<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le obbligazioni pecuniarie, per il loro avere ad oggetto una somma di denaro –bene di scambio per eccellenza (ormai, anche virtuale) – rivestono una peculiare importanza nel panorama del diritto civile, tanto di parte generale (disciplina delle obbligazioni e dei contratti) che speciale (disciplina dei singoli contratti, famiglia, successioni e simili); le questioni che le involgono sono molteplici e tutte di massimo interesse, trascorrendosi dal problema dei rapporti tra debiti di valuta e di valore a quello della natura e disciplina degli interessi (specie anatocistici), a quello dell’usura o dei ritardi di pagamento nelle transazioni c.d. commerciali, ovvero ancora a quello che attiene al luogo di relativo adempimento con connessa competenza giurisdizionale (</em>forum destinatae solutionis<em>).</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole).</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1838</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore il codice civile sabaudo, promulgato da Carlo Alberto il 20 giugno dell’anno prima (1837), che in tema di anatocismo prevede la possibilità di capitalizzare gli interessi (anatocismo) attraverso lo strumento della novazione (soggettiva ed oggettiva) dell’obbligazione originaria.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">La codificazione liberale non categorizza le obbligazioni pecuniarie, dedicandogli piuttosto taluni specifici articoli; in particolare l’art.1231 prevede che in caso di ritardo nel relativo pagamento, siano dovuti dal debitore i soli interessi legali. All’art.444 vengono annoverati, quali frutti civili, gli interessi scaturenti da un capitale. Per quanto concerne l’anatocismo (capitalizzazione degli interessi), esso viene previsto all’art.1232.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1882</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice di commercio disciplina le obbligazioni pecuniarie agli articoli 39 e 41: in particolare in questa ultima norma si parla di debiti commerciali liquidi ed esigibili di somme di denaro che “<em>producono interessi di pieno diritto</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1930</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice penale, all’art.644, punisce chi pratica l’usura.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile, agli articoli 1277 e seguenti, disciplina le obbligazioni pecuniarie come categoria specifica. In particolare, all’art.1224 prevede che in caso di mora sono dovuti gli interessi legali e, ove il creditore ne fornisca prova, l’eventuale maggior danno. L’anatocismo è invece disciplinato dall’art.1283 c.c.. L’art.1815 prevede poi la natura presuntivamente onerosa del mutuo, con nullità degli eventuali interessi usurari e debenza degli interessi stessi nella misura legale.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1951</strong></p> <p style="text-align: justify;">Vedono la luce le norme bancarie uniformi, ove viene fatto un riferimento all’uso bancario - riferito ai contratti di conto corrente bancario – di capitalizzare a 3 mesi gli interessi passivi dovuti dai clienti (alla banca) e a 1 anno gli interessi attivi dovuti (dalla banca) ai clienti.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1957</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 aprile esce esce la sentenza della …. Sezione della Cassazione n. 1156 alla cui stregua il legato di alimenti ex art.660 c.c., giusta esplicito richiamo del codice alle prestazioni di cui all’art.438 c.c., ha efficacia da intendersi subordinata alla sussistenza dello stato di bisogno dell’onorato legatario, e configura un debito di valore, non di valuta.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1964</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 settembre esce esce la sentenza della …. Sezione della Cassazione n. 2418 alla cui stregua il legato di alimenti ex art.660 c.c., configura un debito di valore, non di valuta.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 2 ottobre esce esce la sentenza della …. Sezione della Cassazione n. 2481 alla cui stregua il legato di alimenti ex art.660 c.c., configura un debito di valore, non di valuta.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1973</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 agosto viene varata la legge n.533 che, muovendo dal carattere alimentare dei crediti di lavoro (<a href="http://www.brocardi.it/costituzione/parte-i/titolo-iii/art36.html">36</a> cost.), prevede con la novellata formula dell’art.429, ultimo comma, c.p.c. che le somme dovute al lavoratore a titolo retributivo e risarcitorio siano automaticamente rivalutate secondo gli indici Istat (disp. att. 150 c.p.c.) a far data dalla maturazione del diritto. Questo esonera il lavoratore dall'onere di provare il maggior danno da svalutazione e gli interessi vengono automaticamente cumulati alla rivalutazione applicando, per quanto riguarda il maggior danno riconducibile a quest’ultima, gli indici di inflazione Istat.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1977</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.1423 onde il credito al risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, al pari di quello derivante da responsabilità extracontrattuale, ha natura di credito di valore e non di valuta, sottratto perciò all'operatività del principio nominalistico e all'area di applicazione dell'art. 1224 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 ottobre esce la sentenza della Cassazione n. 4633 che, in tema di obbligazioni di valuta, ritiene che il creditore – laddove invochi il maggior danno da svalutazione monetaria rispetto agli interessi di mora – deve provare in modo pieno e rigoroso tale maggior danno ai sensi dell’art.1224 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1978</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione, n.5670 che, in tema di obbligazioni di valuta, muovendo dal divario tra un elevato tasso di inflazione (che presidia alla rivalutazione monetaria) e un basso tasso di interesse (che presidia alla corresponsione degli interessi legali), arriva alla conclusione che la svalutazione è da intendersi come fatto notorio, peraltro evincibile da indici pubblici, e dunque anche in caso di obbligazioni di valuta può in simili ipotesi considerarsi provato il maggior danno da svalutazione ex art.1224 c.c. in capo al creditore pecuniario che abbia ottenuto i soli interessi legali sulla somma dovuta: nella sostanza, si riduce la forbice tra obbligazioni di valuta e obbligazioni di valore quanto a relativo regime di cumulo tra interessi e rivalutazione.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1979</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 luglio esce la sentenza delle SSUU n. 3776 che inaugura un nuovo indirizzo in tema di obbligazioni di valuta e di prova del maggior danno ex art.1224 c.c., consistente sia nella riaffermazione della possibilità di ricorrere alla prova presuntiva mediante il riferimento, tuttavia, a categorie economiche socialmente significative di creditori (in particolare, quella dell’imprenditore, del risparmiatore individuale, del modesto consumatore e del creditore occasionale), sia nella affermazione della possibilità di utilizzare ogni altro mezzo di prova, incluso il fatto notorio della comune esperienza.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1981</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione, n.5426, che si occupa delle obbligazioni restitutorie in caso di risoluzione del contratto, ed in particolare dell’ipotesi in cui il venditore debba restituire al compratore il prezzo a suo tempo ricevuto: solo quando la sentenza di risoluzione diviene esecutiva, la prestazione restitutoria diviene esigibile dal compratore, onde solo dopo tale esecutività scatta la <em>mora debendi</em> del venditore. La conseguenza è che il compratore non può pretendere dal venditore la svalutazione monetaria sul prezzo corrisposto dal momento in cui effettivamente lo corrispose in quanto essa, ai sensi dell’art.1224, comma 2, c.c., si atteggia a maggior danno e presuppone, per l’appunto, la mora del debitore (in questo caso, del venditore), da riconnettersi alla data di esecutività della sentenza risolutiva.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1983</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 febbraio esce la sentenza della SSUU n.1464 che elabora per la prima volta compiutamente in sede giurisprudenziale la distinzione tra debiti di valuta e di valore: mentre nelle obbligazioni di valuta l’oggetto diretto ed originario della prestazione dovuta è il denaro, in quelle di valore è originariamente dovuto qualcosa di diverso dal denaro e la moneta è solo un bene sostitutivo di una prestazione originariamente con diverso oggetto.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1984</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 aprile esce la sentenza della Cassazione n.2262, secondo la quale il momento iniziale del termine prescrizionale decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, come già ha ritenuto dalla Corte medesima sia con riferimento al deposito bancario regolato in conto corrente (viene implicitamente richiamata la sentenza della Sezione I del 21/03/1963 n. 689), sia con riguardo al mandato (viene richiamata la sentenza del 06/07/1976 n. 2505) - ove siano previste più prestazioni del mandatario e qualora le parti non abbiano pattuito diversamente - alla cui disciplina è soggetto prevalentemente il contratto di operazioni bancarie (vengono richiamate le altre sentenze del 21/12/1971 n . 3701 e del 06/12/1974 n. 4043). Difatti, chiosa la Corte, i contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di più prestazioni, sono contratti unitari, che danno luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi; perciò la serie successiva di versamenti, prelievi ed accreditamenti non dà luogo a singoli rapporti (costitutivi od estintivi), ma determina solo variazioni quantitative dell'unico originario rapporto costituito tra banca e cliente (vengono richiamate le precedenti sentenze del 30/04/1969 n. 1392 e del 25/07/1972 n. 2545).</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1986</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 aprile esce la sentenza delle SSUU n.2368 che, in tema di obbligazioni di valuta, ribadisce - precisandole - le conclusioni già raggiunte dalle SSUU del 1979 in tema di categorie di creditori e onere della prova del maggior danno nelle obbligazioni di valuta di cui all’art.1224 c.c.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 aprile esce la sentenza della Cassazione, sezione II, n. 3439, che torna sulla natura delle obbligazioni restitutorie a seguito di risoluzione del contratto: poiché tale risoluzione produce effetti <em>ex tunc</em>, e dunque retroattivi, va distinta la posizione della parte contrattuale incolpevole, il cui debito restitutorio è da intendersi di valuta, dalla posizione della parte contrattuale inadempiente (cui è nella sostanza imputabile la risoluzione del contratto), che è tenuta al risarcimento del danno ed il cui debito restitutorio è dunque da intendersi di valore, dovendo allora ricomprendere anche la svalutazione monetaria.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1991</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n. 156 che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 442 cod. proc. civ. nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito, applicando l'indice dei prezzi calcolato dall'ISTAT per la scala mobile nel settore dell'industria e condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno in cui si sono verificate le condizioni legali di responsabilità dell'istituto o ente debitore per il ritardo dell'adempimento. In sostanza, la sentenza estende ai crediti previdenziali il regime del cumulo degli interessi con la rivalutazione già previsto dall’art.429, ultimo comma, c.p.c. per i crediti del prestatore di lavoro nei confronti del datore.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre viene varata la legge n.412 (legge finanziaria per il 1992) il cui art.16, comma 6, cerca di porre rimedio ai drammatici effetti che sui conti pubblici ha spiegato l’intervento della Corte costituzionale in tema di crediti previdenziali, stabilendo che al creditore previdenziale è dovuto il cumulo tra interessi e rivalutazione, ma solo nei limiti del differenziale tra l’inflazione e gli interessi legali.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 febbraio esce la legge n. 154 sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, il cui articolo 4 dichiara nulle le clausole dei contratti che rinviano agli usi per la determinazione degli interessi, soprattutto se ultralegali (c.d. clausole uso piazza): per tali interessi occorre la pattuizione scritta.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 7571 che, in tema di anatocismo, ritiene legittima la deroga ai criteri di cui all’art.1283 c.c. prevista nelle fattispecie di conto corrente bancario a cagione della accertata presenza di un uso normativo – recepito dalle norme bancarie uniformi del 1951 - capace di autorizzare la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi dovuti dal cliente alla banca.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n.394 che, in tema di crediti pecuniari previdenziali, salva l’art.16, comma 6, della legge 412.91 ritenendo conforme a Costituzione il regime del cumulo differenziale tra interessi legali e rivalutazione monetaria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 dicembre esce la sentenza delle SSUU n. 12942 che torna sul problema della natura giuridica della obbligazione pecuniaria restitutoria in caso di risoluzione <em>ex tunc</em> del contratto. La pronuncia muove dal presupposto che non si possono confondere i due piani distinti dell’inadempimento e della (pur cronologicamente) conseguente obbligazione restitutoria, in quanto l’inadempimento cagiona la risoluzione ed impone il risarcimento del danno in capo alla parte contrattuale cui è imputabile, mentre l’obbligazione restitutoria è logicamente successiva e sganciata dalla dinamica patologica dell’inadempimento e della risoluzione contrattuale. Ne discende che l’obbligazione restitutoria è da intendersi sempre e comunque di valuta, con possibilità tuttavia per il creditore di provare (ed ottenere) il danno da svalutazione. Inoltre, considerato che la sentenza di risoluzione del contratto ha efficacia retroattiva, possono essere riconosciuti al creditore della restituzione di somme anticipate gli interessi compensativi collegati al mancato godimento dei frutti della somma stessa.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n. 196 che <a href="http://www.giurcost.org/decisioni/1986/0031s-86.html">dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 442 cod.proc.civ. nella parte in cui non prevede, quando il giudice pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di assistenza sociale obbligatoria, il medesimo trattamento dei crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale in ordine agli interessi legali e al risarcimento del maggior danno sofferto dal titolare per la diminuzione di valore del suo credito.</a> In sostanza, la sentenza estende anche ai crediti assistenziali il regime del cumulo degli interessi con la rivalutazione già previsto dall’art.429, ultimo comma, c.p.c. per i crediti del prestatore di lavoro nei confronti del datore, ed esteso ai crediti previdenziali dalla precedente pronuncia n.156 del 1991.</p> <p style="text-align: justify;">Il 01 settembre viene varato il decreto legislativo n.385, vale a dire il testo unico bancario, il cui art.117 ripropone il testo dell’articolo 4 della legge 154.92 (abrogato) laddove dichiara nulle le clausole dei contratti che rinviano agli usi per la determinazione degli interessi, soprattutto se ultralegali (c.d. clausole uso piazza).</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 giugno esce la sentenza della Corte costituzionale n.207 che salva l’art.429, ultimo comma, c.p.c., nella versione novellata dalla legge 533/73, ritenendo conforme a Costituzione, per il lavoratore privato, il cumulo automatico della rivalutazione monetaria agli interessi legali per quanto riguarda i relativi crediti verso il datore di lavoro.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 dicembre viene varata la legge n.724 (legge finanziaria 1995) che, all’art.22, comma 36, estende la disciplina del cumulo differenziale tra interessi e rivalutazione monetaria, già previsto per i crediti previdenziali, ai crediti pecuniari da lavoro dipendente, sia pubblico che privato.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1995</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 febbraio esce la sentenza delle SSUU n. 1712 che – in tema di debiti di valore – conferma la cumulabilità degli interessi alla rivalutazione monetaria: mentre quest’ultima ha infatti la funzione di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato, che va posto nella stessa posizione di valore che aveva prima della vulnerazione (giusta fatto illecito) del relativo bene della vita, così garantendo il ristoro del danno emergente; gli interessi legali hanno invece la funzione di garantire al creditore (danneggiato) il lucro cessante, in quanto se avesse potuto approfittare da subito della somma via via rivalutata, avrebbe potuto investirla e così lucrarne dei vantaggi economici. Il bene perduto o danneggiato aveva un certo valore economico che va attualizzato (rivalutazione) e ne va compensato il mancato godimento (interessi). Occorre tuttavia scongiurare locupletazioni del creditore, e tale scopo può essere raggiunto attraverso la disciplina dell’allegazione e della prova: mentre infatti la rivalutazione monetaria (danno emergente) non richiede prove specifiche, per l’applicazione degli interessi sulla somma via via rivalutata il creditore (danneggiato) deve provare – anche se può all’uopo avvalersi anche di presunzioni – che la somma rivalutata è inferiore a quella che egli avrebbe ottenuto attraverso un investimento della somma medesima durante il tempo (ritardo) trascorso tra l’illecito ed il risarcimento del danno. Occorre mettere allora a confronto il tasso di svalutazione (che funge da parametro per la rivalutazione monetaria) ed il tasso di remuneratività media del denaro nel periodo considerato, potendosi configurare un danno da ritardo solo nella ipotesi in cui la svalutazione monetaria sia stata inferiore alla remuneratività media del denaro.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 aprile esce l’ordinanza della Corte costituzionale n.139 che salva ancora l’art.429, ultimo comma, c.p.c., nella versione novellata dalla legge 533/73, ritenendo conforme a Costituzione, per il lavoratore privato, il cumulo automatico della rivalutazione agli interessi legali per quanto riguarda i relativi crediti verso il datore di lavoro.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 agosto esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.9099, che si occupa del tema dello <em>ius superveniens</em> in tema di fideiussione <em>omnibus</em> (importo massimo garantito obbligatorio ed invalidità della preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione del debitore principale): secondo la Corte, che abbraccia la tesi “<em>genetica</em>”, per verificare se si applica lo <em>ius superveniens</em> ad un contratto in corso occorre guardare al momento in cui il contratto fu stipulato, e non ai relativi effetti operativi quando entra in vigore la nuova normativa. Si tratta di una pronuncia importante che fonda la tesi dottrinale secondo la quale – anche con riguardo agli interessi nei contratti di finanziamento - non rileva la usurarietà sopravvenuta, in quanto è da assumersi irrilevante il tempo – successivo alla stipula – in cui gli interessi vengono corrisposti. Del resto, l’art.1815 parla di interessi usurari “<em>convenuti</em>”, facendo riferimento alla data della stipula. Lo stesso principio <em>tempus regit actum</em> impone di considerare il contratto valido sulla scorta della normativa in vigore al tempo in cui è stato stipulato, dovendosi in caso contrario predicare una retroattività della nuova disciplina, in contrasto con l’art.11 delle preleggi. Peraltro, sul piano penalistico va abbracciata la tesi della natura istantanea del reato di usura, che si consuma al momento della stipula del contratto, mentre le relative dazioni sono successive ed ormai fuori dall’area della consumazione. Infine, se anche può ammettersi una incidenza della nuova disciplina sui contratti ancora in corso, per la teoria del “<em>fatto compiuto</em>” non è possibile per la novella intaccare il fatto generatore degli effetti e dunque, per l’appunto, il contratto che originariamente non era usurario.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1996</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 marzo esce la legge n.108 in tema di disciplina dell’usura. Essa incide sull’art.644 c.p., modificandolo e prevedendo l’approfittamento dello stato di bisogno della vittima non più come elemento costitutivo del reato, ma quale mera circostanza aggravante: in questo modo la disciplina dell’usura da “<em>soggettiva</em>” diviene oggettiva, palesandosi rilevante il mero superamento del tasso soglia. Incide altresì sull’art.644 bis c.p. (usura impropria), abrogandolo. Incide infine sull’art.1815 c.c. modificandone il comma 2, laddove prevedeva la sostituzione degli interessi legali agli interessi usurari e che ora prevede la non corresponsione di interessi alcuni, rendendo il mutuo (valido ma) gratuito: viene limitata la negoziabilità degli interessi tra le parti e, dunque, compressa la relativa autonomia privata, con possibilità di controllo oggettivo anche da parte del giudice civile, in quanto secondo la tesi dominante vi è nell’art.1815 c.c. novellato un rinvio implicito alla nuova disciplina penalistica (tracciata dalla medesima legge che ne ha mutato il testo).</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n. 361 che, in tema di crediti pecuniari previdenziali, salva ancora una volta l’art.16, comma 6, della legge 412.91 ritenendo conforme a Costituzione il regime del cumulo differenziale tra interessi legali e rivalutazione monetaria.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo esce l’importante sentenza della sezione I della Cassazione, n. 2374, che – sulla scia della dottrina – si produce in una svolta in tema di anatocismo bancario. Secondo la Corte non vi è alcuna prova che, anteriormente all’entrata in vigore del codice civile, fosse rintracciabile un uso normativo del tipo di quello “<em>recepito</em>” dalle norme bancarie uniformi del 1951 e capace di derogare al divieto di anatocismo scolpito all’art.1283 c.c. Del resto, sempre secondo la Corte non sarebbe configurabile nessuna <em>opinio iuris ac necessitatis</em> tale da far ritenere (massime ai clienti correntisti) di trovarsi coinvolti nell’applicazione di una norma giuridica usuale vincolante; la capitalizzazione trimestrale degli interessi viene invece loro imposta senza nessuna negoziazione specifica e – sostanzialmente - senza nessuna giustificazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 marzo esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.3096 che, facendo proprie le conclusioni già raggiunte dalla precedente pronuncia della sezione I n.2374, qualifica l’uso bancario della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi come uso negoziale (e non normativo), come tale non idoneo a derogare al divieto di anatocismo di cui all’art.1283 c.c.; anzi, il contrasto con una norma imperativa impone che simili clausole di capitalizzazione siano da assumersi nulle per contrasto con l’art.1418, comma 1, c.c.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 agosto viene varato il decreto legislativo n.342 che interviene sull’anatocismo bancario, sia per il futuro, sia per quanto concerne gli interessi capitalizzati trimestralmente dalle banche fino ad ora, con clausole la cui validità è stata sconfessata dalla recente giurisprudenza della Cassazione. In particolare, l’art.25 va ad incidere sull’art.120 del testo unico bancario (decreto legislativo n.385.93): per il futuro, viene previsto un esplicito potere regolativo (modalità e criteri di capitalizzazione degli interessi nelle operazioni bancarie) in capo al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, il c.d. CICR; per il passato, e dunque per le clausole stipulate prima dei nuovi criteri CICR, viene prevista la piena validità ed efficacia di tali clausole fino appunto alla delibera CICR, dovendosi poi esse adeguare alla delibera CICR medesima (una volta emanata) secondo certe modalità e certi termini, pena la relativa inefficacia denunciabile, nondimeno, solo dal cliente che le subisce.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 febbraio esce la sentenza della Cassazione n.1126 che si occupa della usurarietà sopravvenuta degli interessi con riguardo ad un contratto di mutuo che sia stato stipulato prima della novella del 1996 (legge n.108). Secondo questa pronuncia, per verificare se gli interessi sono o meno usurari occorre guardare al momento della relativa <em>datio</em>, vale a dire al momento funzionale ed esecutivo del contratto, e non al relativo momento genetico, sicché gli interessi sono usurari anche se sono divenuti tali, non essendolo ancora quando il contratto fu stipulato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 febbraio viene varata la delibera CICR prevista dal decreto legislativo 342.99 che consente ampia libertà alle parti di capitalizzare i propri interessi attivi e passivi, se del caso anche su base giornaliera (ben lontana da quella dei 6 mesi prevista dall’art.1283 c.c.).</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 ottobre esce la sentenza della Corte costituzionale n. 425 che, in tema di anatocismo, dichiara incostituzionale l’art. 25, comma 3, del decreto legislativo 342.99, per eccesso di delega, con riferimento alle clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati anteriormente alla delibera CICR, con particolare riguardo alla relativa salvezza (sono considerate dal provvedimento normativo censurato valide ed efficaci) oltre che al fatto che debbono per il futuro essere adeguate al disposto della menzionata delibera (pena l’inefficacia “<em>zoppa</em>”, che può essere fatta valere come tale dal solo cliente della banca). In sostanza, da questo momento in poi si apre il problema della sorte di tutti i contratti bancari con clausola anatocistica stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n.342.99, e delle connesse domande di restituzione degli interessi “<em>capitalizzati</em>” spiccate dai clienti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 novembre esce la sentenza della Corte costituzionale n. 459 che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), limitatamente alle parole «<em>e privati</em>». In sostanza, mentre per i lavoratori pubblici continua ad essere operativo il cumulo “<em>differenziale</em>” tra interessi e rivalutazione, per quelli privati (per i quali soltanto è stata sollevata questione di legittimità costituzionale) viene ripristinato il regime del cumulo pieno di cui all’art.429, ultimo comma, c.p.c., nella versione introdotta con la riforma del 1973.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 dicembre viene varato il decreto legge n.394 che, con interpretazione autentica, afferma all’art.1, comma 1, che ai fini dell’applicazione degli articoli 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il tasso soglia legale al momento in cui essi sono stati promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro effettivo pagamento. Il legislatore sposa la tesi genetica della usurarietà degli interessi e li sterilizza rispetto allo <em>ius superveniens</em>, essendo sufficiente che non fossero usurari allorché furono convenuti e con irrilevanza del tempo della relativa dazione effettiva.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio viene varata la legge n. 24 di interpretazione autentica in materia di usura, attraverso la conversione in legge del decreto legge n. 394.00.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 febbraio esce la sentenza della Corte costituzionale n.29 che si pronuncia sull’art.1, comma 1, del decreto legge n. 394.00, che ha interpretato autenticamente la disciplina in materia di usura, salvandone il disposto: il principio di ragionevolezza impone di affermare che il contratto è usurario solo se originariamente tale (pattuizioni originariamente usurarie), senza che possa farsi alcun utile riferimento alla dazione di interessi “<em>divenuti</em>” usurari.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 luglio esce la sentenza della Cassazione n. 10428 che, in tema di interessi corrispettivi su una somma di denaro, rappresenta come essi decorrano da quando il credito è divenuto liquido ed esigibile, senza che il creditore sia tenuto ad alcun atto di costituzione in mora, e come siano collegati non al ritardo del debitore nell’adempiere, quanto al ritardo subito dal creditore nel godimento della somma di relativa spettanza dovutagli.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre viene varato il decreto legislativo n. 231 in materia di c.d. transazioni commerciali (contratti tra imprese, o tra imprese e Pubbliche Amministrazioni, che comportanto la consegna di merci o la prestazione di servizi verso il pagamento di un prezzo: sono esclusi i rapporti tra consumatori e quelli tra consumatore e professionista), il cui art.5 prevede un peculiare regime per le pertinenti obbligazioni pecuniarie con specifico riferimento agli interessi moratori: essi sono calcolati assumendo a parametro uno speciale saggio di interesse relativo al principale strumento di rifinanziamento della BCE. Sono esclusi da questo regime i pagamenti a titolo di risarcimento del danno (in attuazione della direttiva n.35/2000 CE) in quanto nel caso delle obbligazioni pecuniarie risarcitorie non si pone il problema di scongiurare disequilibri contrattuali connessi alla convenienza per il debitore, talvolta, a pagare in ritardo il corrispettivo del bene o servizio acquistato (interessi di mora particolarmente bassi; lentezza delle procedure di recupero dei crediti). La disciplina sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali segue uno schema di tipo sanzionatorio e punitivo: salvo diverso patto scritto tra le parti, a) se è prevista una scadenza per l’obbligazione pecuniaria, gli interessi di cui al decreto legislativo decorrono automaticamente dal giorno successivo a tale scadenza; b) se un termine di scadenza non è previsto, gli interessi decorrono dai 30 giorni successivi al ricevimento da parte del debitore della fattura, senza che sia necessaria alcuna messa in mora. Nel caso in cui le parti si accordino in modo abusivo per una di esse (c.d. abuso negoziale), l’art.7 del decreto prevede la nullità rilevabile d’ufficio dal giudice.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 luglio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.11200 che si occupa dell’adempimento delle obbligazioni contratte in valuta estera e del particolare caso in cui il debitore alla scadenza sia inadempiente: egli si assume il rischio del cambio, onde nel caso in cui quando paga (in ritardo) il cambio sia a lui più favorevole, dovrà anche la differenza tra il cambio alla data di scadenza dell’obbligazione e quello di cui alla data del pagamento. Se infatti, seguendo l’art.1278, pagasse anche in caso di mora al tasso di cambio del giorno di scadenza, trarrebbe ingiusta locupletazione dal cambio più favorevole <em>post moram</em>.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 marzo esce la sentenza della sezione III della Cassazione n. 4993 che si occupa dei debiti originariamente di valore, e quindi dell’obbligazione risarcitoria da fatto illecito, con particolare riguardo alla debenza da parte del debitore degli interessi c.d. compensativi di cui all’art.1499 c.c., collegati alla illiquidità di tale debito: tali interessi sono dovuti fino al momento in cui il debito di valore si converte in debito di valuta, divenendo da illiquido liquido, momento che coincide con quello in cui passa in giudicato la sentenza di merito che effettua la liquidazione definitiva; da quel momento in poi l’obbligazione pecuniaria deve intendersi di valuta e, come tale, assoggettata al principio nominalistico.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.7066 che ribadisce come le obbligazioni pecuniarie restitutorie a seguito di risoluzione <em>ex tunc</em> del contratto hanno natura di debiti di valuta sia se gravano sulla parte contrattuale incolpevole, sia se gravano su quella inadempiente alla quale la risoluzione è imputabile. Ciò significa che per ottenere la svalutazione monetaria occorre la prova del maggior danno ai sensi dell’art.1224 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre viene varata la legge n. 161, il cui articolo 29 interviene per chiarire l’interpretazione di talune norme del decreto legislativo 231.02 sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, iniziando col dire che detta normativa si applica anche ai contratti pubblici, e rappresentando che eventuali diversi regimi sparsi in altri provvedimenti sono applicabili solo se più favorevoli ai creditori. Quando debitore è una PA, viene poi prevista una nuova motivazione per allungare i termini di pagamento. Infine, si disciplina il regime delle prassi gravemente inique per il creditore che derogano al regime del ritardo nei pagamenti quando si è al cospetto di transazioni commerciali (esclusione del risarcimento per i costi di recupero del credito; esclusione degli interessi di mora laddove manchi la prova contraria ed altro ancora).</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 novembre esce la sentenza delle SSUU n. 21095, che – chiamata a pronunciarsi giusta tecnica della “<em>massima di particolare importanza</em>” - si occupa della sorte dei contratti stipulati prima del decreto legislativo 342.99 e recanti la clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi, dipanando il pertinente contrasto di giurisprudenza: la Corte a Sezioni unite ribadisce che tali clausole si sono sempre fondate su un uso negoziale (e non normativo) e dunque, trattandosi di clausole contrattuali pure, esse sono nulle per contrasto con l’art.1283 c.c. sul divieto di anatocismo. Né è possibile pensare che la giurisprudenza (sino ad allora opposta) della Corte possa aver contribuito a trasformare un uso negoziale in uso normativo, ingenerando una <em>opinio iuris ac necessitatis</em> tale da far assumere vincolante la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi. Ne discende che dette clausole sono nulle e che tale nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice (non è dunque una nullità “<em>zoppa</em>”), anche perché laddove il giudice si trovi a giudicare su una domanda tendente ad ottenere l’adempimento di un contratto (anche dal punto di vista della restituzione di quanto erroneamente pagato sulla base di esso), egli deve preliminarmente vagliare il fondamento di tale pretesa e, dunque, la validità del contratto stesso. Secondo la Corte occorre anche considerare che il riferimento che il codice civile fa, all’art.1283 c.c., agli eventuali usi contrari derogatori, non può che essere inteso come relativo ad usi (normativi) formatisi prima dell’entrata in vigore del codice stesso (e dunque prima del 1942), in quanto gli usi successivi non potrebbero che essere negoziali e <em>contra legem</em> (perché derogatori al divieto di anatocismo), e come tali inidonei a surclassare quanto a forza giuridica lo stesso art.1283 c.c., con conseguente nullità delle pertinenti clausole.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo esce la sentenza della sezione III della Cassazione n. 5008 che ribadisce applicabile alle obbligazioni di valore l’art.1499 c.c. in tema di interessi compensativi con riferimento al credito del venditore al prezzo della cosa fruttifera venduta e consegnata anticipatamente rispetto alla scadenza per il pagamento da parte del compratore del prezzo medesimo: qui il prezzo della cosa venduta non è esigibile dal venditore, perché il pagamento viene differito o frazionato nel tempo, ma poiché la cosa venduta e produttiva di frutti o altri proventi viene consegnata subito al compratore, dalla compravendita decorrono per l’appunto gli interessi compensativi. Parimenti nelle obbligazioni di valore gli interessi “<em>compensativi</em>” debbono intendersi compensare il mancato godimento da parte del creditore di un valore che è ancora illiquido e dunque inesigibile, e che corrisponde al bene perso ed alle utilità che egli ne avrebbe ritratto – <em>sub specie pecuniae</em> – ove l’avesse ottenuto tempestivamente.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 aprile esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.7674 che – occupandosi delle obbligazioni pecuniarie liquide ed illiquide, della relativa natura <em>portable</em> o <em>querable</em> e della connessa questione della competenza giurisdizionale – assume che, proprio ai fini della determinazione della competenza territoriale, ai sensi del combinato disposto degli art. 20 c.p.c. e 1182 c.c., il <em>forum destinatae solutionis</em>, previsto dal comma 3 di tale ultima disposizione, è applicabile in tutte le cause aventi ad oggetto una somma di denaro – e dunque anche alle obbligazioni pecuniarie illiquide, da assumersi anch’esse <em>portable</em> - qualora l'attore abbia richiesto il pagamento di una somma determinata, non incidendo sulla individuazione della competenza territoriale la maggiore o minore complessità dell'indagine sull'ammontare effettivo del credito, la quale attiene esclusivamente alla successiva fase di merito.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 maggio esce la sentenza della Cassazione, sezione I, n.10127 che, tra gli altri motivi di ricorso, vaglia anche quello con il quale il ricorrente ha sostenuto che la decorrenza del termine decennale di prescrizione per il reclamo da parte del correntista delle somme indebitamente trattenute dalla banca per interessi calcolati in misura ultralegale senza valida pattuizione dovrebbe iniziare dalla data in cui ciascun pagamento è stato effettuato, trattandosi di azione di ripetizione di tanti indebiti oggettivi quanti sono i pagamenti effettuati in esecuzione delle clausole impugnate. L’assunto, secondo la Corte, è in contrasto con la giurisprudenza della Corte medesima (vengono richiamate le pronunce 2004/5720, 1998/3783, 1984/2262, 1956/2488), che valorizza il legame intercorrente fra una pluralità di atti esecutivi in virtù dell’unicità del rapporto giuridico derivante da un contratto unitario, e pertanto deve essere disatteso, con conseguente decorrenza della prescrizione dal termine del rapporto contrattuale.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 gennaio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n. 266 che si riferisce alla stipula di clausole che prevedano interessi in misura superiore rispetto al saggio legale: la Corte ribadisce che in questi casi la forma scritta è da intendersi <em>ad substantiam</em>, dovendosi altrimenti ricondurre il saggio degli interessi pattuiti alla misura legale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio esce la sentenza della sezione I della Cassazione n. 870 sulla c.d. commissione di massimo scoperto, accessiva ad un contratto di apertura di credito in conto corrente: secondo la Corte detto onere non è connesso alla effettiva utilizzazione della somma massima messa a disposizione del cliente da parte della banca, ma appunto alla sola messa a disposizione di tale somma, onde per le somme effettivamente utilizzate la banca ha diritto al normale interesse remuneratorio, mentre per la somma restante (che conduce al c.d. massimo scoperto) la banca ha diritto alla commissione di massimo scoperto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 5234, che ribadisce quanto già esplicitato dalle SSUU nel 1995 in ordine alla diversa funzione che – nei debiti di valore – assolvono, rispettivamente, la rivalutazione monetaria (che ristora il danno emergente) e gli interessi sulla somma via via rivalutata (che ristorano il lucro cessante).</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.1087 che si occupa del risarcimento del danno da illecito e in particolare degli interessi compensativi, che ne costituiscono per la Corte una componente e che possono come tali essere attribuiti al creditore danneggiato <em>ope iudicis</em> e senza specifica domanda.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 maggio esce la sentenza della Cassazione n.10884 che, in tema di interessi compensativi (il cui referente normativo è l’art.1499 c.c.), ne affermano la natura sostanzialmente equitativa: il creditore ne ha diritto in quanto ha consegnato alla controparte la cosa fruttifera senza riceverne subito la controprestazione. Essi prescindono sia dalla mora, sia dalla esigibilità del credito pecuniario al prezzo, e dunque si atteggiano ad un <em>tertium genus</em> di interessi tra quelli moratori e quelli corrispettivi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 giugno esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 14573 che richiamando taluni precedenti (11968/92; 1423/77) ribadisce il principio di diritto onde, per distinguere i debiti di valuta dai debiti di valore, occorre avere riguardo non alla natura dell'oggetto nel quale la prestazione avrebbe dovuto concretarsi al momento dell'inadempimento o del fatto dannoso, bensì all'oggetto diretto ed originario della prestazione, che, nelle obbligazioni di valore, consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre, nelle obbligazioni di valuta, è proprio una somma di danaro, a nulla rilevando l'originaria indeterminatezza della somma stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 settembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 19390, che ribadisce la differenza tra debiti di valuta e debiti di valore rifacendosi alla nota distinzione tracciata dalle SSUU nel 1983.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.22326 che, inserendosi nel solco di un certo orientamento pretorio, afferma che ove la somma di denaro oggetto dell’obbligazione debba essere ancora determinata dalle parti o, in loro sostituzione, liquidata dal giudice mediante indagini e operazioni diverse dal semplice calcolo aritmetico, trova applicazione l’ultimo comma dell’art. 1182, che identifica il luogo di adempimento nel domicilio del debitore. Si tratta dunque, in caso di credito pecuniario illiquido, di obbligazione <em>querable</em>, e non <em>portable</em> come accade ai crediti pecuniari liquidi.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 luglio esce la sentenza delle SSUU n. 19499 che – in tema di obbligazioni di valuta e di prova del maggior danno da parte del creditore – supera il pregresso orientamento che distingueva le diverse categorie di creditori. Secondo le SSUU, qualunque sia la tipologia di creditore che agisce in seguito alla mora del debitore, a decorrere da tale mora a quegli spetta l’eventuale differenza tra il tasso di interesse legale annuo ed il (maggior) tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a 12 mesi. Il debitore può tuttavia sempre provare che il maggior danno del creditore è stato in concreto inferiore in quanto, se lo avesse pagato per tempo, avrebbe fatto un uso meno remunerativo del proprio denaro. Tornando al creditore, anche se si tratta di imprenditore egli può invocare un danno ancora maggiore rispetto a quello di cui al differenziale tra interesse legale e rendimento dei titoli di Stato, ma deve rigorosamente provarlo, nelle due alternative ipotesi: a) del ricorso (o del maggior ricorso) al credito bancario in conseguenza dell’inadempimento del debitore; in questo caso il danno sarà ravvisabile nel tasso di interesse corrisposto alle banche per ricorrere al credito bancario; b) della impossibilità di impiegare utilmente le somme (che il debitore avrebbe dovuto pagare tempestivamente) nell’impresa; in questo caso il danno coincide con l’utilità marginale netta dei propri investimenti, che sono andati persi a cagione dell’inadempimento del debitore.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n. 1335 che si occupa ancora una volta dei debiti originariamente di valore, e quindi dell’obbligazione risarcitoria da fatto illecito, con particolare riguardo alla debenza da parte del debitore degli interessi c.d. compensativi di cui all’art.1499 c.c., collegati alla illiquidità di tale debito: si ribadisce che tali interessi sono dovuti fino al momento in cui il debito di valore si converte in debito di valuta, divenendo da illiquido liquido, momento che va assunto coincidere con quello in cui passa in giudicato la sentenza di merito che effettua la liquidazione definitiva; da quel momento in poi l’obbligazione pecuniaria deve intendersi di valuta e, come tale, assoggettata al principio nominalistico.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 maggio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.12455 che si inserisce nel filone pretorio (già affermato dalla precedente sentenza n. 7476/2005) onde il <em>forum destinatae solutionis</em> di cui all’art. 1182, co. 3 è applicabile in tutte le cause aventi ad oggetto una somma di denaro qualora l’attore abbia richiesto il pagamento di una somma determinata, atteso che la maggiore o minore complessità dell’indagine sulla determinazione dell’ammontare effettivo del credito attiene esclusivamente alla successiva fase di merito (non incidendo sulla competenza territoriale). Secondo questo filone giurisprudenziale, anche l’obbligazione pecuniaria illiquida va dunque considerata <em>portable</em> (e non <em>querable</em>), radicandosi la competenza giurisdizionale presso il domicilio del creditore sulla base della somma da questi chiesta in giudizio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 dicembre esce la sentenza delle SSUU n. 24418 che torna occuparsi del tema dell’anatocismo. Dato per assodato che le clausole anatocistiche sono nulle, un primo problema è quello di individuare il regime prescrizionale dell’azione di ripetizione delle somme alla banca. Le SSUU abbracciano almeno parzialmente – al fine di determinare il termine di decorrenza della prescrizione - la concezione “<em>atomistica</em>” del contratto bancario, fino ad allora minoritaria: il rapporto è unitario sullo sfondo, ma non per questo il diritto alla ripetizione dell’indebito (interessi anatocistici) si prescrive sempre dalla chiusura del conto. La Corte muove da altri rapporti di durata che prevedono prestazioni di somme di denaro ripetute e scaglionate nel tempo, come nel caso dei canoni di locazione o d’affitto, o nel caso del prezzo della somministrazione periodica di cose: il rapporto è unitario, ma ciascun singolo pagamento non dovuto è come tale indebito, e dal momento di tale pagamento (da quando ha avuto concretamente luogo) decorre il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione. E’ infatti da quel momento che è sorto il credito del <em>solvens</em> alla ripetizione, e che dunque decorre la prescrizione della relativa azione. Bisogna tuttavia tenere conto, soggiunge la Corte, che nel caso particolare del conto corrente bancario il rapporto unitario che ne sorge è connotato dal predicato della “<em>contabilità</em>”: è un rapporto unitario meramente contabile, e le singole operazioni hanno natura puramente contabile, senza che ad esse corrisponda un reale spostamento patrimoniale tra le parti. Il problema è allora quello di capire quando può dirsi avvenuto un reale pagamento (non dovuto) tra le parti, con conseguente spostamento patrimoniale di somme (non dovute), anche in considerazione del fatto che l’art.2033 prevede un rimedio quasi-contrattuale che trova nell’effettivo pagamento (disposizione patrimoniale) senza causa (<em>ab origine</em> o per fatti sopravvenuti) il proprio fondamento. Se è al pagamento effettivo che occorre guardare, pur nel contesto unitario del rapporto contrattuale bancario, occorre distinguere: a) il rapporto di conto corrente, che ha natura meramente contabile, con la conseguenza che le annotazioni attive e passive non possono qualificarsi come pagamenti veri e propri; in presenza di una clausola anatocistica nulla che accede ad un conto corrente bancario, una annotazione passiva indebita non equivale ad un pagamento in senso tecnico, e non fa decorrere il termine prescrizionale, pur potendo il cliente ottenere subito dalla banca una rettifica dell’annotazione, ma confidando ad un tempo sul fatto che potrà agire per la ripetizione dal momento della chiusura del conto corrente; b) il particolare rapporto di apertura di credito in conto corrente, che ha natura e funzionamento suoi propri: qui occorre per la Corte ulteriormente distinguere – come già accaduto in tema di revocatoria fallimentare - tra b.1) il caso in cui il cliente della banca si limiti a ripristinare la provvista di cui gode con l’apertura di credito, atto che non è pagamento in senso tecnico e per il quale vale il medesimo regime prescrizionale (in termini di indebito) già visto per le annotazioni in conto corrente, con decorrenza dalla chiusura del rapporto; b.2) il diverso caso in cui vi sia un effettivo spostamento patrimoniale, in quanto il cliente della banca non si limita a ripristinare la provvista dell’apertura di credito, ma trovandosi “<em>allo scoperto</em>” egli copre un passivo che eccede i limiti dell’accreditamento ricevuto: qui il versamento reintegratorio costituisce pagamento in senso tecnico, e la prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito (eventuali interessi anatocistici non dovuti) inizia a decorrere dal momento del pagamento stesso (e non dalla chiusura del rapporto). Altra questione affrontata dalle SSUU è quella, eventualmente, di sostituire (ex art. 1419 c.c.) la clausola anatocistica trimestrale nulla con una clausola, del pari anatocistica, valida: secondo la Corte ciò è impossibile in quanto qualsivoglia clausola di capitalizzazione di interessi deve assumersi nulla perché contraria al divieto di anatocismo ex art.1283 c.c. (gli usi ivi previsti sono normativi, non negoziali), con la conseguenza onde nessuna clausola nulla può sostituirsi ad altra clausola nulla.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 26 febbraio viene varata la legge n.10, il cui art.2, comma 61, torna sulla decorrenza del termine prescrizionale per l’azione di ripetizione degli interessi anatocistici (nulli) versati alle banche: si tratta di una norma che interpreta autenticamente l’art.2935 c.c. e afferma che la prescrizione decorre non già dalla chiusura del conto, quanto piuttosto dalla singola annotazione in conto corrente di interessi non dovuti, dichiarando peraltro comunque non dovuta la restituzione degli importi eventualmente già versati dal cliente alla data del 27 febbraio 2011 (azione inammissibile), giorno di entrata in vigore della disposizione. Una norma che se da un lato è interpretativa e, dunque, retroattiva (applicabile a rapporti di conto corrente non ancora esauriti), dall’altro non è solo tale (interpretativa) in quanto finisce sostanzialmente con l’equiparare l’annotazione in conto corrente al vero e proprio pagamento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 maggio esce la sentenza della sezione III della Cassazione n.10837 che ribadisce come ai fini della determinazione della competenza territoriale, ai sensi del combinato disposto degli art. 20 c.p.c. e 1182 c.c., il <em>forum destinatae solutionis</em>, previsto dal comma 3 di tale ultima disposizione, è applicabile in tutte le cause aventi ad oggetto una somma di denaro (e dunque anche alle obbligazioni pecuniarie illiquide) qualora l'attore abbia richiesto il pagamento di una somma determinata, non incidendo sulla individuazione della competenza territoriale la maggiore o minore complessità dell'indagine sull'ammontare effettivo del credito, la quale attiene esclusivamente alla successiva fase di merito.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.78 che scandaglia la legittimità costituzionale dell’art.2, comma 61 della legge n.10.11 in tema di decorrenza della prescrizione per la ripetizione di interessi anatocistici indebiti: si tratta di una norma con efficacia retroattiva (perché interpretativa) che, secondo la Corte, lede in primo luogo il principio di ragionevolezza delle norme cristallizzato all’art.3 Cost.. Invero, non può dirsi sussistente una incertezza in ordine all’interpretazione dell’art.2935 c.c., neppure <em>ratione materiae</em>, vista la presa di posizione della Cassazione a SSUU che ha fatto riferimento in genere alla chiusura del rapporto contrattuale con la banca e, in specie (apertura di credito), all’eventuale pagamento con natura solutoria. Inoltre, secondo la Corte la disposizione di legge censurata non attribuisce un significato all’art.2935 c.c. tra quelli in astratto possibili (natura interpretativa), ma ha sostanziale natura innovativa in quanto prevede che, limitatamente ai contratti bancari in conto corrente, il diritto può essere fatto valere non dal momento del pagamento, ma dal momento della mera annotazione in conto corrente della singola posta. Peraltro, il correntista può sempre agire per far dichiarare, ai sensi dell’art.1422 c.c. (imprescrittibilità dell’azione di nullità), la nullità del titolo su cui la singola annotazione illegittima si basa e per ottenere la rettifica di tali annotazioni illegittime sul relativo conto: questo conferma che la legge censurata non si è intesa riferire alla prescrizione dei diritti di contestazione cartolare (rettifica ed eliminazione) delle annotazioni a lui sfavorevole, ma proprio al diritto alla ripetizione dell’indebito che, a differenza dell’azione di nullità, proprio ai sensi dell’art. 1422 c.c. è invece esplicitamente soggetta a prescrizione. Peraltro, ad essere violato è lo stesso principio di eguaglianza in quanto il contratto di conto corrente viene reso parzialmente asimmetrico per le parti che ne sono protagoniste, a tutto svantaggio del cliente correntista che si vede ridurre il tempo che ha a disposizione per far valere il proprio diritto alla ripetizione dei non dovuti interessi anatocistici. Inoltre, la Corte assume la norma censurata costituzionalmente illegittima anche per violazione dell’art.117, comma 1, Cost., in relazione all’art.6 della CEDU (norma interposta, come esplicitamente affermato dalle precedenti sentenze della Corte n.348 e 349 del 2007), con particolare riguardo ai principi della preminenza del diritto e del processo equo: è vero che il legislatore – al di fuori della materia penale, per la quale vige l’art.25 della Costituzione – gode di un limitato spazio di intervento in via retroattiva, ma esso deve essere giustificato da motivi di interesse generale; tali motivi di interesse generale vanno valutati dal legislatore nazionale e dalla Corte costituzionale con riferimento a principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, nell’ambito del margine di apprezzamento che la Corte EDU riconosce, con la sua giurisprudenza, ai singoli ordinamenti statali. Proprio la non rintracciabilità, nel caso di specie, dei detti motivi di interesse generale sospinge la Corte costituzionale a ritenere illegittima la norma censurata anche per violazione dell’art.117, comma 1, Cost. Infine, la Corte dichiara costituzionalmente illegittimo per connessione anche il secondo periodo della norma censurata, laddove impedisce la restituzione degli importi già versati dai correntisti alle banche.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 dicembre viene varata la legge n. 147 (legge di stabilità 2014), il cui comma 629 si occupa nuovamente dell’anatocismo bancario, incidendo sull’art.120 del TUB del 1993. La norma attribuisce al CICR il potere di fissare modalità e criteri per la regolamentazione degli interessi in materia di attività bancaria. Gli interessi vanno contabilizzati in modo che non siano capitalizzati e, dunque, in modo che non producano altri interessi (in osservanza del divieto di anatocismo). Gli interessi vanno peraltro contabilizzati con parità di conteggio tra banca e cliente, a seconda dei casi giornalmente, mensilmente, trimestralmente, semestralmente, annualmente. Il CICR non ha dunque il potere di introdurre l’anatocismo (vietato) ma solo quello di regolamentare come vengono liquidati gli interessi attivi e passivi tra le parti, in modo paritario e tenendo la liquidazione degli interessi distinta dal capitale, e non già mescolata ad esso.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 giugno viene varato il c.d. decreto competitività, vale a dire il decreto legge n. 91, il cui articolo 31, rivolgendosi al CICR, gli attribuisce nuovamente il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi anatocistici con riferimento alle operazioni bancarie e finanziarie (contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento). La periodicità non può essere inferiore ad 1 anno, il conteggio va fatto al 31 dicembre di ciascun anno (ovvero al termine del rapporto, se anteriore) e va assicurata, nei confronti della clientela, la medesima periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi anatocistici.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 agosto viene varata la legge n.116 che, nel convertire il decreto legge n. 91, sopprime l’art.31 e i relativi poteri attribuiti al CICR.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 settembre viene varato il decreto legge n. 132 che – in coordinamento con la disciplina di cui al decreto legislativo n.231.02 sui ritardi nelle transazioni commerciali – si occupa del curioso fenomeno della strumentalizzazione del processo, durante la cui durata, se non vi fossero correttivi, gli interessi sulle somme dovute (e oggetto di causa) decorrerebbero secondo un interesse moratorio pari all’interesse legale, facendo luogo ad una sorta di finanziamento al ribasso. Per questo motivo, il decreto legge prevede un incremento del tasso di interesse moratorio che assiste le obbligazioni pecuniarie durante il corso della lite, giusta integrazione dell’art.1284 c.c.: se le parti non hanno previsto esplicitamente una misura del tasso di interesse moratorio per il corso della lite, si applica – a decorrere dalla proposizione della domanda (o dell’eventuale atto che promuove il giudizio arbitrale) - il tasso di interesse legale non già “<em>comune</em>”, quanto piuttosto siccome ritraibile proprio dalle disposizioni del 2002 sul ritardo nei pagamenti delle transazioni commerciali</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 novembre viene varata la legge n. 162 che converte in legge il decreto legge n.132.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 aprile esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 8847 onde, in tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità previsto dall’art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 385 del 1993 - che, a tutela del sistema bancario, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti - contiene un evidente riferimento ad un elemento necessario del contratto concordato fra le parti – e dunque dell’oggetto negoziale - e, pertanto, non rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 117, comma 8, del medesimo decreto, il quale attribuisce, invece, alla Banca d’Italia medesima un potere conformativo, ovvero “<em>tipizzante</em>”, del contenuto dell’accordo, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole; la conseguenza è che il superamento del limite di finanziabilità non integra gli estremi della nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 801 secondo la quale – relativamente a fattispecie consistenti in contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 - i criteri fissati dalla ridetta legge n. 108 del 1996, per la determinazione del carattere usurario degli interessi, non si applicano alle pattuizioni di questi ultimi anteriori all’entrata in vigore di quella legge, siano esse contenute in mutui a tasso fisso o variabile, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla L. n. 24 del 2001), che non reca una tale distinzione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio viene varato il decreto legge n. 18, il cui art.17.bis, comma 1, modifica nuovamente l’art.120 del TUB 385.93, prevedendo nuovamente il divieto di anatocismo: in sostanza gli interessi non possono produrre altri interessi, fatta eccezione per gli interessi di mora. Viene ribadito con fonte primaria il principio alla cui stregua – nelle operazioni in conto corrente – va assicurata la parità di conteggio nella produzione degli interessi tra cliente e banca, riferendo la periodicità non più tuttavia agli interessi capitalizzati, quanto piuttosto agli interessi <em>tout court</em>. A differenza di quanto accaduto con il decreto legislativo n.342.99, il cui art.25, comma 2, aveva modificato l’art.120 del TUB nel senso onde veniva affidato al CICR il potere di definire modalità e criteri per la produzione degli interessi sugli interessi – e dunque degli interessi anatocistici - nelle operazioni regolate in conto corrente, con coincidenza temporale nel computo dei ridetti interessi in modo biunivoco in tutte le operazioni di dare e avere, la nuova disposizione conferma la biunivocità nel computo temporale degli interessi, ma in quanto tali, ed omettendo ogni riferimento agli interessi anatocistici, onde tutte le operazioni di dare e avere intercorse tra banca e cliente devono essere contabilizzate – in termini di produzione degli interessi - secondo lo stesso ritmo (a giorno, a mese, a trimestre, a semestre o ad anno), ma senza alcuna capitalizzazione degli interessi medesimi, e dunque senza anatocismo. Proprio per garantire che questo accada, qualunque sia il ritmo temporale di contabilizzazione degli interessi, tale contabilizzazione deve avere luogo a parte rispetto al capitale, in questo modo scongiurando a monte la capitalizzazione degli interessi stessi e la possibilità che essi producano altri interessi (anatocistici).</p> <p style="text-align: justify;">L’8 aprile viene varata la legge n.49, che converte in legge con rilevanti modificazioni il decreto legge n.18.16: per talune tipologie di contratti bancari viene infatti reintrodotto l’anatocismo, che coinvolge più in particolare le aperture di credito in conto corrente, con riguardo allo sconfinamento extra fido, ovvero anche in assenza di fido; in tali fattispecie il cliente può infatti - anche preventivamente - autorizzare (senza dunque che l’anatocismo sia automatico) l’addebito degli interessi sul proprio conto nel momento in cui essi maturano, così autorizzandone la capitalizzazione e con essa appunto l’anatocismo, dal momento che in costanza di detta autorizzazione gli interessi contabilizzati sono <em>ex lege</em> considerati come capitale produttivo di ulteriori interessi. Viene nondimeno chiarito che il cliente può in ogni momento revocare alla banca la rilasciata autorizzazione, con revoca che non potrà tuttavia riguardare gli interessi già contabilizzati e addebitati (la revoca può infatti intervenire prima che il pertinente addebito abbia luogo).</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 agosto esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 17150 che, ponendosi in consapevole contrasto con l’orientamento di recente riaffermato dalla sentenza 801.16, afferma esplicitamente come le norme sulla nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte con l’art. 4 della L. n. 108 del 1996), pur non essendo retroattive, comportano l’inefficacia <em>ex nunc</em> delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore sulla base del semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, non si era ancora esaurito.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 settembre esce la sentenza delle SSUU n.17989 che si occupa della natura “<em>portable</em>” o “<em>querable</em>” delle obbligazioni pecuniarie, anche con riguardo ai profili della competenza giurisdizionale. La Corte comincia col prendere atto delle differenti posizioni emerse nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale per affermare di dovere aderire all’indirizzo tradizionale che, al fine di qualificare una obbligazione pecuniaria come portabile (per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 1182, co. 3 c.c. e 20 c.p.c.: si fa riferimento al domicilio del creditore come luogo di adempimento che radica la competenza del giudice), richiede l’<em>effettiva</em> liquidità della prestazione in base al titolo. La particolarità delle obbligazioni pecuniarie illiquide consiste per la Corte nel fatto che ai fini dell’adempimento del debitore è necessario un ulteriore titolo, convenzionale o giudiziale, il che assume una portata fondamentale, atteso peraltro come la natura “<em>portabile</em>” o “<em>chiedibile</em>” di un’obbligazione rileva anche in tema di mora. L’art. 1219, co. 2 n. 3 (c.d. mora <em>ex re</em>) esclude infatti la necessità della costituzione in mora quando l’obbligazione deve essere adempiuta presso il domicilio del creditore, e dunque quando essa è <em>portable.</em> Secondo le SSSUU va negato che tale disposizione si applichi anche alle obbligazioni pecuniari illiquide, perché se così fosse la mora – e con essa la responsabilità ex art. 1224 c.c. – scatterebbe automaticamente anche a carico del debitore la cui prestazione non sia in concreto possibile a causa dell’incertezza del relativo ammontare: circostanza che sarebbe ingiustificata, oltre che illogica, dal momento che in base alla regola generale di cui all’art. 1218 c.c., è esclusa la responsabilità del debitore la cui prestazione sia impossibile per causa a lui non imputabile. Proprio le indicate esigenze di protezione del debitore richiedono evidentemente che la liquidità del credito sia ancorata a dati oggettivi, mentre sarebbero frustrate se essa si facesse coincidere con la pura e semplice precisazione, da parte dell’attore, della somma di denaro dedotta in giudizio, pur in assenza di indicazioni nel titolo. In tal modo non il dato oggettivo della liquidità del credito radicherebbe la controversia presso il <em>forum creditoris,</em> bensì il mero arbitrio del creditore stesso, il quale scelga di indicare una determinata somma come oggetto della sua domanda giudiziale, con conseguente lesione anche del principio costituzionale del giudice naturale. In sostanza dunque se l’obbligazione pecuniaria è liquida dapprincipio e nel relativo titolo, essa è <em>portable</em>, mentre laddove non lo sia (come nel classico caso delle obbligazioni di valore) essa è <em>querable</em> e non diventa <em>portable</em> per il fatto che il creditore, nel contesto dell’atto di citazione (ed anche al fine di avvalersi del foro a lui più favorevole) predetermina autonomamente la somma dovuta.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 novembre esce la sentenza della sezione III n.22908 che, in tema di locazioni immobiliari non abitative, assume legittima la clausola che preveda un canone sin dall’inizio predeterminato in misura progressiva, ovvero differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, sia che ciò si compendi nella previsione del pagamento di rate differenziate per quantità e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia che invece intervenga il frazionamento del contratto in periodi temporali più brevi rispetto alla scadenza, a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia che si correli l’entità del canone all’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati ed influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 gennaio esce l sentenza del Tribunale di Roma in tema di contratto di mutuo in valuta estera stipulato da un consumatore ove si afferma che la clausola destinata a determinare l’importo da restituire in caso di rimborso anticipato, sulla base della differenza tra il tasso di cambio convenzionale e il tasso di cambio di mercato del giorno del pagamento la quale - per contenuti, modalità di stesura e d’inserimento nel contesto contrattuale dei relativi criteri di calcolo - renda equivoci i relativi diritti e obblighi negoziali è da intendersi nulla, per contrarietà agli artt. 115 e 116 T.U.B. nonché agli articoli 33 e seguenti del codice del consumo, in quanto produce un significativo squilibrio ai danni del consumatore e contravviene ai principi di trasparenza, pubblicità e chiarezza. Secondo il Giudice occorre condurre una doppia valutazione volta a verificare, da un lato, se le informazioni che il consumatore è in grado di trarre dalla modulistica precontrattuale e dalla formulazione letterale della clausola gli consentano di maturare un’adeguata consapevolezza in ordine alle conseguenze economiche della rivalutazione; e, dall’altro, se la clausola in parola non inserisca nel contratto uno spiccato elemento di aleatorietà, che potrebbe financo indurre a denunciare la presenza di uno strumento finanziario derivato nascosto nel contratto di mutuo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 31 gennaio esce l’ordinanza interlocutoria della I sezione della Cassazione, n.2484, che – in tema di usura sopravvenuta rispetto ai contratti stipulati anteriormente alla legge 108.96, richiama entrambi gli orientamenti sul tappeto. Il primo, formatosi su fattispecie consistenti in contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 ha trovato recente conferma nella sentenza 29/1/2016 n. 801 così massimata: i criteri fissati dalla legge n. 108 del 1996, per la determinazione del carattere usurario degli interessi, non si applicano alle pattuizioni di questi ultimi anteriori all’entrata in vigore di quella legge, siano esse contenute in mutui a tasso fisso o variabile, come emerge dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., dalla L. n. 24 del 2001), che non reca una tale distinzione. In precedenza – rammenta la Corte - il medesimo principio è contenuto nella sentenza 19/3/2007 n. 6514 (in motivazione) e 27/9/2013 n. 22204 in motivazione. La Corte omette di citare le numerose sentenze massimate che affermano i medesimi principi ma riguardano rapporti del tutto esauriti e non ancora in corso al momento della vigenza della L. n. 108 del 1996 (indicando a titolo esemplificativo Cass. 25/3/2003 n. 4380; 19/3/2007 n. 6514 e 17/12/2009 n. 26499). Parallelamente all’orientamento illustrato la Corte rammenta come se ne sia sviluppato un secondo speculare e di recente confermato dalla pronuncia 17/8/2016 n. 17150 così massimata: le norme che prevedono la nullità dei patti contrattuali che determinano la misura degli interessi in tassi così elevati da raggiungere la soglia dell’usura (introdotte con l’art. 4 della L. n. 108 del 1996), pur non essendo retroattive, comportano l’inefficacia <em>ex nunc</em> delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore sulla base del semplice rilievo, operabile anche d’ufficio dal giudice, che il rapporto giuridico, a tale momento, non si era ancora esaurito. Questa pronuncia, unitamente a molte altre relative a fattispecie identiche, non contiene nello sviluppo motivazionale il riferimento espresso alla citata norma d’interpretazione autentica (art. 1 d.l. n. 394 del 2002) ed al successivo avallo della Corte Costituzionale (si richiamano al riguardo anche le sentenze 14/3/2013 n. 6550, n.602 del 2013; 17854 del 2007). Nella pronuncia 31/1/2006 n. 2140 si fa, invece, espresso riferimento, a differenza che nelle altre, all’intervenuta legge d’interpretazione autentica degli artt. 1 e 4 della L. n. 108 del 1996 e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 29 del 2002. Ugualmente il richiamo si ritrova, rammenta la Corte, nella sentenza n. 11638 del 2016. In proposito, occorre chiarire – sulla scorta della dottrina - che l’opzione ermeneutica che fa perno sulla c.d. nullità sopravvenuta si basa su una presunta “<em>vitalità</em>” dei contratti ad efficacia differita o comunque di durata, come è appunto il mutuo: tale caratteristica espone (già dal punto di vista strutturale) simili contratti alle sopravvenienze che colpiscano i relativi requisiti essenziali, sia che tali requisiti vengano meno, sia che divengano illeciti, come appunto accade nel caso della usura sopravvenuta laddove la norma che fissa il tetto massimo per gli interessi è da assumersi imperativa, onde è per conseguenza da assumersi virtualmente nulla la clausola che preveda la corresponsione di interessi divenuti ormai eccessivi rispetto alla misura fissata dalla legge con il tasso soglia; in sostanza questa tesi assume operativo il meccanismo di sostituzione automatica delle clausole nulle di cui agli articoli 1339 e 1419, comma 2, c.c., onde la clausola che fissa gli interessi diviene parzialmente nulla per la quota di interessi ormai “<em>usurari</em>”, con sostituzione automatica da parte della norma imperativa che fissa il tasso soglia, in tal modo facendosi luogo ad una sorta di adeguamento automatico e conformativo dei contratti di mutuo al tasso soglia fissato via via dal legislatore. L’altra opzione ermeneutica (inefficacia sopravvenuta) parte invece dal presupposto (di natura funzionale) onde si può predicare la paralizzabilità, anche parziale, degli effetti di una clausola contrattuale anche senza necessariamente doverne assumere la nullità (quand’anche, del pari, parziale), sol che si consideri con attenzione la necessaria forbice tra fonte del contratto inteso come atto-accordo, ed effetti del contratto medesimo inteso come rapporto e dunque come concreto coacervo di prestazioni da eseguirsi da parte del debitore nell’interesse del creditore; mentre meccanismi come quelli di cui all’art.1815, comma 2, c.c. riguardano la fonte del contratto e dunque l’atto-contratto-accordo, sancendone la nullità (il mutuo è <em>ab origine</em> usurario), la variazione del tasso soglia è invece da intendersi come sopravvenienza che non tocca strutturalmente il contratto come atto, quanto piuttosto funzionalmente i relativi effetti in seno al rapporto che ne discende, quest’ultimo non potendo più trovare esecuzione secondo il disegno originario in quanto inefficace, paralizzato, con conseguente inefficacia successiva dell’obbligo di corrispondere interessi superiori al (nuovo) tasso soglia. In conclusione, la Corte prende atto del radicale contrasto anche sincronico tra i due orientamenti, rimettendo la causa al Primo presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite.</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4403 su un caso di occupazione usurpativa, che è una denominazione convenzionale di un fatto illecito comune di carattere permanente ex art. 2043 imputabile all’Amministrazione allorché abbia per oggetto l’apprensione di un terreno altrui al di fuori di una procedura espropriativa. Nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (quale è quello da irreversibile trasformazione di un’area da parte della P.A.) è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi, sia del danno da svalutazione monetaria, quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni, essendo i primi volti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del bene e la seconda ad assicurare la reintegrazione patrimoniale del danneggiato. Sicché il giudice di merito deve attribuire gli uni e l’altro – e dunque adeguare la determinazione del danno al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale – anche se non espressamente richiesti, pure in grado d’appello, senza per ciò solo incorrere in ultrapetizione.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 marzo esce la sentenza della sezione V tributaria n.5900, che ribadisce come la domanda con la quale il contribuente chieda la condanna dell'erario al pagamento degli interessi e dell'eventuale maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224 c.c., comma 2, cod. civ., in conseguenza della ritardata restituzione dell'imposta pagata in eccedenza o in relazione ad obbligazioni pecuniarie costituite dai crediti di imposta sia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario (si richiamano S.U. n. 24775.08 del 08/10/2008 e Sez. trib., n. 17993.12). Secondo la Corte siffatte richieste concernono infatti un accessorio che l'art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992 attribuisce alla cognizione del giudice tributario, in quanto si tratta di contestazioni consequenziali ad una controversia tributaria, e ciò giustifica la giurisdizione di detto giudice se viene in rilevo un tributo la cui cognizione è riservata ad esso. Ciò anche in forza del principio di concentrazione della tutela giurisdizionale, caratterizzante l'attuale sviluppo dell'ordinamento pure in materia tributaria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 aprile esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.9405 che, in tema di usura c.d. sopravvenuta, nell’affermare l’applicabilità del tasso soglia in sostituzione del tasso contrattuale che sia divenuto superiore al ridetto tasso soglia, fa espresso riferimento alla norma di interpretazione autentica di cui all’art.1, comma 1, del decreto legge n.394.00, laddove esclude per l’appunto la usurarietà sopravvenuta rispetto al momento in cui gli interessi sono stati promessi o comunque convenuti. Tale norma di interpretazione autentica per la Corte non è tuttavia rilevante, non essendo idonea ad elidere la illiceità di una pretesa afferente ad un tasso di interesse divenuto eccedente la soglia dell’usura: l’unico effetto della norma di interpretazione autentica del 2000 è per la Corte quello di escludere l’applicazione alla fattispecie dell’usura sopravvenuta delle sanzioni civili e penali di cui agli articoli 1815, comma 2, c.c. e 644 c.p., ferme restando le altre sanzioni civili. Sempre il 12 aprile esce l’ordinanza della Corte Costituzionale n.79 che, ai fini del prodursi dell’effetto solutorio in caso di pagamento di un verbale di accertamento per infrazione al Codice della Strada, richiama il contenuto di una norma di interpretazione autentica (l’art.17-<em>quinquies</em> del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, recante misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016 n. 49) ai sensi della quale per i pagamenti diversi da quelli in contanti o tramite conto corrente postale, l'effetto liberatorio del pagamento si produce se l'accredito a favore dell'Amministrazione avviene entro 2 giorni dalla data di scadenza del pagamento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 giugno esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 16188 che afferma essere rilevabile d'ufficio, anche in sede di gravame, la nullità, ai sensi dell'art. 1283 c.c., della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente sul saldo passivo di conto corrente bancario, quando il giudice debba utilizzare il titolo contrattuale posto a fondamento della pretesa, come nel giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo che la banca abbia ottenuto (ed inteso ad ottenere l’erogazione anche dei ridetti interessi).</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 luglio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 17352 onde, rimeditando un precedente orientamento in senso opposto, in tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità previsto dall’art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 385 del 1993 (norma imperativa) costituisce elemento essenziale del contenuto del contratto, con la conseguenza che il relativo mancato rispetto ne determina <em>ipso facto</em> la nullità, salva la possibilità di conversione in ordinario finanziamento ipotecario, ove ne sussistano i relativi presupposti. Per la Corte il fine della previsione dettata in materia di credito fondiario a proposito del limite massimo di concedibilità del finanziamento risponde a una necessità di analitica regolamentazione dettata da obiettivi economici generali (come già messo in luce da Cass. n. 9219- 95), attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull'economia nazionale. A una simile ratio – prosegue la Corte - è correlato il trattamento di favore accordato alla banca che eroghi un tal tipo di finanziamento, sul versante del consolidamento breve dell'ipoteca fondiaria (art. 39 del T.u.b.) e della peculiare disciplina del processo esecutivo individuale attivabile pur in costanza di fallimento (art. 41). Ed è significativo notare che proprio da ciò è stato motivato il rigetto della questione di costituzionalità della disciplina di favore predetta (artt. 38 e seg. del T.u.b. e 67 della legge fall.), avendone la Corte costituzionale (sentenza n. 174/04) affermato la ragionevolezza in virtù del riconoscimento al credito fondiario di un “<em>evidente intento di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare</em> ", effetto di una precisa scelta di politica economica — in quanto tale insindacabile dal Giudice delle Leggi — tesa ad agevolare l'accesso a finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di condizioni di crisi dell'imprenditore e a sostenere da questo punto di vista la stessa attività di impresa.</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso giorno esce un’ordinanza della IX sezione del Tribunale di Roma che costituisce una delle prime pronunce in tema di prestito vitalizio ipotecario e, confermando la liceità dell’istituto, contribuisce a dare nuova linfa vitale al dibattito in tema di alienazioni in funzione di garanzia. Tale nuovo contratto, risulta disciplinato dalla nuova disciplina entrata in vigore il 6 maggio 2015, a seguito della sostituzione integrale - ad opera dell’articolo unico della L. 2 aprile 2015, n. 44 - dell’art. 11 quaterdecies D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (convertito in L. 2 dicembre 2005, n. 248), che nella sua formulazione originale aveva rappresentato un primo tentativo di introdurre anche in Italia il c.d. <em>reverse mortage</em> (cioè “mutuo al contrario”) di matrice anglosassone. Secondo il Tribunale, il contratto di prestito vitalizio ipotecario è un negozio giuridico tipico caratterizzato, a differenza del credito fondiario, dalla determinabilità soltanto <em>ex post</em> della durata effettiva del contratto, rispetto al momento della stipulazione. Esso è, inoltre, contraddistinto da un’alea particolare legata non solo all’incertezza della durata del contratto ma anche alla necessità di fare affidamento sul pagamento da parte degli eredi, o, in alternativa, sul solo valore di realizzo dell’immobile. Deve quindi ritenersi giustificata l’esclusione della figura in questione, ai fini delle determinazioni del tasso soglia ex L. 106/1996, dalla categoria dei “Mutui”, dovendo invece essere correttamente inserita in quella “Altri finanziamenti”, non essendo previsto il pagamento di rate comprensive di capitali e interessi. Evidentemente, anche per tale figura contrattuale si poneva il problema della sua liceità rispetto al divieto di patto commissorio. Il Legislatore, proprio attraverso la tipizzazione degli elementi caratterizzanti il patto marciano - quali la previsione del potere di vendita attribuito al soggetto finanziatore, il meccanismo di adeguamento in diminuzione del prezzo di vendita dell’immobile, nonché la stima del prezzo ad opera del perito indipendente ed, infine, la limitazione del debito al ricavato della vendita – attribuisce al creditore privilegiato la possibilità di ottenere in via autonoma il soddisfacimento dei propri interessi, disincentivando in tal modo il ricorso alla tutela giurisdizionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 ottobre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 23192 che ribadisce l’orientamento secondo cui il tasso soglia, al di là del quale gli interessi pattuiti si intendono come usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori.</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 23664 che chiarisce la portata dell’art. 1277 c.c., volto a regolare quale tipo di moneta possa essere utilizzata per adempiere una obbligazione pecuniaria, ma che non è tale per la Corte da limitare al versamento di denaro la causa estintiva di una obbligazione appunto pecuniaria che, come è stabilito in genere per le obbligazioni, non consegue soltanto dall'adempimento la propria estinzione, e che dunque può essere estinta anche altrimenti.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 24156 onde, in caso di dichiarazione di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito regolato in conto corrente e negoziato dalle parti in data anteriore al 22 aprile 2000, il giudice deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 ottobre esce la attesa sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 24675 in tema di c.d. “<em>usura sopravvenuta</em>”, ossia al caso in cui il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996. Secondo la Corte tale fenomento non determina la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto. Viene evidenziato come la funzione del meccanismo di determinazione del tasso soglia introdotto dalla L. n. 108/1996 sia soltanto quella di permettere di definire un parametro (l’interesse usurario) che è elemento della fattispecie di reato non potendogli invece riconoscere, almeno direttamente, la (ulteriore) funzione di introdurre un meccanismo di governo del “<em>giusto corrispettivo</em>” del finanziamento. La sentenza è inoltre interessante poiché contiene un importante passaggio sul concetto di buona fede e sulla portata di tale regola, volta cioè a presidiare la corretta esecuzione del rapporto, e non a consentire una modifica surrettizia dell’equilibrio contrattuale, quale finirebbe invece per diventare nelle prospettazioni dei sostenitori della teorica dell’usura sopravvenuta: l’unica valutazione che potrà essere compiuta dal giudice consisterà pertanto nel verificare se la riscossione degli interessi, in disparte la relativa (lecita) misura, avvenga attraverso comportamenti scorretti. Lo stesso giorno esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 24699 che dichiara nullo il mutuo di scopo stipulato con l’accordo, tra l’istituto di credito e il mutuatario, della utilizzazione della provvista per una diversa finalità, ivi compresa quella di estinguere debiti in precedenza contratti dal sovvenuto verso lo stesso istituto mutuante.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 novembre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 26962 secondo la quale, nell’ambito di un’espropriazione presso terzi, gli interessi di mora non possono essere richiesti direttamente al giudice dell'esecuzione al momento dell'emissione dell'ordinanza di assegnazione, poiché il loro riconoscimento implica un accertamento di merito sulla sussistenza dei presupposti della responsabilità del dichiarante (il terzo debitore pignorato) che non può svolgersi in sede esecutiva.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 novembre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 27887 onde anche alle violazioni del codice della strada si applica la maggiorazione per il ritardo nel pagamento prevista dall'art. 27, comma 6, l. n. 689/1981 che, stante la natura di sanzione aggiuntiva, nasce al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 novembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 28490 alla cui stregua la clausola attributiva della competenza territoriale esclusiva è opponibile dal debitore ceduto al cessionario del credito nascente dal contratto in cui detta clausola sia inserita, alla stregua di ogni altra eccezione opponibile all'originario creditore; essa pertanto prevale sul criterio di radicamento territoriale riferito al domicilio del cessionario quale luogo di adempimento dell'obbligazione pecuniaria</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 gennaio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 371 che, in tema di clausole anatocistiche, assume il garante autonomo di un rapporto di conto corrente legittimato a sollevare l'eccezione di nullità ti tale clausola allorquando essa non si fondi su di un uso normativo; nullità che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (come nel caso <em>de quo</em>) può essere rilevata d'ufficio anche in fase di gravame.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 2026 che afferma applicarsi l’ordinario termine decennale di prescrizione all’azione di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista che lamenti la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 30 gennaio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 2311 che, interamente richiamando le motivazioni delle SS.UU. n. 24675/17, ribadisce l’irrilevanza della c.d. “<em>usura sopravvenuta</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 27 febbraio esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 4554 onde anche alle violazioni del codice della strada si applica la maggiorazione per il ritardo nel pagamento prevista dall'art. 27, comma 6, l. n. 689/1981 che, stante la natura di sanzione aggiuntiva, nasce al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 6251 onde il capo della sentenza relativo agli interessi ultralegali, pattuiti tra le parti, deve essere oggetto di specifico gravame, diversamente formandosi un giudicato interno sul punto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 marzo esce la sentenza della V sezione penale della Cassazione n. 11991 che configura il reato di truffa nel caso in cui, nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria, un soggetto mostri delle banconote autentiche e, successivamente, tramite artifici, consegni alla vittima delle banconote contraffatte, ricevendone il controvalore in altra valuta.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo esce la sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 6928 che, con riferimento al cosiddetto "<em>divieto di cumulo</em>" fra interessi legali e rivalutazione monetaria riguardo alle prestazioni erogate in ritardo dai Fondi datoriali gestori di forme di previdenza integrativa, afferma che il trattamento pensionistico erogato da tali fondi ha natura previdenziale, fin da quando tali fondi sono stati istituiti, ma ad esso non è applicabile il ridetto divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi previsto dalla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, in quanto non è corrisposto da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria ma da datori di lavoro privati: non viene quindi in evidenza la <em>ratio</em> della citata legge sul contenimento degli oneri pubblici. Alla affermata natura previdenziale del corrispondente credito consegue, da un lato, che ai relativi accessori da cumulare non si applica il regime giuridico proprio delle obbligazioni pecuniarie, sicché il pagamento del solo credito originario si configura come adempimento parziale di una prestazione unitaria e, d'altra parte, che nell'ammissione allo stato passivo del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa del datore di lavoro tale credito non è assistito da privilegio in quanto rinveniente la propria fonte non nella legge ma nel contratto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 aprile esce la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.3 che, dopo aver affermato come il provvedimento c.d. di “<em>interdittiva antimafia</em>” determini in capo al privato una peculiare forma di incapacità <em>ex lege</em> parziale da un lato – perché limitata a specifici rapporti che intercorrono tra il privato medesimo e la PA – e tendenzialmente temporanea dall’altro (potendo l’interdittiva venire meno e, con essa, la ridetta incapacità del privato), conclude con un primo precipitato onde il soggetto colpito dall’interdittiva, tanto nel caso in cui si tratti di persona fisica quanto in quello in cui si tratti di persona giuridica, si vede preclusa la possibilità di avere rapporti con la PA riconducibili a quanto disposto dall’art.67 del decreto legislativo n.159 del 2011 (c.d. codice antimafia). Più in specie, rileva di tale disposizione il comma 1, lettera g), nella parte in cui prevede in capo al soggetto colpito da interdittiva antimafia il divieto di ottenere “<em>contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali</em>”; per la Plenaria, tale disposizione ricomprende anche l’impossibilità di percepire somme dovute al soggetto imprenditoriale privato a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività di impresa, con particolare riguardo alla illegittima mancata aggiudicazione di un appalto, e ciò anche nel caso in cui la pertinente obbligazione pecuniaria, di natura risarcitoria, sia stata cristallizzata in una sentenza passata in giudicato. Ciò, per l’Adunanza, dovendosi tenere conto di come gli istituti espressamente contemplati dal legislatore al ridetto art.67, comma 1, lettera g) del codice antimafia (contributi, finanziamenti, mutui agevolati) rientrino nella più ampia categoria delle obbligazioni pecuniarie pubbliche, onde lo “<em>stesso tipo</em>” nel quale rientrano le “<em>altre erogazioni</em>” interdette al privato colpito da interdittiva antimafia ben può essere inteso come l’intero genus delle obbligazioni pecuniarie poste a carico della PA, quale che ne sia la fonte e la causa (con qualche dubbio dottrinale, tuttavia, in termini di tassatività e di non retroattività di una sanzione di tipo “<em>parapenale</em>” che finisce con l’applicarsi ad un soggetto che – nel momento in cui ha subito l’illecito cui la posta risarcitoria va riferita – non era ancora stato colpito dalla interdittiva antimafia). L’Adunanza specifica che – anche allorché il credito pecuniario al risarcimento del danno sia maturato in forza di una sentenza passata in giudicato – il provvedimento di interdittiva non incide sul giudicato medesimo, quanto piuttosto sulla capacità del privato colpito di farsi creditore della PA, con conseguente possibilità di tornare tale (creditore) e di esercitare il pertinente diritto soggettivo una volta venuto meno il provvedimento di interdittiva, non decorrendo peraltro il termine prescrizionale per tutto il periodo in cui il diritto non può essere fatto valere, ai sensi dell’art.2935 c.c.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 aprile esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n.9762 alla cui stregua va ribadito, sulla scorta delle SSUU, che laddove il tasso degli interessi convenuti tra mutuante e mutuatario superi, nel corso del rapporto, la soglia di usura siccome determinata in via sopravvenuta ai sensi della legge n.108.96, ciò non comporta la nullità o l’inefficacia della relativa clausola contrattuale a suo tempo stipulata, per l’appunto, prima dell’entrata in vigore della legge. In quello stesso giorno esce la sentenza della II sezione della Cassazione penale n.17693 alla cui stregua, in tema di appropriazione indebita, non può trovare applicazione il riferimento al concetto civilistico di “<em>altruità</em>” al fine di delimitare la materialità del delitto allorché oggetto materiale dell’appropriazione medesima sia un bene fungibile come il denaro, non potendo assumersi operante in ambito penale la regola civilistica dell’acquisizione per confusione del denaro nel patrimonio di colui che lo riceve; nel caso di specie scatta dunque la condanna per appropriazione indebita nel caso in cui il legale rappresentante di una casa d’aste, ricavata una somma dalla vendita di un bene altrui battuto all’asta, non versa poi a costui la somma ricavata, non potendo quegli eccepire che sulla base dei principi civilistici il denaro ricevuto è “<em>suo</em>” (quand’anche facendo esso oggetto di una obbligazione pecuniaria che vede creditore il proprietario del bene dalla cui vendita il denaro è stato ricavato).</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 aprile esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 10303 che ribadisce il consolidato indirizzo in base al quale la violazione del divieto relativo agli aiuti concessi dagli Stati membri alle imprese ex art. 107 TFUE non determina la nullità dei contratti che costituiscono comunque attuazione di un aiuto non compatibile con il mercato interno, poiché tale divieto ha effetti c.d. verticali e dunque opera nei soli confronti degli Stati membri.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 maggio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 12967 che, tornando sulla quantificazione degli interessi passivi, afferma come la banca abbia il potere di variazione sugli interessi ultralegali, purché la pattuizione contenga puntuale indicazione del tasso praticato e, se quest’ultimo è variabile, vi sia un chiaro riferimento a parametri che ne permettano la precisa determinazione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 13061 che, in tema di abuso del diritto, ribadisce il consolidato orientamento secondo cui è contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 giugno esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 15929 onde Nel mutuo di scopo, sia esso legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate entra nella struttura del negozio connotandone il profilo causale, sicché la nullità di un tale contratto per mancanza di causa sussiste solo se quella destinazione non sia rispettata, mentre è irrilevante che sia attuata prima o dopo l'erogazione del finanziamento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 giugno esce la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 16303 in tema di tasso usurario e valutazione della clausola di massimo scoperto. In particolare, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore (il 1° gennaio 2010) delle disposizioni di cui all’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il “tasso soglia” - ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, predetta L. n. 108 del 1996 – e con la “CMS soglia” - calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l’eventuale “margine” residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi, rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. La dottrina non ha mancato di evidenziare come quest’ennesima pronuncia della Corte in tema di disciplina anti-usura sia apprezzabile in quanto rispettosa del principio di simmetria.</p> <p style="text-align: justify;">Il 22 giugno esce la sentenza della II sezione penale della Cassazione n. 29010 che ritine configurabile il delitto di usura nel caso in cui, con la clausola penale, le parti del contratto abbiano dissimulato il pagamento di un corrispettivo usurario attraverso un simulato o preordinato inadempimento.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 giugno esce la sentenza della III sezione civile della Cassazione n. 16815 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui, ai fini dell'integrale risarcimento del danno non patrimoniale, che è debito di valore, occorre riconoscere sia la rivalutazione monetaria, che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione stessa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 3 luglio esce la sentenza della II sezione penale della Cassazione n. 29923 che ribadisce come ove il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su un conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura fungibile del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto dell’ablazione e il reato, poiché la misura <em>de qua</em> non deve necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma corrispondente al loro valore nominale. Pertanto, il sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta può avere ad oggetto anche le somme di denaro che siano entrante nella disponibilità dell’ente percettore del profitto del reato soltanto in epoca successiva all’esecuzione del decreto applicativo della misura cautelare reale, fino alla concorrenza e nei limiti dell’importo confiscabile indicato nell’originario provvedimento ablatorio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 4123 onde rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto un giudizio di accertamento negativo in ordine all’obbligazione pecuniaria relativa al pagamento del contributo di costruzione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 settembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 21646 che riconosce l’interesse, e quindi la legittimazione a proporre le relative azioni, del correntista ad ottenere – anche prima della chiusura del conto – l’accertamento giudiziale della nullità della clausola anatocistica, l’esistenza di addebiti illegittimi, nonché l’entità del saldo parziale ricalcolato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 16 ottobre esce la sentenza della III sezione penale della Cassazione n. 46593 che, in tema di reati tributari, afferma che ai fini dell’individuazione della soglia di evasione IVA occorre far riferimento esclusivamente all’IVA evasa e non degli interessi dovuti per il versamento trimestrale</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 27442 che, riconoscendo la medesima funzione agli interessi corrispettivi e a quelli moratori, ritiene che anche questi ultimi possano qualificarsi come usurari. Tuttavia, secondo la Corte, in caso di nullità della pattuizione che determina in misura convenzionale il tasso di mora, non trova applicazione la sanzione della gratuità del finanziamento, prevista dall’art. 1815, comma 2, c.c. Tale disposizione si riferisce, infatti, alla sola ipotesi degli interessi usurari corrispettivi, sicché non può essere applicata, neppure analogicamente, agli interessi di mora, considerato che la causa dei primi e pur sempre diversa da quella dei secondi. Ne consegue che in caso di nullità per superamento della soglia usura della pattuizione che determina il tasso convenzionale degli interessi di mora, questi ultimi sono dovuti in misura pari al tasso legale, ai sensi dell’art. 1284 c.c.. La dottrina ha fortemente criticato tale pronuncia denunciandone l’irragionevolezza sotto più punti di vista. In particolare, è stato evidenziato come la soluzione seguita dalla Suprema Corte finisca per far dipendere la concreta connotazione usuraria del finanziamento dalla scelta del debitore di rendersi inadempiente all’obbligo di restituzione della somma alla scadenza.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso giorno esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 27680 che rimette al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite la questione, oggetto di contrasto tra le sezioni semplici, circa i requisiti di ammissibilità dell’eccezione di prescrizione, sollevata dalla banca convenuta dal cliente per mezzo di azione di ripetizione di indebito, in merito a poste passive illegittimamente applicate nell’ambito di un rapporto regolato in conto corrente.</p> <p style="text-align: justify;">Avendo le Sezioni Unite, con la sentenza 24418/10, affermato il principio di diritto in base al quale, in un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, l’azione di ripetizione di indebito proposta sulla base di una presunta nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti occorre valutare se i versamenti effettuati dal correntista siano consistiti nell’esecuzione di una prestazione da parte del <em>solvens</em> ed abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore dell’<em>accipiens</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Ora, a seguito di tale pronuncia, subito sorto nella pratica applicativa il problema di come la banca, alla quale il correntista chieda la restituzione di somme versate indebitamente, dovesse formulare l’eccezione di prescrizione; in particolare, se questa, per essere validamente proposta e quindi ammissibile, dovesse contenere l’allegazione, non solo, dell’inerzia del titolare, ma anche delle singole rimesse operate nel corso del rapporto aventi natura solutoria e, pertanto, dell’avvenuto superamento del limite dell’affidamento da parte del cliente. In effetti, la distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca è stata elaborata dalla giurisprudenza - come riconosciuto dalle Sezioni Unite - “ad altri fini” ed averla valorizzata, enfatizzandola, per stabilire il momento da cui possa scaturire la pretesa restitutoria del correntista, ai fini della decorrenza della prescrizione, è un’operazione suscettibile di generare incertezze applicative. Due quindi gli orientamenti che si sono formati.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo un primo orientamento, l’eccezione di prescrizione genericamente formulata dalla banca con riferimento a tutte le rimesse affluite sul conto, senza indicazione di quelle aventi natura solutoria, sarebbe inammissibile. Si ritiene, in presenza di un contratto di apertura di credito, che la natura ripristinatoria delle rimesse è presunta: spetta dunque alla banca che eccepisce la prescrizione di allegare e di provare quali sono le rimesse che hanno invece avuto natura solutoria; con la conseguenza che, a fronte della formulazione generica dell’eccezione, indistintamente riferita a tutti i versamenti intervenuti sul conto in data anteriore al decennio decorrente a ritroso dalla data di proposizione della domanda, il giudice non può supplire all’omesso assolvimento di tali oneri, individuando d’ufficio i versamenti solutori.</p> <p style="text-align: justify;">Secondo l’altro orientamento, non compete alla banca convenuta fornire specifica indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione. Un tale incombente è estraneo alla disciplina positiva dell’eccezione in esame. Una volta che la parte convenuta abbia formulato la propria eccezione di prescrizione, compete al giudice verificare quali rimesse, per essere ripristinatorie, o attuate su di un conto in attivo, siano irrilevanti ai fini della prescrizione, non potendosi considerare quali pagamenti; non si vede per quale ragione la banca che eccepisca la prescrizione debba essere gravata dell’onere di indicare i detti versamenti solutori (su cui la detta prescrizione possa, poi, in concreto operare). Ed infatti, a fronte della comprovata esistenza di un contratto di conto corrente assistito da apertura di credito, la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti emerge dagli estratti conto che il corrente, attore nell’azione di ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio. La prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione dell’eccepita prescrizione è, dunque, nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione: perlomeno lo è ove il correntista assolva al proprio onere probatorio; se ciò non accada il problema non dovrebbe nemmeno porsi, visto che mancherebbe la prova del fatto costitutivo del diritto azionato, onde la domanda attrice andrebbe respinta senza necessità di prendere in esame l’eccezione di prescrizione.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Sempre il 30 ottobre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 27704 che affronta il medesimo tema oggetto della pronuncia delle SU n. 24418 del 2010. La Corte, richiama quindi le argomentazioni già spese nell’autorevole precedente e afferma che Grava sull’attore in ripetizione dimostrare la natura indebita dei versamenti e, a fronte dell’eccezione di prescrizione dell’azione proposta dalla banca, dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito idoneo a qualificare il pagamento come ripristinatorio ed a spostare l’inizio del decorso della prescrizione al momento della chiusura del conto.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 28409 che, in tema di interessi dovuti sulla somma derivante dall’indennizzo ex legge Pinto, riafferma il consolidato orientamento secondo cui il saggio d’interesse legale stabilito nella disposizione normativa presente nell’art. 1284, comma 4, c.c., trova applicazione esclusivamente quando la lite giudiziale ovvero arbitrale ha ad oggetto l’inadempimento di un accordo contrattuale anche in relazione alle relative obbligazioni restitutorie.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 novembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 30586 che ritiene scindibili, e quindi proponibili in due diversi processi senza che ciò comporti abuso del diritto, le domande aventi ad oggetto distinti diritti creditori nascenti dalla stessa sentenza in capo a soggetti diversi come nel caso di condanna alle spese distratte a favore del procuratore antistatario.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’8 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione che, in materia di tasso soglia dell’usura e valutazione della commissione di massimo scoperto, richiama integralmente quanto enunciato qualche mese prima dalle SU con la sentenza 16303 del 20 giugno 2018.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 febbraio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 3976 secondo cui, ribandendo il chiaro e incontestato principio secondo cui gli interessi legali sono già volti a risarcire il creditore della mancata disponibilità della somma alla scadenza concordata, ribadisce che il giudice deve liquidare un maggior danno solo se il “danno presunto” dal legislatore è minore rispetto a quello effettivamente subìto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 marzo esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 7674 onde il compenso per prestazioni professionali, che non sia convenzionalmente stabilito, è un debito pecuniario illiquido, da determinare secondo la tariffa professionale; perciò il foro facoltativo del luogo ove deve eseguirsi l’obbligazione previsto dall’art. 20, seconda ipotesi, c.p.c., va individuato, ai sensi dell’art. 1182, ultimo comma, c.c., nel domicilio del debitore in quel medesimo tempo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 marzo esce la sentenza della VI sezione della Cassazione n. 7722 che qualifica come liquido il credito restitutorio dovuto in base alla riforma della sentenza di primo grado che aveva condannato la parte (poi) appellante al pagamento di una determinata somma ritenuta, dal giudice d’appello, non dovuta.</p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le peculiarità dell’obbligazione pecuniaria, in funzione delle quali viene prevista una disciplina specifica?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>hanno ad oggetto una prestazione <strong>di dare</strong>;</li> <li>la prestazione è <strong>qualitativamente generica</strong>, in quanto i pezzi monetari vengono indicati con riferimento ad un <strong>determinato genus</strong> che funge da <strong>unità di misura</strong> dei valori (esempio Euro, Dollaro o altro);</li> <li>la prestazione si determina, sul piano <strong>quantitativo</strong>, con riferimento alla <strong>prescelta unità di misura di valori</strong>, espressa in quantità (10 Dollari, 50 Euro o altro).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale è la natura giuridica delle obbligazioni pecuniarie?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di <strong>obbligazioni generiche</strong>, aventi ad oggetto il denaro come bene fungibile per eccellenza: ne consegue che esse <strong>non si estinguono per impossibilità sopravvenuta</strong> della prestazione (art.1256 c.c.) e <strong>si estinguono con la specificazione</strong> (art.1378 c.c.), ovvero con la individuazione del denaro con il quale concretamente si paga (dottrina tradizionale);</li> <li>stante la progressiva <strong>dematerializzazione</strong> del denaro e la sostituzione della <strong>disponibilità astratta di moneta</strong> ai pezzi monetari veri e propri, si tratta di una categoria di obbligazioni ormai <strong>autonoma ed autosufficiente</strong>, in quanto il denaro non va più visto come moneta materiale, quanto piuttosto come <strong>valore monetario</strong>, quale <strong>multiplo</strong> di <strong>astratta unità ideale</strong> alla quale lo Stato riconnette il potere di pagare. La conseguenza è che <strong>è dubbio</strong> si applichino ormai le disposizioni previste per le <strong>obbligazioni generiche</strong>, ed in particolare proprio gli articoli 1256 e 1378 c.c. (dottrina più recente).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali questioni pone il c.d. principio nominalistico di cui all’art.1277 c.c.?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la relativa <strong>consistenza</strong>: per estinguere l’obbligazione pecuniaria occorre corrispondere al creditore – alla scadenza - il relativo <strong>valore nominale pattuito</strong> quando l’obbligazione è sorta, con moneta avente corso legale al momento della scadenza: in sostanza, il debitore paga al creditore <strong>l’importo originariamente dovuto</strong>, con la conseguenza onde, in caso di perdita del potere di acquisto del denaro (inflazione) <strong>si avvantaggia il debitore</strong> che corrisponde al creditore – in proporzione – <strong>meno</strong> di quanto si era impegnato a pagare;</li> <li>il <strong>fondamento</strong>: a chi ritiene che si tratti di un principio che affonda le radici nella <strong>volontà delle parti</strong> (teoria <strong>negoziale o privatistica</strong>) le quali potrebbero sempre <strong>derogarvi</strong>, si oppone chi invece ritiene che esso si fondi su un <strong>sostanziale intervento dirigistico</strong> del legislatore del codice civile (teoria <strong>legale o pubblicistica</strong>), finalizzato a presidiare la stabilità della moneta, la certezza degli scambi economici, il corretto assetto del mercato;</li> <li>il carattere <strong>dispositivo</strong>: l’<strong>41 Cost.,</strong> che salvaguarda l’autonomia contrattuale, consente alle parti di <strong>derogare</strong> al principio medesimo con apposita clausola, così tutelandosi rispetto alle oscillazioni del mercato monetario (fluttuazioni del valore reale della moneta); da questo punto di vista diffuso è l’utilizzo di <strong>clausole di indicizzazione del credito pecuniario</strong>, che lo ancorano a <strong>determinati indici</strong> per salvaguardarne appunto il valore reale; altre clausole possono prevedere il <strong>recesso</strong> di una delle parti a determinate condizioni, ovvero la <strong>rinegoziazione</strong> dell’accordo che fonda l’obbligazione pecuniaria di che trattasi.</li> <li>I <strong>principi impliciti</strong> che vi si accompagnano: d.1) il principio del <strong>valore nominale della valuta</strong>, onde la valuta nella quale l’obbligazione espressa (ad esempio, Euro) va conteggiata al momento del pagamento al relativo valore nominale (es.: 100 Euro); d.2) il principio <strong>liberatorio</strong>, onde il pagamento da parte del debitore del valore nominale di pecunia a suo tempo pattuito <strong>lo libera</strong> e, se egli offre di pagare con moneta avente corso legale, il creditore <strong>non può rifiutare</strong> tale pagamento: se poi il debitore offre di pagare con <strong>mezzi di pagamento diversi</strong> dal denaro contante (come ad esempio un assegno o un bonifico) il rifiuto da parte del creditore può comportare <strong>abuso del diritto</strong> (di credito).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale è la caratteristica precipua dell’obbligazione pecuniaria di valore?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il debito <strong>di valore</strong> è correlato al <strong>potere di acquisto della moneta</strong>, con sottrazione al principio nominalistico;</li> <li>esso è per conseguenza <strong>illiquido</strong> e <strong>segue una obbligazione primaria</strong> (ponendosi dunque come <strong>debito secondario</strong>) in quanto la moneta non rappresenta <strong>lo strumento di pagamento originario</strong> di una obbligazione ma – stante questa <strong>originaria obbligazione</strong> rimasta <strong>inadempiuta</strong> e l’<strong>utilità che essa avrebbe dovuto garantire</strong> al creditore – il denaro è il rimedio che <strong>surroga tale (mancata) utilità</strong>, il cui ottenimento secondo le modalità originariamente divisate appare ormai compromesso;</li> <li>questo è il <strong>motivo</strong> per il quale tipica obbligazione di valore è quella <strong>risarcitoria</strong> (aquiliana o da inadempimento di obbligo precostituito).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre ricordare in ordine alla liquidazione di un debito di valore?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>come può avvenire</strong>: in via <strong>convenzionale</strong> e dunque su accordo delle parti, come attraverso una <strong>clausola penale</strong>; ovvero in via <strong>giudiziale</strong>, dal <strong>passaggio in giudicato</strong> della sentenza che la opera;</li> <li><strong>gli effetti <em>ante</em></strong>: prima della liquidazione, il debito di valore non è <strong>né liquido né esigibile</strong>, sicché non può comportare né la produzione di <strong>interessi corrispettivi</strong>, né la produzione di <strong>interessi moratori</strong>; secondo la giurisprudenza il debito di valore può tuttavia produrre <strong>interessi compensativi</strong> ex art.1499 c.c., in quanto anche nel caso della compravendita con consegna anticipata il prezzo <strong>non è esigibile</strong> fino ad una certa data, ma la relativa obbligazione pecuniaria produce interessi (per l’appunto), compensativi;</li> <li><strong>gli effetti <em>post</em></strong>: dalla liquidazione, il debito di valore <strong>si converte in debito di valuta</strong>, sicché da tale liquidazione decorrono gli <strong>interessi corrispettivi</strong> ex art.1282 c.c. e – in costanza di mora del debitore – gli <strong>interessi moratori</strong> ex art.1224 c.c., con possibilità di maggior danno ove provato;</li> <li><strong>come si articola laddove giudiziale</strong>: nelle 3 fasi della <strong><em>aestimatio</em></strong> (viene dato al bene oggetto dell’obbligazione originaria e poi andato perduto un valore pecuniario, parametrato al tempo in cui è sorta l’obbligazione risarcitoria); della <strong><em>taxatio</em></strong> (il valore calcolato con la <em>aestimatio</em> viene poi adeguato ai valori di mercato di cui <strong>al tempo della sentenza</strong> <strong>che liquida</strong>, avvalendosi soprattutto dell’indice Istat al fine di neutralizzare la svalutazione monetaria via via intervenuta); vengono poi applicati <strong>gli interessi</strong> (compensativi) sulla somma via via rivalutata.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Esistono peculiari tipi di obbligazioni pecuniarie?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>le obbligazioni <strong>indicizzate</strong>: sono obblighi di <strong>valuta</strong> che salvaguardano il creditore dalla svalutazione monetaria, in quanto l’importo iniziale <strong>varia al variare</strong> di determinati <strong>indici-valore</strong> (cambio, costo della vita, prezzi di mercato o altro) fino al giorno della scadenza;</li> <li>le obbligazioni <strong>in valuta estera</strong>: sono obbligazioni di valuta <strong>alternative</strong>, giacché alla scadenza il debitore potrà pagare in valuta estera o, in caso di impossibilità sopravvenuta, dovrà pagare <strong>in valuta nazionale</strong> (non potendo assumersi <strong>liberato</strong> dall’obbligo di pagare);</li> <li>le obbligazioni aventi ad oggetto <strong>monete dal valore intrinseco</strong>: si tratta di un caso ormai non più presentabile in Italia dove le monete hanno valore non già con riferimento alla <strong>quantità di metallo pregiato che incorporano</strong> (oro o argento) ma con riferimento al solo loro valore nominale.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le peculiarità delle transazioni commerciali?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>sono rilevanti specie per quanto concerne il <strong>ritardo dei pagamenti</strong> nelle obbligazioni che vi si inseriscono;</li> <li>il ritardo nei pagamenti ha <strong>effetti dannosi sia sulle imprese</strong> (specie medio-piccole) che li subiscono, sia più in generale sul <strong>mercato interno</strong>;</li> <li>conseguenza del ritardo nei pagamenti delle transazioni commerciali è il <strong>mancato incasso dei crediti</strong>, la conseguente <strong>crisi di liquidità</strong> e nel medio-lungo la <strong>contrazione dei posti di lavoro</strong>;</li> <li>la lentezza delle procedure di recupero dei crediti e i bassi interessi di mora possono rendere <strong>attraente per i debitori ritardare</strong> i pagamenti nelle transazioni commerciali.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa distingue le obbligazioni pecuniarie “<em>portabili</em>” da quelle “<em>chiedibili</em>”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>le obbligazioni <strong>portabili</strong> ex <strong> 1182, comma 3</strong>, c.c. sono <strong>liquide</strong>, e dunque con <strong>ammontare già determinato</strong> dal <strong>titolo</strong>, ovvero <strong>agevolmente determinabile</strong> giusta <strong>semplice calcolo aritmetico</strong> secondo <strong>criteri stringenti</strong> determinati nel titolo stesso e <strong>senza</strong> che residuino <strong>margini di discrezionalità</strong> nella <strong>determinazione del <em>quantum</em></strong> dovuto; esse vanno <strong>adempiute</strong> al <strong>domicilio del creditore</strong> (al quale va “<strong><em>portata</em></strong>” la <strong>pecunia</strong>): ciò implica dal punto di vista <strong>processuale</strong> la conseguenza onde il <strong><em>forum destinatae solutionis</em></strong> è quello della <strong>residenza del creditore</strong>; il fatto che la pecunia <strong>vada “<em>portata</em>”</strong> dal debitore <strong>al creditore</strong> <strong>esclude</strong> la necessità della <strong>costituzione in mora</strong> del primo (debitore) ai fini della produzione degli <strong>effetti della mora</strong> medesima (<strong>art.1219, comma 2, n.3</strong>), configurandosi dunque una ipotesi di <strong><em>mora ex re</em></strong> con <strong>responsabilità automatica</strong> per <strong>ritardo nel pagamento</strong> e produzione di <strong>interessi </strong>(appunto) <strong>moratori</strong>;</li> <li>le obbligazioni <strong>chiedibili</strong> ex <strong>1182 comma 4</strong> c.c. sono <strong>illiquide</strong>, e dunque con <strong>ammontare non determinato</strong> dal titolo <strong>né agevolmente determinabile</strong> giusta <strong>semplice calcolo aritmetico</strong> secondo <strong>criteri stringenti</strong> determinati nel titolo stesso, il che per la giurisprudenza accade <strong>anche solo quando</strong> residuino <strong>margini di discrezionalità</strong> nella <strong>determinazione</strong> del <em>quantum</em> dovuto (implicanti la necessità di un <strong>nuovo titolo giudiziale o convenzionale</strong>); esse vanno adempiute al <strong>domicilio del debitore</strong> (al quale va “<strong><em>chiesta</em></strong>” la <strong><em>pecunia</em></strong>), atteso anche come in questa fattispecie <strong>il debitore non conosca</strong> il <em>quantum</em> dovuto al creditore, non potendo andare <strong>responsabile dell’inadempimento</strong> finché non <strong>conosce l’importo dovuto</strong>, e dovendo fino a tale momento il ridetto, eventuale inadempimento assumersi dovuto a <strong>causa a lui non imputabile</strong> (art.<strong>1218</strong> c.c.); ciò implica dal punto di vista <strong>processuale</strong> la conseguenza onde il <strong><em>forum destinatae solutionis</em></strong> è quello della <strong>residenza del debitore</strong>; il fatto che la pecunia <strong>vada “<em>chiesta</em>”</strong> dal creditore al debitore impone la <strong>necessità della costituzione in mora</strong> di quest’ultimo (debitore) ai fini della <strong>produzione degli effetti della mora</strong> medesima (art.<strong>1219, comma 2, n.3</strong>), <strong>senza</strong> che si configuri una <strong>ipotesi di <em>mora ex re</em></strong>, o <strong>automatica.</strong></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le caratteristiche dell’obbligazione di interessi?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è una <strong>obbligazione accessoria</strong>, in quanto dipende dall’obbligazione principale, scontandone la sorte (se il contratto <strong>è dichiarato nullo</strong> salta l’obbligazione per il capitale e, ad un tempo, quella per interessi), anche se non scevra da taluni, limitati aspetti di <strong>autonomia</strong>;</li> <li>è una <strong>obbligazione fungibile</strong>, in quanto ha ad oggetto una <strong>cosa fungibile</strong> (il denaro) esattamente come l’obbligazione per capitale cui accede;</li> <li>è una <strong>obbligazione omogenea</strong> a quella per il capitale cui accede, trattandosi di obblighi che hanno ad oggetto cose appartenenti al <strong>medesimo genere</strong>;</li> <li>è una <strong>obbligazione periodica</strong>, presentando <strong>scadenze determinate</strong> nel corso del tempo, in successione tra loro;</li> <li>è una <strong>obbligazione proporzionale</strong>, in quanto si ottiene applicando all’obbligazione per capitale – cui accede – un determinato <strong>tasso o saggio</strong>, in relazione ad una specifica durata base.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si distinguono gli interessi sulla base della fonte?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>interessi <strong>legali</strong>, previsti dalla <strong>legge</strong>;</li> <li>interessi <strong>convenzionali</strong>, previsti dalle <strong>parti</strong>;</li> <li>interessi <strong>usuali</strong>, previsti dagli <strong>usi</strong> normativi o negoziali.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale specifica disciplina assiste gli interessi di fonte negoziale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>interessi <strong>superiori al tasso legale</strong>: la convenzione va stipulata <strong>in forma scritta <em>ad substantiam</em></strong> (in caso contrario, l’accordo è <strong>nullo</strong>, ma l’eventuale pagamento costituisce per la dottrina <strong>obbligazione naturale</strong> con prestazione non ripetibile);</li> <li>interessi <strong>inferiori al tasso legale</strong>: la convenzione può essere stipulata anche <strong>verbalmente</strong>, con massima <strong>libertà delle forme</strong>, e può essere provata con ogni mezzo.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si distinguono gli interessi sulla base della natura giuridica e della funzione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>interessi <strong>corrispettivi</strong> (art.1282 c.c.); con funzione di <strong>riequilibrio delle posizioni</strong> tra creditore (che non ha avuto la disponibilità del capitale) e debitore (che l’ha avuta), sulla base del principio della <strong>naturale fecondità del denaro</strong>; in taluni casi il titolo o la legge derogano alla regola per cui un debito pecuniario liquido ed esigibile produce interessi corrispettivi, come nel caso del <strong>creditore in mora</strong> nel ricevere la prestazione (art.1207), o in materia di <strong>indebito</strong> (articoli 2033 e 2036) o di <strong>contratti agrari</strong> (articoli 2151, 2154 e 2169);</li> <li>interessi <strong>moratori</strong> (art.1224 c.c.); con <strong>funzione risarcitoria</strong> e, per taluni, anche <strong>sanzionatoria</strong>, in quanto <strong>non occorre specifica prova</strong> del <strong>danno</strong> da parte del creditore;</li> <li>interessi <strong>compensativi</strong> (art.1499 c.c.); sono dovuti <strong>a prescindere dalla esigibilità</strong> del credito e <strong>della mora</strong> del debitore, con funzione <strong>equitativa</strong> ed allo scopo di compensare il creditore (venditore) del <strong>mancato godimento di una cosa fruttifera</strong> <strong>già consegnata</strong> al suo debitore (compratore) senza avere ottenuto il pagamento del relativo <strong>prezzo</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si estingue l’obbligazione avente ad oggetto gli interessi?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>per <strong>negozio estintivo successivo collegato</strong> a quello originario (le parti decidono di eliminare gli interessi senza toccare la debenza del capitale);</li> <li>per <strong>negozio originario</strong> (le parti hanno previsto una <strong>scadenza</strong> oltre la quale il capitale non produce più interessi, ovvero una <strong>condizione risolutiva espressa</strong> che, all’avverarsi dell’evento risolutivo, prevede il travolgimento <em>ex tunc</em> dell’obbligazione per interessi con connessi obblighi restitutori).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>In tema di anatocismo, particolare importanza rivestono gli usi: cosa distingue gli usi normativi (art.8 preleggi e 1374 c.c.) dagli usi negoziali (art.1340 c.c.)?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>gli usi <strong>normativi</strong> compendiano <strong>una prassi</strong> (elemento oggettivo) assistita dalla c.d. <strong><em>opinio iuris ac necessitatis</em></strong>, ovvero dalla convinzione da parte di chi li osserva di tenere un comportamento imposto da una <strong>norma vincolante</strong> (elemento soggettivo) ed hanno carattere di <strong>generalità</strong>;</li> <li>gli usi <strong>negoziali</strong> non sono assistiti dall’<strong><em>opinio iuris ac necessitatis</em></strong>, non hanno carattere di <strong>generalità</strong> e compendiano <strong>pratiche</strong> osservate da un <strong>determinato e conchiuso numero</strong> di contraenti.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quanti tipi di anatocismo sono previsti nel nostro ordinamento civilistico?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>convenzionale</strong> (si fonda sull’accordo delle parti): gli interessi debbono essere già <strong>scaduti</strong> al momento della clausola ed è previsto <strong>un minimo di 6 mesi</strong> di interessi per la capitalizzazione e, dunque, per la produzione di ulteriori interessi. Si tenta di scongiurare che, al cospetto di un tasso di interessi ordinario sul capitale, la brevità del termine di capitalizzazione possa <strong>far lievitare a dismisura</strong> gli interessi stessi rendendoli, <em>de facto</em>, <strong>usurari</strong> o addirittura <strong>ultra-usurari</strong>.</li> <li><strong>giudiziale</strong> (si fonda su una sentenza scaturita da una domanda): anche in questo caso la domanda giudiziale deve essere successiva alla <strong>scadenza</strong> e comunque occorre un <strong>blocco di interessi “<em>capitalizzandi</em>”</strong> pari ad almeno <strong>6 mesi</strong>;</li> <li><strong>usuale</strong> (si fonda sugli usi): qui la questione è verificare se bastano gli usi negoziali o occorrono, piuttosto, gli <strong>usi normativi</strong>, mentre <strong>non opera</strong> il limite dei <strong>6 mesi</strong> previsto per le due precedenti ipotesi.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali formatisi a valle della sentenza della Corte costituzionale n.425.00 sugli interessi anatocistici delle banche?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il problema riguarda fondamentalmente i contratti stipulati <strong>prima</strong> del <strong>decreto legislativo 342.99</strong> onde, secondo le <strong>diverse prospettazioni affiorate</strong>:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la capitalizzazione <strong>trimestrale</strong> si <strong>converte</strong> in capitalizzazione <strong>annuale</strong>, sulla base di un <strong>uso normativo</strong> che si assume vigente ed operante <strong>in questo senso</strong>;</li> <li><strong>tutte</strong> le clausole di capitalizzazione degli interessi <strong>sono nulle</strong>, siano esse a favore della banca o del cliente, e laddove operi l’art.1419 c.c. (clausola essenziale per le parti), la presenza di dette clausole <strong>travolge l’intero contratto</strong> di conto corrente bancario (o simile);</li> <li>deve ritenersi sussistente (contrariamente a quanto affermato dalla Cassazione nel 1999) un <strong>uso normativo</strong> che si è formato proprio sulla scorta del <strong>precedente e costante orientamento della Corte di Cassazione</strong>: anche se tale uso normativo non poteva dirsi predicabile come tale nel 1951, al tempo delle norme bancarie uniformi, lo stesso si è tuttavia <strong>imposto dipoi</strong> come tale, in quanto le pronunce costanti ed uniformi della Cassazione che ne hanno riconosciuto la validità ed efficacia hanno contribuito ad ingenerare nei protagonisti della vicenda (banche e correntisti) <strong>una <em>opinio iuris ac necessitatis</em></strong>. Le clausole sono dunque <strong>valide ed efficaci</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono i contrapposti orientamenti della giurisprudenza sulla decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione degli interessi anatocistici indebiti pagati alla banca prima delle SSUU del 2010?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>secondo un primo orientamento di merito, il contratto di <strong>conto corrente bancario</strong> va considerato <strong>fonte di un rapporto unitario</strong>, ma è un contratto <strong>di durata</strong> in cui ha rilievo <strong>ogni singolo atto di esecuzione</strong>: in particolare, l’<strong>annotazione dell’addebito</strong> degli interessi anatocistici sul conto è l’atto esecutivo del rapporto di conto corrente dal quale decorre la prescrizione della pretesa alla restituzione. Interpretando in modo corretto l’art.1852 c.c., ogni atto di addebito e di accredito, una volta <strong>annotato</strong> sul conto, ne determina una <strong>variazione quantitativa</strong> della somma <strong>esigibile</strong> dalle parti, e dunque da tale annotazione decorre la prescrizione (tesi minoritaria);</li> <li>secondo un secondo orientamento di merito e di legittimità, proprio la <strong>natura unitaria</strong> del rapporto di conto corrente bancario rende recessivo il fatto che esso si articoli, nel corso del tempo, in una <strong>pluralità di atti esecutivi</strong>, ed in particolare in una pluralità di annotazioni sul conto; si assiste, in effetti, ad una <strong>serie successiva di addebiti ed accrediti</strong>, di versamenti e prelievi, ma essi <strong>non intaccano l’unitarietà della fonte e del rapporto</strong>, con la conseguenza onde è alla <strong>chiusura del conto</strong> che occorre guardare come <em>dies</em> dal quale <strong>far decorrere il termine di prescrizione</strong> dell’azione di ripetizione dell’indebito avente ad oggetto gli interessi anatocistici pagati alla banca (tesi maggioritaria).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa è la commissione di massimo scoperto?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>accede ad un <strong>contratto di apertura di credito</strong> in conto corrente;</li> <li>è un <strong>onere aggiuntivo</strong> applicato al cliente;</li> <li>riguarda la <strong>massima somma messa a disposizione</strong>, ovvero (secondo altra tesi) <strong>concretamente utilizzata</strong> dal cliente nel corso della intera durata del rapporto;</li> <li>remunera il <strong>maggior rischio sofferto dalla banca</strong> per la (sola) <strong>messa a disposizione</strong> del cliente, ovvero (secondo altra tesi) per la <strong>effettiva utilizzazione</strong> della somma divisata.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali tipi di usura conosce il nostro sistema giuridico?</strong></p> <p style="text-align: justify;">Quanto <strong>all’oggetto</strong>:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>usura <strong>pecuniaria</strong>: a fronte della dazione di una somma di denaro (mutuo), vengono previsti come corrispettivo <strong>interessi o “<em>altri vantaggi</em>”</strong> che possono compendiarsi in beni mobili o immobili e secondo alcuni anche in <strong>prestazioni di tipo sessuale</strong>;</li> <li>usura <strong>reale</strong>: a fronte della dazione di un <strong>bene mobile non pecuniario</strong> (fungibile, infungibile e che per una certa tesi può anche compendiarsi in una prestazione professionale), viene previsto <strong>un vantaggio o un</strong> <strong>interesse sproporzionato</strong>;</li> </ol> <p style="text-align: justify;">Quanto <strong>ai soggetti</strong>:</p> <ol style="text-align: justify;"> <li>usura <strong>soggettiva</strong>: l’intero regime dell’usura si incentra sulla figura soggettiva del <strong>creditore-reo</strong> che <strong>approfitta</strong> dello stato di bisogno del debitore-offeso (vecchio regime);</li> <li>usura <strong>oggettiva</strong>: quello che conta non è la condizione dei soggetti protagonisti della vicenda, ma il solo <strong>superamento del tasso soglia</strong> consentito (nuovo regime).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali effetti ha comportato l’entrata in vigore della legge n.108.96 sulla disciplina civilistica dei contratti usurari?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la disciplina generalmente applicabile è quella <strong>dell’art.1815, comma 2, c.c.,</strong> sia al <strong>mutuo</strong> in via <strong>diretta</strong>, sia agli <strong>altri contratti di finanziamento</strong> in via di <strong>interpretazione estensiva</strong>; la medesima disciplina (il mutuo <strong>diviene gratuito</strong> per il mutuante) si applica anche laddove il tasso sia sotto-soglia e dunque oggettivamente non usurario, ma lo sia <strong>soggettivamente</strong> per le difficoltà economiche o finanziarie del mutuatario, note al mutuante (art.644, comma 3, c.p.);</li> <li>dove non si applica l’art.1815, comma 2, c.c. e dunque nei casi di <strong>usura c.d. reale</strong> (in particolare, mutuo di beni fungibili diversi dal denaro; mutuo in denaro ma in cui i vantaggi usurari <strong>non compendiano interessi</strong>), si applica <strong>l’art.1448 c.c.</strong> in tema di <strong>rescissione per lesione</strong> ovvero (per taluni, in difetto dei relativi <strong>presupposti</strong>) <strong>l’art.1418</strong>c. in tema di <strong>nullità virtuale</strong> ovvero ancora, secondo <strong>recente prospettazione</strong>, un <strong>regime analogo</strong> a quello del <strong>c.d. dolo incidente</strong> di cui all’<strong>art.1440</strong> c.c. onde il contratto <strong>resta valido</strong>, ma alla <strong>vittima</strong> di questo tipo di usura va garantito il <strong>risarcimento del danno</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>