Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 14 ottobre 2024, n. 26603
PRINCIPIO DI DIRITTO
Non possono pretendere dallo Stato italiano il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362 e 75/363 e successive integrazioni, coloro i quali abbiano iniziato prima del 1991 una specializzazione non contemplata dalle suddette Direttive e di cui non sia dimostrata l’equipollenza di fatto alle specializzazioni ivi previste, a nulla rilevando che la specializzazione conseguita sia stata, in seguito, inclusa tra quelle qualificate “conformi alle norme delle Comunità economiche europee” dal D.M. 31 ottobre 1991
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Svolgimento del processo
Nel 2011 tutti gli odierni ricorrenti, riproponendo identica domanda già formulata tre anni prima e conclusasi con una pronuncia di inammissibilità per nullità della citazione, convennero dinanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca scientifica, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia, esponendo che:
-) dopo avere conseguito la laurea in medicina, si erano iscritti ad una scuola di specializzazione, in anni compresi tra il 1977 ed il 1994;
-) durante il periodo di specializzazione non avevano percepito alcuna remunerazione o compenso da parte della scuola stessa;
-) le direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE, avevano imposto agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti le scuole di specializzazione fosse corrisposta una adeguata remunerazione;
-) l’Italia aveva dato tardiva e parziale attuazione a tali direttive solo con la legge 8.8.1991 n. 257. Conclusero pertanto chiedendo la condanna delle amministrazioni convenute al risarcimento del danno sofferto in conseguenza della tardiva attuazione delle suddette direttive.
Con sentenza 17.9.2013 n. 18240 il Tribunale di Roma -) dichiarò il difetto di legittimazione (sostanziale) dei tre Ministeri convenuti; -) rigettò le domande proposte da quanti avevano iniziato i corsi di specializzazione prima dell’anno accademico 1983/1984 (ovvero V.V., A.A.A., B.B.B., I.I. e altri);
-) condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento del danno nei confronti dei restanti attori, liquidato in Euro 6.713,93 per ciascun anno di frequenza del corso di specializzazione, oltre interessi compensativi.
La sentenza fu appellata in via principale dalla Presidenza del Consiglio ed in via incidentale dagli attori.
Con sentenza 3.2.2020 n. 777 la Corte d’Appello di Roma accolse in parte l’appello principale e in parte quello incidentale.
La Corte d’Appello ritenne che -) nulla era dovuto a quanti avevano iniziato il corso di specializzazione prima del 29.1.1982, data di entrata in vigore della direttiva n. 82/1976; -) nulla era dovuto a quanti avevano conseguito il diploma di specializzazione in una materia non rientrante tra quelle elencate dagli artt. 5 e 7 della Direttiva 75/362; -) nulla era dovuto a H.H.H., che aveva frequentato un corso di specializzazione di durata biennale, e quindi di durata inferiore a quella minima prevista dagli artt. 4 e 5 della Direttiva 1975/363; -) corretta fu la stima del danno compiuta dal Tribunale. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai ricorrenti indicati in epigrafe, con due separati ricorsi, il primo (proposto da A.A. ed altri 108 ricorrenti; d’ora innanzi, per brevità, “il gruppo (Omissis)”) fondato su tre motivi, l’altro (proposto da U.U. ed altri otto ricorrenti; d’ora innanzi, per brevità, “il gruppo (Omissis)”) fondato su quattro motivi.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Istruzione, il Ministero dell’Università e Ricerca, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno resistito con controricorso.
Il ricorso, originariamente fissato per la discussione nella pubblica udienza dell’11.11.2022, con provvedimento presidenziale fu tolto dal ruolo e rinviato all’udienza del 26.1.2023.
All’esito, con ordinanza interlocutoria 4.4.2023 n. 9327, la Prima Sezione Civile di questa Corte ha ritenuto di dovere “invitare l’Ufficio del Massimario a rimettere sintetica relazione” al fine di valutare “se il D.M. 31 ottobre 1991, è suscettibile di applicazione ancorché il corso di specializzazione si sia concluso antecedentemente alla sua emanazione, siccome – si assume – il medesimo D.M. “nasce dall’esigenza di attuare le direttive comunitarie”…;
se del D.M. 31 ottobre 1991 è possibile… una applicazione circoscritta agli anni del corso di specializzazione “in itinere” successivi alla sua entrata in vigore (in linea con quanto, per altro verso, prefigurato da Cass. sez. un. 23.6.2022, n. 20278); se gli elenchi di cui all’art. 5, comma 2, e art. 7, comma 3, della direttiva n. 362/75 debbano o meno definirsi a carattere “chiuso”, se del caso alla luce dell’art. 1 della medesima direttiva…”.
Ricevuta la suddetta relazione, la discussione del ricorso fu fissata per la pubblica udienza del 24.1.2024.
All’esito, con una seconda ordinanza interlocutoria (4.3.2024 n. 5690) la Prima Sezione Civile di questa Corte ha rimesso gli atti al Primo Presidente, ai fini dell’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, affinché valutassero “se l’art. 288, par. 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, gli artt. 13 e 16 della direttiva 82/76/CEE, l’art. 8 della direttiva 75/362/CEE e l’art. 2 della direttiva 75/363/CEE, come modificato dalla direttiva 82/76/CEE, ostino ad una interpretazione secondo cui, sebbene il diritto alla remunerazione adeguata previsto dall’art. 13 della direttiva 82/76/CEE a favore dei sanitari che svolgano l’attività di formazione, sia a tempo pieno che a tempo ridotto, e il diritto al riconoscimento del titolo di specializzazione, sempre che sussistano tutti gli altri requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza Europea, spetti anche ai medici che abbiano frequentato corsi di specializzazione di tipologia e durata conformi alla normativa Europea e comuni a due o più Stati membri, che, sebbene non elencati agli artt. 5 e 7 della direttiva 75/362/CEE, sono stati espressamente riconosciuti come tali dalla normativa interna attuativa della direttiva n. 82/76/CEE, possa invece non essere riconosciuto laddove la frequenza dei corsi di specializzazione si collochi cronologicamente tra il 1 gennaio 1983 (momento dal quale si concretizzo l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di attuare la direttiva) e l’inizio dell’anno accademico 1991/92 (e cioè il primo anno assoggettato all’efficacia ratione temporis della fonte di attuazione). E conseguentemente se il diritto al risarcimento del danno per il ritardo nel recepimento della direttiva n. 82/76, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, da parte dello Stato italiano competa, anche a detti sanitari, limitatamente alla frazione di frequenza dei corsi di specializzazione compresa nel periodo in cui si è concretizzato l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di attuare la direttiva n. 82/76/CEE”.
- Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte sia in occasione dell’udienza (poi non tenutasi) del 11.11.2022; sia in occasione dell’udienza del 26.1.2023; sia in occasione dell’odierna udienza. In tutte e tre le occasioni ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo di ambo i ricorsi e il rigetto del primo e del terzo motivo, ovvero quello che pose la questione oggi sottoposta alle Sezioni Unite.
Anche i ricorrenti del “gruppo (Omissis)” hanno depositato tre memorie illustrative (18.1.2023, 9.1.2024 e 27.6.2024).
I ricorrenti del “gruppo (Omissis)” hanno depositato memoria in occasione della odierna udienza.
Motivi della decisione
- Preliminarmente rileva il Collegio come ambedue i ricorsi siano stati notificati anche al Ministero (indicato come) “dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca”, al Ministero dell’Economia ed al Ministero della Salute.
Tuttavia la legitimatio ad causam dei tre suddetti dicasteri fu esclusa dal giudice di primo grado, con statuizione non impugnata.
I ricorsi vanno dunque dichiarati inammissibili nella parte in cui rivolti contro i tre ministeri suddetti.
L’avvenuta formazione del giudicato interno circa la legittimazione sostanziale passiva della sola Presidenza del Consiglio rende irrilevante la circostanza che i due ricorsi siano stati notificati ad un dicastero oggi non più esistente. Infatti il “Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca”, cui ambedue i ricorsi sono stati notificati, alla data della notifica (ottobre 2020) era già stato soppresso e le relative competenze ripartite tra il Ministero dell’istruzione (oggi Ministero dell’Istruzione e del Merito) e il Ministero dell’Università, per effetto dell’art. 1 D.L. 9.1.2020 n. 1.
- Il primo motivo del ricorso “(Omissis)”.
Il primo motivo del ricorso proposto dal “gruppo (Omissis)” denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento delle direttive comunitarie; degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE; delle direttive CEE 82/76, 75/363 e 93/16; delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25.2.1999 e 3.10.2000; degli artt. 2,3,10 e 97 Cost.; del D.Lgs. n. D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 e della legge n. 370 del 1999, art. 11 – la violazione o falsa applicazione del Reg. CE n. 974/1998 e del Regolamento n. 2866/1998; degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056; della L. n. 370 del 1999, art. 11 e del D.Lgs. n. 257 del 1991; la violazione dell’art. 112 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo.
I ricorrenti deducono che ha errato la Corte d’Appello di Roma ad utilizzare, ai fini del risarcimento del danno, il parametro di cui all’art. 11 – contemplante l’attribuzione di borse di studio – del D.Lgs. n. 370 del 1999, ovvero l’importo su base annua di Euro 6.713,94.
Sostengono che, nel solco della sentenza della C.G.U.E. del 24.1.2018 (nelle cause riunite C-616/16 e C617/16) il risarcimento avrebbe dovuto, ai fini del ristoro della perdita sofferta dagli specializzandi, conformarsi ai principi di equivalenza, effettività ed adeguatezza.
Deducono che l’unica normativa di riferimento è il D.Lgs. n. 257 del 1991, di trasposizione della normativa comunitaria, i cui importi vanno devalutati a decorrere dall’1.11.1991 alla data di frequenza del corso e poi rivalutati alla data di liquidazione del danno, con il riconoscimento degli interessi.
Deducono che altrimenti occorre far luogo ad un rinvio pregiudiziale, affinché la C.G.U.E. chiarisca quali siano nella specie i parametri astratti dell’equivalenza, effettività e adeguatezza ai fini del risarcimento del danno.
2.1. Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis n. 1 c.p.c., alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui “la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dall’art. 39 del D.Lgs. n. 368 del 1999, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché la Direttiva 93/16/CEE non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui al D.Lgs. cit.” (così, con ampia motivazione, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13445 del 29/05/2018, Rv. 648963 – 01; nello stesso senso, ex permultis, Sez. 3, Ordinanza n. 35376 del 18.12.2023; Sez. 3, Ordinanza n. 1157 del 17.1.2022; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6355 del 14/03/2018, Rv. 648407 – 01).
I ricorrenti, nel sostenere la propria tesi, muovono da un assunto postulato più che dimostrato e cioè che se il legislatore avesse dato tempestiva attuazione alla Direttiva 82/76, il compenso che lo Stato avrebbe loro corrisposto tra il 1982 ed il 1995 (questa, infatti, è l’epoca in cui conseguirono i rispettivi diplomi di specializzazione) sarebbe stato comunque superiore a quello che sarà poi stabilito dalla L. 370/99.
Assunto non condivisibile, in virtù dello iato temporale tra le due epoche, e dei profondi mutamenti macroeconomici che le differenziano.
In secondo luogo, sul piano del diritto comunitario, lo stabilire quale dovesse essere la remunerazione dovuta ai frequentanti i corsi di specializzazione in medicina è una scelta discrezionale che l’ordinamento comunitario ha lasciato agli Stati membri.
Dunque nessuna violazione del diritto comunitario è ipotizzabile da parte della sentenza impugnata, per la semplice ragione che il diritto comunitario non si occupa e non si è mai occupato del quantum dovuto ai frequentanti le scuole di specializzazione (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 31922 del 10.12.2018; Sez. 3, Sentenza n. 17051 del 28.6.2018; Sez. L, Sentenza n. 15520 del 13.6.2018).
Né è ipotizzabile alcuna disparità di trattamento fra coloro che si sono iscritti alle scuole di specializzazione prima del 1991, e coloro che le hanno frequentate dopo.
Se è vero, infatti, che ai secondi è stata riconosciuta una remunerazione maggiore del risarcimento liquidato ope legis ai primi, è altresì vero che soltanto i secondi nell’iscriversi alle scuole di specializzazione hanno assunto oneri ed impegni (il tempo pieno, in primo luogo) sconosciuti ai primi.
- Il secondo motivo del ricorso “(Omissis)”.
Col secondo motivo alcuni tra i ricorrenti del “gruppo (Omissis)” denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento delle direttive comunitarie; degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE; delle direttive CEE 82/76, 75/363 e 93/16; delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25.2.1999 e 3.10.2000; degli artt. 2,3,10 e 97 Cost.; del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 e della L. n. 370 del 1999, art. 11; la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per ultrapetizione; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo.
Deducono che ha errato la Corte di Roma a rigettare la domanda di coloro che avevano iniziato il corso di specializzazione in data antecedente al 29.1.1982.
Deducono che l’indicazione della Corte di Giustizia Europea è nel senso che il diritto venga riconosciuto a prescindere dalla data di iscrizione al corso di specializzazione, ben vero limitatamente al periodo successivo all’1.1.1983.
3.1. Il motivo è riferibile non a tutti i ricorrenti del “gruppo (Omissis)”, ma ai soli D.D.D., E.E.E., F.F.F., H.H., in qualità di erede di I.I., e altri.
3.2. Il motivo è fondato ad eccezione che nei riguardi di Y.Y.Y. e H.H.
3.3. Questa Corte, con l’ordinanza interlocutoria pronunciata da Cass. civ., sez. un., ord. 29.10.2020 n. 23901, ha sottoposto alla Corte di giustizia la medesima questione di diritto oggi posta a fondamento del secondo motivo di ricorso.
La Corte di giustizia dell’unione europea, con sentenza n. 3 marzo 2022, in causa C-590/20, ha stabilito che “la situazione di un medico che si sia iscritto presso una scuola di specializzazione medica prima del 29 gennaio 1982 costituisce una situazione sorta prima dell’entrata in vigore della direttiva 82/76, ma i cui effetti futuri sono disciplinati da tale direttiva a partire dalla scadenza, il 1 gennaio 1983, del termine di trasposizione di quest’ultima.
Di conseguenza, poiché… qualsiasi formazione a tempo pieno o a tempo ridotto come medico specialista iniziata nel corso dell’anno 1982 deve, per il periodo che va dal 1 gennaio 1983 fino alla fine della formazione seguita, essere oggetto di una remunerazione adeguata, ai sensi dell’allegato della direttiva 75/363 modificata, tale obbligo di remunerazione vale anche, alle stesse condizioni, per le formazioni iniziate prima dell’entrata in vigore, il 29 gennaio 1982, della direttiva 82/76″.
Tale principio è stato già recepito da queste Sezioni Unite con sentenza n. 20278 del 23/06/2022, ove si è stabilito che il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/Cee spetta anche a quanti si sono iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici anteriori al 1982-1983.
In questo caso, però, il risarcimento è dovuto solo per il periodo di tempo intercorso tra il 1 gennaio 1983 e la conclusione della scuola di specializzazione.
3.4. Il motivo è invece inammissibile per difetto di rilevanza nei confronti di Y.Y.Y. e H.H.
Infatti il rigetto delle domande da esse formulate fu basato dalla Corte d’Appello su due distinte rationes decidendi sia l’essersi iscritte alla scuola di specializzazione prima del 1 gennaio 1983, sia l’avere conseguito una specializzazione non prevista dalle Direttive 75/362 e 75/363.
La seconda di queste rationes decidendi, per quanto si dirà più oltre, resiste alle censure contro di essa formulate, sicché la astratta fondatezza del motivo in esame non potrebbe comunque condurre all’accoglimento del ricorso.
3.5. La sentenza impugnata va dunque su questo punto cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, affinché proceda alla liquidazione del danno applicando il principio sopra esposto, nei limiti sopra indicati.
Naturalmente spetterà al giudice di rinvio valutare la sussistenza degli altri requisiti per accedere al risarcimento, a cominciare dalla equipollenza vuoi nominale, vuoi di fatto, tra la specializzazione conseguita e quelle previste dalle Direttive.
- Il terzo motivo del ricorso “(Omissis)”.
Con il terzo motivo i ricorrenti del “gruppo (Omissis)” denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento delle direttive comunitarie; degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE; delle direttive CEE 82/76, 75/363 e 93/16; delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25.2.1999 e 3.10.2000; degli artt. 2,3,10 e 97 Cost.; del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 e della L. n. 370 del 1999, art. 11 – la violazione o falsa applicazione del REG. CE n. 974/1998 e del Reg. CE n. 2886/1998; degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056; della L. n. 370 del 1999, art. 11 e del D.Lgs. n. 257 del 1991; la violazione dell’art. 112 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo.
Il motivo, sebbene formalmente unitario, contiene due censure.
4.1. Con una prima censura i ricorrenti deducono che ha errato la Corte di Roma nel respingere le domande di taluni degli iniziali attori sul presupposto che il corso di specializzazione da essi frequentato non fosse ricompreso tra quelli elencati dalle direttive comunitarie di riferimento.
Sostengono che le Amministrazioni convenute, su questo specifico punto, non avevano avanzato alcuna specifica contestazione nella loro comparsa di costituzione e risposta in primo grado, sicché la Corte d’Appello non avrebbe potuto rilevarla ex officio, alla luce del principio di “non contestazione” di cui all’art. 115 c.p.c. 4.2. Con una seconda censura deducono che, in ogni caso, tre degli appellati avevano conseguito specializzazioni comuni ad almeno due Stati membri, ed in particolare -) G.G.G. si era specializzata in “malattie dell’apparato cardiovascolare”, da considerare equipollente a “cardiologia”, contemplata dall’art. 7 della Direttiva 75/363; -) H.H.H. si era specializzata in “pediatria indirizzo neonatologia e patologia neonatale”, equivalente a “pediatria”; -) I.I.I. si era specializzata in “neuropsichiatria infantile”, da considerare equivalente a “neuropsichiatria”.
4.3. La prima censura pone due questioni (a) se sia rilevabile d’ufficio l’eccezione di “non equipollenza” tra la specializzazione conseguita, e le specializzazioni previste dal diritto comunitario al fini del reciproco riconoscimento; (b) se, ammesso che quell’eccezione fosse rilevabile d’ufficio, il relative esame resti precluso da un atteggiamento di non contestazione da parte della difesa erariale.
4.3.1. Alla prima questione va data risposta affermativa.
È infatti principio generale del diritto processuale che siano rilevabili d’ufficio tutte le eccezioni che la legge non riservi espressamente all’iniziativa di parte (così già la fondamentale decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 1099 del 03/02/1998, in motivazione; principio ribadito ancora di recente da Sez. U, Ordinanza interlocutoria n. 10531 del 07/05/2013).
A questo principio non sfugge l’eccezione di “equipollenza” tra il diploma di specializzazione conseguito in Italia dagli odierni ricorrenti, e quelli previsti da almeno due Stati dell’Unione europea.
Tale eccezione, infatti, ha ad oggetto un fatto estintivo della pretesa attorea, e cioè la mancanza di nesso causale tra l’inadempimento dello Stato ed il danno (sul presupposto che, quand’anche vi fosse stata un tempestivo recepimento della direttiva, lo Stato non era però obbligato a prevedere una adeguata remunerazione anche per la scuole di specializzazione prescelte dai ricorrenti).
4.3.2. Alla seconda questione va data risposta negativa.
È pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l’onere di contestazione debba essere assolto in modo chiaro e specifico (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 10860 del 18/05/2011; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 19896 del 06/10/2015; Sez. 3, Sentenza n. 6094 del 26/03/2015, in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 13079 del 21/05/2008).
Tuttavia anche l’onere di analitica contestazione dei fatti dedotti dall’attore non è senza eccezioni esso infatti viene meno quando l’attore, per primo, si sottragga all’onere di analitica allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda.
L’onere di contribuire alla fissazione del thema decidendum e, di conseguenza, del thema probandum, opera infatti identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicché, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere per forza di cose altrettanto generica, ed in questo caso la genericità della difesa non solleva affatto l’attore dai suoi oneri probatori (Sez. 3, Sentenza n. 21075 del 19/10/2016).
Vanno quindi, ribaditi seguenti princìpi se l’allegazione attorea è specifica, e la contestazione del convenuto manca od è generica, l’attore è sollevato dall’onere di provare i fatti allegati e genericamente contestati; se l’allegazione attorea è specifica, e la contestazione del convenuto è altrettanto specifica, l’attore ha l’onere di provare i fatti allegati; se l’allegazione attorea è generica (e sempre che tale genericità non comporti la nullità della citazione, ai sensi dell’art. 164 c.p.c.), e la contestazione del convenuto è altrettanto generica, l’attore ha l’onere di provare i fatti allegati; se l’allegazione attorea è generica, e la contestazione del convenuto è specifica (il che non può teoricamente escludersi), l’attore ha non solo l’onere di provare i fatti allegati, ma – prima ancora quello di contestare analiticamente i fatti dedotti dal convenuto, che altrimenti dovranno darsi per ammessi (per tutti e quattro questi princìpi si vedano già Sez. 3 -, Ordinanza n. 11252 del 10/05/2018 e Sez. 3, Ordinanza n. 19340 del 03/08/2017).
Applicando dunque i suddetti princìpi al caso di specie, è agevole rilevare come nessuno degli odierni ricorrenti, nell’atto introduttivo del giudizio, assolse in modo analitico ed esaustivo l’onere di indicare se, e per quali ragioni di fatto, la specializzazione da essi rispettivamente conseguita fosse da ritenersi equipollente a quelle previste da almeno due Stati membri dell’Unione europea.
Le specializzazioni per le quali la Corte d’Appello ha negato l’equipollenza, infatti, non coincidevano formalmente con alcuna di quelle previste dalle direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE.
In tale ipotesi (non coincidenza tra specializzazione conseguita e discipline previste dalle suddette direttive comunitarie) questa Corte ha già da tempo stabilito che l’onere di allegazione dei fatti da parte di chi domandi il risarcimento del danno derivato dalla tardiva attuazione in Italia delle suddette direttive deve essere assolto in modo preciso e dettagliato, e solo quando sia stato assolto tale onere, sorge per l’amministrazione convenuta l’onere di contestazione della equipollenza tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle comuni ad almeno due Stati membri (da ultimo, con ampia motivazione, Sez. 3, Ordinanza n. 25388 del 29.8.2023, par. A.3.1 dei “Motivi della decisione”; ma già in precedenza, ex multis, Sentenza n. 23199 del 15/11/2016).
Gli odierni ricorrenti, pur deducendo di avere “assolto in modo puntuale” l’onere di allegazione, non solo non trascrivono o riassumono i termini in cui quell’onere fu assolto (così violando l’onere di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c.), ma anzi ammettono essi stessi di essersi limitati ad assolvere tale onere “elencando le specializzazioni” da ciascuno di essi conseguite.
Tuttavia la quesitone della “equipollenza” tra la specializzazione conseguita e quelle previste dalla Direttiva 75/362 è una questione mista, di fatto e diritto.
È di diritto, perché l’equipollenza è richiesta dall’ordinamento comunitario quale presupposto affinché sorga l’obbligo degli Stati membri di prevedere una adeguata remunerazione in favore di chi frequenti un scuola di specializzazione; è, tuttavia, anche di fatto, poiché l’equipollenza tra i titoli accademici rilasciati in Italia e quelli comuni ad almeno due Stati membri va accertata non nominalmente, ma in base ai contenuti dei rispettivi insegnamenti indagine, quest’ultima, che ovviamente impone la dimostrazione dei contenuti oggettivi dell’insegnamento impartito nelle scuole di specializzazione che si assumono “equipollenti”.
Pertanto l’onere di allegazione (che era presupposto dell’onere di contestazione) si sarebbe dovuto assolvere non già limitandosi a dichiarare di avere conseguito questa o quella specializzazione, ma esponendo le ragioni concrete per le quali il corso di specializzazione seguito, nonostante la diversa denominazione, coincideva de facto con una delle specializzazioni elencate dalla Direttiva (ad es., coincidenza delle materie di insegnamento impartite, equivalenza degli orari, coincidenza delle esercitazioni pratiche).
Il mancato assolvimento di tale onere di allegazione esonerava dunque le Amministrazioni convenute da quello di una puntuale contestazione.
4.6. Anche la seconda censura formulata nel secondo motivo di ricorso (sussistenza della coincidenza nominale tra le specializzazioni previste dalla Direttiva e quelle conseguite da G.G.G., H.H.H. e I.I.I.) è inammissibile.
Quanto a H.H.H., la domanda risarcitoria da questa formulata fu rigettata sul presupposto che la specializzazione da lei conseguita ebbe una durata inferiore a quella minima prevista dalle Direttive del 1975 (così la sentenza d’appello, p. 10), sicché nessuna rilevanza avrebbe rispetto a tale ratio decidendi – non censurata – la questione della “equipollenza”.
Quanto alla domanda proposta da G.G.G. e I.I.I., nessuna delle specializzazioni per le quali la Corte d’Appello ha rigettato la domanda compare nominalmente tra quelle elencate dalla Direttiva 75/363).
Sarebbe stato dunque onere degli attori allegare e provare tale equipollenza, ma nel presente giudizio sono mancate tanto l’allegazione, quanto la prova.
Ad abundantiam, rileva la Corte che -) la non equipollenza tra la specializzazione in “malattie dell’apparato cardiovascolare” (conseguita da G.G.G.) a quelle previste dalla Direttiva 75/363 è già stata affermata, con ampia motivazione, da Sez. 3, Ordinanza n. 6739 del 13.3.2024; Sez. L, Ordinanza n. 3294 del 5.2.2024; Sez. L, Ordinanza n. 2284 del 23.1.2024; Sez. 3, Ordinanza n. 33634 del 2022; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 25388 del 2023; Sez. 3 Ordinanza n. 25414 del 26/08/2022); -) la non equipollenza tra la specializzazione in “pediatria indirizzo neonatologia e patologia neonatale” (conseguita da H.H.H.) a quelle previste dalla Direttiva 75/363 è già stata stabilita da Sez. 3, Ordinanza n. 20584 del 17.7.2023.
In conclusione, il terzo motivo del ricorso principale è infondato in quanto la Corte d’Appello non ha pronunciato ultra petita, né ha violato il principio di non contestazione.
- Resta da esaminare a questo punto la questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria (questione non presente nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado), ovvero se possano pretendere il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle Direttive comunitarie coloro che prima del 1991 abbiano conseguito una specializzazione non corrispondente nominalmente a quelle previste dalle Direttive del 1975, ma in seguito dichiarata ad esse equivalente dal D.M. 31.10.1991 (in Gazz. uff. 8.11.1991 n. 262).
Prima di esaminare tale questione sub specie iuris, la Corte non può esimersi dal rilevare come la domanda di risarcimento del danno per tardiva attuazione delle Direttive 75/362 e 75/363, fondata sull’assunto della equipollenza de facto tra la specializzazione conseguita e quelle previste dalle suddette Direttive, è domanda che si fonda su un fatto costitutivo diverso rispetto a quella di chi invochi il medesimo risarcimento invocando la retroattività del D.M. 31.10.1991;
la questione suddetta è priva di rilevanza con riferimento a tutti i ricorrenti cui è riferibile il terzo motivo di ricorso, sol che si si proceda a collazionare la posizione di ciascuno di essi con le statuizioni della sentenza impugnata.
5.1. Per un primo gruppo di ricorrenti del “gruppo (Omissis)” la questione degli effetti del riconoscimento postumo delle specializzazioni equipollenti, disposto dal D.M. 31.10.1991 , è irrilevante perché essi hanno conseguito specializzazioni non previste nemmeno dal D.M. 31.10.1991.
Si tratta di-) B.B., specializzato in idrologia medica;
-) J.J.J., K.K.K., L.L.L. (e per lui i suoi eredi), specializzati in medicina dello sport;
-) M.M.M., N.N.N., specializzati in psicologia clinica;
-) O.O.O., P.P.P., D.D., E.E. (e, per lui, gli eredi), Q.Q.Q., specializzati in medicina legale e delle assicurazioni;
-) R.R.R., specializzato in angiologia;
-) G.G.G., specializzata in malattie dell’apparato cardiovascolare;
-) S.S.S., specializzato in fisiopatologia respiratoria;
-) T.T.T., specializzato in chirurgia della mano;
-) U.U.U., specializzato in neurofisiopatologia;
-) V.V.V., specializzato in patologia della riproduzione umana;
-) W.W.W., specializzato in microchirurgia;
-) X.X.X., specializzato in patologia generale;
-) I.I.I., specializzata in neuropsichiatria infantile.
Nessuna delle sopra elencate specializzazioni compare nel D.M. 31.10.1991 , sicché rispetto all’esito del giudizio nessun rilievo potrebbe avere la questione della retroattività di tale fonte normativa.
5.2. Pure irrilevante è la questione posta dall’ordinanza interlocutoria con riferimento alla posizione di H.H.H. (specializzata in pediatria indirizzo neonatologia e patologia neonatale), la cui domanda fu rigettata (p. 5) non per avere conseguito una specializzazione non prevista e “non equipollente”, ma per avere frequentato una scuola di durata inferiore a quella minima – triennale – prevista dal diritto comunitario, con statuizione non censurata in questa sede.
5.3. Irrilevante, ancora, è la questione posta dall’ordinanza interlocutoria con riferimento alla posizione di Y.Y.Y., specializzata in ematologia, posto che tale specializzazione è espressamente prevista dalla Direttiva 75/362, e quindi teoricamente l’attrice avrebbe avuto diritto al risarcimento.
Tuttavia l’error in iudicando della sentenza d’appello, consistito nell’avere ritenuto “non equipollente” una specializzazione espressamente prevista dalla Direttiva, non è stato censurato in questa sede, né ovviamente può essere rilevato d’ufficio dalla Corte.
5.4. In definitiva, non uno dei ricorrenti principali (“gruppo (Omissis)”) è inciso dalla questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria.
- Nondimeno, questa Corte non intende esimersi dall’affrontare la suddetta questione nell’interesse della legge, ex art. 363 c.p.c. Venendo dunque al “cuore” della questione posta dall’ordinanza interlocutoria, essa si compendia in due quesiti se abbia diritto ad essere risarcito del danno sofferto a causa della tardiva attuazione della Direttiva 75/363 e successive integrazioni colui che si sia iscritto prima del 1991 ad un corso di specializzazione non incluso tra quelli di cui agli artt. 5 e 7 dalla suddetta Direttiva, ma in seguito dichiarato ad essi equipollente con atto normativo di diritto interno; se, in caso di risposta negativa, una simile soluzione contrasti con l’ordinamento comunitario.
Ad ambedue i quesiti deve rispondersi “no”.
Quanto al primo quesito, l’ordinanza interlocutoria si fonda su tre assunti non condivisibili, i quali ne minano il successivo sviluppo.
Il primo postulato (p. 28, penultimo capoverso dell’ordinanza interlocutoria) è che non avrebbero diritto ad alcun risarcimento coloro che “hanno frequentato corsi di specializzazione di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie e comuni a due o più Stati membri, ma menzionati per la prima volta soltanto nella normativa di attuazione delle direttive comunitarie”, e cioè col D.Lgs. 257/91 e col D.M. 31.10.1991.
Postulato erroneo, perché quel diritto non fu mai negato da alcuno.
Se, infatti, la specializzazione conseguita fu coincidente con quelle previste dalla Direttiva, il risarcimento è dovuto per questa sola ragione. Se la specializzazione conseguita non fu coincidente con una di quelle previste dalla Direttiva, la giurisprudenza di questa Corte ha accordato all’interessato la possibilità di ottenere comunque il risarcimento, purché alleghi e provi l’equipollenza di fatto tra la specializzazione conseguita e quelle “comunitarie”, nonostante la differenza nominale.
Dunque l’avere conseguito una specializzazione in una materia non inclusa negli artt. 5 o 7 della Direttiva non esclude e non ha mai escluso il diritto al risarcimento semplicemente, è circostanza che addossa all’attore l’onere di provare il fatto costitutivo della pretesa, come per qualsiasi domanda risarcitoria.
Il secondo postulato da cui muove l’ordinanza interlocutoria può così riassumersi -) la Direttiva 75/362 ha imposto a ciascuno Stato membro di riconoscere i titoli di medico o medico specialista conseguiti negli altri Stati;
-) il riconoscimento tuttavia può essere automatico (quando il diploma è comune a tutti gli Stati membri, oppure a due di essi); oppure non automatico, nel caso di specializzazioni non comuni ad almeno due Stati;
-) ai fini del riconoscimento non automatico l’art. 8 della Direttiva prevede che ciascuno Stato membro possa esigere dai cittadini degli altri Stati membri che essi soddisfino le condizioni di formazione previste dal diritto interno.
Da queste previsioni l’ordinanza interlocutoria ha ritenuto di poter trarre la conclusione che il suddetto art. 8 abbia imposto a tutti gli Stati membri di “predisporre la propria normativa in modo tale da garantire anche l’operatività del criterio di riconoscimento delle ulteriori specializzazioni comuni a due o più Stati membri non espressamente inserite nell’elenco di cui all’articolo 7” (p. 30 dell’ord. int.). Così interpretato l’art. 8, se ne è tratto il corollario per cui quella norma imponeva un obbligo agli Stati membri;
il D.M. 31.10.1991 ha dato attuazione a quell’obbligo;
ergo, anche chi ha conseguito specializzazioni non previste dalla Direttiva, ma in seguito contemplate dal suddetto D.M. 31.10.1991, ha diritto ad una adeguata remunerazione.
6.4. Questa lettura dell’art. 8 Dir. 75/362 non è condivisibile. Essa muove da un erroneo presupposto interpretativo, e fa dire alla norma quel che vanamente in essa si cercherebbe.
Scopo delle Direttive 75/362 e 75/363 fu garantire la libera circolazione delle persone e il libero esercizio dell’attività professionale di medico all’interno dei confini della (in allora) Comunità.
L’attività del medico, infatti, può consistere anche in una sola prestazione, e nessun medico si sobbarcherebbe l’onere di conseguire una seconda laurea in un altro Paese, al solo fine di eseguire ivi poniamo- un solo intervento chirurgico.
Per conseguire questo risultato la Comunità non scelse però la strada del diritto uniforme, resa malagevole dalla grande difformità tra le legislazioni dei singoli Stati in materia di corsi di laurea, diplomi di specializzazione, accesso alle professioni mediche.
Lo si legge a chiare lettere nel VII Considerando della Direttiva 75/362, ove si afferma che il coordinamento da essa introdotto non ha lo scopo di “armonizzare tutte le disposizioni degli Stati membri concernenti la formazione dei medici specialisti”, ma solo quello di consentire il reciproco riconoscimento dei diplomi di laurea e di medico specialista, e che pertanto la direttiva intendeva introdurre il reciproco riconoscimento dei diplomi, ma “non un’equivalenza materiale delle formazioni cui si riferiscono tali diplomi” (così si legge nel successivo VIII Considerando).
6.5. Non è dunque esatto ritenere che l’art. 8 della Direttiva abbia imposto “obblighi di conformazione” agli Stati membri. Quella norma non ha imposto agli Stati membri alcun obbligo, ma ha solo accordato loro una facoltà quella di esigere dai cittadini degli altri Stati membri, che domandino il riconoscimento del diploma conseguito in materie non previste dalla Direttiva o conseguiti in altri Stati terzi, di “soddisfare le condizioni di formazione che esso Stato membro prescrive a tal fine” nella legislazione nazionale.
In pratica l’art. 8 impone all’Italia di riconoscere il diploma in cardiologia conseguito dal medico francese in Germania; facoltizza l’Italia a non riconoscere il diploma di cardiologia conseguito dal un medico francese in Brasile.
Sostenere, pertanto, che l’art. 8 della Direttiva 75/363 abbia imposto agli Stati membri un qualsiasi obbligo circa il numero, i contenuti e la denominazione delle specializzazioni impartite dalle Università significa, più che interpretare la norma, riscriverla.
6.6. Non condivisibile, infine, è il terzo postulato da cui muove l’ordinanza interlocutoria (p. 32) e cioè ritenere che tutti coloro i quali abbiano frequentato una scuola di specializzazione post lauream dovrebbero, per obbligo di fonte comunitaria, ricevere lo stesso trattamento.
La Direttiva 75/362 non fu un letto di Procuste che parificò la posizione di qualsiasi medico specialista.
Quella Direttiva si limitò a imporre agli Stati membri di riconoscere ad ogni effetto di legge (in particolare al fine di evitare che il medico potesse essere sanzionato per esercizio abusivo della professione) i diplomi conseguiti negli altri Stati membri, ma a condizione si trattasse di diplomi previsti dagli artt. 4 e 6, oppure riconosciuti a discrezione dallo Stato ospitante.
Le regole intese ad armonizzare i requisiti delle scuole di specializzazione erano preordinate al fine di garantire il riconoscimento reciproco delle lauree e dei diplomi (lo si afferma nel Considerando I della Direttiva 75/363), non a garantire la parità di qualsiasi specializzazione in qualsiasi materia.
6.7. Escluso dunque che l’art. 8 abbia imposto all’Italia un obbligo di prevedere l’equipollenza di questa o quella specializzazione, resta da stabilire se comunque l’introduzione del D.M. 31.10.1991 abbia inciso sulla posizione di quanti si fossero iscritti ad una scuola di specializzazione prima dell’emanazione del suddetto decreto, per concluderla dopo.
La risposta non può che essere negativa.
Allorché il legislatore diede una prima, parziale attuazione alle Direttive 75/362, 75/363 e 82/76, introdusse l’obbligo – per l’avanti non omogeneo – del tempo pieno (art. 1, D.Lgs. 257/91).
Il tempo pieno fu tuttavia imposto solo per la formazione specialistica dei medici “ammessi alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, di tipologia e durata conformi alle norme della comunità economica europea e comuni a due o più Stati membri” (art. 1, D.Lgs. cit., comma primo). Contemporaneamente, fu delegato il ministro della sanità a formare l’elenco delle suddette specializzazioni (comma 2). Il Ministro della Sanità vi provvide col D.M. 31.10.1991 (in Gazz. uff. 8.11.1991 n. 262), norma che retroattiva non era, in assenza di disposizioni di diritto intertemporale.
Infatti la Direttiva 75/362 stabilì quali specializzazioni dovessero ritenersi comuni a tutti gli Stati membri, ovvero comuni ad almeno due Stati, ma non impose affatto agli Stati membri di stabilire l’equipollenza per altre specializzazioni, non elencate dalla Direttiva. Questa era solo una facoltà lasciata ai singoli Stati, poiché per quanto detto “il coordinamento (introdotto dalla Direttiva) non ha il risultato di armonizzare tutte le disposizioni degli Stati membri concernenti la formazione dei medici specialisti”.
Dunque di quel decreto non si potrebbero invocare “ora per allora” gli effetti, al fine di pretendere dallo Stato di essere risarciti per non essere stati remunerati nel corso d’una specializzazione che lo Stato non aveva alcun obbligo di far remunerare.
6.8. Sulla questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria va dunque affermato il seguente principio di diritto “Non possono pretendere dallo Stato italiano il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362 e 75/363 e successive integrazioni, coloro i quali abbiano iniziato prima del 1991 una specializzazione non contemplata dalle suddette Direttive e di cui non sia dimostrata l’equipollenza di fatto alle specializzazioni ivi previste, a nulla rilevando che la specializzazione conseguita sia stata, in seguito, inclusa tra quelle qualificate “conformi alle norme delle Comunità economiche europee” dal D.M. 31 ottobre 1991“.
Il primo motivo del ricorso del “gruppo (Omissis)”.
Il primo motivo pone questioni identiche a quelle del primo motivo del ricorso principale, ed è inammissibile per le stesse ragioni.
Il secondo motivo del ricorso del “gruppo (Omissis)”.
Va premesso che il motivo in esame deve ritenersi riferito ai soli ricorrenti U.U., V.V., Z.Z., A.A.A. e B.B.B., la cui domanda fu rigettata in primo grado (anche) in ragione della data di iscrizione alla scuola di specializzazione, con statuizione non modificata in appello.
Il motivo è fondato, per le medesime ragioni già sopra indicate, ma con riferimento alla sola posizione dei ricorrenti U.U., V.V. e A.A.A.
Con riferimento alla posizione di Z.Z. e B.B.B. (anch’essi iscritti alla scuola di specializzazione prima del 1 gennaio 1983) il motivo, pur astrattamente fondato, è inammissibile per difetto di decisività. Infatti il rigetto delle domande da essi formulate fu basato dalla Corte d’Appello su due distinte rationes decidendi, una delle quali – per le ragioni che meglio si indicheranno infra, parr. 9.3 e 9.4 – resiste alle censure prospettate col ricorso.
Il terzo motivo del ricorso del “gruppo (Omissis)”.
Il terzo motivo del ricorso proposto dal “gruppo (Omissis)” riguarda la posizione dei soli W.W., X.X., Y.Y., Z.Z., A.A.A., B.B.B. e C.C.C.
Costoro impugnano la sentenza d’appello sostenendo che “sebbene i loro nomi non siano espressamente menzionati nel corpo della sentenza”, “si deve dedurre” che la loro domanda sia stata rigettata “per aver conseguito il titolo in una specializzazione diversa da quelle elencate dalla Direttiva”.
Segue una lunga illustrazione in diritto intesa a sostenere l’applicabilità retroattiva del D.M. 31.10.1991.
Il motivo è inammissibile per più ragioni, ed in parte infondato.
Con riferimento all’impugnazione proposta da W.W., X.X., Y.Y. e C.C.C. il motivo è (manifestamente) inammissibile per difetto di interesse.
I quattro ricorrenti suddetti infatti videro accolta la loro domanda in primo grado (W.W. per l’importo di Euro 26.855,76; X.X. ed Y.Y. per l’importo di Euro 33.569,70; C.C.C. per l’importo di Euro 46.997,4 cfr. pp. 26-27 della sentenza di primo grado), e tali statuizioni non sono state riformate in appello.
Dunque resta imperscrutabile la ragione dell’insistenza dei suddetti ricorrenti circa la retroattività del D.M. 31.10.1991.
9.2. Con riferimento a A.A.A. il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.
La relativa domanda infatti fu in primo grado rigettata non già per difetto di equipollenza tra la specializzazione conseguita e quelle previste dalle Direttive comunitarie, ma per avere iniziato la scuola di specializzazione prima del 1 gennaio 1983 (p. 23 della sentenza di primo grado). Tale statuizione fu confermata in grado di appello.
La questione della “equipollenza”, pertanto, rispetto alla posizione di A.A.A. non fu dalla Corte d’Appello nemmeno affrontata, sicché il terzo motivo di ricorso è rispetto al suddetto ricorrente inammissibile perché postula l’esistenza d’una statuizione in realtà assente nella sentenza impugnata.
9.3. Con riferimento a Z.Z. il motivo è inammissibile per carente esposizione sia dei fatti di causa che della censura, ai sensi dell’art. 366, nn. 3 e 4, c.p.c.
La domanda di Z.Z. in primo grado fu rigettata per avere questi iniziato la scuola di specializzazione prima del 1 gennaio 1983.
La Corte d’Appello confermò tale ratio decidendi e ve ne aggiunse una seconda ovvero l’avere l’interessato conseguito la specializzazione in una materia non prevista dalle Direttive 75/362 e 75/363. Tale specializzazione è indicata nella sentenza impugnata come “medicina fisica e riabilitativa”.
Senza farsi carico di tale statuizione, il ricorrente dichiara (p. 3 del ricorso) di avere conseguito una specializzazione in “chirurgia dell’apparato digerente”, sostenendo di avere diritto al risarcimento per essere tale specializzazione contemplata dal D.M. 31.10.1991.
Ne consegue che il motivo è in primo luogo inammissibile perché non si correla alle statuizioni in fatto della sentenza impugnata;
in ogni caso nella parte in cui prospetta la violazione del D.M. 31.10.1991 , il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto la specializzazione in chirurgia dell’apparato digerente è prevista dall’art. 7 della Direttiva 75/362;
non può questa Corte rilevare d’ufficio errori (l’avere negato l’equipollenza a fronte d’una coincidenza nominale tra la specializzazione conseguita e quella prevista dalla Direttiva) non espressamente censurati dal ricorrente.
A quest’ultimo riguardo reputa opportuno il Collegio aggiungere, a fronte della generale confusività del ricorso proposto dal “gruppo (Omissis)”, che una censura rispettosa dell’art. 366, n. 4, c.p.c. esige la chiara indicazione della statuizione impugnata, dell’errore di diritto che si assume esistente e delle ragioni che sottendono la censura. E nessuna illustrazione rispettosa di tali princìpi si rinviene nelle pp.
14-17 del ricorso del “gruppo (Omissis)”.
Il quarto motivo del ricorso del “gruppo (Omissis)”.
Con il quarto motivo i ricorrenti del “gruppo (Omissis)” denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 Cost., comma 2.
Deducono che la corte di merito non ha fatto luogo all’applicazione della legge e di fatto non ha motivato il suo dictum.
Il motivo è manifestamente infondato alla luce dei princìpi stabiliti da Cass. Sez. un. 8053/14, alla cui motivazione si può qui rinviare ex art. 110 disp. att. c.p.c.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico dei ricorrenti la cui impugnazione è stata rigettata, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c. I soccombenti e la misura delle spese sono indicati nel dispositivo.
La liquidazione delle spese a carico dei soccombenti è determinata come segue:
-) assumendo a base di calcolo lo scaglione di valore compreso tra 26.001 e 52.000 euro, pari all’importo della domanda di più elevato valore;
-) individuando quale parametro base il valore di Euro 4.000 (applicabile ratione temporis, e cioè prima delle modifiche di cui al D.M. 147/22)
😉 aumentando il suddetto valore nella misura stabilita dall’art. 4, comma 2, ultimo periodo, D.M. 55/14, e quindi del 30% per ciascuno dei soccombenti successivo al primo, e del 10% per ciascuno dei soccombenti successivo al 10, e quindi del 470% per i ricorrenti del “gruppo (Omissis)”, e del 180% per i ricorrenti del “gruppo (Omissis)”.
Le regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità è invece rimessa al giudice del rinvio, con riferimento ai ricorrenti la cui impugnazione è stata accolta (cioè D.D.D., F.F.F., A.A.A., U.U., V.V. e altri).
Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico dei soli ricorrenti rimasti soccombenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P.Q.M.
la Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’istruzione, del Ministero dell’Università, del Ministero della salute e del Ministero dell’Economia e delle finanze;
rigetta il primo ed il terzo motivo del ricorso principale (“gruppo (Omissis)”);
rigetta il secondo motivo del ricorso principale con riferimento alla posizione di Y.Y.Y. e H.H., nella qualità;
accoglie il secondo motivo del ricorso principale, con riferimento alla sola posizione di D.D.D., F.F.F. e altri;
rigetta il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso successivo (“gruppo (Omissis)”);
rigetta il secondo motivo del ricorso successivo, con riferimento alla posizione di Z.Z. e B.B.B.;
accoglie il secondo motivo del ricorso successivo, con riferimento alla posizione di U.U., V.V. e A.A.A.;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai, e nei limiti soggettivi dei, motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
condanna in solido ex art. 97 c.p.c. A.A., B.B., C.C., H.H.H., J.J.J., M.M.M., K.K.K., O.O.O., R.R.R., P.P.P., G.G.G., D.D., sia in proprio che quale erede di E.E., F.F. e G.G., gli ultimi due quali eredi di E.E., N.N.N., Y.Y.Y., S.S.S., T.T.T., U.U.U., V.V.V., Q.Q.Q., W.W.W., H.H., quale erede di I.I., J.J., rappresentato dall’amministratore di sostegno K.K., X.X.X., I.I.I., L.L., in proprio e quale rappresentante ex art. 320 c.c. della figlia minore M.M., le ultime due quali eredi di N.N., O.O., P.P., Q.Q., R.R. e S.S., gli ultimi cinque quali eredi di T.T., e altri ricorrenti, alla rifusione in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 22.800, oltre spese prenotate a debito;
condanna in solido ex art. 97 c.p.c. W.W., X.X., Y.Y., Z.Z., A.A.A., B.B.B., C.C.C., alla rifusione in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 12.400, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti soccombenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.