<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 18 aprile 2019 n. 97</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Con la disposizione di cui all’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il legislatore – mosso dalla necessità, cui fa riferimento il preambolo del decreto-legge stesso, di adottare «</em>misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile<em>» finalizzate, unitamente alle altre contestualmente previste, a «</em>dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese<em>» – ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010; è stata così reintrodotta nell’ordinamento – dopo la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del citato del d.lgs. n. 28 del 2010 pronunciata da questa Corte, per eccesso di delega, con la sentenza n. 272 del 2012 – la mediazione civile quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali relative a talune materie, tra le quali quella dei contratti bancari oggetto dei giudizi </em>a quibus<em>, specificamente individuate dalla norma; la parte che intende esercitare in giudizio una delle azioni indicate dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 è, dunque, tenuta preliminarmente a tentare la composizione stragiudiziale della controversia mediante l’esperimento del procedimento disciplinato dal d.lgs. medesimo, il cui svolgimento è affidato ad appositi organismi di mediazione e, al loro interno, ai mediatori; è infatti presso l’organismo territorialmente competente che devono essere depositate le istanze di mediazione, ricevute le quali il responsabile designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che si deve tenere, nella sede dell’organismo stesso (o nel luogo indicato nel regolamento da esso adottato), entro trenta giorni (artt. 4 e 8 del d.lgs. n. 28 del 2010). L’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, riproduce, invece, la norma – in precedenza espressa dal comma 5 dello stesso art. 8, parimenti dichiarato incostituzionale, in via consequenziale, con la citata sentenza n. 272 del 2012 – che prevede che il giudice «</em>condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5<em> [del d.lgs. n. 28 del 2010], </em>non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio<em>».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va ribadito il consolidato orientamento della Corte secondo cui «[…] </em>il sindacato sulla legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge va limitato ai casi di evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione<em>» (sentenza n. 99 del 2018).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Non può condividersi la tesi del rimettente secondo cui l’insussistenza della straordinaria necessità e urgenza sarebbe desumibile dal mero differimento dell’efficacia delle disposizioni censurate; al contrario, la Corte – anche laddove ha ricordato che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, nel prescrivere, tra l’altro, che i decreti devono contenere misure di immediata applicazione, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost. – ha tuttavia precisato che la necessità di provvedere con urgenza «</em>non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge<em>» (sentenza n. 170 del 2017; nello stesso senso sentenze n. 5 del 2018, n. 236 e n. 16 del 2017). Mette conto, d’altra parte, osservare che, nel caso di specie, la norma che ha reintrodotto l’obbligatorietà della mediazione avrebbe evidentemente comportato un significativo incremento delle istanze di accesso al relativo procedimento: la decisione di procrastinarne, peraltro per un periodo contenuto, l’applicabilità è, pertanto, ragionevolmente giustificata dall’impatto che essa avrebbe avuto sul funzionamento degli organismi deputati alla gestione della mediazione stessa; del resto, una volta posticipata l’efficacia della mediazione obbligatoria, diviene con riguardo a essa coerente il differimento anche della connessa disciplina, posta dal secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, come introdotto dall’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, delle conseguenze della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al relativo procedimento.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Non è condivisibile l’assunto in forza del quale le disposizioni sottoposte all’odierno scrutinio difetterebbero di coerenza funzionale rispetto alle altre norme contenute nel d.l. n. 69 del 2013 in quanto il legislatore avrebbe differito l’applicabilità solo delle prime. Dalla «</em>uniformità teleologica<em>» che deve accomunare le norme contenute in un decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012) non si può inferire, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, un generale corollario per cui queste dovrebbero tutte necessariamente sottostare al medesimo termine iniziale di efficacia; la omogeneità finalistica che deve connotare le norme introdotte con la decretazione d’urgenza non presuppone, infatti, indefettibilmente l’uniformità di tale termine, ben potendo alcune di esse risultare comunque funzionali all’unico scopo di approntare rimedi urgenti anche là dove ne sia stata procrastinata l’applicabilità. Il disposto differimento delle norme qui censurate trova del resto fondamento nell’esigenza di assicurare il corretto funzionamento degli organismi di mediazione: dunque, non solo non è sintomatico dell’assenza di coerenza finalistica, ma, al contrario, concorre a garantirla; deve quindi ritenersi che esso non abbia compromesso la matrice funzionale unitaria delle disposizioni denunciate, anch’esse finalizzate, unitamente alle altre adottate in materia di giustizia, alla realizzazione dei comuni e urgenti obiettivi – a loro volta preordinati al rilancio dell’economia – del miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario e dell’accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso civile. Le norme oggetto dell’odierno incidente di costituzionalità si collocano coerentemente all’interno di tale cornice finalistica, risultante dal preambolo e dal Titolo III (Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile) del decreto-legge in cui sono contenute; d’altro canto, proprio la considerazione delle peculiari conseguenze – differenti rispetto a quelle prodotte dalle altre misure adottate – derivanti dalle disposizioni in parola e prima ricordate concorre a rendere ragionevole la scelta di differirne l’applicabilità. Alla luce dei rilievi che precedono, deve escludersi sia l’evidente difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., sia l’esistenza di una disomogeneità finalistica delle norme censurate rispetto alle altre contenute nel decreto-legge.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Entrambi gli istituti processuali nel caso di specie posti a raffronto (mediazione e c.d. negoziazione assistita) sono diretti a favorire la composizione della lite in via stragiudiziale e sono riconducibili alle «</em>misure di ADR (Alternative Dispute Resolution<em>)» (sentenza n. 77 del 2018). Entrambi, inoltre, costituiscono condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, il cui difetto ha peraltro conseguenze analoghe, con finalità deflattiva. A fronte di tali profili di omogeneità, è tuttavia ravvisabile nella mediazione un fondamentale elemento specializzante, che assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ovvero che la scelta legislativa di trattare diversamente, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le due fattispecie possa ritenersi manifestamente irragionevole e arbitraria, «</em>questo essendo il parametro di riferimento in materia, tenuto conto che si discute di istituti processuali, nella cui conformazione<em> […] </em>il legislatore fruisce di ampia discrezionalità<em>» (sentenza n. 12 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 164 del 2017). Più precisamente, il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, là dove la stessa neutralità non è ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita. Il mediatore, infatti, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 28 del 2010, da un lato, non può «</em>assumere diritti od obblighi connessi<em> […] </em>con gli affari trattati<em> […]» né percepire compensi direttamente dalle parti (comma 1); dall’altro, è obbligato a sottoscrivere, per ciascuna controversia affidatagli, un’apposita «</em>dichiarazione di imparzialità<em>» e a informare l’organismo di mediazione e le parti delle eventuali ragioni che possano minare la sua neutralità (comma 2, lettere a e b). Tale neutralità, oltre ad essere sancita anche dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, è peraltro altresì precisata dalla disciplina posta dall’art. 14-bis del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), adottato, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del medesimo d.lgs., di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, che regola le cause di incompatibilità e le ipotesi di conflitti di interesse in capo al mediatore. Mentre, dunque, nella mediazione il compito – fondamentale al fine del relativo esito positivo – di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori: è conseguentemente palese come, pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità. La lumeggiata eterogeneità, nei termini appena illustrati, trova d’altro canto un chiaro riscontro nella giurisprudenza costituzionale: la Corte, esaminando la mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ha difatti rimarcato che la mancanza, in essa, «</em>di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010<em> […], </em>svolga la mediazione<em>», se da un lato «</em>comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica<em>», dall’altro «</em>induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’àmbito mediatorio propriamente inteso<em>» (sentenza n. 98 del 2014); l’evidenziata disomogeneità delle due fattispecie poste a confronto ne preclude, dunque, una comparabilità idonea a integrare l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. e induce a escludere che sia stato irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione e, quindi, che la scelta legislativa denunciata dal rimettente abbia valicato il confine dell’arbitrarietà. D’altra parte, il tratto differenziale appena rilevato conferma la ratio che sostiene il diverso regime giuridico di cui, invece, si duole il giudice a quo: la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; in tale ultimo giudizio, in altri termini, il legislatore ha ritenuto inutile imporre la negoziazione assistita, giacché essa è condotta direttamente dalle parti e dai loro avvocati, senza l’intervento di un terzo neutrale. Anche alla luce della considerazione che precede, deve dunque escludersi che il differente trattamento normativo portato all’attenzione di questa Corte possa essere ritenuto manifestamente irragionevole e arbitrario.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona; vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), e dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Verona; va infine dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con l’ordinanza iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2018. E’ dunque costituzionalmente legittimo il d.l. n. 69/2013 con il quale il legislatore ha re-introdotto l’obbligatorietà della mediazione, oltre ad apportare alcune modifiche come l’obbligatorietà dell’assistenza dell’avvocato o la gratuità del c.d. primo incontro.</em></p>