CONSIGLIO DI STATO, VI – sentenza 02.10.2024 n. 7948
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata e che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con ordinanza prot. n. 39426 del 1.10.2013 il Responsabile dell’Urbanistica ed Edilizia del Comune di Pozzuoli ha ordinato a Carolina Orlando la demolizione ed il ripristino di lavori presso il fondo di sua proprietà in via Canocchielle n. 48, in assenza di titolo abilitativo, lavori costituiti da: “manufatto composto da un unico livello fuori terra, costituita da muratura di tufo e copertura in falde in legno con sovrastante tegole, sorretta da assi di legno che si dipartono dalla muratura di tufo fino ad ancorarsi a due pilastri di cm. 20×20 posti circa in mezzeria. Il manufatto si compone di un unico ambiente allo stato grezzo. Con il piano di calpestio posto a circa cm. 20 dal piano di campagna, privo di piano elettrico ed idrico, senza infissi agli otto vani porta ed ai tre vani finestre senza pavimenti e rivestimenti. In particolare, i tre vani finestra e sei vani porta di presentano con una rete in blocchi di lapil cemento posizionati sul filo esterno della muratura per un’altezza dim. 0,75 a m.l. 60. Le dimensioni interne del manufatto risultano di m. 9,00 x m. 12,00 x h variabile da m. 3,00 a m. 4,30 essendo la copertura a più falde, la quale fuoriesce di circa cm. 50 lungo tutto il perimetro del manufatto ed è dotato di grondaia. Il piano campagna su cui insiste il manufatto, è stato ottenuto mediante movimenti di terra con successivo spianamento, creando un piccolo salto di quota di altezza media m.l. 3 rispetto a quella preesistente” (pagina 1 del provvedimento gravato).
- Con successiva ordinanza prot. n. 17373 del 15 marzo 2016 il Responsabile dell’Urbanistica ed Edilizia del Comune di Pozzuoli, richiamando i predetti contenuti sub 1, e rilevando che la signora Orlando presso il medesimo sito aveva intrapreso ulteriori lavori edili consistenti in “realizzazione di tramezzature interne ottenendo n. 3 ambienti – soggiorno, living e n. 2 vani bagno privi di sanitari, tutti completi di pavimenti, rivestimenti impianto idrico ed elettrico, con termocamino privo di radiatori. Esternamente il manufatto risulta allo stato grezzo ed alcuni vani porta sono stati trasformati in vano finestra privi di infissi interni. Tutte le finestre, tranne una, si presentano con grate esterne in ferro zincato “tipo napoletane”. Al manufatto si accede da una porta in ferro armato.”, ordinava la demolizione dei rispettivi manufatti ritenuti abusivi.
- Con ricorso n. R.G. 2312 del 2016 Carolina Orlando ha impugnato dinanzi al T.A.R. per la Campania la predetta ordinanza chiedendone l’annullamento.
- A sostegno del ricorso introduttivo ha dedotto le censure così rubricate:
1) violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della l. 6 agosto 1967, n. 765 che ha modificato l’art. 31 della l. 17 agosto 1942 n. 1150 – violazione del giusto procedimento e della l.07.08.1990 n.241 ed in particolare dell’art. 3 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e per omessa ponderazione della situazione contemplata;
2) violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22 33, 36 e 37 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l.r. 28.11.2001 n. 19 -violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della l. 21.12.2001 n. 443 – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere per errore di fatto e di diritto – eccesso di potere per difetto di istruttoria dei presupposti e di motivazione -omessa ponderazione della situazione contemplata- travisamento – illogicità – contraddittorietà – perplessità – manifesta ingiustizia – altri profili;
3) violazione e falsa applicazione art. 3 l. 07.08.1990 n. 241 – eccesso di potere per violazione del giusto procedimento – difetto assoluto di motivazione;
4) eccesso di potere per omessa istruttoria – per omessa motivazione – per omessa ponderazione della situazione contemplata – violazione del d.P.R. 380/01 ed in particolare degli artt. 34 – 36 – 37 – violazione di legge -violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 – violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22 33, 34, 36 e 37 del medesimo t.u. – eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;
5) violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del. d.P.R. 380/2001 – violazione degli artt. 36 e 37 e falsa applicazione dell’art. 43 della legge della Regione Campania n 16 del 22 dicembre 2004 -violazione degli artt. 167 e 181 del d.lgs. 22.01.2004 n. 42 -violazione del giusto procedimento – eccesso di potere per omessa ponderazione della situazione contemplata – eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione – manifesta ingiustizia;
6) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 d.P.R. 380/01 – sviamento di potere – eccesso di potere – eccesso di potere per omessa e/o insufficiente motivazione – eccesso di potere per omessa e/o insufficiente istruttoria – eccesso di potere per omessa ponderazione della situazione contemplata – contraddittorietà tra atti – ordinanza atipica.
- Ad esito del giudizio di primo grado, con la sentenza indicata in epigrafe, il T.A.R. adito ha respinto il suddetto ricorso.
- Il primo giudice ha motivato il rigetto in questi termini:
– sull’epoca di ultimazione delle opere asseritamente realizzate prima era onere del ricorrente (e non dell’amministrazione procedente) fornirne la prova, il che non è avvenuto né con il ricorso né con la relazione tecnica depositata;
– gli interventi edilizi contestati e descritti nell’ordinanza di demolizione comportavano l’alterazione dello stato dei luoghi in maniera strutturale e di rilievo, in zona paesaggisticamente vincolata, richiedendo sia il permesso di costruire sia l’autorizzazione paesaggistica ex ante: pertanto non sarebbero stati autorizzabili con semplice DIA, né l’esito sarebbe stato diverso a poterle considerare opere pertinenziali o precari, mancando comunque l’autorizzazione paesistica;
– l’art. 27 del DPR n. 380/2001 era stato quindi applicato legittimamente dall’amministrazione comunale;
– era da riscontrare anche l’adeguatezza dell’istruttoria e la sufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato anche con riguardo alla comparazione degli interessi in gioco, in quanto le opere in questione erano state realizzate in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, per cui, considerato che la misura ripristinatoria costituisce un atto dovuto l’atto è sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria;
– era irrilevante la presentazione, avvenuta ovvero prospettata, di ripetute istanze di accertamento di conformità, poiché non avrebbe comunque alcuna influenza sul piano della legittimità dell’ordinanza di demolizione. Né può determinarne l’inefficacia o l’ineseguibilità, a differenza di quanto previsto per legge nei casi di domanda di condono.
– era destituita di fondamento la censura sull’indicazione dell’area da acquisire in caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione, in quanto l’ordinanza descrive le opere realizzate e prevede espressamente che in caso di accertata inottemperanza le opere siano di diritto acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune.
- Con ricorso notificato il 19 novembre 2021 e depositato il 7 dicembre 2021, Carolina Orlando ha proposto appello avverso la suddetta decisione chiedendone la riforma.
- A supporto dell’appello ha dedotto tre motivi così rubricati:
- I) eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge – errore in iudicando eccesso – violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della l. 6 agosto 1967, n. 765 che ha modificato l’art. 31 della l. 17 agosto 1942 n. 1150 – violazione e falsa applicazione dell’art. 149 d. lgs 42/2004 – violazione del giusto procedimento e della l. 07.08.1990 n.241 ed in particolare dell’art. 3 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e per omessa ponderazione della situazione contemplata;
- II) eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge – errore in iudicando eccesso – eccesso di potere per omessa istruttoria – per omessa motivazione – per omessa ponderazione della situazione contemplata – violazione del DPR 380/01 ed in particolare degli artt. 34 – 36 – 37 – violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del DPR 06.06.2001 n. 380 – violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del DPR 06.06.2001 n. 380 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22 33, 34, 36 e 37 del medesimo T.U. – violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della l. 6 agosto 1967, n. 765 che ha modificato l’art. 31 della l. 17 agosto 1942 n. 1150 – violazione e falsa applicazione dell’art. 149 d.lgs. 42/2004 – violazione del giusto procedimento e della l. 07.08.1990 n.241 ed in particolare dell’art. 3 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e per omessa ponderazione della situazione contemplata;
III) eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge – errore in iudicando – eccesso di potere per omessa istruttoria – per omessa motivazione – per omessa ponderazione della situazione contemplata – violazione del DPR 380/01 ed in particolare degli artt. 34 – 36 – 37 – violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del DPR 06.06.2001 n. 380 – violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del DPR 06.06.2001 n. 380 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22, 31, 33, 34, 36 e 37 del medesimo T.U. – eccesso di potere per erroneità’ dei presupposti di fatto e di diritto – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere per omessa ponderazione della situazione contemplata – eccesso di potere per omessa e/o insufficiente istruttoria e motivazione – violazione degli artt. 3 e 97 della costituzione – violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’agire amministrativo.
- In data 22 aprile 2022 si è costituito il Comune di Pozzuoli, deducendo l’infondatezza dell’atto di appello.
- In vista dell’udienza pubblica l’ente locale ha anche depositato una memoria conclusionale il 19.7.2024, argomentando puntualmente perché a suo avviso i motivi fossero privi di pregio.
- All’udienza pubblica del 19 settembre 2024 la causa è stata introitata per la decisione.
- L’appello è infondato.
- Preme, anzitutto, osservare in fatto che viene qui in rilievo un manufatto edilizio nel Comune di Pozzuoli che in base al Decreto Ministeriale 12 settembre 1957 (G.U. 23.9.1957, n. 236) è dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1947 (tutela paesaggistica). Come si legge nello stesso decreto “(…) Considerato che il vincolo non significa divieto assoluto di costruire, ma impone soltanto l’obbligo al competente soprintendente, per preventiva approvazione, qualsiasi progetto di costruzione ci si intenda erigere nella zona.”
- Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto le censure riguardanti la dichiarata preesistenza, ante 1967, del manufatto e la qualificazione dei lavori contestati che, secondo l’appellante, non avrebbero richiesto un permesso di costruire. La perizia tecnica allegata al ricorso di primo grado avrebbe offerto un principio di prova della risalenza delle opere per la preesistenza di un manufatto, di talché il difetto di istruttoria da parte del Comune.
- Il motivo non è convincente. Il TAR, esaminando la documentazione tecnica versata nel giudizio di primo grado, ha accertato che:
- i) la data di realizzazione di una “casa colonica” non era certa, ma era solo una stima approssimativa (che indicava una oscillazione di 10 anni, tra il 1956 e il 1966);
- ii) non era neppure provato che il manufatto corrispondeva a quello descritto nell’ordinanza di demolizione.
Orbene, proprio la stima della realizzazione del manufatto in un arco temporale molto ampio (10 anni) rende molto improbabile la tesi che si tratti di un’opera così vecchia e che possa corrispondere allo stato dei lavori come lo aveva sanzionato il Comune di Pozzuoli.
Inoltre, rileva che – come risulta dall’ordinanza di demolizione del 2016 – il predetto manufatto è stato ultimato quando era sottoposto a sequestro penale e che alcun titolo era stato rilasciato dal Comune di Pozzuoli per l’esecuzione dell’intervento edilizio di cui si discute.
Se si intende sostenere che si trattava di un intervento di manutenzione straordinaria, che richiedeva la sola D.I.A., era inoltre necessario comprovare precisamente lo stato ex ante, cosa non avvenuta neppure con la c.t.p. versata nel giudizio di primo grado.
Infine, in base al fatto che l’area sul quale veniva realizzato l’immobile è sottoposta a vincolo paesaggistico e mancava, oltre al titolo edilizio, anche il parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, ciò rende irrilevante la qualificazione giuridica dell’intervento perché, sia le opere di “nuova costruzione”, sia quelle di “manutenzione straordinaria”, devono essere sanzionate in questo caso con l’ordine di demolizione. In quanto l’intero territorio del Comune di Pozzuoli è sottoposto a vincolo paesistico dal 1957 ciò avrebbe in ogni modo richiesto una preventiva approvazione da parte dell’Autorità di tutela (cfr. supra, punto 14).
Per concludere sul punto, non solo la parte ricorrente non ha fornito la prova della effettiva risalenza nel tempo del manufatto ma dalle stesse foto dei luoghi allegate alla relazione tecnica si può ragionevolmente inferire piuttosto il contrario di quanto affermato, ossia una datazione più vicina ai giorni nostri e comunque successiva all’apposizione del vincolo.
- Con il secondo motivo di appello parte appellante censura la sentenza impugnata per non aver accolto la censura dell’erroneità della qualificazione (natura e tipologia) dei lavori contestati. L’appellante reitera la sua tesi spiegata in primo grado per la quale si tratterebbe di lavori di consolidamento statico, manutenzione ordinaria e straordinaria, che il Comune non avrebbe potuto sanzionare con la demolizione. Inoltre, tali lavori sarebbero possibili anche in zone di tutela paesaggistica.
- Il motivo è manifestamente infondato, non solo perché l’appellante non offre neppure in sede di appello alcun specifico elemento tecnico per poter classificare gli interventi non come una nuova costruzione, ma anche perché, esaminando la descrizione operata nelle due ordinanze di demolizione del 2013 e 2016 (punti 1 e 2) emerge esattamente il contrario: i molti elementi nuovi lasciano facilmente intuire che invece di una ristrutturazione o una manutenzione, sia essa straordinaria o ordinaria, si era di fronte ad una demo-ricostruzione, ma non avendo provato lo stato quo ante, non è possibile applicare il rispettivo ambito di applicazione.
- Con l’ultima corposa doglianza l’appellante deduce che:
- a) il Comune, nel provvedimento demolitorio, avrebbe dovuto motivare ampiamente ed argomentare perché, dopo così lungo tempo (a distanza di circa 65 anni dalla originaria realizzazione) irrogava la sanzione, comparando interessi pubblici e privati. Il privato cittadino avrebbe maturato un legittimo affidamento sulla legalità delle opere;
- b) l’ente locale avrebbe applicato erroneamente l’art. 31 del DPR n. 380/2001, mentre avrebbe dovuto – data la preesistenza di un precedente manufatto – ordinare solo il ripristino ai sensi dell’art. 33 DPR 380/2001, ovvero di riportare il manufatto alla situazione ante abuso.
- Anche questo motivo non può essere accolto.
L’ appellante sostiene che i lavori oggetto dell’ordinanza di demolizione sarebbero stati realizzati tempo addietro. Ma tale lasso di tempo, quand’anche intercorso fra il momento di realizzazione dell’abuso ed il predetto ordine di demolizione, non determina l’insorgenza di un affidamento legittimo in capo all’odierno appellante in merito alla legittimità degli interventi, né impone sul punto un più ampio onere motivazionale in capo all’Amministrazione procedente (Cons. Stato, A.P., n. 9/2017).
Questo Consiglio di Stato ha più volte ricordato che il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata e che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
Secondo la giurisprudenza amministrativa ormai costante anche di questa Sezione, consolidatasi anche a seguito della nota pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 9 del 17 ottobre 2017, “[l]’ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi” (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 20/07/2022, n. 6373; in termini anche Cons. Stato, sez. VI, 21/06/2022, n. 5115 e Cons. Stato, Sez. VI, 01/07/2023, n. 5433).
Nel medesimo solco si pone l’orientamento pretorio che, più in generale, afferma che “l’ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi” (Cons. Stato, sez. VI, 09/06/2022, n. 4722).
Anche nel caso di specie, pertanto, l’adozione del provvedimento di demolizione è doverosa ricorrendone i presupposti di legge, ovvero la mancanza di qualsiasi previo titolo edilizio ed il vincolo paesaggistico, e non residua uno spazio per valutazioni discrezionali relative ai profili, valorizzati dal privato, circa l’errata applicazione dell’articolo 31 e invece l’applicazione del ripristino dello solo status quo ante, atteso che l’ambito di applicazione dell’art. 33 non è aperto, mancando ogni riferimento preciso e certo ad una situazione preesistente.
Giova ricordare invece che l’amministrazione comunale ha elencato e descritto le opere edilizie sine titulo: l’ufficio comunale competente ha descritto fisicamente le opere contestate (necessario per consentire al destinatario del provvedimento di sapere con esattezza cosa dovrà essere oggetto di demolizione) e ha dato atto della situazione di illegittimità (indicando l’assenza di un idoneo titolo).
Tale motivazione risulta sufficiente secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, che ha accertato che non è necessaria un’ulteriore o più ampia motivazione, essendo sufficiente la compiuta descrizione delle opere eseguite in assenza o in difformità dal permesso di costruire e dall’individuazione della norma applicata, anche perché sul punto alla P.A. non residua alcun margine di discrezionalità in capo alla P.A.
Ciò è stato considerato giustamente dalla sentenza gravata, che si profila pertanto immune di censure, risultando chiaro il percorso logico-giuridico seguito dal Comune per adottare l’ordinanza di demolizione nonché le ragioni sottese alla determinazione raggiunta.
Ricadendo pertanto le opere nell’ambito di applicazione dell’art. 10, co. 1, lett. a), del DPR n. 380/2001 (“interventi di nuova costruzione”), era necessario sia il permesso di costruire sia l’autorizzazione paesaggistica.
Per quanto riguarda la censura dell’insufficiente considerazione di ammissibilità dell’istanza ai sensi dell’art. 34 comma 2 del DPR n. 380/2001, alla quale conseguirebbe l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, correttamente il TAR ha concluso che tale valutazione avviene solo nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione.
La disciplina prevista dall’art. 33 del DPR n. 380/2001 sugli interventi di ristrutturazione edilizia effettuati in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, individua come prima opzione sanzionatoria la sanzione ripristinatoria, a conferma della gravità dell’abuso e della previa necessità del titolo autorizzatorio al quale gli interventi sono subordinati, prevedendo una mera possibilità, soltanto nel caso in cui emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione, di irrogare la sanzione pecuniaria. La facoltà d’irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella della demolizione è poi prevista unicamente per gli interventi e le opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, non nel caso quindi caratterizzato, rispetto ad un intervento edilizio abusivo, dalla mancanza di qualsivoglia titolo abilitante all’edificazione (Cons. Stato, sez. VI, n. 6492/2020; id., 2493/2021).
Le opere nel caso che occupa la Sezione sono realizzate in area sottoposta a vincolo paesaggistico, con la conseguenza che qualsivoglia intervento che alteri lo stato dei luoghi è comunque subordinato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, in mancanza della quale l’unica sanzione applicabile è quella della riduzione in pristino dello stato dei luoghi. Tale autorizzazione non è mai stata concessa.
- Per le ragioni sopra esposte l’appello è infondato e va respinto.
- Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono, ex artt. 91 c.p.c. e 26 c.p.a., la soccombenza e sono da porre a carico di parte appellante e a favore del Comune appellato.