La sentenza citata di seguito, evidenzia un principio ormai costante in giurisprudenza, secondo cui, ai sensi dell’art. 2048 c.c. sussiste responsabilità diretta propria dei genitori, concorrente con quella del minore, per non aver impedito il fatto dannoso con idoneo comportamento educativo, rapportato alle esigenze del figlio.
Allo stesso tempo, la sentenza precisa che le censure all’applicazione dell’art. 116 c.p.c., in tema di valutazione della prova secondo il prudente apprezzamento dei giudici di prime cure, non possono essere addotte come motivi di ricorso per cassazione eccetto in due casi specifici.
Cass. civ., III, ord., 18.10.2024, n. 27061
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va affermata la responsabilità diretta per fatto (anche) proprio dei genitori, ai sensi dell’art. 2048 cod. civ., che concorre con quella del minore per non avere essi, con idoneo comportamento, educativo e di sorveglianza, rapportato alle esigenze e al carattere del minore, impedito il fatto dannoso.
a valutata, secondo prudente apprezzamento del giudice la prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c., a meno che la legge non disponga altrimenti; al di fuori di questo caso la censura in riferimento all’art. 116 c.p.c. non è proponibile dinanzi alla Corte di Cassazione e quindi :
- se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento e pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale);
- se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso sono i seguenti:
primo motivo, violazione del combinato disposto tra gli artt. 116 cod. proc. civ., 2048 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 cod. proc. civ., motivazione omessa e contraddittoria, i ricorrenti censurano la sentenza per avere i giudici d’appello confermato la valutazione delle prove offerta dal tribunale in tal modo confermando la responsabilità dei genitori del minore sulla base di una interpretazione errata dell’art. 2048 cod. civ. con riguardo alla prova liberatoria.
Secondo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. per avere, i giudici di merito, omesso di prendere in considerazione tutte le circostanze e segnatamente le risultanze dell’istruttoria testimoniale.
I due motivi possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto strettamente connessi, vertendo entrambi sulla valutazione delle prove e sulla prova liberatoria che deve essere offerta dai genitori del minore ai sensi dell’art. 2048 cod. civ.;
I motivi sono entrambi inammissibili, in quanto, a parte il riferimento all’oggetto della prova liberatoria che deve essere resa dai genitori del minore, secondo il disposto dell’art. 2048, comma 3, cod. civ., con essi si chiede un riesame complessivo della valutazione delle prove effettuata dai giudici del merito.
L’art. 2048 cod. civ. prevede, secondo la giurisprudenza più recente di questa Corte, una responsabilità diretta per fatto (anche) proprio dei genitori che concorre con quella del minore (Cass. n. 4303 del 13/02/2023 Rv. 666774 – 02 e Cass. n. 22541 del 10/09/2019 Rv. 655364 – 01) per non avere essi, con idoneo comportamento, educativo e di sorveglianza, rapportato alle esigenze e al carattere del minore, impedito il fatto dannoso.
Ciò posto, e con riferimento, in particolare, alla parte di censure mosse alla stregua dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. è sufficiente richiamare il disposto dell’art. 348 ter commi 4 e 5 cod. proc. civ. per affermarne la radicale inammissibilità, in quanto i giudici di merito hanno adottato una motivazione del tutto conforme in punto di fatto e il ricorso non offre alcuna diversa ricostruzione fattuale che non sia già stata scrutinata.
In ordine alla valutazione delle prove deve pure affermarsi la inammissibilità della censura, posta mediante richiamo all’art. 116 cod. proc. civ..
Infati, per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ. è necessario considerare che, poiché esso prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione (peraltro, e più correttamente ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.) è concepibile solo in due casi:
- se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale);
- se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi), come costantemente affermato da questa Corte ( n. 11892 del 2016e, prima, Cass. n. 26965 del 20/12/2007Rv. 601128 – 01; in senso conforme: Cass. n. 20119 del 18/09/2009; Cass. n. 13960 del 19/06/2014 Rv. 631646 – 01).
Ne consegue, anche sulla base delle affermazioni della giurisprudenza nomofilattica (Sez. Un., 8053 e 8054 del 07/04/2014) l’inammissibilità della censura;
la motivazione resa dalla Corte territoriale risponde, inoltre e ampiamente, al minimo costituzionale, come delineato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte a partire dall’anno 2014 (Sez. U. n. 8053 del 7/04/20214 Rv. 629830-01 e più di recente Cass. n. 7090 del 03/03/2022 Rv. 664120-01).
Deve, inoltre, ribadirsi che (Cass. n. 37382 del 21/12/2022 Rv. 666679-05) la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali di questa Corte.
La conseguenza è che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le già menzionate valutazioni discrezionali.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile per complessiva inadeguatezza delle censure.
Le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti e, venendo in oggetto una pronuncia assolutamente conforme all’originaria proposta di definizione accelerata, ai sensi dell’art. 380 bis, comma 3, cod. proc. civ., gli stessi devono essere ritenuti responsabili ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, codice di rito.
E’ stabilita, pertanto, la liquidazione delle spese e delle ulteriori somme ai detti titoli come in dispositivo, in considerazione del valore della controversia e dell’attività processuale espletata (sull’applicabilità dell’art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ. si veda Sez. U n. 10955 del 23/04/2024 Rv. 670894 – 01).
La decisione di inammissibilità dell’impugnazione comporta che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Il deposito della motivazione è fissato nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ..