diritto secondo cui è conforme alla Costituzione la previsione normativa della responsabilità solidale illimitata delle società beneficiarie, in caso di fattispecie societaria di scissione parziale, per il pagamento dei debiti e delle sanzioni anteriori alla medesima scissione. Infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 173, comma 13, TUIR, nella parte in cui prevede, in caso di scissione parziale di una società, la responsabilità solidale e illimitata della società beneficiaria per i debiti tributari riferibili a periodi di imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione ha effetto, e dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 472/1997, nella parte in cui prevede, in caso di scissione parziale, che ciascuna società beneficiaria è obbligata in solido al pagamento delle somme dovute a titolo di sanzione per le violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 luglio esce la sentenza della Cassazione Penale, sez. III, n. 29870, che pronunciandosi in tema di reato di indebita compensazione di cui all’art. 10 quater di cui al D.Lgs n. 29870 del 2018, afferma il principio di diritto per cui in caso di accollo fiscale è indebita ed illecita la compensazione dei crediti tributari, imputabili al contribuente accollante. Secondo la Corte, integra il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10 quater, D.Lgs. n. 74 del 2000 il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta inesistenti ,a seguito del c.d. accollo fiscale, commesso attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale, inquanto l’art. 17, D.Lgs. n.241del1997 non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti. Il richiamo è alla norma dell'art. 17, d. Igs. n. 241 del 1997, che così recita: "1. <em>I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva. La compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all'anno dell'imposta sul valore aggiunto, per importi superiori a 5.000 euro annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell'istanza da cui il credito emerge</em>". La norma in questione fa necessariamente riferimento al concetto di contribuente, poiché muove dal presupposto che colui che ricopre una posizione passiva verso il Fisco (appunto, il contribuente), può scegliere di compensare crediti anziché versare le imposte: il contribuente è, cioè, nella normalità il debitore, che, se assomma su di sé anche la posizione di creditore verso il Fisco, può compensare le due poste; l'art. 10 quater, riferendosi a chi "non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione" crediti inesistenti si riferisce ai soggetti legittimati, ex artt. 17 ss. d. Igs. n. 241 del 1997, ad effettuare pagamenti di imposta utilizzando in compensazione crediti verso l'Erario, ed in tale categoria devono farsi necessariamente rientrare anche coloro che, in virtù del contratto di accollo, agiscono come debitori proprio in virtù del fatto che, con l'accollo, si sono volontariamente fatti carico di debiti altrui. Trattasi, peraltro, di operazione fiscalmente illecita e penalmente rilevante. In sostanza, detta operazione prevede che il debito del contribuente (accollato) venga pagato da una terza società (accollante), che lo onora non pagandolo direttamente bensì mediante compensazione con un proprio credito, credito che a sua volta l'accollante ha acquistato da soggetti che, per varie ragioni, non potevano. Si è infatti affermato che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge. Tale principio non può considerarsi superato per effetto dell'art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (cd. statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 settembre esce la sentenza della Cassazione –Sez. Lavoro, n. 23612, che si pronuncia in tema di debiti contratti dai gruppi parlamentari. La Corte conferma la legittimità della decisione di merito, che aveva respinto di gravame proposto da una ricorrente nei confronti di una sentenza resa a favore di un gruppo parlamentare, chiarendo che a norma dei regolamenti parlamentari, il gruppo parlamentare è costituito all'inizio di ogni legislatura e non può, quindi, ritenersi continuazione o prosecuzione di un gruppo della precedente legislatura, con la cui fine si verifica la sua estinzione, sicché va escluso ogni fenomeno di successione nel debito in capo al diverso soggetto venuto ad esistenza successivamente. Conclusivamente, la sentenza di appello ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte, in quanto è pacifico che il Gruppo Parlamentare nei cui confronti è rivolta l'impugnazione non è stato mai datore di lavoro della odierna ricorrente, non potendosi estendere la responsabilità del gruppo parlamentare da ultimo costituito ad obbligazioni sorte in capo a soggetti distinti ed autonomi e, specularmente, non sussistendo alcuna obbligazione dell'associazione relativamente a periodi diversi (ovvero a periodi in cui la stessa non esisteva).</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n.25366 che assume errata l’affermazione secondo cui – in tema di assicurazione e di procedura di risarcimento diretto - il soggetto danneggiato (e, per esso, la ricorrente del caso di specie, in veste di cessionaria dei crediti risarcitori spettanti al primo), il quale si avvalga appunto della procedura di risarcimento diretto, non può beneficiare dell’applicazione dell’art. 1901, comma 2, cod. civ. allorché il sinistro si verifichi dopo la scadenza della polizza stipulata con il proprio assicuratore ma comunque - come nella specie - entro i 15 giorni successivi a tale evento. Per la Corte, non può negarsi che un veicolo circolante con polizza assicurativa scaduta da meno di 15 giorni sia comunque un veicolo "<em>assicurato</em>", posto che la durata della copertura in tema di r.c.a. è sempre prorogata per tale arco temporale, sia nel caso di scadenza della rata di premio, ai sensi dell’art. 1901, cod. civ., sia nel caso di scadenza della polizza, ai sensi dell’art. 170-bis cod. assicurazioni. Il presupposto, dunque, per potersi avvalere della procedura di risarcimento diretto ex art. 149 cod. assicurazioni, ovvero l’esistenza di un valido contratto assicurativo, deve ritenersi, nel caso in esame, per la Corte comunque integrato. Né – chiosa ancora la Corte - a diversa conclusione potrebbe pervenirsi sulla base dell’art. 127 del medesimo cod. assicurazioni, e ciò sull’assunto che esso farebbe salva l’applicazione dell’art. 1901, comma 2, cod. civ. soltanto nei confronti dei "<em>terzi danneggiati</em>", e non dello stesso assicurato, che sia, però, tale (e dunque “<em>terzo danneggiato</em>”). In senso contrario, infatti, deve osservarsi che - come già chiarito dalla Corte - l’azione che l’art. 149 cod. assicurazioni accorda al danneggiato, nei confronti del proprio assicuratore, non è altro che la medesima azione prevista dall’art. 144 cod. ass. per le ipotesi ordinarie (e della quale, pertanto, mutua l’intera disciplina), con l’unica particolarità che destinatario ne è l’assicuratore della vittima anziché quello del responsabile, in una sorta di accollo liberatorio "<em>ex lege</em>" del debito di quest’ultimo (non a caso l’art. 149, comma 4, cit. attribuisce al pagamento compiuto dall’assicuratore del danneggiato effetti liberatori anche nei confronti del responsabile del sinistro e del suo assicuratore (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 9 ottobre 2015, n. 20374). Se, dunque, l’azione che il danneggiato può esperire verso il proprio assicuratore "<em>è la stessa</em>" che potrebbe far valere nei confronti dell’assicuratore del responsabile del sinistro, mutuandone "<em>l’intera disciplina</em>", non vi è ragione di distinguere la posizione del danneggiato - ai fini dell’operatività dell’art. 1901, comma 1, cod. civ. - a seconda che egli sia "<em>terzo</em>" (convenendo, pertanto, in giudizio l’altrui assicuratore) o "<em>assicurato</em>" (agendo, invece, verso il proprio), bastando, in ambo i casi, che l’iniziativa si indirizzi in presenza di un valido contratto di assicurazione, ancorché "<em>prorogato</em>" ai sensi della norma "<em>de qua</em>", specie considerando che tale circostanza - l’esistenza di un valido contratto assicurativo - è solo il presupposto di un obbligazione dell’assicuratore che nasce, in entrambe le ipotesi, dalla legge e non dal contratto. In conclusione, la Corte formula il principio di diritto onde, anche in caso di applicazione della procedura di risarcimento diretto ex art. 149 cod. assicurazioni opera il disposto dell’art. 1901, comma 2, cod. civ., sicché ove il sinistro si sia verificato posteriormente alla scadenza del termine per il pagamento di premi successivo al primo, l’assicurazione resta sospesa solo dalle ore 24 dal 15°giorno dopo quello della scadenza.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 novembre esce la sentenza della Corte di Cassazione, sez. II civile, n. 30938, che si pronuncia in tema di efficacia dell’accollo interno, tra debitore e terzo pagatore, nei confronti del creditore “accollato”, che vi abbia successivamente aderito. Nel caso di specie, i ricorrenti impugnavano la sentenza di merito di secondo grado, sostenendo che questa avesse errato nel ritenere valido l’accollo di debito anche verso la banca accollataria, che via aveva solo successivamente aderito. La ricostruzione teorica dell'istituto, secondo la difesa dei ricorrenti, consisteva nell'individuazione di un patto d'accollo, avente natura e struttura meramente interna, al quale non possa applicarsi per volontà delle parti la disciplina ex art 1273 c.c., in specie la facoltà per il creditore, pur non partecipe dell'accordo di profittarvi in momento successivo, stante la natura dell'accollo quale contratto a favore di terzi. Dunque la critica svolta dagli impugnanti si risolveva nella diversa valutazione data dai ricorrenti al patto d'accollo. Invero, secondo gli Ermellini, “la volontà di pagare il prezzo pattuito mediante l'accollo del debito residuo della banca in quanto garantito dall'ipoteca sull'immobile oggetto di vendita non lumeggia affatto la volontà dell'acquirente di escludere il venir in essere di un rapporto con la banca terza, stante che comunque il godimento del bene dipenderà dalla soddisfazione del credito della banca. Inoltre non va omesso di rilevare come il patto d'accollo risulta collegato ai contratti di compera vendita immobiliare rogati da notaio e destinati ad esser ostesi ai terzi mediante la trascrizione, sicché l'accordo tra i contraenti non appare esser stato teso ad un accordo meramente interno - patto atipico - ma con rilevanza esterna e quindi con l'applicabilità della disciplina codicistica. In definitiva, non avendo le parti impugnanti provato la confezione di un patto atipico correttamente i Giudici del merito hanno ritenuto il patto d'accollo stipulato soggetto alla disciplina prevista dal codice e quindi l'applicabilità anche della norma in art 1273 cod. civ.”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo esce la sentenza n. 6882 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che affronta il tema della liceità delle clausole negoziali, afferenti i contratti di locazione ad uso commerciale, con cui le parti pattuiscono la traslazione dei debiti di imposta, gravanti sull’immobile locato, in capo al conduttore (“spostandolo” quindi dalla persona del locatore – proprietario, che ha la qualità di contribuente fiscale, in quanto tale). La sezione rimettente ha rimesso alle SS.UU. la risoluzione della questione di diritto relativa alla natura ed effetti del patto traslativo di oneri fiscali in caso di locazione ad uso commerciale rilevando che pur dovendo la norma di cui all'articolo 53 qualificarsi come «imperativa», rivolta cioè «anche ai comportamenti dei privati», resta comunque «dubbia l'applicabilità dell'articolo 1418, primo comma, c.c. ai patti di traslazione dell'imposta per impossibilità di desumere dall'impianto costituzionale un divieto generalizzato al trasferimento dell'onere del tributo a terzi». Le Sezioni Unite ricordano che la soluzione della specifica questione rimessa all'esame di queste Sezioni Unite prospetta invero la più ampia problematica «<em>se l'obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva abbia un significato esclusivamente oggettivo -nel senso di obbligo di adempiere a quanto è giustificato dalla capacità contributiva- oppure anche soggettivo -nel senso che l'adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma altresì dal soggetto che per legge ne ha l'obbligo-, escludendosi quindi il trasferimento dell'obbligo ad un soggetto diverso></em>. Al riguardo, si pone in particolare l'esigenza di chiarire, «tenendo ben in conto l'articolo 53 Cost. -la cui natura è stata da tempo riconosciuta come imperativa, e quindi come direttamente precettíva-», se, «a parte le ipotesi in cui vi siano espressi divieti di traslazione da parte di specifiche norme tributarie», sulla «individuazione del soggetto passivo dell'imposta possa incidere l'autonomia negoziale privata, neutralizzando così gli effetti della capacità contributiva». Osserva la Corte che diversamente da quanto ha costituito oggetto dei casi esaminati dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle evocate sentenze n. 5 del 1985 e n. 6445 del 1985, oggetto della clausola in argomento sono non già le imposte dirette gravanti sulla locatrice bensì meramente quelle gravanti sull'immobile e inerenti allo stipulato contratto. Nelle SS.UU. n. 5 del 1985, si è in particolare affermato che è nulla - sia ai sensi dell'art. 1418, 10co., c.c. che per contrasto con l'art. 53 Cost. -, la clausola con la quale -sia pure con effetti limitati al rapporto fra le parti- venga convenuta l'imposizione a carico del mutuatario di quanto il mutuante è tenuto a versare all'erario ( nel caso, per IRPEG ed ILOR ) in ragione dello stipulato contratto, stante l'immediato valore vincolante del principio del concorso di tutti alle spese pubbliche alla stregua della rispettiva capacità contributiva fissato dalla norma costituzionale, che si traduce nel divieto inderogabile per il debitore d'imposta -sia diretta che indiretta- di riversare il relativo onere su un altro soggetto, e quindi su patrimonio diverso da quello rispetto al quale è contemplato il prelievo fiscale ( v. Cass., Sez. Un., 5/1/1985, n. 5 ). Nell'occasione le Sezioni Unite hanno argomentato dal rilievo che in base alla previsione di cui all'art. 53 Cost. tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della rispettiva capacità contributiva, e secondo il criterio della progressività dell'imposta. Il sacrificio economico derivante dal pagamento del tributo, e cioè la riduzione patrimoniale conseguente all'adempimento, deve -si è precisato- essere sopportato effettivamente e definitivamente dal soggetto alla cui capacità contributiva si riferisce l'obbligazione, e non già da altri, l'art. 53 Cost. esigendo che ad una determinata capacità contributiva faccia seguito l'adempimento del dovere di concorrere alla spesa pubblica, ed escludendo che tale obbligo possa sorgere in capo a soggetto privo di capacità contributiva; come pure che un soggetto possa accollarsi -anche di fatto- il carico contributivo altrui, essendo contrario all'interesse della collettività che il concorso alla spesa pubblica gravi -anche di fatto- su soggetto diverso da colui che vi è tenuto ex lege, in quanto ogni soggetto dotato di capacità contributiva deve in misura corrispondente contribuire personalmente al costo dei servizi e dei vantaggi sociali. Si è ulteriormente avvertito che nelle imposte dirette (in particolare, IRPEG e ILOR ) la correlazione con la capacità contributiva è immediata, sicché più pressante è l'esigenza che il tributo incida effettivamente sul soggetto obbligato per legge, e non su soggetti diversi; segnalandosi essere la rivalsa obbligatoria lo strumento idoneo a far concorrere alla spesa pubblica il titolare della capacità contributiva ogniqualvolta altri adempia alla correlata obbligazione tributaria ( es., sostituto d'imposta). La nullità del patto volto a trasferire ( sia pure senza efficacia nei confronti dello Stato ) su altri il peso del proprio dovere di solidarietà sociale di concorrere alla spesa pubblica si è ravvisato trovare ragione nella circostanza che, pur giovandosi dei vantaggi e dei benefici della vita associata, il soggetto obbligato ex lege in tal modo sottrae la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà e di perequazione. Nel considerare inammissibile il patto traslativo d'imposta, in quanto idoneo a consentire al soggetto tenutovi per legge di giovarsi «dei vantaggi e dei benefici della vita associata» sottraendo «la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà e di perequazione», con la sentenza n. 5 del 1985 le Sezioni Unite di questa Corte hanno dunque considerato in termini generali «vietato e nullo ( ai sensi dell'art. 1418, 1° comma, c.c. e per contrasto con l'art. 53 Cost.>> ) qualunque patto «con il quale un soggetto, ancorché senza effetti nei confronti dell'erario, riversi su altro soegetto, pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d'imposta e dal cosiddetto contribuente di fatto il peso della propria imposta, sia che si tratti d'imposta diretta che di imposta indiretta». Con la sentenza n. 6445 del 1985 le Sezioni Unite della Corte hanno diversamente affermato che il patto traslativo d'imposta è nullo per illiceità della causa contraria all'ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l'imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito. Ipotesi che si verifica «nelle ipotesi di rivalsa facoltativa, quando il sostituto viene a perdere la qualità tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, né recuperato dal sostituto medesimo, sicché effettivamente il dovere tributario non viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del contribuente». Non anche, nell'ipotesi in cui «l'imposta è stata regolarmente e puntualmente pagata dal contribuente al fisco, allorquando cioè l'obbligazione di cui si stipula l'accollo non ha per oggetto direttamente il tributo, né mira a stabilire che esso debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente», ma «riguarda ... una somma di importo pari al tributo dovuto ed ha la funzione di integrare il "prezzo" della prestazione negoziale». Pur pervenendo a soluzione opposta a quella raggiunta nella sentenza n. 5 del 1985, in quest'ultima pronunzia le Sezioni Unite hanno posto invero a relativo fondamento gli stessi presupposti argomentativi della precedente, ribadendone la validità. In particolare, hanno confermato «il carattere di centralità che il dovere tributario è venuto assumendo nella Costituzione repubblicana», il cui art. 53 «si pone come fonte immediata ed imperativa la cui violazione può comportare la sanzione della nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con esso confliggenti>>. Orbene, tanto premesso, le SS.UU. ritengono che le doglianze mosse dall'odierna ricorrente avverso l'impugnata sentenza non siano idonee a revocare la correttezza della soluzione raggiunta nel 1985, e non inducano a dover rimeditare un orientamento interpretativo che al contrario merita di essere ulteriormente confermato, ritenendo legittima l’operazione negoziale posta in essere dalle parti: poiché è ben vero che le relative imposte sono pur sempre sostenute dal proprietario dell'immobile e l'ente impositore ( Stato, Comune o altro ) individua in esso il soggetto che è tenuto a farvi fronte, ma questo si disinteressa se poi, per accordo privato, i contraenti scelgano di operare un rimborso» ( sottolineando che in tal senso deve interpretarsi l'uso della parola "manlevare" ) o «una diversa forma di pagamento variamente posta a carico del conduttore»</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa si intende per modificazioni soggettive dal lato passivo dell’obbligazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>coinvolgono <strong>chi è tenuto alla prestazione</strong> nell’interesse del creditore, e dunque <strong>il debitore</strong>;</li> <li>si sostanziano in <strong>3 figure</strong>: b.1) la <strong>delegazione</strong>; b.2) l’<strong>espromissione</strong>; b.3) l’<strong>accollo</strong>;</li> <li>un elemento importante è la <strong>fiducia del creditore</strong>, il quale <strong>perde il “<em>vecchio</em>” debitore</strong> per acquisirne eventualmente <strong>uno “<em>nuovo</em>”</strong>, sulla cui <strong>capacità di adempiere</strong> in modo effettivo deve poter fare <strong>affidamento</strong>;</li> <li>per questo motivo, solo se <strong>vi è il consenso</strong> (o <strong>l’assenso</strong>) del creditore si verifica una <strong>autentica successione dal lato passivo</strong> nel debito (effetto c.d. “<strong><em>liberatorio</em></strong>”), mentre <strong>in difetto</strong> di tale <strong>manifestazione di volontà</strong> del creditore il nuovo debitore <strong>si aggiunge</strong> semplicemente al vecchio, che <strong>non può intendersi liberato</strong> dall’obbligo che su di esso grava (effetto c.d. “<strong><em>cumulativo</em></strong>”);</li> <li>in caso di <strong>effetto liberatorio</strong>, esso è tale <strong>in senso relativo</strong> giacché: e.1) le <strong>garanzie</strong> del credito <strong>si estinguono</strong>, ma chi le ha prestate <strong>può consentire a mantenerle</strong> (art.<strong>1275</strong>c.); e.2) in caso di obbligazione con “<strong><em>nuovo</em></strong>” debitore <strong>nulla o annullata</strong>, l’obbligazione <strong>nei confronti del “<em>vecchio</em>”</strong> debitore <strong>rivive</strong> (art.<strong>1276</strong> c.c.).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa si compendia la delegazione e cosa occorre ricordare a proposito di essa?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di una operazione che coinvolge <strong>3 soggetti</strong>, e che è prevista dall’<strong>1268</strong> c.c.;</li> <li>essa fa convergere <strong>obbligazioni</strong> che, <strong>isolatamente considerate</strong>, sono <strong>distinte</strong> tra loro: una nasce dal <strong>rapporto di valuta</strong> tra il <strong>creditore originario delegatario</strong> e il <strong>debitore originario delegante</strong>; l’altra nasce dal <strong>rapporto di provvista</strong> tra il <strong>debitore originario delegante</strong> (in veste di creditore) ed il <strong>terzo debitore delegato</strong> (in veste di debitore); una terza (eventuale) avvince il <strong>terzo (nuovo) debitore delegato</strong> ed il <strong>creditore originario delegatario</strong>, sulla scorta del <strong>rapporto c.d. finale</strong>; in sostanza, il <strong>debitore originario delegante</strong> può fare in modo che il <strong>proprio debitore terzo delegato</strong> paghi <strong>direttamente</strong> al <strong>creditore originario delegatario</strong>, con <strong>adempimento unico</strong> ed <strong>effetto solutorio complessivo</strong> di tutti i rapporti obbligatori coinvolti nell’operazione;</li> <li>l’<strong>iniziativa</strong> viene presa dal <strong>debitore</strong> di un <strong>rapporto obbligatorio preesistente </strong>(di <strong>valuta</strong>), detto <strong>delegante</strong>, che è a propria volta <strong>creditore di un terzo</strong> detto <strong>delegato</strong> sulla base di un diverso rapporto (di <strong>provvista</strong>); nonostante il <strong>terzo debitore delegato</strong> sia (a propria volta) <strong>debitore</strong> del <strong>debitore originario delegante</strong> giusta <strong>rapporto di provvista</strong>, egli <strong>non è obbligato</strong> (ex art.1269 c.c.) ad <strong>accettare l’incarico</strong> conferitogli dal debitore originario delegante di <strong>pagare direttamente</strong> ovvero di <strong>obbligarsi</strong> nei confronti del <strong>creditore originario delegatario</strong>; sul versante del <strong>rapporto di valuta</strong>, quando il debitore originario delegante <strong>assegna al creditore</strong> originario delegatario un <strong>debitore terzo delegato</strong>, secondo la tesi più accreditata egli fa luogo ad un <strong>atto autorizzativo</strong>, <strong>autorizzando</strong> appunto il <strong>creditore originario delegatario</strong> a <strong>riscuotere il credito</strong> che egli vanta nei confronti del <strong>delegato</strong>; non mancano casi in cui il delegante <strong>non è in realtà debitore</strong> del delegatario, come quando la <strong>causa</strong> dell’incarico al terzo delegato sia lo <strong>spirito di liberalità</strong> e dunque l’intenzione di arricchire il terzo delegatario (<strong>originariamente non creditore</strong> del delegante); né mancano casi in cui <strong>il delegato non è debitore del delegante</strong> (che invece è debitore del creditore delegatario), fattispecie in cui la delegazione si definisce <strong>“<em>allo scoperto</em>”</strong> ed il delegato accetta l’incarico di obbligarsi o di pagare al delegatario (in luogo del debitore delegante) sulla base di un <strong>rapporto di tipo diverso </strong>(ad esempio, nel meccanismo del <strong>bonifico bancario</strong> il <strong>rapporto di conto corrente</strong> che lo avvince, come <strong>banca</strong>, al <strong>correntista creditore delegatario</strong>);</li> <li>il delegante, in veste di <strong>creditore del delegato</strong>, <strong>ordina</strong> al delegato medesimo: c.1) di <strong>assumere il proprio debito</strong> nei confronti del <strong>creditore</strong>, detto <strong>delegatario</strong> (c.d. <strong><em>delegatio promittendi</em></strong>), ai sensi dell’<strong>1268</strong> c.c.; in questa ipotesi il <strong>rapporto obbligatorio originario</strong> risulta <strong>rafforzato</strong> in quanto al <strong>debitore originario</strong> (delegante) si <strong>affianca</strong> a beneficio del creditore (delegatario) un <strong>altro debitore</strong> (delegato) che assume la veste di <strong>debitore principale</strong>; la regola è infatti che il <strong>debitore originario</strong> (delegante) <strong>non è liberato</strong>, declinandosi allora la delegazione come “<strong><em>cumulativa</em></strong>”, con obbligazione del delegato <strong>che si aggiunge</strong> a quella del delegante; c.1.1.) la delegazione cumulativa <strong>può essere “<em>titolata</em>”</strong>, con richiamo ai <strong>rapporti</strong> rispettivamente di <strong>provvista</strong> (delegante-delegato) e di <strong>valuta</strong> (delegante-delegatario), ed allora <strong>l’obbligazione originaria</strong> del delegante e <strong>quella nuova</strong> del delegato sono <strong>solidali</strong>, onde nel caso di <strong>adempimento dell’una</strong>, si <strong>estingue anche l’altra</strong>; la delegazione cumulativa può invece essere “<strong><em>astratta</em></strong>”, ed allora il <strong>debito originario</strong> del delegante e <strong>quello nuovo</strong> del delegato <strong>non sono solidali</strong>, in quanto il delegante <strong>non può opporre</strong> al delegatario le <strong>eccezioni</strong> che potrebbe opporgli il <strong>delegato</strong>, né quest’ultimo <strong>quelle</strong> che potrebbe opporgli il <strong>delegante</strong>, onde si assiste ad una <strong>connessione unilaterale</strong> tra i <strong>due obblighi</strong> alla cui stregua il delegante <strong>incarica</strong> il delegato di <strong>obbligarsi</strong> nei confronti del creditore delegatario con facendo sì che <strong>l’adempimento da parte del delegato</strong> (che soddisfa l’interesse del delegatario) venga <strong>imputato al delegante</strong> e ne estingua l’obbligazione, dovendo peraltro il creditore delegatario <strong>che abbia accettato</strong> l’obbligazione del terzo delegato – in forza del c.d. <strong><em>beneficium ordinis</em></strong> - rivolgersi <strong>prima</strong> a quest’ultimo e <strong>solo dopo</strong> che tale richiesta sia rimasta infruttuosa, al delegante; c.1.2.) se la regola è quella della delegazione cumulativa (<strong>titolata e solidale</strong>, ovvero <strong>astratta e non solidale</strong>) una <strong>espressa dichiarazione</strong> del creditore delegatario <strong>può liberare</strong> il delegante facendo dunque luogo alla delegazione c.d. “<strong><em>liberatoria</em></strong>”; in questo caso l’obbligazione del nuovo debitore delegato <strong>non si aggiunge</strong> a quella del debitore originario delegante, ma <strong>si sostituisce</strong> ad essa <strong>estinguendola</strong>, e questo è il motivo per il quale il creditore delegatario <strong>deve espressamente consentire</strong> a tale liberazione, essendo chiamato a <strong>sopportare il rischio dell’insolvenza</strong> del <strong>nuovo debitore delegato</strong>, stante come laddove tale insolvenza <strong>si produca</strong>, egli (ex <strong>art.1274</strong> c.c.) <strong>non può</strong> comunque più rivolgersi al <strong>debitore originario delegante</strong>, a meno che <strong>non ne abbia fatto espressa riserva</strong>; anche in <strong>difetto di espressa riserva</strong> peraltro, il creditore delegatario può <strong>rivolgersi ancora</strong> al debitore originario delegante (pur <strong>espressamente liberato</strong>) laddove il nuovo debitore delegato sia <strong>già insolvente</strong> nel momento in cui <strong>assume il debito</strong> nei confronti del creditore delegatario medesimo: in disparte la <strong>buona fede</strong> delle parti dell’operazione, <strong>l’efficacia della liberazione espressa</strong> del debitore originario delegante è <strong>subordinata</strong> dunque alla <strong>solvenza del delegato</strong> al momento della ridetta <strong>liberazione</strong>, mentre laddove il delegato <strong>sia solvibile</strong> al momento della liberazione del delegante e <strong>divenga insolvibile successivamente</strong>, il rischio ricade <strong>sul creditore delegatario</strong> che ha proceduto a liberare il debitore originario delegante; laddove vi sia stata da parte del creditore delegatario <strong>espressa riserva</strong>, la liberazione del debitore originario delegante ha <strong>effetti immediati</strong>, ma se <strong>quando scade</strong> <strong>l’obbligazione</strong> (in questo caso non, dunque, quando <strong>nasce</strong>) il nuovo debitore delegato <strong>è insolvente</strong>, gli <strong>effetti</strong> della <strong>liberazione</strong> dell’originario debitore delegante <strong>vengono meno</strong> (condizione <strong>sospensiva di solvibilità</strong> del delegato ovvero <strong>risolutiva di insolvibilità</strong> del delegato medesimo); la delegazione liberatoria produce <strong>altri effetti</strong> legati da un lato alle <strong>garanzie prestate</strong> con riguardo al debito originario del delegante (che <strong>si estinguono</strong>, salvo che chi le ha prestate <strong>consenta espressamente a mantenerle</strong>: <strong>art.1275</strong> c.c.) e dall’altro alla <strong>sorte dell’obbligazione originaria</strong> del delegante in caso di <strong>nullità</strong>, <strong>annullamento</strong> (<strong>art.1276</strong> c.c.) nonché – secondo la tesi più accreditata – anche <strong>rescissione</strong>, <strong>risoluzione</strong> e <strong>revocazione</strong> della <strong>nuova obbligazione</strong> del delegato, tutte fattispecie in cui la obbligazione originaria del delegante <strong>rivive</strong>; c.2) di <strong>pagare senz’altro</strong> il proprio debito nei confronti del <strong>creditore delegatario</strong> (c.d. <strong><em>delegatio solvendi</em></strong>), ai sensi dell’art.<strong>1269</strong> c.c., fattispecie nella quale dunque il delegato <strong>non si obbliga</strong> verso il creditore delegatario e - nel momento in cui adempie - <strong>estingue</strong> il <strong>debito del delegante</strong> (che gli impartisce l’ordine) verso il delegatario; nell’ipotesi (non necessaria) in cui il delegato si trovi in <strong>rapporto (di provvista)</strong> con il <strong>delegante</strong>, l’adempimento nei confronti del creditore delegatario <strong>estingue anche</strong> tale debito, con <strong>doppio effetto solutorio complessivo</strong>; occorre qui distinguere <strong>l’ipotesi pura e semplice</strong> del pagamento del delegato al creditore delegatario, laddove quest’ultimo <strong>non deve aderire</strong> prestando il proprio <strong>consenso</strong>, <strong>né può rifiutare</strong> il pagamento del terzo delegato, onde la <strong>struttura</strong> dell’operazione <strong>non è trilaterale</strong>, dalla delegazione di pagamento “<strong><em>titolata</em></strong>”, caratterizzata dal <strong>pagamento</strong> da parte del delegato con <strong>richiamo</strong> ad <strong>uno dei due rapporti fondanti</strong> ed in particolare al <strong>rapporto di provvista</strong> (delegante-delegato), laddove invece il creditore delegatario <strong>deve aderire</strong> e <strong>può non farlo</strong> laddove voglia <strong>scongiurare</strong> che il delegato gli opponga <strong>le eccezioni</strong> che potrebbe opporre <strong>al delegante</strong> sulla scorta proprio del rapporto di provvista; importante poi distinguere la <strong>delegazione di pagamento</strong> dall’<strong>adempimento del terzo</strong> ex <strong>art.1180</strong> c.c., quest’ultimo caratterizzandosi come <strong>spontaneo</strong> (il terzo non è <strong>sostituto</strong>, né <strong>ausiliario</strong>, né <strong>rappresentante</strong> o <strong>legittimato legale</strong> del debitore) laddove nella delegazione di pagamento <strong>il terzo</strong> (delegato) paga al creditore delegatario <strong>in esecuzione di un incarico</strong> ricevuto dal <strong>debitore delegante</strong>;</li> <li>dal punto di vista della <strong>struttura</strong> e della <strong>causa</strong>, si contendono il campo <strong>2 diverse teorie</strong>: d.1) si tratta di un <strong>unico negozio trilaterale</strong> che persegue <strong>un’unica funzione</strong> e che dunque ha <strong>un’unica causa “<em>complessiva</em>” astratta</strong>, tipica e costante, quella di <strong>sostituire</strong> al vecchio debitore <strong>uno nuovo</strong>; causa astratta e tipica alla quale <strong>si affianca la causa concreta</strong> di volta in volta perseguita dalle parti; più in specie, mentre la <strong>delegazione pura</strong> ha <strong>solo causa astratta</strong> e dunque è un <strong>negozio astratto</strong>, quella “<strong><em>titolata</em></strong>” che fa <strong>riferimento esplicito</strong> ai rapporti tra le parti che ne sono protagoniste (rapporto <strong>di provvista</strong> tra <strong>delegante e delegato</strong>; rapporto <strong>di valuta</strong> tra <strong>delegante e delegatario</strong>), proprio perché tale, <strong>affianca</strong> appunto alla <strong>causa tipica e astratta</strong> una <strong>causa concreta specifica ed estemporanea</strong>, onde il delegato si obbliga nei confronti del delegatario <strong>per spirito di liberalità</strong> nei confronti del delegante, ovvero <strong>a titolo di controprestazione</strong> nell’economia di un rapporto che ha con il delegante (tesi <strong>meno accreditata</strong>); d.2) si tratta di una <strong>pluralità di negozi recettizi</strong> tra loro <strong>collegati</strong>: quello con il quale <strong>il delegante ordina</strong> (<strong>incarica</strong>) il delegato di <strong>indebitarsi</strong> nei confronti del delegatario, che <strong>non richiede</strong> il <strong>consenso</strong> di quest’ultimo; <strong>l’autorizzazione</strong> che il delegante rilascia <strong>al proprio creditore originario delegatario</strong> a <strong>riscuotere</strong> il credito <strong>che egli vanta</strong> a propria volta nei confronti del delegato, che dunque <strong>è “<em>nuovo</em>” debitore</strong> del delegatario, <strong>senza</strong> (anche qui) che per tale negozio <strong>occorra il consenso</strong> del <strong>debitore delegato</strong>; quando si tratta di <strong><em>delegatio promittendi</em></strong>, l’assunzione da parte del <strong>debitore delegato</strong> del debito (originariamente del delegante) nei confronti del (per lui) <strong>nuovo creditore delegatario</strong>, quale <strong>atto unilaterale</strong> fondato sulla <strong>esclusiva volontà</strong> di tale <strong>debitore delegato</strong> (oltre che ovviamente <strong>sull’ordine impartitogli</strong> dal proprio creditore, <strong>originario debitore delegante</strong>); abbracciando questa opzione ermeneutica, la <strong>fattispecie delegatoria</strong> palesa una <strong>doppia causa</strong>, quella avvinta al <strong>rapporto tra delegante e delegato</strong> (c.d. rapporto <strong>di provvista</strong>) e quella connessa al <strong>rapporto tra delegante e creditore delegatario</strong> (c.d. rapporto <strong>di valuta</strong>), mentre <strong>del tutto svincolato</strong> da tali rapporti di base è il rapporto <strong>tra delegato e delegatario</strong>, che proprio perché tale resta <strong>indifferente</strong> alla <strong>eventuale invalidità</strong> di uno di tali rapporti di base; da questo punto di vista, si assiste a <strong>più negozi</strong> che sono <strong>tutti funzionali</strong> alla soddisfazione di <strong>un interesse unitario</strong>, quello alla <strong>concentrazione delle prestazioni</strong>, onde tali negozi restano <strong>distinti ma collegati</strong> tra loro proprio grazie ad una <strong>causa complessivamente unitaria</strong> (tesi <strong>più accreditata</strong>);</li> <li>importante il regime delle <strong>eccezioni</strong>, scolpito all’<strong>1271</strong> c.c. ed imperniato sulla <strong>normale “<em>astrattezza</em>”</strong> della delegazione (rispetto ai <strong>rapporti base</strong> che la fondano), alla cui stregua: f.1) per quanto concerne il “<strong><em>rapporto finale</em></strong>”, il delegato <strong>può opporre</strong> al creditore delegatario <strong>tutte le eccezioni</strong> afferenti ai <strong>rapporti tra loro</strong>, potendo dunque <strong>non pagare</strong> nella <strong><em>delegatio promittendi</em></strong>, ovvero potendo <strong>ripetere la prestazione</strong> effettuata nella <strong><em>delegatio solvendi</em></strong>; f.2) per quanto invece concerne il <strong>rapporto di provvista</strong>, il nuovo debitore delegato <strong>non può opporre</strong> al creditore delegatario le <strong>eccezioni che avrebbe potuto opporre</strong> all’originario debitore delegante (che in genere ne è creditore), esclusa una <strong>diversa pattuizione delle parti</strong> (che lo abilita appunto a tale eccezione); f.3) per quanto poi riguarda il <strong>rapporto di valuta</strong>, il nuovo debitore delegato <strong>può opporre</strong> al creditore delegatario <strong>la nullità</strong> di tale <strong>rapporto di valuta</strong> (fattispecie nella quale già il debitore originario delegante <strong>nulla avrebbe dovuto prestare</strong> nei confronti del creditore delegatario), e può sollevare <strong>eccezioni diverse solo</strong> laddove la delegazione sia <strong>titolata</strong> ed il <strong>rapporto di valuta</strong> sia stato <strong>espressamente richiamato</strong>, entrando nella “<strong><em>causa</em></strong>” della delegazione; va rammentato in proposito come, in tema di <strong>nullità</strong>, mentre il codice civile (art.1271, <strong>comma 2</strong>, c.c.) fa riferimento alla <strong>delegazione “<em>titolata</em>”</strong> con riguardo al <strong>solo rapporto di valuta</strong> – e dunque al rapporto che fonda il <strong>debito originario</strong> – la giurisprudenza tende invece a guardare <strong>anche al rapporto di provvista</strong> (quello tra vecchio debitore delegante e nuovo debitore delegato) con la <strong>teoria</strong> c.d. della “<strong><em>nullità della doppia causa</em>”</strong>, sul presupposto onde la nullità (o l’inesistenza) del <strong>rapporto di valuta</strong> (<strong>l’unico</strong> in relazione al quale il codice civile parla di <strong>nullità</strong>) pregiudica in realtà <strong>l’intera “<em>causa</em>” della delegazione</strong> nella pertinente <strong>struttura trilaterale</strong> (si può delegare <strong>qualcosa di valido</strong>, e non già anche <strong>qualcosa di inesistente o invalido</strong>), con il precipitato della configurabilità di una <strong>deroga</strong> alla <strong>“<em>ordinaria</em>” astrattezza</strong> della delegazione, in termini di pertinenti <strong>eccezioni sollevabili</strong> dal nuovo debitore delegato.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa si compendia l’espromissione e cosa occorre ricordare a proposito di essa?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la fattispecie è prevista all’<strong>1272</strong> c.c.;</li> <li>l’<strong>iniziativa</strong> – vista <strong>dal creditore</strong> - viene <strong>assunta spontaneamente</strong> da un <strong>soggetto terzo</strong> rispetto al <strong>rapporto obbligatorio originario</strong>;</li> <li>tale terzo, detto <strong>espromittente</strong>, quale <strong>nuovo debitore</strong> <strong>assume</strong> il <strong>debito</strong> del vecchio debitore, detto <strong>espromesso</strong>, <strong>senza che figuri</strong> che quest’ultimo lo abbia <strong>delegato</strong> e gli abbia dunque <strong>conferito un pertinente incarico</strong>;</li> <li>l’<strong>effetto ordinario</strong> è che <strong>entrambi i debitori</strong>, il vecchio (espromesso) e il nuovo (espromittente) <strong>sono obbligati in solido</strong> nei confronti del creditore, detto <strong>espromissario</strong>, configurandosi l’espromissione <strong>d. cumulativa</strong>;</li> <li>il creditore espromissario <strong>può tuttavia dichiarare espressamente</strong> di <strong>liberare</strong> il vecchio debitore espromesso, con conseguente <strong>configurabilità</strong> di una <strong>espromissione liberatoria</strong>;</li> <li>il nuovo debitore espromittente <strong>appare</strong> <strong>al creditore</strong> come <strong>interventore autonomo e spontaneo</strong>; manca <strong>all’apparenza</strong> una <strong>delega</strong> del vecchio debitore espromesso, ma questo non toglie che <strong>un incarico sottostante possa esserci</strong>, non venendo tuttavia tale <strong>eventuale</strong> incarico <strong>palesato</strong> al creditore espromissario, onde per quest’ultimo <strong>l’adempimento del nuovo obbligo</strong> (che <strong>si affianca</strong> al vecchio) <strong>non è imputabile</strong> al vecchio debitore espromesso ma al <strong>nuovo debitore espromittente</strong>, che peraltro <strong>non paga immediatamente</strong>, ma piuttosto <strong>si assume appunto l’obbligo</strong> del debitore originario espromesso;</li> <li>ciò a <strong>differenza</strong> della <strong>delegazione</strong>, laddove l’incarico viene dal nuovo debitore delegato <strong>palesato al creditore delegatario</strong> (quand’anche <strong>non</strong> venga <strong>richiamato il rapporto di provvista</strong> che tale incarico fonda), onde nella delegazione <strong>l’adempimento</strong> è in realtà <strong>imputato al vecchio debitore delegante</strong>, quand’anche eseguito dal nuovo debitore delegato;</li> <li>l’espromissione – a <strong>differenza</strong> della <strong>delegazione</strong> – <strong>non</strong> si configura <strong>in modo sdoppiato</strong>, nella <strong>duplice forma “<em>solvendi</em>” e “<em>promittendi</em>”</strong> – ma con la <strong>sola foggia “<em>promittendi</em>”</strong> in quanto il terzo nuovo debitore espromittente “<strong><em>si obbliga</em></strong>” nei confronti del <strong>creditore espromissario</strong>, e <strong>non adempie direttamente</strong> soddisfacendone <strong><em>illico et immediate</em></strong> l’interesse; ciò distingue <strong>l’espromissione</strong> – sempre <strong>obbligatoria</strong> – dall’<strong>adempimento del terzo ex art.1180</strong>c., sempre <strong>solutorio</strong>;</li> <li>in tema di <strong>natura giuridica</strong>, si contendono il campo <strong>2 tesi</strong>: i.1) si tratta <strong>sempre</strong> di un <strong>contratto a prestazioni corrispettive</strong> tra <strong>terzo nuovo debitore espromittente</strong> e <strong>creditore espromissario</strong>, laddove alla <strong>prestazione</strong> cui <strong>si obbliga</strong> il nuovo debitore espromittente <strong>si giustappone</strong> quella del creditore espromissario in termini di <strong>liberazione</strong> del <strong>vecchio debitore espromesso</strong> (fattispecie <strong>liberatoria</strong>) ovvero di <strong>degradazione a sussidiaria</strong> della <strong>relativa responsabilità</strong> (fattispecie <strong>cumulativa</strong>, laddove il creditore espromissario <strong>deve comunque prima chiedere</strong> al nuovo debitore espromittente <strong>e solo poi</strong> al vecchio debitore espromesso); i.2) laddove l’espromissione sia <strong>cumulativa</strong> (e dunque il vecchio debitore <strong>non ne risulti liberato</strong>), si è al cospetto di un <strong>atto unilaterale negoziale</strong> del <strong>nuovo debitore espromittente</strong> con il quale egli <strong>si assume il debito</strong> <strong>originariamente</strong> gravante in capo <strong>solo al debitore espromesso</strong>, dovendosi ritenere il <strong>consenso</strong> <strong>del creditore</strong> come <strong>meramente eventuale</strong>, stante la <strong>superfluità</strong> della relativa <strong>accettazione</strong> con riguardo ad <strong>effetti per lui solo favorevoli</strong> (lo schema richiama dunque quello <strong>dell’art.1333</strong>c.);</li> <li>dal punto di vista delle <strong>eccezioni</strong> – premesso che laddove il nuovo debitore espromittente <strong>non opponga</strong> al creditore espromissario <strong>quelle proponibili</strong>, ne risulta <strong>sterilizzata</strong> l’<strong>azione di regresso</strong> nei confronti del vecchio debitore espromesso - occorre distinguere: j.1) <strong>rapporto di provvista</strong>: il nuovo debitore espromittente <strong>non può opporre</strong> al creditore espromissario le <strong>eccezioni</strong> relative ai <strong>propri rapporti</strong> con il vecchio debitore espromesso, ma a questa <strong>regola generale</strong> è ammessa una <strong>espressa eccezione</strong>, onde il creditore <strong>può consentire espressamente</strong> alla sollevabilità di tali eccezioni; j.2) <strong>rapporto di valuta</strong>: il nuovo debitore espromittente <strong>può opporre</strong> al creditore espromissario le <strong>eccezioni (anteriori all’espromissione)</strong> che <strong>avrebbe potuto opporgli</strong> il vecchio debitore espromesso, ad eccezione di <strong>quelle personali</strong> e di <strong>quelle successive all’espromissione</strong>, come nel caso in cui <strong>l’obbligazione originaria</strong> nella quale l’espromittente <strong>subentra</strong> sia <strong>inesistente</strong> ovvero sia <strong>già stata estinta</strong>; le eccezioni sollevabili dall’espromesso <strong>prima</strong> dell’espromissione <strong>sono dunque sollevabili</strong> dal nuovo debitore espromittente, <strong>ad eccezione</strong> dell’<strong>eccezione di compensazione</strong> (che potrebbe dunque sollevare <strong>il solo vecchio debitore espromesso</strong>); j.3) <strong>rapporto</strong> “<strong><em>finale</em></strong>” o <strong>negozio di espromissione</strong> tra nuovo debitore espromittente e creditore espromissario: sono opponibili dal primo al secondo <strong>tutte le eccezioni</strong> relative alla <strong>esistenza</strong> ed alla <strong>validità</strong> del negozio di espromissione, e ciò sulla scorta della circostanza onde <strong>la causa</strong> dell’espromissione è <strong>l’assunzione</strong> (spontanea) <strong>di un debito altrui</strong>, onde se il credito dell’espromissario <strong>è in realtà inesistente</strong>, ovvero <strong>è prescritto</strong>, tale assunzione <strong>resta “<em>sine causa</em>”</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa si compendia l’accollo e cosa occorre ricordare a proposito di esso?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la fattispecie è prevista all’<strong>1273</strong> c.c.;</li> <li>si tratta di un <strong>negozio</strong> tra <strong>vecchio debitore accollato</strong> e <strong>terzo nuovo debitore accollante</strong>, che <strong>convengono tra loro</strong> che il secondo <strong>si assuma il debito</strong> del primo verso il <strong>creditore accollatario</strong>;</li> <li>differisce dall’<strong>espromissione</strong> perché l’accordo <strong>non interviene tra terzo e creditore</strong>, ma <strong>tra terzo e vecchio debitore</strong>;</li> <li>differisce dalla <strong>delegazione</strong> perché <strong>non vi è un incarico</strong> del vecchio debitore di pagare senz’altro, ovvero di promettere di pagare, al creditore, ma vi è <strong>un accordo</strong> attraverso il quale il <strong>nuovo debitore</strong> (accollante) <strong>si assume</strong> il debito del <strong>vecchio</strong> (accollato) nei confronti del creditore;</li> <li>si configurano <strong>2 modelli</strong> di accollo: e.1) <strong>l’accollo interno</strong>, onde l’accordo – <strong>contratto bilaterale</strong> - resta tra accollante e accollato e <strong>spiega effetti solo tra loro</strong>, rimanendovi <strong>esterno il creditore</strong>; se il terzo nuovo debitore accollante <strong>è inadempiente</strong>, egli risponde <strong>solo</strong> nei confronti del <strong>vecchio debitore accollato</strong>, quale debitore originario; e.2) <strong>l’accollo esterno</strong>, fattispecie (secondo la <strong>tesi più accreditata</strong>) di <strong>contratto a favore di terzo</strong> nella quale il creditore <strong>sa</strong> dell’accordo tra vecchio e nuovo debitore e <strong>può aderirvi</strong>, in tal modo <strong>rendendo irrevocabile</strong> la stipulazione a proprio favore; il <strong>consenso</strong> del creditore <strong>non occorre</strong> per il <strong>perfezionamento</strong> dell’accordo, <strong>acquisendo egli direttamente</strong> il diritto alla prestazione nei confronti del terzo accollante secondo appunto lo schema del <strong>contratto a favore di terzo</strong>: detto consenso espresso del creditore accollatario ha allora <strong>la sola funzione</strong> di <strong>rendere irrevocabile</strong> la stipulazione a proprio favore (secondo la <strong>tesi meno accreditata</strong>, il <strong>consenso</strong> del <strong>creditore accollatario</strong> è invece da intendersi <strong>imprescindibile</strong> e <strong>costitutivo</strong>, configurando l’<strong>accollo esterno</strong> un <strong>contratto necessariamente trilaterale</strong>); qui il creditore <strong>acquisisce</strong>, in ogni caso,<strong> un credito</strong> verso il nuovo debitore accollante che: e.2.1) in caso di <strong>accollo esterno cumulativo</strong>, <strong>si aggiunge</strong> a quella dell’originario debitore accollato, quantunque l’obbligazione di quest’ultimo <strong>divenga sussidiaria</strong> dal momento che il creditore <strong>ha l’onere di chiedere preventivamente</strong> l’adempimento al nuovo debitore accollante (pur <strong>senza doverlo</strong> del pari preventivamente <strong>escutere</strong>), e potendo rivolgersi <strong>al vecchio</strong> debitore accollato <strong>solo laddove</strong> la prima richiesta sia <strong>rimasta infruttuosa</strong>; e.2.2.) in caso di <strong>accollo esterno liberatorio</strong> - allorché il creditore <strong>dichiari espressamente di liberare</strong> il vecchio debitore accollato – la ridetta acquisizione del credito verso l’accollante <strong>estingue</strong> l’<strong>originaria obbligazione dell’accollato</strong> medesimo; una variante, del pari <strong>liberatoria</strong>, è quella in cui <strong>l’adesione del creditore</strong> costituisca <strong>condizione espressa</strong> della stipulazione tra accollante e accollato, con la conseguenza appunto che <strong>detta adesione creditoria</strong> concreta <strong>l’evento dedotto in condizione</strong> e <strong>libera</strong> l’originario debitore accollato;</li> <li>dal punto di vista <strong>funzionale</strong>, l’accollo presenta <strong>una propria causa</strong> di tipo <strong>generico</strong> e di <strong>natura tipica e costante</strong> che si compendia nella <strong>assunzione del debito altrui</strong>; a tale causa generica ed astratta se ne aggiunge <strong>una concreta e tipica</strong>, <strong>specifica</strong> del <strong>negozio</strong> all’interno del quale l’accollo <strong>si inserisce</strong> (onde ad esempio l’accollante potrebbe ricevere <strong>in cambio</strong> dall’accollato la <strong>cessione in proprietà di un bene</strong>, ovvero il <strong>diritto ad una controprestazione</strong>);</li> <li>per quanto concerne <strong>le eccezioni</strong>, se nell’<strong>accollo interno</strong> il creditore <strong>resta estraneo</strong> e <strong>non vanta alcuna azione</strong> nei confronti del terzo nuovo debitore accollante, onde un problema di eccezioni <strong>neppure si pone</strong>, laddove l’accollo <strong>sia esterno</strong> – con <strong>adesione</strong> del creditore alla stipulazione – la <strong>responsabilità del terzo</strong> nuovo debitore accollante <strong>è limitata</strong> alla <strong>parte di debito</strong> che egli si è accollato, mentre per <strong>l’eventuale residuo</strong> continua a rispondere il <strong>solo debitore originario</strong> accollato, potendo tale circostanza tradursi in una <strong>eccezione</strong> laddove il creditore chieda all’accollante <strong>l’intero</strong>; in sostanza, il terzo nuovo debitore accollante <strong>può opporre</strong> al creditore accollatario <strong>le eccezioni</strong> che si fondano <strong>sul contratto</strong> (di accollo appunto) in base al quale, <strong>d’accordo</strong> con il vecchio debitore accollato, egli ne ha assunto il debito, <strong>concretamente inteso</strong>; si tratta di una applicazione all’accollo di quanto <strong>già previsto dall’art.1413</strong>c. in tema di <strong>contratto a favore di terzo</strong> e di <strong>eccezioni opponibili dal promittente</strong> (qui, l’accollante) al <strong>terzo</strong> (qui, il creditore accollatario), onde sarà <strong>opponibile</strong> al creditore accollatario la <strong>nullità</strong>, l’<strong>annullabilità</strong>, la <strong>risoluzione</strong> o la <strong>rescissione</strong> del contratto di accollo; poiché poi l’accollo fa luogo ad una <strong>successione nel debito</strong>, il terzo nuovo debitore accollante <strong>si assume poter opporre</strong> al creditore accollatario <strong>tutte le eccezioni</strong> che <strong>avrebbe potuto opporre</strong> il vecchio debitore accollato, <strong>escluse</strong> le eccezioni a lui <strong>personali</strong> e quelle afferenti a <strong>fatti successivi</strong> alla <strong>convenzione di accollo</strong>; si ritiene tuttavia che il nuovo debitore accollante <strong>non possa opporre in compensazione</strong> al creditore accollatario <strong>neppure i crediti</strong> del debitore originario accollato <strong>anteriori all’accollo</strong> (<strong>analogamente</strong> a quanto accade in tema di <strong>espromissione</strong>);</li> <li>una figura particolare è quella dell’<strong>accollo di debiti futuri</strong>, che è in qualche modo accostabile – in termini di <strong>regime</strong> e di <strong>problematiche</strong> ad esso afferenti - alla <strong>fideiussione</strong> per <strong>debiti futuri</strong>, laddove ad essere coinvolto è <strong>l’oggetto del contratto</strong>, ed in particolare <strong>la relativa determinabilità</strong> ex <strong>1346</strong> c.c.: è evidente infatti che i <strong>debiti futuri</strong> che il <strong>nuovo debitore accollante</strong> si assume possono <strong>non essere <em>a priori</em> determinati</strong>, <strong>né determinabili</strong>; come accade ogni qual volta un accordo coinvolga <strong>beni futuri</strong>, la relativa <strong>efficacia</strong> è poi <strong>condizionata</strong> alla <strong>venuta ad esistenza</strong> di detti beni e dunque, nel caso di specie, del <strong>rapporto di debito/credito</strong> in relazione al quale l’accollato subentra; l’<strong>accollo di debiti futuri</strong> riguarda appunto, eventualmente, tanto <strong>situazioni <em>ab origine</em></strong> di “<strong><em>possibile debito</em></strong>” tuttavia ancora <strong>non attuale</strong>, quanto situazioni che <strong>in origine</strong> sono di <strong>mera soggezione</strong> e che possono, <strong>nel futuro</strong> appunto, tradursi in <strong>debiti di tipo restitutorio</strong>, con problemi tuttavia di <strong>determinatezza e/o determinabilità</strong> dell’<strong>oggetto</strong> dell’accollo medesimo (come nell’ipotesi dell’<strong>accollo <em>ex lege</em></strong> a valle di una <strong>cessione di azienda</strong> e della possibilità per il <strong>cessionario</strong> di vedersi <strong>chiedere in restituzione</strong> <strong>somme</strong> a suo tempo <strong>versate al cedente</strong> con <strong>pagamento</strong> poi <strong>fatto oggetto di revoca</strong> in sede <strong>ordinaria</strong> o <strong>fallimentare</strong>).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p>