<p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 17 aprile 2019 n. 90</strong></p> <p style="text-align: justify;">Per costante giurisprudenza della Corte (ex multis, sentenza n. 13 del 2016, punto 5.4. del Considerato in diritto), il diritto di percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto (art. 36 Cost.) non è correttamente evocato con riguardo all’opera prestata dagli ausiliari del giudice: l’adeguatezza del compenso, difatti, non può essere valutata con riferimento all’art. 36 Cost., che postula «un necessario e logico confronto tra prestazioni e retribuzione» e la possibilità di ricostruire l’incidenza delle singole prestazioni sulla complessiva attività dell’ausiliario e sulla «formazione dell’intero reddito professionale del singolo prestatore» (sentenza n. 88 del 1970, punto 4. del Considerato in diritto, richiamata dalla sentenza n. 41 del 1996, punto 6. del Considerato in diritto), presupposti che difettano nel caso di specie.</p> <p style="text-align: justify;">La liquidazione del compenso degli esperti si colloca nell’alveo dell’attività giurisdizionale e, per costante giurisprudenza della Corte, il principio di buon andamento (art. 97 Cost.), è «riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, non all’attività giurisdizionale in senso stretto» (ex multis, sentenza n. 91 del 2018, punto 9. del Considerato in diritto).</p> <p style="text-align: justify;">Il legislatore, con le modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2015, si è limitato a fissare un criterio oggettivo di determinazione del compenso di un professionista che opera come ausiliario del giudice; l’opera degli ausiliari del giudice, peraltro, non può essere ricondotta al paradigma dell’art. 41 Cost.: tali figure, investite di un munus publicum, non possono essere assimilate ai professionisti che operano in un contesto di mercato (ordinanza n. 391 del 1988)ed è proprio la connotazione pubblicistica che permea l’attività degli esperti a precludere dunque ogni raffronto con i professionisti che lavorano in piena autonomia.</p> <p style="text-align: justify;">In tema di vendite effettuate in àmbito fallimentare, il giudice a quo muove dal presupposto che il giudice delegato, nella liquidazione del compenso degli «operatori esperti» chiamati a stimare i beni, possa derogare ai criteri sanciti dall’art. 161, terzo comma, disp. att. cod. proc. civ.; tale presupposto interpretativo non può tuttavia essere condiviso. In base all’art. 107, secondo comma, del r.d. n. 267 del 1942, nel programma di liquidazione il curatore può prevedere che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati siano «effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili»; il richiamo alle disposizioni del codice di procedura civile è inequivocabile e onnicomprensivo e non può non includere le disposizioni in tema di liquidazione del compenso, che si rivelano compatibili con la speciale disciplina fallimentare; alle medesime conclusioni si giunge anche per la fattispecie delineata dall’art. 107, primo comma, del r.d. n. 267 del 1942, che riguarda «[l]e vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione» ed «effettuati dal curatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati». Il legislatore, nel testo novellato dall’art. 11, comma 1, del d.l. n. 83 del 2015, ha richiamato le sole disposizioni del codice di rito in tema di pubblicità (art. 490, primo comma, cod. proc. civ.) e di versamento rateale del prezzo (artt. 569, terzo comma, terzo periodo, 574, primo comma, secondo periodo, e 587, primo comma, secondo periodo, cod. proc. civ.); tuttavia, la normativa codicistica rappresenta pur sempre il modello generale, al quale anche la disciplina fallimentare in linea di massima si conforma; in tal senso si è orientata la giurisprudenza di legittimità: pur pronunciandosi su una fattispecie antecedente alle innovazioni dettate dal d.l. n. 83 del 2015, la Corte di cassazione ha evidenziato che, sotto il profilo funzionale, la figura dell’operatore esperto di cui all’art. 107 del r.d. n. 267 del 1942 può essere accostata a quella dell’esperto incaricato di determinare il valore degli immobili assoggettati alla vendita forzata e che, pertanto, in virtù di un siffatto «parallelismo», omogeneo deve essere il criterio di determinazione del compenso (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 22 dicembre 2017, n. 30906). La recente riforma delle procedure concorsuali ha fugato a tale riguardo ogni dubbio interpretativo: l’art. 216, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), specifica che il compenso dell’esperto «è liquidato a norma dell’articolo 161, terzo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile»; per le fattispecie che la novella interviene a regolare secondo la disciplina transitoria degli artt. 389 e 390 del d.lgs. n. 14 del 2019, trova dunque testuale conferma quel che già si poteva desumere dall’interpretazione sistematica del dettato normativo previgente. Non si ravvisa, pertanto, la censurata difformità tra le esecuzioni immobiliari e la vendita degli immobili appartenenti al fallimento.</p> <p style="text-align: justify;">Con riguardo ai consulenti tecnici d’ufficio nominati nel giudizio di scioglimento della comunione ordinaria o ereditaria, emerge prima facie l’eterogeneità delle fattispecie poste a raffronto, che impedisce ogni valutazione comparativa: le vendite forzate, sia mobiliari sia immobiliari, presentano infatti una irriducibile specificità, che si riflette nelle scelte eminentemente discrezionali del legislatore, volte a incentivare, mediante un’autonoma e compiuta disciplina, l’efficienza di un settore di importanza nevralgica; diverse sono le caratteristiche dell’àmbito più circoscritto dei giudizi di scioglimento della comunione, sia ordinaria sia ereditaria: in tali giudizi la vendita è un epilogo meramente eventuale, subordinato alla non comoda divisibilità dell’immobile comune e alla mancanza di richieste di attribuzione dell’intero da parte del condividente che abbia diritto alla quota maggiore o da parte di più condividenti, che formulino in tal senso un’istanza congiunta (art. 720 del codice civile): non si potrebbe, pertanto, neppure prefigurare un criterio di determinazione del compenso calibrato su un esito, la vendita, che il legislatore delinea come extrema ratio; diversi sono anche i compiti che il consulente tecnico d’ufficio svolge rispetto all’esperto designato nelle procedure esecutive immobiliari e tale diversità non manca di riverberarsi, nei termini che saranno indicati, sulla determinazione del compenso.</p> <p style="text-align: justify;">Il giudice a quo imputa al legislatore di avere dettato una disciplina irragionevole, perché fuorviato da «un infondato, quanto diffuso pregiudizio nei confronti della categoria degli esperti stimatori, tacciati di effettuare stime troppo alte, al fine di lucrare compensi più elevati»; si deve rilevare che al nuovo criterio di determinazione del compenso è innegabilmente sottesa una finalità di contenimento dei costi delle stime, che costituiscono una parte non trascurabile dei costi complessivi delle procedure esecutive; il legislatore si prefigge di porre rimedio a talune prassi distorte, che inducono ad attribuire valori di stima spropositati, al solo scopo di conseguire compensi più cospicui. La finalità di reprimere un fenomeno patologico non esaurisce gli obiettivi dell’intervento riformatore: la disposizione censurata, introdotta nel testo del d.l. n. 83 del 2015 all’esito dell’esame svolto in sede referente dalla II Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati, si iscrive in un disegno di più vasta portata, che, anche mediante l’istituzione del portale delle vendite pubbliche, mira a rendere più efficienti le procedure di vendita forzata e a promuovere la completezza e la trasparenza delle informazioni (Risposte scritte del Ministro della giustizia, rese il 20 ottobre 2016 e il 3 marzo 2017 in riferimento, rispettivamente, alle interrogazioni a risposta scritta 4-04959 del 15 dicembre 2015 e 4-06699 del 24 novembre 2016, presentate nelle sedute n. 553 e n. 730 del Senato); la disposizione, peraltro, si rivela tutt’altro che eccentrica, se solo si considera che recepisce, per il settore delle espropriazioni immobiliari, un criterio di determinazione del compenso dell’esperto già applicato nelle espropriazioni mobiliari; l’art. 518, terzo comma, cod. proc. civ., introdotto dall’art. 6, comma 1, della legge 24 febbraio 2006, n. 52 (Riforma delle esecuzioni mobiliari), dispone che il giudice dell’esecuzione liquidi «le spese ed il compenso spettanti all’esperto, tenuto conto dei valori di effettiva vendita o assegnazione dei beni o, in qualunque altro caso, sulla base dei valori stimati»; dunque, per tutti i settori dell’espropriazione forzata, la disposizione censurata armonizza il criterio di determinazione del compenso degli esperti, oggi assoggettato a regole uniformi.</p> <p style="text-align: justify;">La finalità di contenimento dei costi e di razionalizzazione non è perseguita con mezzi sproporzionati, che implichino un sacrificio arbitrario del diritto del professionista di essere remunerato in maniera adeguata per l’opera svolta; spetta infatti alla discrezionalità del legislatore contemperare tale diritto con la doverosa considerazione del carattere pubblicistico dell’incarico; con l’esigenza di conferire un adeguato rilievo all’opera qualificata degli stimatori, che consente di rendere più spedita e fruttuosa la stessa vendita forzata, coesiste l’obiettivo, nell’interesse di tutte le parti, di non gravare la procedura di costi eccessivi, che potrebbero pregiudicare la stessa tutela esecutiva del credito. Tanto premesso, non si può ritenere che le scelte del legislatore siano manifestamente irragionevoli; il fatto che, per comune apprezzamento, il valore di stima dell’immobile differisca dal valore di vendita, e che, nella stima del bene, si prescriva un criterio di massima, il valore di mercato, disatteso nella liquidazione del compenso, non denota di per sé l’irragionevolezza della previsione censurata; il valore di vendita, difatti, pur condizionato da numerose variabili, non è inidoneo a rispecchiare il pregio dell’impegno professionale, secondo un rapporto di ragionevole correlazione; a tale riguardo, si deve rilevare che la riforma del 2015 ha profondamente innovato il criterio di determinazione del valore dell’immobile espropriato e ha vincolato la stima dell’esperto a parametri puntuali, che superano il previgente e oramai desueto metodo “catastale” (art. 568, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo sostituito dall’art. 13, comma 1, lettera o, del d.l. n. 83 del 2015); il valore dell’immobile è determinato alla stregua di criteri oggettivi e circostanziati, calibrati anche sulle peculiarità della vendita forzata, il sistema essendo congegnato in modo da contenere entro limiti tollerabili il divario tra il valore di stima e il valore di vendita, che altrimenti metterebbe a repentaglio la tempestività e la fruttuosità della vendita forzata. La disciplina della vendita forzata, nelle relative, diverse tipologie (con e senza incanto), è poi strutturata in modo da raggiungere, anche per impulso dei poteri direttivi attribuiti al giudice, un risultato proficuo nei pur differenti contesti di riferimento; si deve escludere, pertanto, che la discordanza tra il valore di stima e il valore di vendita presenti quel carattere strutturale e marcato, che solo renderebbe manifestamente inadeguato il criterio di determinazione del compenso prescelto dal legislatore; inoltre, quando l’espropriazione forzata non approdi, per qualsiasi ragione, alla vendita e alla distribuzione del ricavato, soccorre, in via sussidiaria, il criterio del valore di stima; tale conclusione è avvalorata dalla disciplina delle espropriazioni mobiliari (art. 518, terzo comma, cod. proc. civ.), che attribuisce rilievo al valore stimato, quando non si possa applicare il valore di effettiva vendita o di assegnazione. L’esigenza di assicurare la coerenza del sistema e, per altro verso, di remunerare l’opera prestata dal professionista impone di applicare il criterio residuale del valore di stima anche alle espropriazioni immobiliari, in consonanza con l’obiettivo di armonizzare la disciplina dei compensi degli esperti, sotteso all’intervento riformatore del d.l. n. 83 del 2015 (le già citate risposte scritte del Ministro della giustizia, rese il 20 ottobre 2016 e il 3 marzo 2017); il valore di stima è comunque rimesso al ponderato apprezzamento del giudice, che dovrà vagliarne la congruità nel determinare il compenso dell’esperto alla stregua del pregio e dell’utilità dell’opera prestata: neppure da questo punto di vista, pertanto, si ravvisa l’irragionevolezza di un criterio di determinazione legato al valore di vendita, poiché un criterio così congegnato non conduce a negare il diritto al compenso, quando la vendita non si perfezioni.</p> <p style="text-align: justify;">Il giudice a quo, allo scopo di avvalorare l’irragionevolezza della disposizione censurata, evidenzia che il legislatore, per un verso, demanda all’esperto ulteriori e rilevanti compiti, come emerge dal più articolato contenuto della relazione di stima (art. 173-bis disp. att. cod. proc. civ.), e, per altro verso, riduce il compenso che gli spetta, ancorandolo al valore di vendita; il rimettente assume che l’ordinamento non consenta di graduare la liquidazione del compenso in ragione della complessità di ogni singolo incarico e della pluralità di compiti che l’esperto è chiamato a svolgere. L’assunto tuttavia non è fondato. Nella valutazione dell’opera dell’esperto, il giudice ricorrerà ai parametri del decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale), che consentono di ponderare i variegati compiti attribuiti all’esperto; tali compiti, difatti, non si esauriscono nella mera stima dell’immobile, considerata dall’art. 13 del decreto ministeriale 30 maggio 2002 con riguardo alla eterogenea peculiarità dei singoli cespiti, ma comprendono anche le verifiche urbanistico-edilizie (art. 11), la verifica di rispondenza tecnica alle norme e gli accertamenti in materia di rilievi topografici e planimetrici (art. 12), la verifica della congruità del canone di locazione (art. 16); il giudice potrà applicare il criterio residuale delle vacazioni (art. 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319, recante «Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria»), allo scopo di tenere nel debito conto il tempo impiegato dall’esperto per adempiere all’incarico anche con riguardo alle attività che non trovino un puntuale riscontro nei parametri tabellari. L’ordinamento offre dunque al prudente apprezzamento del giudice, anche mediante l’applicazione congiunta dei diversi criteri di liquidazione, gli strumenti più efficaci per proporzionare il compenso alla difficoltà dell’incarico e alla più vasta gamma dei compiti, senza dar luogo a duplicazioni di sorta e senza svilire l’impegno assicurato dall’ausiliario.</p> <p style="text-align: justify;">Al caso di specie non si attagliano le enunciazioni della sentenza n. 192 del 2015, menzionate dal rimettente a sostegno delle prospettate censure. Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 106-bis del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui aveva disposto la diminuzione di un terzo degli importi spettanti all’ausiliario del magistrato, la Corte ha censurato «un significativo e drastico intervento di riduzione dei compensi» (punto 5.1. del Considerato in diritto), che aveva decurtato in misura apprezzabile compensi da lungo tempo non adeguati alle variazioni del costo della vita; diverso è invece il caso sottoposto all’odierno scrutinio della Corte, il legislatore non avendo provveduto a una riduzione radicale dei compensi degli esperti, ma, nell’àmbito di un più articolato disegno, finalizzato a incentivare la competitività delle esecuzioni immobiliari, avendo piuttosto introdotto un nuovo criterio di liquidazione, già presente nel sistema e correlato, in maniera non irragionevole, al valore di vendita.</p> <p style="text-align: justify;">La disposizione censurata non incorre nelle censure di irragionevolezza formulate dal rimettente, neppure nella parte in cui rimanda la liquidazione definitiva del compenso al momento della vendita: tale previsione, difatti, è il corollario di un criterio di determinazione del compenso parametrato al valore di vendita e immune, per le ragioni sin qui esposte, dai vizi denunciati; inoltre, il legislatore, nel temperare il rigore di tale previsione con un appropriato correttivo, consente la liquidazione di acconti nella non trascurabile misura del 50 per cento del valore di stima; anche in quest’àmbito, dunque, la disciplina dettata dal d.l. n. 83 del 2015 ha attuato un bilanciamento non irragionevole tra i diversi interessi rilevanti e non ha mancato di apprestare tutela anche al diritto dei professionisti di ricevere – senza dilazioni ingiustificate – un compenso adeguato all’impegno garantito.</p> <p style="text-align: justify;">Vanno dichiarati inammissibili gli interventi spiegati dall’Associazione dei periti e degli esperti - Istituto per la tutela e la qualità della consulenza di tipo giudiziario (APE nazionale), dall’Associazione dei periti e degli esperti della Toscana - Istituto per la tutela e la qualità della consulenza di tipo giudiziario (APE Toscana), dalla Rete nazionale delle professioni dell’area tecnica e scientifica (RPT) e dall’associazione «E-Valuations: Estimo e Valutazioni - Associazione valutatori immobiliari indipendenti»; vanno poi dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 161, terzo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, aggiunto dall’art. 14, comma 1, lettera a-ter) del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, sollevate dal Tribunale ordinario di Vicenza, in funzione di giudice dell’esecuzione immobiliare, in riferimento agli artt. 3, 36, 41, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, «quest’ultimo in relazione al principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto comunitario primario». E’ dunque costituzionalmente legittimo l’art. 161, comma 3, disp. att. c.p.c., laddove prevede che il compenso dell’esperto o dello stimatore nominato dal giudice è calcolato sulla base del prezzo che si ricava dalla vendita.</p>