Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 11 ottobre 2024, n. 8146
PRINCIPIO DI DIRITTO
l’art. 195, comma 1, lett. p), del d. lgs. 152 del 2006 prevede la competenza dello Stato nell’indicazione dei criteri generali con riferimento alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione, ma non prevede nulla in termini contenutistici.
Dunque non limita la discrezionalità, né con riferimento alla tipologia delle caratteristiche né con riferimento alla composizione dei parametri. Il che significa che la legge ha inteso riservare ampio spazio al decisore amministrativo nell’individuazione degli indicatori delle aree non idonee o già sature (…)
Lo smaltimento in discarica è, fra tutti, il metodo considerato meno rispettoso dell’ambiente a livello sovranazionale, ai sensi della Direttiva UE 2018/850/UE e del d. lgs. 121 del 2020 e dunque, anche per il diritto unionale, esso rappresenta un rimedio estremo per il trattamento dei rifiuti che va autorizzato con particolari cautela e parsimonia.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il Programma Regionale di Gestione dei Rifiuti (P.R.G.R.), approvato dalla deliberaX/1990 del 20 giugno del 2014, integrato con la delibera X/7144 del 2 ottobre 2017, ha introdotto un nuovo criterio escludente per individuare aree non idonee all’insediamento di impianti di discarica, il cd. “fattore di pressione”, declinato in due varianti, “fattore di pressione areale” e “fattore di pressione comunale”.
In base a detto criterio non possono essere realizzati nuovi impianti quando si supera un determinato rapporto tra volumetria esistente e autorizzata degli impianti e area circostante (fattore areale) o tra volumetria esistente e autorizzata e superficie territoriale (fattore comunale).
Il progetto di ampliamento di cui si discute era compatibile con il primo indicatore, ma non con il secondo, oggetto delle doglianze formulate dalla parte appellante.
- Il primo motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di aver ritenuto legittima l’introduzione del cd. “fattore di pressione comunale”, nonostante fosse contrario alle previsioni di cui all’art. 8, comma 7, della L. Regionale Lombardia n. 12 del 2007.
Secondo la parte appellante, nella parte in cui questa previsione demanda alla Giunta Regionale di individuare ulteriori indirizzi e criteri per la “localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti che prevedano una distanza minima dalle discariche già in esercizio, esaurite o da bonificare, una densità massima delle aree destinate agli impianti per unità di superficie, anche distinguendo in base alla tipologia e una distanza minima dalle zone di protezione speciale, dai siti di importanza comunitaria e dalle aree protette e che tengano conto dei criteri e degli indirizzi indicati nel piano territoriale paesistico regionale”, innanzitutto non autorizzava a prevedere questo criterio, fondato su parametri anomali, e comunque che, prima della sua introduzione, vi era la necessità di acquisire il parere della competente Commissione consiliare, che non si è invece mai pronunciata.
Del resto, aggiunge la doglianza in esame, né la Delibera di Giunta Regionale del 13 febbraio del 2008 né la Delibera di Consiglio Regionale n. 280/2011 contenevano criteri per la localizzazione degli impianti di smaltimento che legittimavano l’introduzione del suddetto nuovo criterio.
Di conseguenza, poiché quest’ultimo rappresentava, a tutti gli effetti, un’innovazione rispetto al previgente P.R.G.R. del 27 giugno del 2005 n. 8/220, sarebbe stato necessario, prima della sua introduzione, acquisire il parere della competente Commissione consiliare.
Tanto meno, conclude il motivo in analisi, l’atto di indirizzo per l’adozione del nuovo P.R.G.R. prevedeva linee-guida che contemplavano detto nuovo criterio: infatti il cd. “fattore di pressione” volumetrico è stato introdotto solo in sede di approvazione dell’atto – anche in questo caso senza acquisire il parere della competente Commissione consiliare–in accoglimento di osservazioni proposte, in sede di procedimento, dagli interventori facoltativi.
3.1. Il motivo è infondato.
3.1.1. La delibera del Consiglio regionale n. 280/2011 ha dato mandato alla Giunta di redigere un piano contenente i criteri localizzativi per gli impianti per adeguarli alle nuove normative ed alle nuove esigenze, ai sensi del comma 7 dell’art. 8 della l.r. n.12/2007.
La detta delibera è stata preliminarmente valutata dalla Commissione consiliare competente.
3.1.2. Neppure è vero che detto criterio è apparso per la prima volta in sede di approvazione dell’atto.
Infatti il Consiglio regionale, prima dell’approvazione del PRGR, aveva adottato sia un atto di
indirizzo che la procedura di VAS, al cui interno aveva già introdotto il predetto fattore di pressione, applicando le previsioni della L. R. n.12 del 2007, che lo autorizzava ad introdurre nuovi criteri di localizzazione per le attività di smaltimento rifiuti.
Dunque sia il Consiglio regionale che la Commissione consiliare hanno partecipato al
processo redazionale che ha condotto all’introduzione del fattore di pressione (declinato nei due aspetti sopra-ricordati) tra i criteri localizzativi per gli impianti di trattamento dei rifiuti, il che esclude la contestata violazione procedimentale, perché entrambi gli organi previsti sono stati sentiti prima dell’approvazione del criterio, con conseguente dequotazione della doglianza.
- Il secondo motivo d’appello – approfondendo la contestazione già presente nel primo
mezzo- contesta alla sentenza impugnata di avere omesso di valutare la legittimità in sé del detto fattore, in quanto in contrasto coi criteri dettati dagli artt. 195, comma 1, lett. p), e 196, comma 1 lett. n), del d. lgs. n.152/2006 (cd. “codice dell’ambiente”).
Secondo la parte appellante, in base alle due disposizioni appena citate, la Giunta regionale avrebbe potuto adottare criteri esclusivamente riferibili alle caratteristiche dell’aree, mentre viceversa il parametro introdotto – essendo connesso all’estensione del territorio comunale – si basa sulle circoscrizioni amministrative che rappresentano un referente anomalo, non significativo da un punto di vista ambientale e dunque indebito.
4.1. Il motivo è infondato.
4.1.1. Prima di tutto l’art. 195, comma 1, lett. p), del d. lgs. 152 del 2006 prevede la
competenza dello Stato nell’indicazione dei criteri generali con riferimento alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione, ma non prevede nulla in termini contenutistici. Dunque non limita la discrezionalità, né con riferimento alla tipologia delle caratteristiche né con riferimento alla composizione dei parametri.
Il che significa che la legge ha inteso riservare ampio spazio al decisore amministrativo
nell’individuazione degli indicatori delle aree non idonee o già sature.
Di conseguenza l’obiezione in esame – che vorrebbe limitare le possibilità di caratterizzazione alle sole specificità ambientali dei siti e non anche ad altri dati parametrici, quali appunto quelli della densità abitativa di comuni limitrofi alla localizzazione – non ha pregio.
4.1.2. Dal canto suo, l’art. 196, comma 1, lett. n), del codice dell’ambiente prevede, per
quanto concerne i poteri delle regioni, che questi enti possano individuare gli indicatori, nel rispetto dei criteri generali. E poiché, come appena visto, questi ultimi sono indicati in modo molto generico dalla normativa, è evidente che residua ampio spazio alla discrezionalità regionale in materia per individuare le aree non idonee all’installazione delle discariche.
4.1.3. Quanto precede conferma la legittimità del criterio in discussione, fondato sull’estensione (e sulla densità) delle circoscrizioni amministrative comunali esistenti in prossimità degli impianti.
Criterio che, oltre tutto, detto per incidens, non è affatto irragionevole in sé, perché si fonda su di un dato, appunto quello dell’estensione del territorio comunale, che rappresenta un elemento di base per la stessa pianificazione territoriale e urbanistica, a sua volta, strettamente connessa, per evidenti motivi, a quella avente ad oggetto la collocazione degli impianti di trattamento dei rifiuti.
- Il sub-motivo al primo motivo d’appello sostiene che l’art. 8 comma 7 l. r. n.12 del 2007
non autorizzerebbe, né l’introduzione di criteri fondati su parametri diversi da quello della superficie occupata dall’impianto, né tanto meno l’introduzione di un criterio variabile, quale quello in esame, che dipende dall’estensione territoriale di ciascun comune.
Sostiene la parte appellante che i criteri ipotizzati dalla norma per l’individuazione delle aree non idonee, per come conformata, dovrebbero essere fissi e non declinabili, rendendo altrimenti elevato il rischio di una disparità di trattamento in danno degli imprenditori del settore che operano in aree dove la densità abitativa e la presenza di discariche sia più elevata.
5.1. Il motivo è infondato.
5.1.1. Il comma 7 citato, nell’attribuire alla Giunta regionale la facoltà di individuare ulteriori criteri di localizzazione, prevede quali direttrici da seguire, oltre alla distanza massima dalle discariche già in esercizio, anche la “densità massima delle aree destinate agli impianti per unità di superficie”.
La nozione legislativa di “densità massima”, volutamente ampia, come condivisibilmente
sostenuto dal primo giudice, può includere anche il volume, ossia la capienza di un impianto, e non è necessariamente riferibile alla sola superficie, rispetto alla quale rappresenterebbe un doppione di un criterio già presente nelle normative previgenti.
Quindi può concludersi che il criterio utilizzato, fondandosi nella corretta misura sull’ampiezza semantica del termine “densità” utilizzato dal legislatore, è conforme alle previsioni della legge regionale n.12/2007.
5.1.2. Una volta ammesso quale indice parametrico anche quello relativo al volume, ne
discende la natura inevitabilmente variabile del relativo valore.
Del resto in nessuna parte della disposizione è imposto di non declinare in parametri e quindi la loro fissità per individuare le aree non idonee, come preteso dal motivo in esame.
5.1.3. Quanto al rischio che l’applicazione di detto criterio si riveli disparitaria, penalizzando le iniziative imprenditoriali avviate in prossimità dei comuni più grandi, non può che ribadirsi che, se anche fosse vero che quello della densità delle aree è un criterio inevitabilmente variabile a seconda delle singole localizzazioni, non può negarsi che si tratta di un parametro intrinsecamente ragionevole, oltre che, per quello che si è visto, conforme alla legge regionale.
- Il secondo sub-motivo al secondo motivo d’appello contesta il contrasto del predetto
criterio con l’art. 197, comma 1, lett. d), del codice dell’ambiente.
Secondo questa prospettiva le sole province potrebbero decidere quali siano le zone non idonee per l’insediamento di discariche, mentre invece, dettando un criterio generale, la Giunta Regionale avrebbe indebitamente invaso le prerogative del suddetto ente locale, oggi in parte delegate alla città metropolitana, come nel caso di specie.
6.1. Il motivo è infondato. La lett. d) comma 1 dell’art. 197 del d. lgs. n.152 del 2006 attribuisce alle province i poteri di controllo delle attività di gestione e commercio dei rifiuti, tra cui quello di accertare le eventuali violazioni da esse commesse.
Viceversa, a norma del precedente art. 196, comma 1, lett. n), del citato decreto legislativo, spetta alle regioni l’individuazione dei criteri di distribuzione sul territorio degli impianti.
- Il terzo motivo d’appello contesta il difetto di proporzionalità del criterio in esame.
La parte appellante ritiene che detto criterio – fondato sul rapporto volume/superficie – sia superfluo, se non inutile, dal momento che persegue finalità già coperte dalla previsione di altri criteri escludenti, già presenti nella normativa legislativa e regolamentare vigente.
A supporto delle sue deduzioni, la parte appellante richiama i motivi che hanno giustificato la sua introduzione, evincibili dalla stessa DGR X/7144/2017 la quale giustifica l’adozione di un criterio fondato sul volume dei rifiuti oggetto dell’attività da autorizzare, ritenendolo indice di una serie di elementi significativi ai fini dell’autorizzabilità, quale “il numero di mezzi utilizzati per il conferimento con relativi impatti, l’impatto derivante dal conferimento in discarica e dalle operazioni gestionali della discarica, la quantità di inquinanti esistenti nel sito e quindi potenzialmente rilasciabili in falda, atmosfera ed acque superficiali”
Detti elementi, a dire della doglianza in esame, sono gli stessi che devono essere tenuti in considerazione nell’ambito della valutazione di impatto ambientale, alla quale i progetti di realizzazione (e o di ampliamento) di nuovi impianti sono comunque soggetti, il che confermerebbe la superfluità del parametro, che risulterebbe, per l’appunto, un inutile “doppione” della VIA.
In definitiva, l’introduzione di questa previsione violerebbe il principio di proporzionalità, di
derivazione unionale, né sarebbe giustificato alla luce dell’altro principio, sempre di derivazione UE, di precauzione, dal momento che anche quest’ultimo è (meglio) garantito dalla procedura di VIA.
Queste considerazioni valgono, a maggior ragione, per lo specifico fattore di pressione comunale che, rapportando il parametro all’estensione del territorio comunale, finisce per far derivare, a priori da tale grandezza una maggiore incidenza dell’impatto ambientale, nonostante si tratti di due elementi fra loro non direttamente correlati.
6.1. Il motivo è infondato.
6.1.1. Partendo da quest’ultimo punto, conviene ribadire che detto fattore non si rivela affatto
irragionevole ed anzi, che lo stesso, che si interseca con le funzioni di pianificazione territoriale, si rivela perfettamente congruo con le esigenze connesse all’interesse pubblico della gestione del territorio, che evidentemente vanno valutate al momento della realizzazione (o dell’ampliamento, come accade nel caso di specie) di un impianto di trattamento di rifiuti.
6.1.2. In secondo luogo, come pure già ricordato, la legge prevedeva un’ampia estensione
alla discrezionalità amministrativa della regione per quanto riguarda la possibilità di individuare criteri localizzativi per aree non idonee, con un’estensione semantica vieppiù opportuna e comprensibile, considerato che quelli in questione producono comunque effetti non benefici per il territorio di insediamento.
Del resto, lo smaltimento in discarica è, fra tutti, il metodo considerato meno rispettoso dell’ambiente a livello sovranazionale, ai sensi della Direttiva UE 2018/850/UE e del d. lgs. 121 del 2020 e dunque, anche per il diritto unionale, esso rappresenta un rimedio estremo per il trattamento dei rifiuti che va autorizzato con particolari cautela e parsimonia.
Anche sotto questo aspetto la significativa autonomia che la legge riconosce alla discrezionalità amministrativa non può dirsi illegittima, essendo conforme ai principi dettati in sede europea.
E poiché, come pure già osservato, non può dirsi che detto potere tecnico-amministrativo
sia stato esercitato in modo palesemente disfunzionale nel caso di specie, a fortiori si rivela l’infondatezza della doglianza in esame.
6.1.3. Da ultimo in diritto non è sostenibile che questi due procedimenti, ossia quello, di carattere regolativo generale, posto “a monte” che delimita i criteri localizzativi, e quello, di VIA – che scatta al momento dell’avvio di un procedimento avente ad oggetto un progetto per la realizzazione della discarica, dunque posizionato “a valle” dell’intervento regolativo, che valuta l’impatto ambientale di un singolo progetto – siano fra loro sovrapponibili.
Il secondo, infatti, ha ad oggetto semplicemente la valutazione di un progetto, ha valenza pianificatoria, e rappresenta una procedura di screening iniziale per valutare in via preliminare la procedibilità dell’istanza avente ad oggetto progetti con verosimili significativi impatti ambientali; viceversa, il secondo, costituisce un procedimento regolativo, avente ad oggetto, in via generale ed astratta, l’individuazione di un criterio di localizzazione (rectius: un criterio escludente la localizzazione).
Parametro quest’ultimo, fondato sulle caratteristiche, anche amministrative del territorio di installazione e che l’amministrazione è chiamata ad applicare in concreto, in occasione della presentazione di istanze aventi ad oggetto la realizzazione o l’ampliamento di discariche.
Questo significa che le suddette due procedure, diversamente da quanto opinato dalla parte appellante, non sono sovrapponibili.
Dunque il fatto che, per un progetto sia prevista la sua sottoposizione a VIA non esclude né “assorbe” la diversa valutazione, avente ad oggetto la verifica del rispetto del parametro rappresentato dal “fattore di pressione comunale”, che è criterio autonomo e diverso dall’impatto ambientale, che mira ad evitare la concentrazione degli impianti di trattamento di rifiuti su determinati territori, già saturi.
Mentre con la VIA, che valuta il complessivo impatto ambientale dell’intervento, si esprime
un giudizio contenutisticamente e funzionalmente diverso.
6.1.4. In definitiva il criterio in esame non rappresenta un criterio inutile né superfluo, perché copre spazi valutativi differenti da quelli che sono oggetto della valutazione di impatto ambientale e, di conseguenza, non viola neppure il principio di proporzionalità dell’intervento amministrativo.
- In una prospettiva parzialmente omogenea al precedente, il quarto motivo d’appello contesta il difetto di proporzionalità con specifico riferimento alla disposizione di cui al paragrafo 14.6.3. dell’Appendice alle N.T.A. del PRGR, almeno nel caso in cui se ne volesse dare un’interpretazione retroattiva, applicabile alle discariche già in esercizio.
7.1. Va premesso che il motivo, per come è formulato, non è agevolmente comprensibile almeno con riferimento al presente giudizio.
7.1.1. Laddove con esso si contesti l’operato dell’amministrazione, nel caso in cui, ritenendo applicabile “ora per allora” detto criterio, voglia ridurre i volumi originariamente autorizzati alla parte appellante, il motivo è inammissibile, perché non risulta in atti un provvedimento dell’amministrazione avente tale contenuto e dunque la parte non ha interesse a far valere la relativa doglianza.
7.1.2. Se, viceversa, con esso si intende contestare all’amministrazione di avere incluso, nel calcolo dell’indice di saturazione secondo il nuovo criterio, anche le precedenti volumetrie già autorizzate per l’impianto gestito dalla parte appellante, il motivo è infondato perché ciò non significa far operare retroattivamente il relativo parametro, ma solo applicarlo correttamente rispetto all’istanza di ampliamento, che è stata presentata in vigenza della nuova normativa regolativa.
In altre parole, l’amministrazione aveva il dovere di far rientrare, nel complessivo calcolo effettuato con riferimento al fattore di pressione comunale, anche le dimensioni e i relativi volumi delle discariche già autorizzate, proprio considerata la ratio del criterio in esame, che è quella di evitare concentrazioni di discariche (e quindi di quantità di volumi di rifiuti) in territori saturi.
7.1.3 Nei limiti appena detti, rispondendo ad un criterio logico oltre che coerente con le ragioni per le quali la previsione parametrica è stata introdotta, la contestata applicazione della disposizione non si rivela incongrua né tanto meno sproporzionata, ma addirittura corretta e, in un certo senso, “dovuta”.
Da qui la dequotazione della doglianza.
- Il quinto motivo d’appello contesta il contrasto della normativa regionale con il diritto UE..
In particolare, sostiene la parte appellante che la Direttiva 85/337/CEE prevedendo la sottoposizione del progetto alla VIA per l’autorizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti, riserverebbe a quest’ultima procedura la complessiva valutazione del conseguente impatto ambientale.
Al contrario la normativa in questione, imponendo un criterio localizzativo astratto finirebbe per essere pregiudizialmente ostativa all’azionamento di una procedura di verifica di compatibilità ambientale imposta dalla normativa unionale, con conseguente violazione di quest’ultima.
8.1. Innanzitutto è dubbio che vi sia un interesse della parte appellante a sollevare la relativa questione perché: 1. l’amministrazione non ha escluso che la richiesta di ampliamento proposta dalla parte appellante dovesse essere sottoposta a VIA (ma tale passaggio era evidentemente superfluo, in fatto, essendosi evidenziato il contrasto col parametro regolativo NdR); 2. il procedimento di VIA avrebbe aggravato e non semplificato la procedura, dunque l’esponente non trarrebbe alcun giovamento da esso.
Il che rende non rilevante la sollevata questione pregiudiziale ai fini della risoluzione della
presente controversia.
8.2. In ogni caso il motivo è infondato.
8.2.1. Si è già osservato come non possa fondatamente sostenersi che il fattore di pressione
comunale rappresenti un criterio irragionevole, essendo funzionale ad evitare la concentrazione delle discariche su di un dato territorio, in coerenza coi principi unionali che guardano con particolare sfavore a questa tipologia di impianti.
8.2.2. Si è pure già detto che la funzione riveniente dall’applicazione di questo criterio – che è astratto nella previsione regolativa che lo contempla e diviene concreto solo una volta applicato dalla competente amministrazione – non si sovrappone a quella della VIA, che ha oggetto una valutazione finalizzata alla verifica del complessivo impatto ambientale prevedibile dalla realizzazione di un impianto produttivo.
Questo implica che i due istituti non confliggono fra loro né si sovrappongono, il che, in ipotesi, potrebbe anche consentire ad un progetto che non sia in linea con il fattore di pressione comunale, di essere comunque sottoposto a VIA. In altre parole, la condizione regolativa di cui alla Delibera giuntale impugnata non pregiudica l’operatività dell’istituto europeo, con evidente manifesta infondatezza della relativa questione di pregiudizialità sollevata dalla parte.
- Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le ragioni della controversia giustificano la compensazione integrale delle spese di giudizio.