Cassazione penale, I, ud. Dep. 14.01.2025, n.1710
PRINCIPIO DI DIRITTO
La più recente giurisprudenza di legittimità – superando la più risalente tesi della configurabilità del delitto di violenza privata- ritiene configurabile il dolo omicidiario nelle variegate ipotesi di lancio di oggetti dal cavalcavia.
La Corte, riprendendo i principi espressi nella sentenza Lezzi, quanto alla configurabilità dell’elemento psicologico, ha puntualizzato che integra il dolo diretto il lancio di sassi anche quando tale azione non è diretta a colpire gli autoveicoli, ma idonea a creare il concreto pericolo di incidenti stradali anche mortali, al cui verificarsi deve intendersi diretta la volontà dell’agente.
Si è, infine, affermato che in tema di tentato omicidio, è configurabile il dolo diretto nella condotta dell’agente che, lanci in immediata successione due sassi di rilevante massa sulla carreggiata al momento del passaggio di un’autovettura, ben visibile dall’alto.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il ricorso, interamente versato in fatto e che deduce censure infondate, dev’essere rigettato.
- Com’è reso evidente dal tenore del sunteggiato ricorso, incontestata la ricostruzione dei fatti e la loro ascrivibilità all’imputato, la questione controversa è quella della qualificazione giuridica della condotta posta in essere dall’imputato.
2.1. Non è superfluo preliminarmente evidenziare – sebbene non vi sia stata svolta alcuna censura espressa censura sul punto – che la Corte di assise di appello, nel pervenire alla diversa qualificazione giuridica di tentato omicidio non ha diversamente valutato le prove dichiarative, ma si è attenuta alla ricostruzione della vicenda compiuta dal Tribunale e ha riformato la sentenza di primo grado perché, valutando il medesimo compendio probatorio, ne ha tratto conseguenze divergenti esclusivamente in punto di diritto.
2.2. Si è, dunque, correttamente conformata all’orientamento prevalente secondo cui «Il giudice d’appello che procede alla reformatio in peius della sentenza assolutoria di primo grado, ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., non è tenuto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata» (ex multis, Sez. 2, n. 3129 del 30/11/2023, dep. 2024, Casoppero Cataldo Santo, Rv. 285826 – 01; Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, Lazzari, Rv. 284860 – 01; Sez. 4 n. 48523 del 25/10/2023, Servetti n.m.).
- Osserva, poi, il Collegio come il Giudice di appello sia pervenuto alla riforma della decisione assolutoria assolvendo pienamente all’obbligo di motivazione cd “rafforzata”.
3.1. E’ fermo nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. La Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell’Istruttoria, prevista dall’art.603, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado compiendo il doveroso e puntuale confronto con la motivazione della decisione di assoluzione e dando contezza esplicita degli evidenti vizi logici che hanno minato la permanente sostenibilità del primo giudizio (da ultimo, Sez. 6, Sentenza n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056 – 01; Sez. 5, n. 54300 del 14/09/2017, Banchero, Rv. 272082 – 01; Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella, Rv. 262261).
3.2. Nel caso che ci occupa, il Giudice di appello, dopo aver compiuto un confronto puntuale con la motivazione della decisione di assoluzione, ha argomentato in merito alla configurabilità della diversa qualificazione giuridica come l’unica ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici e di inadeguatezze logiche, opportunamente evidenziati, che avevano minato la permanente sostenibilità del primo giudizio.
3.3. Segnatamente, a ragione della configurabilità del tentato omicidio ha valorizzato: i) l’incontestata circostanza secondo cui l’intento del giovane sarebbe stato quello di «provocare brusche frenate o sterzata improvvisa dell’automobilista»; ii) il luogo teatro dei fatti, una strada statale notoriamente trafficata e frequentata da veicoli; iii) l’andatura dell’auto condotta dalla persona offesa che, sebbene non espressa con precisione in k/h, era certamente sostenuta, sebbene auspicabilmente conforme ai limiti previsti per una strada statale (80-90 km/h).
3.4. Ha, quindi, osservato che, in un contesto come quello descritto, anche una semplice e improvvisa frenata ovvero una brusca sterzata costituivano grandissimo pericolo per l’incolumità del viaggiatore, a prescindere dalle dimensioni, dalla consistenza e dalla capacità distruttiva del corpo contundente utilizzato per il lancio dal cavalcavia, poiché il rischio di incidente, provocato dal lancio, poteva trovare origine nell’improvvisa manovra di emergenza, attivata dal conducente al fine di evitare l’impatto con il corpo contundente stesso, quale che fosse.
3.5. Ha ritenuto che proprio tale situazione si fosse concretizzata nel caso oggetto di scrutinio, come era emerso dalla deposizione della parte offesa che, su specifica domanda, aveva puntualizzato che, per evitare la bottiglia lanciata dall’imputato, fu costretto a cambiare repentinamente corsia, rientrando da quella di sorpasso in quella di marcia, senza neppure guardare nello specchietto retrovisore per controllare se sopraggiungessero altri veicoli a tergo.
3.6. Sotto altro profilo, il Giudice di secondo grado ha ritenuto prive di sostegno argomentativo le considerazioni formulate nella sentenza di primo grado sull’inidoneità qualità della bottiglia oggetto di lancio («piccola e vuota»), a provocare danni significativi, trattandosi di un oggetto in vetro, rigido e – qualora infranto – anche tagliente, idoneo a scalfire, così da non potersi neppure escludere a priori la possibilità di rottura del parabrezza e intrusione dell’oggetto contundente all’Interno dell’abitacolo dell’autovettura.
3.7. Ha, dunque, concluso che – in considerazione dell’oggetto (bottiglia di vetro), lanciato “a candela” dall’altezza da cui il lancio è avvenuto, della velocità certamente non modesta con la quale transitava il veicolo preso di mira, della strada, notoriamente a elevato traffico veicolare – era evidente come l’impatto del corpo contundente lanciato avrebbe potuto produrre come conseguenza anche l’evento morte, sia nel caso in cui penetrando il parabrezza in auto in transito la bottiglia avesse colpito il conducente o qualcuno dei passeggeri, sia nel caso in cui l’effetto sorpresa, ricollegabile all’urto sul parabrezza o all’Impatto della stessa sul conducente avessero provocato lo sbandamento ovvero l’uscita di strada dell’autovettura con concreto rischio di conseguente incidente stradale, coinvolgimento di altri veicoli ed effetti letali per le persone a bordo dei mezzi coinvolti.
- Già con la pronuncia della Sez. 1, n. 19897 del 25/03/2003, Lenzi, Rv. 224798 – 01 si è affermato che «costituisce tentativo di omicidio plurimo il lancio “a pioggia”, dall’alto di un cavalcavia sulla sottostante sede autostradale, in ora notturna, di sassi, pietre, cocci e simili, in quanto tale azione, seppure non diretta a colpire singoli autoveicoli, è idonea – per la non facile avvistabile presenza degli oggetti sulla carreggiata, data anche l’ora notturna, e per la consistente velocità tenuta generalmente dai conducenti in autostrada – a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve ritenersi diretta la volontà dell’agente». Nell’occasione, occupandosi del caso specifico dell’Imputato che aveva scagliato, con un unico gesto, un quantitativo di oggetti (sassi, cocci di terracotta ed una pietra a spigoli vivi, di varie dimensioni fino a cm. 7 x 5), la Corte ha avuto modo di chiarire, quanto all’idoneità degli atti, che vi era pericolo in concreto ravvisabile, con grado di probabilità certamente non trascurabile, pur in presenza di un lancio non mirato, ma “a pioggia”, nel momento in cui sopraggiungevano nella carreggiata interessata alcune autovetture. Quanto all’elemento psicologico, ha evidenziato che, «anche volendo considerare non calcolato né prevedibile il transito di alcuni veicoli pressoché in coincidenza con il lancio, il fatto stesso di cagionare la dispersione sulla carreggiata di una molteplicità oggetti non agevolmente avvistabili e capaci di provocare danni ai pneumatici o comunque turbative alla marcia normale delle autovetture su strada destinata a grande traffico ad alta velocità era indubbiamente e univocamente indicativo dell’intento di provocare incidenti con conseguenze potenzialmente letali».
4.1. Del pari, si è ritenuto di individuare il dolo diretto nella condotta dell’agente che, sforzandosi di superare un’alta rete metallica protettiva, aveva lanciato un sasso di rilevante massa (ndr di circa tre chilogrammi) in corrispondenza della corsia di scorrimento delle macchine su un’autostrada, notoriamente molto trafficata in determinate ore del giorno, da un punto di un cavalcavia da cui non sia possibile vedere le auto che transitano in basso (Sez. 1, n. 5436 del 25/01/2005, Marangon, Rv. 230813 – 01). . Si è, poi, valorizzato il dato della non completa visuale nel senso che l’agente non poteva escludere, al momento del lancio, che stessero transitando auto, ciò che ha ritenuto dimostrativo dell’indifferenza verso la vita delle persone che era prevedibile che transitassero su quel tratto di strada.
- Sulla scorta delle indicate premesse ermeneutiche, non è manifestamente illogica la motivazione del Giudice di appello che – sulla scorta della puntuale deposizione della persona offesa – ha ritenuto che il giovane autore del lancio avesse realizzato un vero e proprio “tiro al bersaglio” sull’auto in transito lungo la strada sottostante al cavalcavia dove si era strategicamente appostato, poiché – come riferito dal conducente del mezzo – egli attese l’arrivo del veicolo in prossimità del cavalcavia per far cadere il corpo contundente.
5.1. Circostanza, questa, che ha ritenuto confermativa del fatto che, lungi dal mero divertimento di lanciare a caso oggetti sulla strada sottostante, l’intento criminoso dell’imputato fosse proprio quello di colpire il veicolo, possibilmente nel suo punto più vulnerabile (parabrezza), così da provocare il massimo danno possibile, nelle varie modalità di manifestazione, già sopra analiticamente ricostruite.
5.2 A fronte di tale motivazione, il ricorso si limita a riproporre l’opzione interpretativa del primo Giudice, che riproduce graficamente nell’atto, senza introdurre elementi a reale confutazione.
- Il ricorso, come preannunciato, dev’essere, pertanto respinto.
6.1 A detta pronuncia non consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, trattandosi di imputato minorenne.
6.2 La previsione di cui all’art. 29 del D.L.G. 28.7.1989 n.272 che, derogando al generale principio della soccombenza del condannato in tema di pagamento delle spese del processo e di custodia cautelare, stabilisce che la sentenza di condanna nei confronti di persona minore di età non comporta detto obbligo, si inserisce, infatti, nel quadro della disciplina del processo minorile, strutturalmente finalizzato alla ripresa o al recupero del percorso educativo del minore.
6.3. La ratio cui è ispirata la norma è quella di esonerare il minore dalle negative conseguenze che gli deriverebbero dall’applicazione della anzidetta regola della soccombenza, e ciò – ha più volte sottolineato questa Corte – vale sia in relazione al giudizio di merito che a quello di legittimità, dovendosi pertanto escludere una interpretazione del predetto art. 29 in base alla quale l’esonero può operare soltanto con riferimento alla definizione dei procedimenti di merito e non anche in sede di legittimità (così già sez. 4, n. 11194 del 1.6.1999, Milanovic P., rv. 214385).
6.4. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, poi, definitivamente affermato che «Il minorenne che abbia proposto ricorso per cassazione non può essere condannato, in caso di rigetto o dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione, al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende (Sez. U, n. 15 del 31.5.2000, Radulovic, Rv. 216704).
6.5. In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.