Corte Costituzionale, sentenza, 29 ottobre 2024, n. 169
PRINCIPIO DI DIRITTO
1)Va dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, della legge della Regione Siciliana 16 gennaio 2024, n. 1 (Legge di stabilità regionale 2024-2026);
2)Va dichiarata inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 97, commi primo e secondo, della Costituzione, nonché all’art. 14, comma 1, del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 13 del 2024), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 25, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024.
1.1.– Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione, da parte dell’art. 8 della predetta legge regionale, degli artt. 97, commi primo e secondo, e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione al principio di coordinamento della finanza pubblica sancito dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, e per inosservanza dei limiti all’esercizio della potestà legislativa della Regione autonoma sanciti dall’art. 14, comma 1, dello statuto speciale della Regione Siciliana, derivanti dal necessario rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e dei principi fondamentali delle leggi dello Stato.
La difesa statale premette che l’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024, rubricato «Benefici retributivi a favore del personale dipendente di cui all’art. 87 del CCRL 2016-2018», stabilisce, al comma 1, che gli incrementi di cui all’art. 87 del CCRL del personale del comparto non dirigenziale della Regione Siciliana, per il triennio normativo ed economico 2016-2018, previsti in sostituzione dell’elemento perequativo di cui all’art. 1, comma 440, lettera b), della legge n. 145 del 2018, in conformità all’art. 1, commi 869 e 959, della legge n. 178 del 2020, sono finanziati a regime nell’ambito del rinnovo contrattuale contemplato per il triennio 2019-2021 del medesimo comparto.
Rammenta che il comma 2 della stessa disposizione prevede che, per le relative finalità, le risorse finanziarie per i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro per il predetto triennio sono integrate, a decorrere dall’esercizio finanziario, di un importo pari a 4,3 milioni di euro.
Secondo la prospettazione del Presidente del Consiglio dei ministri, poiché l’indennità di amministrazione rientra nell’ambito dei trattamenti accessori, la disposizione regionale aggirerebbe il limite finanziario al quale sono sottoposti i relativi fondi ai sensi dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, costituente principio di coordinamento della finanza pubblica, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. e dell’art. 14 dello statuto di autonomia.
La disposizione impugnata violerebbe, inoltre, il punto 10 dell’accordo con lo Stato per il ripiano decennale del disavanzo del 16 ottobre 2023 – recepito dall’art. 9, comma 2, del d.l. n. 145 del 2023, convertito nella legge n. 191 del 2023 – che contempla l’impegno della Regione Siciliana a contenere la spesa del personale, al netto dei rinnovi contrattuali, entro i limiti previsti per il medesimo periodo a livello nazionale. Ciò in quanto lo stanziamento pari all’importo di 4,3 milioni di euro è riconosciuto dal comma 2 della disposizione impugnata per l’incremento dell’indennità di amministrazione del personale regionale del comparto non dirigenziale, che è misura diversa dall’elemento perequativo una tantum introdotto dai contratti collettivi di lavoro nazionale per il triennio 2016-2018, con oneri a carico delle relative risorse contrattuali.
Il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia, quindi, la violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., laddove pone in capo alle amministrazioni pubbliche il dovere di assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, nella misura in cui la disposizione impugnata non rispetta l’impegno assunto dalla Regione Siciliana al punto 10 dell’accordo del 16 ottobre 2023 di contenere la spesa del personale, al netto dei rinnovi contrattuali nei limiti previsti per il medesimo periodo a livello nazionale, incluso il trattamento accessorio (a fronte del contestuale riconoscimento della possibilità di un turn over al 125 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nell’anno precedente per il triennio 2023-2025, e al 100 per cento a decorrere dall’anno 2026).
Il ricorso statale deduce, infine, il contrasto dello stesso art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024, con i principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97, secondo comma, Cost., che vincolano anche la Regione resistente in virtù dell’art. 14, comma 1, lettere p) e q), dello statuto di autonomia – poiché, se l’elemento perequativo una tantum previsto dall’art. 47, comma 3, del CCNL funzioni centrali (triennio 2019-2021) ha l’obiettivo di riequilibrare i livelli retributivi più bassi, in coerenza con l’art. 1, comma 12, della legge n. 190 del 2014 e in sostituzione della misura dallo stesso contemplata, la norma regionale, con finalità contrarie, incrementa l’indennità di amministrazione in godimento in misura crescente all’inquadramento giuridico ed economico dei dipendenti, così favorendo i soggetti con inquadramenti medio-alti.
1.2.– Il ricorso statale impugna, inoltre, l’art. 25, comma 2, della stessa legge reg. Siciliana n. 1 del 2024, che, intervenendo sull’art. 20, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 30 del 1993, riconosce, a decorrere dal 1° gennaio 2024, natura di ente del SSR al Centro per la formazione permanente e l’aggiornamento del personale del Servizio sanitario (CEFPAS), avente sede in Caltanissetta.
A riguardo, il Presidente del Consiglio dei ministri denuncia, in primo luogo, il contrasto di tale disposizione con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al principio di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, relativo al contenimento della spesa sanitaria. Principio che, secondo quanto prospettato nel ricorso, sarebbe violato per l’estensione dell’area del cosiddetto perimetro sanitario, con la conseguente possibilità di beneficiare di un trattamento derogatorio per una serie di spese in virtù delle previsioni del Titolo II del predetto decreto. Soggiunge che, peraltro, il CEFPAS non svolge funzioni sanitarie in senso stretto e non è riconducibile agli enti del Servizio sanitario elencati dall’art. 19 dello stesso d.lgs. n. 118 del 2011.
L’art. 25, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024 contrasterebbe, altresì, con le previsioni del Titolo I del d.lgs. n. 502 del 1992, nonché con la normativa in materia di piano di rientro sanitario, perché il riconoscimento del Centro quale ente del SSR potrebbe comportare un incremento di costi non quantificato, incompatibile con l’equilibrio economico finanziario del bilancio sanitario della Regione Siciliana impegnata nel piano, atteso che ogni modifica della programmazione sanitaria comporta un necessario aggiornamento del relativo programma operativo per il triennio di riferimento, affinché ne possa essere vagliata la compatibilità economica, nel rispetto del principio di coordinamento della finanza pubblica sancito dall’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009.
Il ricorso statale sottolinea, inoltre, che la qualificazione operata dal legislatore regionale potrebbe porsi in contrasto con il divieto di spese non obbligatorie da parte della Regione, divieto che, come più volte affermato nella giurisprudenza costituzionale, si impone alle regioni – come la Regione Siciliana – assoggettate ai vincoli dei piani di rientro del disavanzo sanitario (sono citate le sentenze n. 142 e n. 36 del 2021 e n. 166 del 2020), vincoli che costituiscono, a propria volta, espressione di un principio di coordinamento della finanza pubblica che dunque opera anche nei confronti delle autonomie speciali.
2.– Esaminando innanzi tutto la prima censura – quella proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti dell’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024 – giova premettere una breve ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
2.1.– Tale disposizione, al comma 1, stabilisce che «[i]n conformità alle disposizioni dei commi 869 e 959 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2020, n. 178, gli incrementi di cui all’art. 87 del Contratto collettivo regionale di lavoro del personale del comparto non dirigenziale della Regione siciliana e degli enti di cui all’art.1 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 – triennio normativo ed economico 2016-2018, previsti in sostituzione dell’elemento perequativo di cui alla lettera b) del comma 440 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, sono finanziati a regime nell’ambito del rinnovo contrattuale per il triennio 2019-2021 del medesimo comparto».
Prevede poi, al comma 2, anch’esso attinto dalle censure, che «[p]er le finalità di cui al comma 1, le risorse finanziarie per i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro relativi al triennio 2019-2021 sono integrate, a decorrere dall’esercizio finanziario 2024, di un importo pari a 4.300 migliaia di euro, comprensivo degli oneri riflessi e dell’IRAP, da destinare al rinnovo contrattuale del personale del comparto non dirigenziale (missione 1, programma 10, capitolo 212017)».
Vengono così poste due regole, relative entrambe ai rinnovi dei contratti collettivi di lavoro per il triennio 2019-2021; rinnovi “futuri” perché non ancora definiti alla data di entrata in vigore dell’impugnata legge regionale, pur ben successiva alla stessa scadenza del triennio.
Da una parte si prevede, come criterio contabile di bilancio, che il finanziamento «a regime» degli incrementi dell’indennità di amministrazione – richiamata mediante il riferimento all’art. 87 del (vigente) CCRL del personale del comparto non dirigenziale della Regione Siciliana – sarà ricompreso in quello generale relativo al rinnovo contrattuale per il triennio 2019-2021; è quindi escluso che possa esserci un finanziamento mirato di tali incrementi come trattamento accessorio, distinto da quello relativo al trattamento retributivo ordinario.
D’altra parte, si contempla una provvista aggiuntiva di «risorse finanziarie» non già per tali incrementi dell’indennità di amministrazione, bensì in generale per i rinnovi contrattuali.
Pertanto la disposizione impugnata non contiene una previsione di spesa, ma prescrizioni contabili e di finanziamento, le quali, comunque, quanto al controllo della copertura dei costi dei rinnovi contrattuali per il triennio 2019-2021, non toccano la competenza della Corte dei conti sia in via preventiva, nel procedimento di contrattazione collettiva con riguardo alla quantificazione di tali costi al fine della previa certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio (art. 47 del d.lgs. n. 165 del 2001 e art. 27 della legge della Regione Siciliana 15 maggio 2000, n. 10, recante «Norme sulla dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della Regione siciliana. Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali. Istituzione dello Sportello unico per le attività produttive. Disposizione in materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento»; vedi anche la sentenza di questa Corte n. 89 del 2023), sia successivamente, quanto alla parificazione del bilancio della Regione.
2.2.– Una previsione di spesa è invece contenuta nella richiamata norma contrattuale.
Infatti, la disposizione impugnata, in particolare, fa riferimento all’art. 87, rubricato «Indennità di amministrazione», del CCRL del comparto non dirigenziale della Regione Siciliana e degli enti regionali, afferente al triennio normativo ed economico 2016-2018. Tale norma contrattuale incrementa, dal 31 dicembre 2018, l’importo dell’indennità di amministrazione, tenuto conto degli effetti degli incrementi retributivi di cui al precedente art. 85 sul personale già destinatario delle misure di cui all’art. 1, comma 12, della legge n. 190 del 2014, nonché del maggiore impatto sui livelli retributivi più bassi delle misure di contenimento della dinamica retributiva.
La stessa disposizione pone, dall’anno 2019, il relativo onere a carico del «Fondo risorse decentrate», di cui al successivo art. 88 (ossia del fondo destinato ai trattamenti accessori da definirsi in sede di contrattazione collettiva integrativa); risorse che sono corrispondentemente ridotte di un equivalente valore finanziario degli importi indicati nella Tabella D, al quale rinvia l’art. 87.
Il comma 2 dello stesso art. 87, poi, prescrive che gli incrementi dell’indennità di amministrazione sono corrisposti fino al successivo riassorbimento nell’ambito dei benefici economici di cui al triennio 2019-2021, con conseguente riassegnazione delle rispettive risorse al fondo di cui all’art. 88 del medesimo contratto collettivo (il fondo risorse decentrate). Quindi prevede, già ex ante rispetto ai futuri rinnovi contrattuali, il criterio del riassorbimento.
Occorre anche considerare che l’art. 87 è stato oggetto di valutazione positiva da parte della Corte dei conti, in quanto il rapporto di certificazione allegato alla deliberazione n. 76/2019/CCR, pur evidenziando le diversità strutturali tra l’elemento perequativo una tantum previsto dalla legislazione nazionale e l’incremento dell’indennità di amministrazione contemplato, in luogo del primo, dal contratto collettivo regionale, ha sottolineato che ciò non implica problemi di copertura. Ha, quindi, certificato la compatibilità economica e finanziaria dell’ipotesi di accordo contrattuale, poi tradottosi nel contratto collettivo richiamato dalla disposizione impugnata.
2.3.– Sul fronte della legislazione nazionale viene inoltre in rilievo l’art. 1, comma 440, lettera b), della legge n. 145 del 2018 – disposizione anch’essa richiamata dal comma 1 dell’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024 – che ha stabilito, in favore al personale contrattualizzato nelle more della definizione dei contratti collettivi nazionali di lavoro e dei provvedimenti negoziali relativi al triennio 2019-2021, l’erogazione dell’elemento perequativo una tantum, ove previsto dai relativi contratti collettivi nazionali di lavoro riferiti al triennio 2016-2018, nella misura, con le modalità e i criteri ivi definiti, con decorrenza dal 1° gennaio 2019, fino alla data della definitiva sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2019-2021, che ne avrebbero disciplinato il riassorbimento nella retribuzione.
Scopo della predetta disposizione era riequilibrare i trattamenti retributivi più bassi che avevano beneficiato, in precedenza, dell’attribuzione introdotta dall’art. 1, comma 12, della legge n. 190 del 2014, ossia della norma alla quale fa espresso riferimento, a propria volta, nell’indicare le ragioni dell’incremento dell’indennità di amministrazione, l’art. 87 del CCRL della Regione Siciliana per il comparto non dirigenziale del triennio 2016-2018.
Successivamente, l’elemento perequativo è stato conglobato a partire dal triennio contrattuale 2019-2021 negli stipendi tabellari in applicazione dell’art. 1, commi 869 e 959, della legge n. 178 del 2020; disposizione anche questa richiamata dal comma 1 dell’impugnato art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024.
Di qui l’art. 47, comma 3, del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni centrali per il triennio 2019-2021, che ha previsto che «[a] decorrere dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di sottoscrizione del presente CCNL, l’elemento perequativo una tantum di cui all’art. 75 (elemento perequativo) del CCNL 12 febbraio 2018 e di cui all’art. 1, comma 440, lett. b) della legge n. 145/2018 cessa di essere corrisposto come specifica voce retributiva ed è conglobato nello stipendio tabellare, come indicato nelle allegate Tabelle C».
2.4.– Dunque, l’impugnato art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024 – peraltro simile nel contenuto all’art. 7, comma 11, della legge della Regione Sardegna 21 febbraio 2023, n. 1 (Legge di stabilità 2023), relativo all’incremento dell’indennità di amministrazione e all’assegnazione di risorse aggiuntive per la contrattazione collettiva regionale 2019-2021, disposizione questa già sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale (sentenza n. 68 del 2024) – deve essere collocato all’interno di questo articolato quadro normativo e contrattuale.
Dalla ricostruzione di quest’ultimo, invero, si ritrae che esso, per un verso, al comma 1, riproduce la disposizione già contenuta nel comma 2 del richiamato art. 87 del CCRL, che ha previsto il finanziamento a regime dell’incremento dell’indennità di amministrazione nell’ambito del rinnovo contrattuale per il triennio 2019-2021 del medesimo comparto (precisando che si tratta di incremento sostitutivo dell’elemento perequativo di cui alla lettera b del comma 440 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018) e, per altro verso, incrementa nel comma 2, di conseguenza, le risorse per l’indicato rinnovo contrattuale, a decorrere dall’esercizio finanziario 2024, di un importo pari a 4,3 milioni di euro, comprensivo degli oneri riflessi e dell’IRAP.
3.– Tenendo conto di questo articolato contesto normativo, il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, nella parte in cui investe l’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024, risulta inammissibile, come eccepito dalla difesa regionale.
4.– In generale, l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento dell’impugnazione si pone in termini rigorosi nei giudizi proposti in via principale, nei quali il ricorrente ha l’onere non soltanto di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali denuncia la violazione, ma anche di suffragare le ragioni del dedotto contrasto con argomentazioni chiare, complete e sufficientemente articolate (ex multis, sentenze n. 125 del 2023, n. 265, n. 259 e n. 135 del 2022, n. 170 del 2021 e n. 279 del 2020).
La parte ricorrente deve «individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali si lamenta la violazione e […] proporre una motivazione che non sia meramente assertiva, e che contenga una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, dovendo contenere una sia pur sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure» (sentenza n. 217 del 2022).
Sennonché il ricorso in esame, pur denunciando il contrasto tra la disposizione impugnata e una serie di parametri, costituzionali e statutari, non argomenta in maniera sufficientemente adeguata le ragioni del contrasto, anche a fronte delle ampie difese della Regione Siciliana e della documentazione dalla stessa prodotta. Esso presenta, sul piano dell’ammissibilità, non superabili criticità quanto alla dedotta violazione sia dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al principio di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, sia dell’art 97, primo comma, Cost., con riguardo al rispetto del principio dell’equilibrio del bilancio.
4.1.– Sotto un primo aspetto, si deve rilevare che l’incremento dell’indennità di amministrazione, che secondo la difesa erariale avrebbe superato la soglia consentita, è stato contemplato in realtà non già dalla disposizione impugnata, bensì dall’art. 87 del CCRL per il triennio 2016-2018. Le violazioni denunciate derivano da tale previsione contrattuale che ha disposto il suddetto incremento in luogo dell’elemento perequativo contemplato dalla legislazione nazionale. Di qui, limitandosi a impugnare la norma espressa dall’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024, il ricorso non spiega perché le violazioni dedotte dipendano, come assume, dalla disposizione impugnata e non già dal più volte richiamato art. 87 del CCRL.
Considerato che l’incremento dell’indennità di amministrazione costituisce un trattamento accessorio erogato ai dipendenti della Regione Siciliana in sostituzione dell’elemento perequativo contemplato dalla legislazione e dalla contrattazione collettiva nazionale, il ricorso non chiarisce, anche a fronte delle percentuali di incremento documentate dalla difesa regionale per il comparto nazionale (e per quello degli enti locali), per quali ragioni la misura di tale incremento determinerebbe un onere finanziario superiore rispetto alla contrattazione collettiva nazionale.
Il ricorso sostiene la tesi di fondo secondo cui ci sarebbe stato un aggiramento del vincolo normativo del rispetto del limite finanziario delle somme complessivamente destinate ai trattamenti accessori del personale, limite sancito dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, in quanto lo stanziamento di 4,3 milioni di euro, previsto dalla disposizione regionale impugnata, sarebbe destinato a compensare le risorse dirottate dal fondo risorse decentrate per incrementare l’indennità di amministrazione.
È vero che l’art. 23, comma 2, citato prevede che, al fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, la contrattazione collettiva nazionale, per ogni comparto o area di contrattazione operi la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione (sentenza n. 190 del 2022).
Ma il ricorso non si confronta sufficientemente con la contrattazione collettiva richiamata da tale disposizione, ossia con l’art. 87 del CCRL del personale del comparto non dirigenziale della Regione Siciliana per il triennio normativo ed economico 2016-2018; disposizione questa che, a sua volta, richiama la Tabella D, indicativa di un incremento dell’indennità di amministrazione pari all’elemento perequativo, prima finanziato con le risorse del fondo risorse decentrate (triennio 2016-2018). Tale incremento – come evidenzia la difesa regionale – è destinato ad essere riassorbito nel trattamento retributivo tabellare dal successivo contratto collettivo per il triennio 2019-2021, non ancora definito alla data di entrata in vigore della disposizione impugnata.
Proprio per i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro relativi al triennio 2019-2021 la disposizione regionale impugnata ha previsto un’integrazione delle risorse finanziarie in modo da non gravare più sul fondo risorse decentrate. Sicché essa riguarda solo questo secondo periodo, specificando che il finanziamento degli incrementi dell’indennità di amministrazione deve avvenire a regime nell’ambito del generale finanziamento del rinnovo contrattuale 2019-2021. Pertanto non vi è una provvista mirata e speciale per tale fondo, che potrebbe far pensare ad un incremento del trattamento accessorio, il quale incorrerebbe, in tale assunta evenienza, nel limite dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017 (sentenze n. 200 e n. 190 del 2022); bensì vi è un finanziamento integrativo del futuro onere economico derivante, in generale, dal rinnovo contrattuale 2019-2021, condizionato all’ordinaria verifica di compatibilità della Corte dei conti ai sensi dell’art. 47 del d.lgs. n. 165 del 2001.
In simmetria, poi, la richiamata disposizione contrattuale (l’art. 87) ha stabilito il riassorbimento di tale incremento nei benefici economici relativi al rinnovo contrattuale con conseguente reintegro del Fondo risorse decentrate.
Questo assetto – come già rilevato – è stato certificato dalla Corte dei conti (deliberazione n. 76/2019/CCR) come compatibile finanziariamente ed economicamente, anche con specifico riferimento all’incremento dell’indennità di amministrazione, seppur con l’auspicio che «gli attuali miglioramenti dell’indennità di amministrazione possano essere riassorbiti dai futuri incrementi economici relativi al triennio di contrattazione 2019-2021». Tale «riassorbimento degli stessi nell’ambito dei benefici economici relativi al triennio 2019-2021» è stato già previsto dal richiamato art. 87, comma 2, del CCRL, oggetto della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio.
Il ricorrente, peraltro, neppure si confronta con il successivo rapporto di certificazione allegato alla deliberazione della Corte dei conti del 12 luglio 2024, n. 211/2024/CCR, che riguarda invece l’ipotesi di rinnovo per il triennio 2019-2021, ossia proprio quello per il quale la disposizione impugnata prevede le suddette prescrizioni contabili e di finanziamento.
Risulta quindi insufficiente, in questo contesto, argomentare la violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., in relazione al punto 10 dell’accordo per il ripiano decennale del disavanzo del 16 ottobre 2023, con riferimento all’aumento dell’indennità di amministrazione. Il trattamento accessorio del personale può riverberarsi negativamente sull’equilibrio di bilancio solo se i relativi costi sono superiori a quelli dell’elemento perequativo che va a sostituire; laddove – come già rilevato – la Corte dei conti ha verificato la compatibilità economica e finanziaria degli incrementi previsti per il triennio contrattuale 2016-2018.
4.2.– Può altresì aggiungersi che, quanto alla dedotta violazione, in via interposta, dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, il ricorso del Governo non si confronta – neppure al fine di dedurne l’inoperatività nella fattispecie considerata – con l’art. 11 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, il cui comma 1, lettera a), prevede che il limite espresso dalla norma interposta non opera con riferimento «agli incrementi previsti, successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto n. 75 del 2017, dai contratti collettivi nazionali di lavoro, a valere sulle disponibilità finanziarie di cui all’articolo 48 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e dagli analoghi provvedimenti negoziali riguardanti il personale contrattualizzato in regime di diritto pubblico».
4.3.– Infine, sotto altro aspetto, il ricorso è, in questa parte, inammissibile anche con riferimento alla dedotta violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, sanciti dall’art. 97, secondo comma, Cost.; parametro citato nella delibera del Consiglio dei ministri che ha autorizzato il ricorso, anche se non sviluppato argomentativamente.
L’impugnazione per un verso si rivolge, nella sostanza, verso la norma contrattuale collettiva, che è richiamata dall’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024 e che prevede l’incremento dell’indennità di amministrazione.
Per altro verso la doglianza – secondo cui tale incremento dell’indennità di amministrazione sarebbe distonico rispetto alla finalità perseguita dall’introduzione, da parte della legislazione statale, dell’elemento perequativo – non è adeguatamente sviluppata a fronte del dato, ritraibile dalla Tabella D allegata al CCRL per il personale regionale non dirigenziale per il triennio 2016-2018, che prevede un aumento di tale indennità via via più ridotto al progredire delle fasce retributive. In sostanza, il ricorso non spiega perché, pur a fronte di tale dato, la misura prevista dalla contrattazione collettiva regionale andrebbe, come assume, a favorire le fasce retributive più elevate, in contrasto con lo scopo dell’elemento perequativo contemplato dalla legislazione nazionale, che è andata a sostituire.
5.– In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile nella parte in cui impugna l’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024.
6.– Risulta, invece, ammissibile ed è fondato il secondo motivo di ricorso, con il quale il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 25, comma 2, della stessa legge reg. Siciliana n. 1 del 2024, laddove, modificando l’art. 20, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 30 del 1993, ha definito il CEFPAS quale ente del SSR.
7.– Va premesso che il CEFPAS, istituito dalla predetta legge reg. Siciliana n. 30 del 1993, è essenzialmente disciplinato dagli articoli da 20 a 22 della stessa.
Con riferimento alle funzioni svolte dal Centro, viene in rilievo l’art. 20, comma 1, secondo cui esso provvede: a) alla formazione permanente e all’aggiornamento professionale degli operatori socio-sanitari e della scuola, limitatamente all’ambito socio-sanitario, in accordo alla programmazione regionale sulla materia elaborata dall’assessorato regionale della sanità; b) alla realizzazione, in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità, di una scuola superiore di sanità per i dirigenti del servizio sanitario; c) alla ricerca nel campo delle scienze sanitarie nelle materie della formazione, della educazione alla salute e della prevenzione; d) alle attività di promozione ed educazione alla salute e di medicina preventiva; e) alla collaborazione con le università siciliane per le rispettive esigenze didattiche e scientifiche; f) allo svolgimento di convegni scientifici, seminari ed incontri di studio; g) alla realizzazione di studi e pubblicazioni, nonché di qualsiasi altra attività ed iniziativa utile al conseguimento dei propri scopi.
A fronte dei numerosi compiti, contigui all’area della sanità, la stessa disposizione ha riconosciuto che il CEFPAS ha «personalità giuridica di diritto pubblico», ma al contempo il successivo art. 22, comma 1, ha espressamente previsto che il «rapporto di lavoro del personale del Centro è di diritto privato».
Vi è poi una disciplina, del tutto speciale, dell’organizzazione e del funzionamento del Centro, nonché del suo finanziamento.
L’art. 20, comma 4, precisa, che il CEFPAS concorre al conseguimento delle finalità di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 502 del 1992, poiché si tratta di un ente che si propone di soddisfare le specifiche esigenze del Servizio sanitario nazionale, connesse alla formazione degli specializzandi e all’accesso ai ruoli dirigenziali.
Secondo le previsioni dettate, inoltre, dall’art. 21, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 30 del 1993, il direttore generale del Centro è nominato con decreto del Presidente della Regione, su conforme delibera della Giunta regionale, tra personalità in possesso di documentata esperienza organizzativa nel settore della formazione sociosanitaria.
L’art. 21, comma 5, della medesima legge, precisa che al direttore generale, al direttore della formazione e al direttore amministrativo si applicano, in quanto compatibili, le norme previste dal d.lgs. n. 502 del 1992 per i direttori generali, i direttori sanitari e i direttori amministrativi delle unità sanitarie locali.
Sotto un distinto profilo, il richiamato art. 22, comma 1, della medesima legge istitutiva puntualizza, a dispetto della qualifica sin dall’origine del Centro quale ente di diritto pubblico, che il rapporto di lavoro del personale – come già rilevato – è di diritto privato e che, per il perseguimento dei suoi particolari fini, lo stesso può fare ricorso ad assunzioni di personale con contratto a termine di diritto privato, anche a tempo parziale (nonché ottenere il comando di dieci dipendenti della Regione, ai sensi del successivo comma 2).
Quanto alle spese del Centro, le disposizioni rilevanti sono contenute nel medesimo art. 22, che a tal fine distingue tra quelle di esercizio, finanziate annualmente con una quota del fondo sanitario regionale determinata triennalmente nell’ambito della legge di bilancio regionale, e quelle per l’adeguamento tecnologico ed edilizio, finanziate con apposito capitolo del bilancio regionale.
In generale, come precisa il comma 6 dell’art. 22, si applicano, al Centro le disposizioni vigenti per i bilanci della unità sanitarie locali.
8.– La difesa muove, essenzialmente, dall’assunto secondo cui la disposizione impugnata si atteggerebbe alla stregua di una norma di interpretazione autentica, poiché il Centro sarebbe stato sin dalla sua istituzione un ente del SSR, come attestato, soprattutto, dalle previsioni della citata legge reg. Siciliana n. 30 del 1993 (nonché da disposizioni normative successive e dagli stessi programmi operativi ai piani di rientro della Regione Siciliana dal debito sanitario), che pongono le spese di funzionamento dell’ente a carico del fondo sanitario regionale.
La Regione Siciliana ha inoltre evidenziato, che la propria tesi sarebbe corroborata da un parere del Ministero della sanità, reso a fronte della richiesta concernente la possibilità di stabilizzare il personale precario del Centro applicando le disposizioni statali in materia di stabilizzazione del personale del ruolo sanitario e socio-sanitario. Dopo una ricognizione delle funzioni del CEFPAS e della normativa di riferimento, il Ministero aveva concluso osservando che, a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione, le regioni hanno avviato una modifica dell’assetto organizzativo del proprio Servizio sanitario, istituendo specifici enti ai quali sono affidati in maniera centralizzata servizi e funzioni a supporto delle aziende e degli enti che erogano prestazioni sanitarie, finanziati con risorse del Servizio sanitario nazionale.
9.– La previsione impugnata ha, tuttavia, contenuto chiaramente innovativo e non già di interpretazione autentica.
Alla potestà legislativa appartiene – come più volte riconosciuto da questa Corte (sentenza n. 4 del 2024; nello stesso senso, sentenze n. 133 del 2020, n. 73 del 2017, n. 132 del 2016 e n. 314 del 2013), anche in favore del legislatore regionale (ancora sentenza n. 133 del 2020) – la facoltà di adottare disposizioni di interpretazione autentica, le quali si saldano con le disposizioni interpretate, così esprimendo un unico precetto normativo fin dall’origine.
Si tratta di una tecnica normativa non ordinaria, bensì eccezionale, la cui riconoscibilità di solito è affidata innanzi tutto all’espressa dichiarazione, benché da sola non sufficiente, della disposizione stessa come di interpretazione autentica.
Ciò manca nella disposizione impugnata, che anzi contiene una formulazione testuale di segno opposto: essa non interpreta la disposizione del 1993, ma la integra prevedendo che «[a]l comma 1 dell’articolo 20 della legge regionale 3 novembre 1993, n. 30, dopo le parole “di diritto pubblico,” sono aggiunte le seguenti parole “è un ente del Servizio sanitario regionale”». Che si tratti di un’integrazione, come tale innovativa, e nient’affatto di un’interpretazione autentica lo mostra anche il prosieguo della disposizione che prevede che «[g]li effetti discendenti dal presente comma decorrono dalla data di entrata in vigore della presente legge», laddove invece, ove si fosse trattato di disposizione di interpretazione autentica, la norma risultante dalla saldatura con la disposizione interpretata avrebbe comportato la sua vigenza ab origine e non già dalla data di entrata in vigore della disposizione interpretativa.
Depongono inoltre per la natura non interpretativa della disposizione impugnata anche altre previsioni contenute nella legge reg. Siciliana n. 30 del 1993.
Così l’art. 22, comma 4, non definisce le spese del Centro come spese sanitarie, ma si limita a prevedere che le spese di funzionamento dello stesso sono finanziate con una quota del fondo sanitario regionale. D’altra parte, non si comprenderebbe, qualora il CEFPAS fosse stato, sin dalla sua istituzione, un ente del Servizio sanitario, la previsione, dettata dal comma 5 del medesimo art. 22, in virtù della quale le spese per l’adeguamento tecnologico e edilizio sono finanziate con un apposito capitolo del bilancio regionale, diverso rispetto a quello dedicato alle spese sanitarie.
Ancora, l’art. 21, comma 5, della stessa legge reg. Siciliana n. 30 del 1993, prevede l’applicazione ai direttori del Centro delle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 502 del 1992 per i direttori delle unità sanitarie locali con riserva di compatibilità, riserva che – evidentemente – non avrebbe senso nell’ipotesi in cui il CEFPAS fosse un ente del Servizio sanitario.
10.– Ciò posto, rileva innanzi tutto la mancata ricomprensione del CEFPAS nell’elenco degli enti facenti parte del Servizio sanitario indicati nell’art. 19 del d.lgs. n. 118 del 2011, i quali svolgono, almeno in via concorrente, funzioni sanitarie in senso stretto, a differenza del Centro.
La tassatività dell’elenco degli enti del Servizio sanitario costituisce principio di coordinamento della finanza pubblica in funzione di controllo e contenimento della spesa sanitaria.
In particolare l’art. 19 del d.lgs. n. 118 del 2011, che introduce le disposizioni del Titolo II, dedicato ai principi contabili generali e applicati per il settore sanitario, chiarisce, nel comma 1, che le relative disposizioni costituiscono, tutte, principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, volte alla tutela dell’unità economica della Repubblica, ai sensi dell’art. 120, secondo comma, Cost., aventi lo scopo di assicurare che gli enti coinvolti nella gestione della spesa finanziata con le risorse destinate al Servizio sanitario nazionale concorrano al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica sulla base di principi di armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci. Soggiunge, inoltre, che le relative norme sono dirette a disciplinare le modalità di redazione e di consolidamento dei bilanci da parte dei predetti enti, nonché a dettare i principi contabili cui devono attenersi gli stessi per l’attuazione delle disposizioni ivi contenute.
Nel comma 2, lo stesso art. 19 individua quali destinatari, oltre alle regioni, alla lettera c), «aziende sanitarie locali; aziende ospedaliere; istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, anche se trasformati in fondazioni; aziende ospedaliere universitarie integrate con il Servizio sanitario nazionale» e, alla lettera d), «gli istituti zooprofilattici di cui al decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270».
L’elenco degli indicati enti, proprio in ragione delle essenziali finalità perseguite dalle disposizioni contenenti principi contabili relativi al settore sanitario, è tassativo, almeno nel senso che non possono rientrare nel perimetro sanitario enti diversi, salvo che non siano riconducibili, al di là della denominazione formale, allo svolgimento di identiche funzioni.
Caratteristica precipua degli enti del Servizio sanitario, elencati nell’art. 19 del d.lgs. n. 118 del 2011, è infatti che essi svolgono, in via esclusiva o almeno concorrente (come nel caso degli istituti zooprofilattici), attività sanitaria strettamente intesa, ossia volta alla tutela della salute della persona umana mediante la prestazione dell’assistenza a tal fine necessaria.
Dacché il CEFPAS di Caltanissetta non può, in ogni caso, essere ricondotto a detta elencazione poiché, come si è evidenziato, svolge funzioni di formazione del personale sanitario e dei medici specializzati, di ricerca e di organizzazione di convegni, secondo quanto previsto dall’art. 20 della legge reg. Siciliana n. 30 del 1993.
Come affermato da questa Corte, l’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, evocato dal ricorrente quale parametro interposto, «stabilisce condizioni indefettibili nella individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni» (sentenza n. 132 del 2021 che richiama la sentenza n. 197 del 2019), da cui scaturisce «l’impossibilità di destinare risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei LEA, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi» (ancora sentenza n. 132 del 2021). La disposizione persegue, pertanto, l’obiettivo ultimo di evitare indebite distrazioni dei fondi destinati alla garanzia dei LEA (sentenze n. 1 del 2024 e n. 233 del 2022).
La disposizione impugnata, quindi, qualificando il CEFPAS come ente del SSR, ancorché lo stesso esuli, nella forma e nella sostanza, dagli enti elencati dall’art. 19 del d.lgs. n. 118 del 2011, viola il principio di contenimento della spesa sanitaria, come è stato già affermato da questa Corte rispetto all’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) siciliana per il fatto che non svolge solo funzioni sanitarie (sentenze n. 1 del 2024 e n. 172 del 2018).
Le censure, che si appuntano sulla violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica, espresso dal parametro interposto di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, sono dunque fondate.
11.– Parimenti sussistente è la dedotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al principio di coordinamento della finanza pubblica sancito dall’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, stante l’assoggettamento della Regione Siciliana al piano di rientro dal disavanzo sanitario.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che ha riguardato anche leggi della Regione Siciliana (sentenze n. 9 del 2024 e n. 172 del 2018), l’assoggettamento ai vincoli del piano di rientro dal disavanzo sanitario impedisce alle regioni di incrementare la spesa sanitaria per motivi non inerenti alla garanzia delle prestazioni essenziali, e, quindi, per esborsi non obbligatori (ex plurimis, sentenze n. 176 del 2023, n. 242, n. 190 e n. 161 del 2022, n. 142 e n. 36 del 2021 e n. 166 del 2020).
Più volte è stato ribadito, del resto, che i vincoli in materia di contenimento della spesa pubblica sanitaria costituiscono espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (tra le tante, sentenze n. 155 e 134 del 2023, n. 161 del 2022, n. 36 del 2021, n. 130 e n. 62 del 2020 e n. 197 del 2019). Tale principio è stato chiaramente esplicitato proprio dall’evocato art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, per il quale sono vincolanti, per la regione che li abbia sottoscritti, i piani di rientro e i programmi operativi, che – ai sensi dei commi 88 e 88-bis del medesimo art. 2 – ne costituiscono attuazione e aggiornamento (sentenza n. 20 del 2023). La regione assoggettata a un piano di rientro ha, quindi, non solo il dovere di rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, ma anche (e soprattutto) quello di non adottarne di nuovi, che siano di ostacolo alla piena realizzazione del piano (sentenze n. 14 del 2017, n. 266 del 2016 e n. 278 del 2014 e, tra le altre, con riferimento alla Regione Siciliana, sentenza n. 155 del 2023).
Ne deriva che, in costanza del piano di rientro, la regione non può introdurre, nell’esercizio della competenza concorrente in materia di tutela della salute, prestazioni comunque afferenti al settore sanitario ulteriori e ampliative rispetto a quelle previste per il raggiungimento dei LEA (sentenze n. 9 del 2024 e n. 242 del 2022).
Questo effetto preclusivo di qualsiasi disposizione regionale incompatibile con gli impegni assunti ai fini del risanamento economico-finanziario del disavanzo sanitario regionale è, invero, finalizzato a garantire contemporaneamente il processo di risanamento e i LEA, attraverso un rigoroso percorso di selezione dei servizi finanziabili (sentenze n. 51 del 2013 e, quanto alla Regione Siciliana, n. 62 del 2020).
D’altra parte, l’incremento di spesa è disvelato dallo stesso parere del Ministero della salute evocato dalla difesa regionale, parere dal quale si desume che (tra l’altro) per effetto della predetta qualificazione il Centro potrebbe stabilizzare il personale precario, assunto con contratto di diritto privato, con conseguenti rilevanti (e non quantificabili) oneri che finirebbero con il riverberarsi sul fondo sanitario regionale.
12.– In conclusione, il ricorso, quanto alla censura che investe l’art. 25, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2024, è fondato, con riferimento alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi di coordinamento della finanza pubblica costituiti sia dall’art. 20 del d.lgs. n. 118 del 2011, che dall’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, mentre può essere assorbita l’ulteriore censura con cui si invoca la violazione dei principi di cui al Titolo I del d.lgs. n. 502 del 1992.