Corte Costituzionale, sentenza 29 ottobre 2024, n. 171
PRINCIPIO DI DIRITTO
E’ manifestamente infondata la questione sollevata dalla Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Milano in riferimento all’art. 53 Cost. in riferimento all’IRAP, mancando evidenze normative affini a quelle che che hanno condotto la Corte con la sentenza n. 262 del 2020 a riconoscere carattere strutturale alla deduzione dell’IMU sugli immobili strumentali con riguardo all’IRES e, di conseguenza, a ritenere pregiudicata, in forza della prevista totale indeducibilità, la coerenza interna dell’imposta.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
(…)
5.– La questione sollevata dalla CGT di Milano (con ordinanza iscritta al n. 24 reg. ord. 2024) in riferimento alla libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost. è manifestamente inammissibile, in quanto la Corte rimettente si è limitata a evocare il suddetto parametro senza alcuna specifica e adeguata illustrazione dei motivi di censura in punto di non manifesta infondatezza (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2024, n. 194 del 2023 e n. 118 del 2022).
6.– La questione sollevata dal medesimo giudice a quo per violazione dell’art. 53 Cost. in riferimento al principio di capacità contributiva è manifestamente infondata.
L’argomento di fondo addotto dal rimettente poggia sostanzialmente sull’applicabilità della sentenza n. 262 del 2020 di questa Corte, relativa all’indeducibilità dell’IMU sui beni strumentali dall’IRES, anche alla diversa ipotesi dell’indeducibilità dall’IRAP.
Della suddetta sentenza, invero, l’ordinanza fa specifica menzione e ne opera sostanzialmente l’applicazione anche alla materia dell’IRAP, laddove afferma che «[p]er effetto della norma impugnata l’IRAP non colpisce più il reddito netto prodotto dall’impresa, bensì una grandezza diversa – ossia il reddito al lordo delle imposte indeducibili – e non rappresentativa di una forza economica concreta».
Tuttavia, questa Corte, con la successiva sentenza n. 21 del 2024, ha già precisato che in riferimento all’IRAP mancano «quelle evidenze normative che hanno condotto questa Corte con la richiamata sentenza n. 262 del 2020 a riconoscere carattere strutturale alla deduzione dell’IMU sugli immobili strumentali con riguardo all’IRES e, di conseguenza, a ritenere vulnerata, in forza della prevista totale indeducibilità, la coerenza interna dell’imposta. La diversità della natura dei due tributi, dei loro presupposti, delle specifiche basi imponibili e delle precipue discipline evidenzia come le medesime argomentazioni della sentenza di questa Corte n. 262 del 2020 non possano essere estese all’IRAP».
7.– Manifestamente infondata è anche la questione del contrasto con l’art. 53 Cost. per violazione del divieto di doppia imposizione.
Questa Corte, con la citata sentenza n. 262 del 2020, ha già precisato che il mancato riconoscimento della deducibilità dell’IMU sui beni strumentali dall’IRES non dà «luogo a un fenomeno di doppia imposizione giuridica (perché i presupposti di IMU e IRES sono diversi)».
Il medesimo argomento vale, con tutta evidenza, anche in riferimento ai presupposti di IMU e IRAP di cui al presente giudizio.
8.– La questione, infine, sollevata dalla medesima CGT di Milano in riferimento al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. non è fondata.
Anche in questo caso le affermazioni contenute nella citata sentenza n. 262 del 2020, con la quale questa Corte ha sottolineato – ma nel contesto di una riscontrata rottura del principio di coerenza – «l’indebita penalizzazione, rilevata dal rimettente, di quelle imprese che abbiano scelto (opzione non certo biasimabile, perché funzionale alla solidità dell’azienda) di investire gli utili nell’acquisto della proprietà degli immobili strumentali rispetto a quelle che svolgono la propria attività utilizzando immobili in locazione», non si prestano a essere pedissequamente traslate in riferimento al regime dell’IRAP.
Per questa imposta, infatti, il legislatore «ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate» (da ultimo, sentenza n. 21 del 2024); ciò che differenzia le situazioni rispetto a quelle considerate nella predetta sentenza.
9.– Con riferimento alle questioni sollevate dalla CGT di Reggio Emilia (ordinanza iscritta al n. 140 reg. ord. 2024), va disattesa l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa erariale per insufficiente motivazione sulla rilevanza, in quanto il rimettente avrebbe omesso l’accertamento dell’effettiva strumentalità degli immobili «in relazione all’attività in concreto esercitata dalla società contribuente».
Come correttamente evidenziato dalla difesa di parte, una lettura complessiva dell’ordinanza mette in luce che il rimettente ha sufficientemente descritto la fattispecie da cui è originata la richiesta di rimborso, con conseguente plausibilità dell’accertamento della natura strumentale degli immobili.
10.– Inammissibile è invece la questione sollevata in riferimento al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza.
Le ragioni di tale conclusione non risiedono, in realtà, nel fatto che l’ordinanza di rimessione sarebbe stata motivata per relationem, come invece eccepito dalla difesa erariale, in quanto il giudice rimettente, seppure in modo molto sintetico, nel riportare le argomentazioni contenute negli atti difensivi del giudizio a quo, ha comunque mostrato di renderle proprie, e ciò, come rilevato dalla difesa della società, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, non determina l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenze n. 111 del 2024 e n. 109 del 2022).
Esse si fondano, piuttosto, sulla constatazione che il rinvio alle argomentazioni difensive della parte è parziale e del tutto insufficiente: l’ordinanza, infatti, non svolge quella puntuale e doverosa analisi della struttura dell’imposta – che tenga conto della «particolarità della tecnica impositiva che contraddistingue l’IRAP» e della modalità di determinazione della base imponibile secondo il «criterio di “sottrazione”» (sentenza n. 21 del 2024) – che è logicamente necessaria al fine di motivare il pur dedotto vizio di manifesta rottura della coerenza interna della suddetta imposta; gli scarni passaggi tratti dall’atto difensivo della parte e riportati in motivazione dal giudice rimettente, infatti, non consentono di comprendere su quali ragioni si sostanzierebbe la citata rottura, con la conseguenza che risulta compromesso, sotto questo profilo, il requisito della necessaria autosufficienza dell’ordinanza di rimessione.
A questo va aggiunto che rimangono, in tal modo, del tutto oscure le motivazioni per cui la questione sollevata risulterebbe impregiudicata da quella decisa con la sentenza n. 21 del 2024, dove, invece, si è chiarita la «profonda differenza tra il criterio di calcolo del valore della produzione netta e quello del reddito netto, dal momento che alcuni costi necessariamente inerenti e deducibili per quest’ultima grandezza non sono considerati scorporabili o deducibili per la prima».
Peraltro, nell’ordinanza viene prospettata la questione di legittimità costituzionale non solo dell’art. 14 comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, ma anche dell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997, che prevede, fra l’altro, la non deducibilità dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) dalla base imponibile IRAP, senza, tuttavia, compiere alcuna precisazione in ordine alle ragioni per le quali si sia ritenuto di dovere fare richiamo anche a quest’ultima previsione normativa.
Tali omissioni comportano quindi l’inammissibilità della questione per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza (ex plurimis, sentenza n. 12 del 2024, n. 248 e n. 118 del 2022 e n. 123 del 2021).
11.– La questione sollevata dalla medesima CGT di Reggio Emilia in riferimento al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost non è fondata.
Secondo il giudice rimettente, il costo dell’IMU graverebbe (direttamente) sia sulle imprese che acquistano i beni strumentali in proprietà, sia (indirettamente) su quelle che li assumono in locazione: il locatore, infatti, caricherebbe nel prezzo della locazione anche l’IMU che egli è tenuto a versare; tale costo, in base alla normativa dell’IRAP, risulterebbe però deducibile solo per le seconde.
Al riguardo valgono le considerazioni già svolte in riferimento all’analoga questione sollevata dalla CGT di Milano (supra, punto 8), cui va specificamente aggiunto che il rimettente, in ogni caso, mette a confronto situazioni non omogenee e quindi non assimilabili (ex plurimis, sentenze n. 85 del 2020 e n. 155 del 2014): da un lato, infatti, ad assumere rilievo è il fatto giuridico della non deducibilità dall’IRAP dell’IMU che grava sul proprietario di beni strumentali; dall’altro, viene in considerazione il fatto economico della eventuale – e meramente ipotetica – traslazione a carico del locatore del peso economico del pagamento dell’IMU, che dipende da molteplici fattori – quali le condizioni di mercato, i rapporti tra locatore e locatario – e non costituisce la conseguenza di una specifica disciplina.