Corte di Cassazione, I Sez. Penale, 15 novembre 2024, n. 42127
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’utilizzo abusivo della connessione internet collegata alla linea telefonica, secondo quanto disposto dalla Suprema Corte di Cassazione, I Sezione Penale, sentenza n. 42127/2024, in ragione della non riconducibilità al concetto di energia di cui all’art. 624 comma 2 cod. pen. della connessione Internet, dev’essere equiparata alla fattispecie del furto d’uso di linea telefonica.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- La Corte di Appello, accogliendo la sollecitazione a dare una definizione della natura della connessione Internet – collegata alla linea telefonica – quale res suscettibile di appropriazione autonoma e a verificare se il suo utilizzo abusivo possa o meno integrare il reato di furto, richiamando i principi della Sezioni Unite Vattani, li applicava al caso concreto e riteneva che la connessione Internet non fosse res suscettibile di una condotta appropriativa; conseguentemente, non poteva essere fatta oggetto di furto, non rientrando nella nozione di “energia” di cui all’art. 624 comma 2 cod. pen., bensì di furto d’uso.
Nel caso in esame, osservava la Corte territoriale che, pur non essendosi verificato alcun danno economicamente apprezzabile, poiché l’utilizzo abusivo della connessione non aveva comportato un aggravio dei costi di connessione che erano determinati in misura fissa, l’allaccio abusivo aveva comportato una serie di disagi alla persona offesa, che non era più riuscita a connettersi alla rete.
In ragione di quanto previsto dall’art. 626 ultimo comma cod.pen., poi, la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 625 comma 2 cod.pen. imponeva che la sanzione venisse espressa in ragione del combinato disposto degli artt. 624,625 cod. pen.
La Corte territoriale nel provvedimento impugnato, cogliendo le indicazioni della sentenza rescindente, ha preso le mosse dai principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite Vattani (Sez. U. n. 19054 del 16/4/2013, Rv. 255299) per la quale le energie suscettibili di condotta appropriativa ex art. 624 cod. pen. sono solo quelle che vengono captate dall’uomo mediante l’apprestamento di mezzi idonei, in modo tale da essere impiegate a fini pratici, distribuite, scambiate, etc.: deve trattarsi, dunque, di una forza della natura misurabile in danaro.
Al contrario, le energie in questione non possono tecnicamente essere oggetto di appropriazione, in quanto non sono oggetto di previo possesso o disponibilità da parte dell’utente del telefono. E questo perché non preesistono all’uso dell’apparecchio, ma sono prodotte proprio dalla sua attivazione. Oltre a ciò, sul piano intrinseco, esse si caratterizzano per il fatto di “propagarsi”, e non si può, quindi, procedere al loro concreto immagazzinamento, funzionale a un impiego pratico misurabile in termini economici, sì da rispondere all’esplicito requisito di cui all’ultima parte del comma secondo dell’art. 624 cod. pen.
Conclusivamente, la Corte di legittimità ha ritenuto che la condotta di utilizzo della linea telefonica da parte del dipendente pubblico non potesse rientrare nel paradigma del peculato dell’energia telefonica, in quanto non avente ad oggetto un bene su cui possa manifestarsi una condotta appropriativa, bensì in quello del peculato d’uso dell’apparecchio telefonico.
Tali principi sono stati applicata in altra pronuncia, Sez. 6 n. 50944 del 4/11/2014, Barassi Rv.261416, con riferimento all’utilizzo di una connessione internet di un cellulare dell’ufficio da parte di un dipendente pubblico per usi privati in tal caso era stata confermata la correttezza della riconduzione di tale condotta al reato di peculato d’uso del cellulare; analoga conclusione si rinviene nella decisione della Sez. 6, Sentenza n. 34524 del 02/07/2013, Amato, Rv. 255810, che ha esplicitamente affermato che il principio espresso nella Sezioni Unite Vattani è applicabile anche all’utilizzo illegittimo della connessione Internet.
La Corte territoriale ha ritenuto di dover applicare anche nel caso in esame, come da indicazioni della sentenza di annullamento, i principi più sopra indicati escludendo, dunque, che la connessione internet utilizzata dal ricorrente potesse essere considerata un bene autonomamente suscettibile di appropriazione, e con ciò escludendo, correlativamente, la configurabilità del delitto di furto.
Analogamente a quanto ritenuto nella citata pronuncia di legittimità, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente nel caso concreto non già, ovviamente, la condotta sanzionata dall’art. 314 cod. pen., bensì quella sanzionata dall’art. 626 cod. pen., cioè il furto d’uso, in ragione della perfetta sovrapponibilità delle due condotte materiali che consistono nel fare uso momentaneo della cosa che viene, dopo l’uso momentaneo, immediatamente restituita. L’unica differenza fra le due fattispecie risiederebbe nella differente qualifica del soggetto agente.
Del resto, è la stessa pronuncia delle Sezioni Unite Vattani che afferma testualmente che «Quanto in particolare al peculato d’uso, si osserva che tale figura replica strutturalmente lo schema del furto d’uso, mirando, da un lato, ad arginare arbitrarie dilatazioni interpretative del peculato comune e, dall’altro, a reprimere condotte che nel previgente sistema erano irrilevanti, con un temperamento del trattamento sanzionatorio in relazione al minor disvalore del fatto».
Invero, il furto d’uso, nella sua definizione codicistica, è caratterizzato dall’unico scopo che anima il soggetto agente, cioè quello di fare un uso momentaneo della cosa che viene immediatamente restituita; il nucleo centrale di tale condotta è perfettamente sovrapponibile alla condotta caratterizzante il peculato d’uso.
Sotto il profilo del bene oggetto della condotta, poi, si osserva che, da un lato, le energie che si sviluppano dalla connessione internet operata abusivamente dal soggetto agente attraverso la linea telefonica della persona offesa certamente non sono suscettibili di furto, né di sottrazione, come ribadito nel provvedimento impugnato.
Conseguentemente, come nel caso Vattani, oggetto del peculato d’uso non è stata ritenuta l’energia telefonica, bensì l’apparecchio telefonico, l’oggetto della condotta di furto d’uso contestata al ricorrente è la linea telefonica, che è il mezzo attraverso il quale si realizza la connessione Internet, l’attivazione della quale consente di sviluppare la connessione necessaria per navigare.
La linea telefonica, rispetto alla quale è configurato il furto d’uso, è certamente un bene astrattamente suscettibile di sottrazione, ovvero apprensione, così come affermato anche nella sentenza di annullamento, che ha fatto esplicito riferimento alla “connessione internet collegata alla linea telefonica carpita dall’imputato”.
Le osservazioni che precedono superano i rilievi critici contenuti nel ricorso circa la non sovrapponibilità delle condotte di cui agli artt. 314 e 626 cod. pen., da un lato e, dall’altro, circa la non perfetta corrispondenza alla condotta contestata al L.R.M. della fattispecie astratta del furto d’uso, che richiede che la cosa di cui si fa uso momentaneo sia stata previamente sottratta.
Se si ritenesse che oggetto del furto d’uso sia la connessione Internet, sulla stessa non potrebbe certamente, per quanto fin qui argomentato, essere possibile una condotta di sottrazione, ma essendo, invece, oggetto di tale condotta la linea telefonica, la stessa è certamente bene passibile di sottrazione, per quanto momentanea.
Nel momento in cui, infatti, attraverso l’allaccio abusivo al box telefonico della persona offesa, l’imputato utilizzava la connessione Internet che a tale linea faceva capo, utilizzava detto bene sottraendolo dalla disponibilità dell’avente diritto il quale non riusciva, infatti, a navigare.
Pertanto, è evidente – come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale – la perfetta corrispondenza, in ragione della non riconducibilità al concetto di energia di cui all’art. 624 comma 2 cod. pen. della connessione Internet, del paradigma del furto d’uso di linea telefonica alla condotta contestata al ricorrente al capo b) di imputazione.
- Per le sopra esposte ragioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato, ex art. 616 cod. proc pen, al pagamento delle spese processuali.