Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza 2 settembre 2024, n. 7341
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’impugnazione autonoma del regolamento comunale è ammissibile unicamente nelle ipotesi in cui la norma secondaria sia direttamente e immediatamente lesiva di situazioni giuridiche soggettive del ricorrente. Nelle ipotesi in cui la norma regolamentare sia priva di tali requisiti e mantenga la connotazione tipica di norma generale e astratta, applicabile tendenzialmente in una serie indeterminata di casi, la lesione giuridica che costituisce il presupposto dell’interesse al ricorso si concretizza solo nel momento in cui è adottato l’atto amministrativo applicativo della norma regolamentare.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Con il primo motivo (pp. 4 ss. dell’atto di appello), l’appellante deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il regolamento della Regione Lazio 16 giugno 2017, n. 14 (recante «Modifiche al Regolamento regionale 7 agosto 2015, n. 8 (Nuova Disciplina delle strutture ricettive extralberghiere)») non avesse reintrodotto l’obbligo di gestione in forma imprenditoriale di tre case vacanza, «trattandosi di previsione già contemplata nel precedente regolamento n. 8/2015 di cui lo stesso ricorrente ben era a conoscenza, avendo dichiarato di essere gestore di due case vacanze ai sensi del previgente regolamento n. 16/2008, in cui la gestione di tre o più case vacanze era appunto già qualificata imprenditoriale».
5.1. In senso contrario, l’appellante rileva come, a seguito del ricorso da lui proposto avverso la norma del regolamento del 2015 che imponeva l’obbligo di gestione in forma imprenditoriale, la sentenza che ha definito il ricorso (T.a.r. per il Lazio, 10 novembre 2016, n. 11162) ha dichiarato la sopravvenuta carenza d’interesse sul presupposto che la norma impugnata era già stata annullata dalla precedente sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 6755/2015, nella quale – come evidenziato dal T.a.r. – «le doglianze formulate dall’odierno ricorrente hanno trovato favorevole considerazione […]».
La sentenza qui appellata, pertanto, sarebbe in contraddizione con la precedente sentenza, concretando anche la violazione dell’art. 24, comma 1, della Costituzione.
5.3. Anche il riferimento, contenuto nella sentenza, alla possibilità di utilizzare una diversa tipologia ricettiva (b&b e non casa vacanze), sarebbe erroneo perché non considera che la gestione come Bed & Breakfast richiede che il gestore sia residente nell’unità immobiliare, requisito che nel caso di specie non ricorrerebbe.
5.4. Ugualmente priva di pregio sarebbe la tesi secondo la quale la norma regolamentare impugnata vorrebbe evitare l’elusione della normativa prevista per l‘attività alberghiera, limitando a due case vacanze la gestione in forma non imprenditoriale. La ratio non corrisponderebbe alla realtà, posto che a Roma anche un solo immobile destinato a casa vacanza potrebbe superare, come numero di stanze, quelle di un albergo.
5.5. Ribadisce, pertanto, nel merito, che le norme regolamentari regionali che prevedono l’obbligo di gestire in forma imprenditoriale più di due case vacanza sono illegittime per le stesse ragioni già evidenziate dallo stesso Tribunale amministrativo nella sentenza n. 6755/2015, ossia perché «volte a operare distinzioni tipiche dell’ambito tributario, [estranee] alle finalità istituzionali dell’ente regionale»; perché, inoltre, «introducono distinzioni non compatibili con la regolamentazione comunitaria sotto il profilo dei principi della concorrenza e del mercato, nella misura in cui, per un verso conferiscono prevalenza alla differenza tra imprenditorialità e non imprenditorialità (concetto che può variare da un Paese all’altro) dell’esercizio di un’attività» (il richiamo è fatto alla sentenza del T.a.r. Lazio, 10 novembre 2016, n. 11162), in contrasto con la disciplina del settore in oggetto, improntata al principio di liberalizzazione dell’attività economica dei privati, per espressa previsione del legislatore statale (art. 10 e 11, del d.lgs. n. 59 del 2010; art. 34 del decreto-legge n. 201 del 2011), unico abilitato a disciplinare la materia della concorrenza (art. 117, co. 2, lett. e, Cost.). La Regione, pertanto, nell’esercitare la propria potestà regolamentare, non potrebbe restringere l’attività dei privati nel settore in oggetto mediante un’artificiosa distinzione tra attività imprenditoriali e non imprenditoriali, obbligando i singoli proprietari a gestire la proprietà di cui dispongono “in forma imprenditoriale” in ragione del mero numero di unità immobiliari.
5.6. Nell’ambito del primo motivo, l’appellante deduce (pp. 11 ss. dell’atto di appello) l’ingiustizia della sentenza per non aver rilevato l’illegittimità del regolamento regionale impugnato nella parte in cui prevede requisiti minimi strutturali di superficie per le singole stanze, in contrasto con l’iniziativa economica e i diritti di proprietà del ricorrente, costituzionalmente garantiti, e con la disciplina comunitaria e statale volta alla liberalizzazione del mercato, sopra richiamata.
- Con il secondo motivo (pp. 12 ss. dell’atto di appello), l’appellante ripropone il secondo motivo del ricorso di primo grado, non esaminato dal primo giudice, con il quale denunciava l’illegittimità delle norme regolamentari impugnate anche per manifesta illogicità e contraddittorietà.
- Con il terzo motivo (pp.14 ss. dell’appello), viene riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado, non esaminato dal primo giudice, con cui è stata dedotta l’illegittimità delle prescrizioni regolamentari impugnate in quanto avrebbero fissato l’obbligo di gestione in forma imprenditoriale, e i nuovi vincoli dimensionali per i singoli vani, in carenza d’istruttoria e di motivazione.
- Con il quarto motivo (pp. 15 ss. dell’appello), l’appellante impugna la sentenza per aver affermato che non sussiste la dedotta invasione della potestà legislativa e regolamentare di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, della Costituzione, sull’assunto che «tra le materie non risulta essere ricompresa la disciplina normativa sulle strutture ricettive extralberghiere». Assunto errato, perché la previsione di obblighi di gestione in forma imprenditoriale ricadrebbe nell’ambito della tutela della concorrenza (art. 117, lettera e), Cost.), con l’ulteriore conseguenza che anche la potestà regolamentare sarebbe riservata in via esclusiva allo Stato.
- Passando al vaglio dei motivi, va rilevata, in via preliminare e dirimente, l’inammissibilità del ricorso di primo grado per il difetto di interesse a ricorrere, mancando l’attualità della lesione lamentata dal ricorrente. Secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, l’impugnazione autonoma del regolamento è ammissibile unicamente nelle ipotesi in cui la norma secondaria sia direttamente e immediatamente lesiva di situazioni giuridiche soggettive del ricorrente. Nelle ipotesi in cui la norma regolamentare sia priva di tali requisiti e mantenga la connotazione tipica di norma generale e astratta, applicabile tendenzialmente in una serie indeterminata di casi, la lesione giuridica che costituisce il presupposto dell’interesse al ricorso si concretizza solo nel momento in cui è adottato l’atto amministrativo applicativo della norma regolamentare (per tutte, da ultimo, si veda Consiglio di Stato sez. V, 1° luglio 2024, n. 5779).
9.1. Applicando gli enunciati principi al caso di specie, l’interesse a ricorrere avverso le norme del regolamento regionale ritenute illegittime verrà ad esistenza quando l’amministrazione capitolina dovesse adottare, nei confronti dell’appellante, un provvedimento che gli precluda l’esercizio dell’attività di gestione di case vacanze.
9.2. La questione, che riguarda la sussistenza di una delle condizioni dell’azione, è rilevabile d’ufficio anche dal giudice d’appello (secondo la regola per la quale questi può «rilevare ex officio la esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado […] non potendo ritenersi che sul punto si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione»: Consiglio di Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4).
9.3. Essa, inoltre, non comporta la sottoposizione al previo contraddittorio tra le parti ai sensi dell’art. 73, comma 3, del codice del processo amministrativo, trattandosi di questione di puro diritto in relazione alla quale non si potrebbero prospettare conseguenze pregiudizievoli per le parti, sotto il profilo della lesione del diritto al contraddittorio, insite nel divieto di pronunciare sentenze della c.d. «terza via», posto che il giudice – in queste ipotesi – si limita ad applicare la legge processuale (diversamente dal caso in cui la questione potenzialmente decisiva della controversia presenti anche o solo profili di fatto; in tal senso l’orientamento della Corte di cassazione: cfr. ord. n. 21314/2023, richiamata in senso adesivo anche da Cass., SS.UU., 29 maggio 2024, n. 15130).
- In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza va confermata con diversa motivazione.
- La peculiarità della controversia esaminata giustifica la compensazione tra le parti delle spese giudiziali del grado di appello.