Corte Costituzionale, sentenza 28 novembre 2024 n. 190
PRINCIPIO DI DIRITTO
1) Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 339 (Passaggio del personale non idoneo all’espletamento dei servizi di polizia, ad altri ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato), sollevate, in riferimento agli artt. 1, 27, 36 e 76 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, seconda sezione;
2) Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982 sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 35, 51 e 97 Cost., dal Consiglio di Stato, seconda sezione;
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Consiglio di Stato, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 27, 35, 36, 51, 76 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982, ove si prevede che «[i]l personale dei ruoli della Polizia di Stato, che espleta funzioni di polizia, giudicato assolutamente inidoneo per motivi di salute, anche dipendenti da causa di servizio, all’assolvimento dei compiti d’istituto può, a domanda, essere trasferito nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli della Polizia di Stato o di altre amministrazioni dello Stato, sempreché l’infermità accertata ne consenta l’ulteriore impiego»;
1.1. La disposizione è censurata «nella parte in cui esclude o comunque non prevede la possibilità di disporre il transito nei ruoli civili dell’Amministrazione della Pubblica sicurezza o di altra amministrazione pubblica per gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato che espletano funzioni di polizia, in caso di riscontrato difetto dei requisiti attitudinali»;
1.2. Con riferimento al requisito della rilevanza, il rimettente evidenzia che la questione oggetto dell’appello verte sulla facoltà per l’amministrazione della Polizia di Stato di verificare la permanenza dei requisiti attitudinali dei propri dipendenti anche dopo la presa di servizio, nonché sulla possibilità in caso di esito negativo di tale verifica di destinare tali dipendenti ad altri ruoli dell’amministrazione di pubblica sicurezza o di altre amministrazioni pubbliche;
1.3. Al riguardo, il giudice a quo ritiene di dover prestare adesione, in quanto espressione del “diritto vivente”, alla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 12 del 2023, in cui si afferma che la perdita del requisito attitudinale non rientra nelle previsioni di cui all’art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982 e di conseguenza non dà luogo al passaggio del dipendente della Polizia di Stato ad altri ruoli dell’amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato, ma è causa di cessazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 129 del d.P.R. n. 3 del 1957;
1.4. La disposizione censurata, così interpretata, si porrebbe in contrasto, in primo luogo, con gli artt. 1, 3, 4 e 35 Cost., avuto riguardo ai principi di ragionevolezza, di riconoscimento a tutti cittadini del diritto al lavoro, nonché di «tutela del lavoro», di cui all’art. 35 Cost. Sotto un diverso profilo, il giudice a quo sottolinea la disparità di trattamento tra il personale della Polizia di Stato e il personale militare appartenente all’Arma dei Carabinieri e gli appartenenti alla Guardia di finanza, ai quali sarebbe riconosciuta la possibilità di essere diversamente utilizzati dall’amministrazione pubblica;
1.5. Vi sarebbe, inoltre, un oggettivo impedimento all’esplicazione del diritto al lavoro, riconosciuto dagli artt. 4 e 35 Cost., nonché una violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., inteso anche come uguaglianza nell’accesso e nella conservazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione (art. 51 Cost.). Sarebbero altresì violati i principi di imparzialità e buon andamento enunciati dall’art. 97 Cost., poiché l’amministrazione si priverebbe dell’attività lavorativa di un dipendente già formato, in assenza di alcuna plausibile ragione;
1.6. Il rimettente accenna anche alla violazione dell’art. 76 Cost., per contrasto della disposizione censurata con quanto previsto dalla legge delega. Infine, il giudice a quo ravvisa il contrasto di detta disposizione con l’esigenza, sottesa ai principi costituzionali di cui agli artt. 27, 35 e 36 Cost., di assicurare la continuità del rapporto di lavoro in presenza di un evento, quale la perdita dei requisiti attitudinali, non dipendente dalla volontà del lavoratore, tanto più là dove, come nel caso in esame, «la mancata continuità del servizio si deve al coinvolgimento in un giudizio penale conclusosi con sentenza assolutoria»;
1.7. Ad avviso del rimettente, ciò si tradurrebbe di fatto in una “pena”, inflitta in assenza di qualsivoglia violazione di legge.
- In via preliminare, deve essere rilevata l’inammissibilità delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 1 e 36 Cost., in quanto non sono provviste di alcuna motivazione in punto di non manifesta infondatezza;
2.1. È inammissibile anche la questione relativa all’art. 76 Cost., poiché il rimettente si limita a sostenere, in termini generici, che non sarebbe da escludere il possibile contrasto della disposizione censurata «con un principio e con una norma della legge delega», senza ulteriormente chiarire le ragioni dell’asserito contrasto con il parametro evocato (in termini, tra le altre, sentenze n. 118 del 2022 e n. 213 del 2021). È altresì inammissibile la questione sottoposta in riferimento all’art. 27 Cost.;
2.2. Il rimettente fa presente che l’agente di polizia non ha superato la verifica attitudinale dopo essere stato sottoposto a un lungo periodo di sospensione dal servizio, a causa del perdurare di un procedimento penale conclusosi con l’assoluzione con formula piena. Sostiene, in proposito, che la disposizione censurata si risolverebbe «nella pratica, […] in una “pena” in assenza di qualsivoglia violazione di legge». La disciplina in esame, tuttavia, riguardando la materia della cessazione dal servizio dei dipendenti pubblici è totalmente estranea all’ambito di applicazione del principio di personalità della responsabilità penale (sentenza n. 363 del 1996);
- Prima di scrutinare il merito delle altre questioni sollevate, è utile una breve ricostruzione della cornice normativa di riferimento. Ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. n. 335 del 1982, le cause di cessazione dal servizio del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia sono quelle previste dal d.P.R. n. 3 del 1957. Secondo l’art. 129 di tale ultimo d.P.R., è dispensato dal servizio l’impiegato divenuto inabile per motivi di salute, salvo che non sia diversamente utilizzato in altri compiti, nonché quello che abbia dato prova di incapacità o di persistente insufficiente rendimento;
3.1. Dunque, l’art. 129 del d.P.R. n. 3 del 1957 impone la cessazione dal servizio in tre distinte ipotesi: l’inabilità per motivi di salute, l’incapacità e l’insufficiente rendimento. Tale disposizione, tuttavia, consente al solo dipendente divenuto inabile per motivi di salute di evitare la dispensa attraverso l’assegnazione ad altri compiti;
3.2. Tale assegnazione è disciplinata, per le Forze di polizia, dal censurato art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982, che prevede il passaggio – su richiesta – del personale non idoneo per motivi di salute all’espletamento dei servizi di polizia ad altri ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato;
- Tanto premesso, passando all’esame delle questioni sollevate in riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente ritiene che l’art. 1 del d.P.R. n. 339 del 1982, interpretato nel senso che l’agente della Polizia di Stato privo dei requisiti attitudinali subisce la cessazione del rapporto di impiego pubblico, non sarebbe coerente con il principio di ragionevolezza. In proposito, deve rilevarsi che non sussiste – tanto per i datori di lavoro del settore pubblico che per quelli del settore privato – un obbligo generalizzato di assegnare a un altro ambito mansionistico il lavoratore che si dimostra non capace a rendere la prestazione lavorativa richiesta, tranne che nell’ipotesi di inidoneità parziale all’impiego causata da un sopravvenuto deficit di salute. Solo nel caso di una menomazione fisica o psichica i principi costituzionali di solidarietà sociale e quelli eurounitari di non discriminazione di cui alla direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, impongono siffatto obbligo;
4.1. In tale ipotesi, si è individuato un peculiare punto di equilibrio tra le esigenze del datore di lavoro a un ottimale uso delle proprie risorse e quelle del lavoratore, che tiene conto dell’obiettiva difficoltà che può incontrare colui che subisce una infermità a trovare una nuova collocazione nel mondo del lavoro. La stessa direttiva 2000/78/CE, inoltre, al suo considerando 17, «non prescrive […] il mantenimento dell’occupazione […] di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili»;
4.2. Pertanto, non risulta irragionevole, e costituisce una scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore, non consentire il transito in altri ruoli dell’amministrazione dell’agente della Polizia di Stato che, risultando privo dei requisiti attitudinali, non è più in possesso della specifica capacità lavorativa richiesta per l’espletamento delle funzioni per le quali è stato assunto;
4.3. La disposizione censurata, inoltre, nella misura in cui non prevede il transito in altri ruoli nel caso di perdita del requisito attitudinale, risulta coerente con quanto previsto per altre categorie lavorative del settore pubblico cui è richiesto il possesso di specifiche attitudini, quali gli insegnanti, che sono soggetti alla dispensa dal servizio per “incapacità didattica” (si veda l’art. 512 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado»);
4.5. La scelta del legislatore non determina neppure, come ipotizzato nell’ordinanza di rimessione, una violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento rispetto al personale dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza;
4.6. Infatti, le disposizioni richiamate dal giudice a quo, che consentono il transito in altri ruoli di tale personale (per l’Arma dei carabinieri, l’art. 930, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010 e per la Guardia di finanza l’art. 14, comma 5, della legge n. 266 del 1999), fanno riferimento all’ipotesi di inidoneità al servizio «per lesioni dipendenti o meno da causa di servizio» e, quindi, non trovano applicazione nel caso di perdita del requisito delle attitudini;
- Non sono, poi, fondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 4 e 35 Cost. e riguardanti il diritto al lavoro e la sua tutela. Il riconoscimento di tale diritto non comporta il generalizzato obbligo di garantire la conservazione del posto di lavoro al lavoratore che non possegga i requisiti necessari per adempiere in maniera adeguata alle prestazioni richieste;
5.1. Come più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, «la garanzia del diritto al lavoro non comporta una generale ed indistinta libertà di svolgere qualsiasi attività professionale, spettando pur sempre al legislatore di fissare condizioni e limiti in vista della tutela di altri interessi parimenti meritevoli di considerazione e, più in particolare, di valutare, nell’interesse della collettività e dei committenti […] i requisiti di adeguata preparazione occorrenti per l’esercizio dell’attività professionale medesima» (sentenza n. 441 del 2000);
- Per le medesime ragioni, non sussiste neppure la violazione dell’art. 51 Cost., riguardante l’accesso agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza, non essendo ravvisabile, nell’ipotesi di perdita delle attitudini, un diritto alla conservazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione;
- Quanto al contrasto con l’art. 97 Cost., secondo il rimettente l’amministrazione, disponendo la cessazione dal servizio, si priverebbe «dell’attività lavorativa di un dipendente già formato, senza che vi sia una plausibile ragione ovvero un impedimento psico-fisico ad utilizzarlo in mansioni diverse»;
- Tuttavia, l’accesso all’impiego del personale di polizia avviene tramite un concorso pubblico in cui è specificamente richiesto il possesso di particolari requisiti attitudinali, che devono permanere durante tutto il rapporto di lavoro;
- La questione, pertanto, non è fondata, in quanto il rispetto del principio di buon andamento non comporta l’obbligo per l’amministrazione di verificare se un agente della Polizia di Stato, dimostratosi non più capace di rendere la prestazione per la quale era stato assunto, possa essere comunque utilizzato per espletare funzioni diverse da quelle di polizia.