Corte di Cassazione, Sez. II civile, ordinanza 18/09/2024, n. 25116
PRINCIPIO DI DIRITTO
Ove il testatore, dopo avere apposto una condizione sospensiva, dipendente anche dalla sua volontà, alla disposizione testamentaria, ne impedisca l’avveramento, la disposizione testamentaria, ove non revocata, resta pienamente efficace.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
A.F., con testamento olografo del (OMISSIS) espresse la volontà di lasciare <<tutto quanto in mio possesso del mio patrimonio (…) ai miei nipoti: A.F. nato a (OMISSIS) e A.P. nata a (OMISSIS) – e chiede loro che si impegnano ad accudirmi in mia vita natural durante in mio Castello (OMISSIS) e provincia di Salerno (…)>>.
1.1. Tralasciata la parte di vicenda giudiziaria che oramai non rileva, va ricordato che S.M. e S.M.R., F.N., F.G., F.G. e F.N., L.G. e F.G.E. citarono in giudizio S.I., A.S., A.A., A.A.M., A.P., A.F. e A.M. (OMISSIS), S.F., A.R., A.T., A.F., A.C., A.M. (OMISSIS), nonché l’avv. E.B., nella qualità di custode giudiziale.
- L’adito Tribunale, sempre avuto riguardo alla materia ancora controversa, nel rigettare le domande principali e quelle riconvenzionali, dichiarando, inoltre, l’inefficacia del sequestro in atto, escluse che con il testamento fosse stato istituito un patto successorio, vietato dalla legge, e che lo stesso fosse viziato da errore, violenza o dolo.
Quanto all’impegno per l’accudimento, quel Giudice sostenne che si ebbe a trattare di un mero desiderio, privo d’efficacia condizionante e che la conclusione non sarebbe mutata pur ove lo si fosse considerato come onere, trattandosi d’un adempimento, originariamente possibile, successivamente divenuto impossibile per decisione del testatore, il quale aveva categoricamente rifiutato di trasferirsi nel paese natio e di essere accudito dai nipoti.
- La Corte d’appello di Trieste rigettò l’impugnazione di S.M., F.G., e F.N., S.F. e S.M.R., sia pure modificando e integrando la motivazione del giudice di primo grado.
– Doveva escludersi trattarsi di onere per la ragione decisiva che esso presuppone l’avvenuta delazione, nel mentre qui si trattava di prestare assistenza al testatore in vita.
– Dal complessivo vaglio probatorio doveva escludersi che il testatore volle esprimere un mero desiderio privo di rilevanza giuridica.
– Trattavasi, invece, di condizione sospensiva, divenuta impossibile per successivo fermo volere dello stesso disponente, ma non originariamente tale (da qui la non applicabilità dell’art. 634, co. 2, cod. civ.), con il risultato che doveva trovare applicazione l’art. 1359 cod. civ., <<riferibile anche ai comportamenti di chi in concreto abbia dimostrato, con una condotta successiva, di non avere più interesse al verificarsi della condizione (Cass. 24325/2011; Cass. 13457/2004), con la conseguenza che la condizione deve ritenersi adempiuta>>.
- G. e F.N., S.F., S.M. e S.M.R. ricorrono sulla base di due motivi.
S.I. controricorre aderendo alla posizione dei ricorrenti.
Resistono con controricorso A.P. e A.F.. Tutte le parti hanno depositato memoria illustrativa.
[…] Con il secondo motivo viene denunciata <<errata applicazione>> dell’art. 1359 cod. civ.
I ricorrenti sostengono che la norma evocata non era applicabile alla fattispecie in esame, trattandosi di evento <<inoppugnabilmente possibile, futuro ed incerto alla data di redazione del testamento>>. L’art. 1359 cod. civ., si soggiunge, è posto a tutela di posizioni giuridiche attive (l’aspettativa dell’altro contraente), situazione che qui non ricorreva affatto, stante che <<il chiamato, obbligato ad adempiere la prestazione assistenziale in favore del testatore (…) non è titolare, fino alla morte del testatore, di alcuna aspettativa (…) giuridica>>. Diverso il caso in cui <<la situazione di pendenza scaturente dalla condizione sospensiva sussista alla data di apertura della successione e consenta di individuare una vicenda riconducibile, per analogia od interpretazione estensiva, alla fattispecie prevista dall’art. 1359 c.c.>>.
6.1. La censura deve essere rigettata, sia pure con motivazione diversa rispetto a quella adottata dalla Corte di Trieste.
Il richiamo all’art. 1359 cod. civ. non è condivisibile.
La previsione normativa anzidetta dispone che la condizione debba considerarsi avverata “qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”. All’evidenza, essa regola i rapporti fra le parti di un contratto, così da impedire che la parte che resterebbe favorita dal non avveramento, si adoperi, ai danni dell’altra parte, perché ciò avvenga.
La natura di negozio giuridico unilaterale del testamento rende impraticabile l’estensione della regola.
Il codice civile ha raccolto l’eredità della cd. regola sabiniana, diretta a salvaguardare la volontà testamentaria.
L’art. 634 cod. civ., invero, pone una disciplina affatto diversa rispetto a quella prevista per i contratti dall’art. 1354 cod. civ., diretta a salvaguardare la volontà del disponente.
Volontà, la quale deve soccombere nel solo caso preveduto dall’art. 626 cod. civ. (motivo illecito che è stato causa esclusiva della disposizione testamentaria).
L’art. 634 cod. civ. salvaguarda la volontà del testatore, considerando come non apposte <<le condizioni impossibili e quelle contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume>>.
La condizione apposta al testamento di cui si discute non rientra in alcuna delle anzidette categorie e se ne distingue nettamente sotto altro profilo: il mancato avveramento della condizione si è verificato per volere dello stesso disponente, il quale non ha voluto essere assistito in vita dai nominati nipoti.
Trattasi, pertanto, di una condizione revocata per volontà dello stesso testatore.
È bene soggiungere che si è al di fuori del caso esaminato con la sentenza n. 5871/2002. In quell’occasione, peraltro con un non indifferente limitazione del “favor testamenti”, si reputò che se la condizione diviene impossibile in tempo successivo alla stesura del testamento si risolve in una condizione mancata e non più realizzabile, che non può essere equiparata, quanto agli effetti, all’impossibilità originaria (Sez. 2, n. 5871, 22/4/2002). Con la conseguente inefficacia della disposizione testamentaria, oltre e al di fuori del solo caso codicisticamente contemplato con l’art. 626 cod. civ.
Al di là della condivisibilità o meno della costruzione, è del tutto evidente che una tale conclusione poggia le basi sul presupposto che l’accadimento, che rende impossibile la condizione è, appunto, successivo alla morte del testatore e quindi, fa presumere, che ove il testatore lo avesse previsto avrebbe disposto diversamente dei suoi beni.
Al contrario, si ribadisce, qui è stato proprio il testatore a impedire l’avveramento della condizione e, nonostante ciò, ha mantenuto ferma la nomina ad eredi universali dei nipoti. Quindi, se appare improprio evocare la disciplina di cui all’art. 1359 cod. civ. per le ragioni in estrema sintesi sopra esposte, proprio il “favor testamenti” impone comunque la salvezza dell’istituzione testamentaria non revocata, nonostante la revoca, per condotta incompatibile del disponente, della condizione sospensiva apposta.
In definitiva, appare utile enunciare il seguente principio di diritto: “ove il testatore, dopo avere apposto una condizione sospensiva, dipendente anche dalla sua volontà, alla disposizione testamentaria, ne impedisca l’avveramento, la disposizione testamentaria, ove non revocata, resta pienamente efficace”.
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