Consiglio di Stato, Sez VI , sentenza 17 gennaio 2025 n. 359
PRINCIPIO DI DIRITTO
“In materia di dichiarazione di interesse storico culturale di un bene, l’attività dell’amministrazione assume sostanzialmente “carattere ricognitivo e conoscitivo e non volitivo e decisionale, non implicando una scelta tra diverse soluzioni possibili per il perseguimento di un determinato interesse pubblico”;….. va qualificata “non come esercizio di discrezionalità amministrativa, ma invece, come esercizio di discrezionalità tecnica in senso proprio (…) caratterizzata dal fatto che la scelta circa il comportamento da tenere o la linea da seguire per il raggiungimento degli interessi affidati all’amministrazione è stata a priori posta in essere direttamente dal legislatore in modo ovviamente vincolante, sicché all’amministrazione è rimessa esclusivamente la valutazione dei fatti posti dalla legge o presupposto dell’operare, alla stregua di regole tecniche tratte da settori specifici di conoscenza”
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
Il giudizio che presiede all’imposizione di una dichiarazione di interesse (c.d. vincolo) culturale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche “caratterizzati da ampi margini di opinabilità”;
Ne consegue che l’apprezzamento compiuto dall’amministrazione preposta alla tutela – da esercitarsi in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. – è sindacabile, in sede giudiziale, sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma “fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche”; sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, “affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile” (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 6 agosto 2024 n. 7001 e 30 agosto 2023 n. 8074);
In altri termini, la valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l’imposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è prerogativa dell’amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta e quindi “soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato” (cfr., da ultimo, Cons. Stato. Sez. VI, 16 maggio 2024 n. 4389);
Quindi, nel caso della tutela di beni culturali la valutazione dell’interesse culturale presenta una particolare configurazione legata alla peculiarità del potere attribuito all’amministrazione nelle materie in questione, nel cui esercizio occorre tener conto non soltanto dei vari interessi, pubblici e privati, che possono venire in rilievo nella valutazione, ma altresì di una serie di profili tecnici – cd. fatti complessi – relativi agli aspetti storici ed architettonici del bene;
La valutazione dell’amministrazione è, dunque, sindacabile dal giudice amministrativo soltanto quando presenti profili di illegittimità ed irrazionalità di tale evidenza da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta da valutarsi nella sua portata complessiva;
Ne consegue che la logica conseguenza è che, in presenza di valutazioni di interesse storico-artistico fondate su una pluralità di indici rivelatori, non è sufficiente che alcuni soltanto di essi palesino aspetti di particolare opinabilità per infirmare nel complesso la validità delle conclusioni raggiunte, ma è necessario che la sommatoria delle lacune individuate risulti di tale pregnanza da compromettere nel suo complesso l’attendibilità del giudizio espresso dall’organo competente (cfr., su molti dei profili appena rassegnati, Cons. Stato, Ad. pl., 13 febbraio 2023 n. 5);
A quanto sopra va aggiunto, tenendo sempre conto dei profili contestativi specifici dedotti dalle parti nel presente contenzioso, che la scelta operata da un’amministrazione di esercitare ovvero di non esercitare il diritto di prelazione su un immobile di interesse culturale ha natura altamente discrezionale, tanto che essa può essere scrutinata dal giudice amministrativo limitatamente ai profili eventuali di evidente irragionevolezza o illogicità, oltre che con riferimento alla puntualità della motivazione che assiste l’atto decisorio, ivi compresa la verifica del rispetto dei termini indicati dalla legge (art. 62 d.lgs. 42/2004), trattandosi pur sempre dell’esercizio di un potere ablativo che incide sul diritto privato di proprietà (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2024 n. 6689);
Nondimeno, non incidendo sul diritto di proprietà del proprietario del bene, oltre a non essere previsto dalla legge un termine per l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale o storico di un bene, non si apprezza neppure la lesione di un legittimo affidamento dei proprietari a non “subire” l’impressione del vincolo in ragione della scelta a suo tempo operata dall’amministrazione di non voler esercitare il diritto di prelazione, prevalendo nel caso della dichiarazione di interesse storico-culturale l’interesse pubblico alla conservazione del bene per ciò che esso rappresenta;
Non a caso, in materia di dichiarazione di interesse storico culturale di un bene, l’attività dell’amministrazione assume sostanzialmente “carattere ricognitivo e conoscitivo e non volitivo e decisionale, non implicando una scelta tra diverse soluzioni possibili per il perseguimento di un determinato interesse pubblico”; in altri termini, come già si è più sopra chiarito, va qualificata “non come esercizio di discrezionalità amministrativa, ma invece, come esercizio di discrezionalità tecnica in senso proprio (…) caratterizzata dal fatto che la scelta circa il comportamento da tenere o la linea da seguire per il raggiungimento degli interessi affidati all’amministrazione è stata a priori posta in essere direttamente dal legislatore in modo ovviamente vincolante, sicché all’amministrazione è rimessa esclusivamente la valutazione dei fatti posti dalla legge o presupposto dell’operare, alla stregua di regole tecniche tratte da settori specifici di conoscenza” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 22 gennaio 2004 n. 161);
Deve anche rilevarsi come gli assunti che precedono risultino coerenti con il principio desumibile dalla stessa giurisprudenza costituzionale, secondo cui l’atto che impone il vincolo (sia esso archeologico, artistico, storico, ambientale, paesistico) è rivolto a salvaguardare un’intera categoria di beni, sottoposti dalla legge ad un peculiare regime giuridico, per le loro predeterminate caratteristiche oggettive. L’imposizione di vincoli alla proprietà privata di tali beni è connaturata ai beni stessi, i quali vengono ad esistenza, per così dire, già limitati sul piano della loro possibile utilizzazione, tanto è vero che non si pone neppure un problema di indennizzo (cfr. Corte Cost., 20 maggio 1999 n. 179 nonché il parere del Cons. Stato, Ad. gen. 26 maggio 2011 n. 2102, secondo la quale: “quella di bene culturale costituisce una caratteristica intrinseca del bene stesso”);
Ne consegue che se il potere di individuazione dei beni di interesse storico-artistico è espressione di una mera discrezionalità tecnica, il relativo margine di apprezzamento è integralmente governato dalla sola applicazione di regole di giudizio tecnico, senza alcuno spazio entro il quale effettuare una ponderazione degli interessi confliggenti, tra cui quelli esterni riconducibili al proprietario del bene, con l’ulteriore conseguenza che, in mancanza di norma espressa, nessun termine all’esercizio di tale potere può essere rinvenuto nell’ordinamento né il ridetto esercizio del potere può essere condizionato da valutazioni e considerazioni che in altri tempi la stessa amministrazione ha effettuato sul bene che, solo dopo, intende dichiarare di interesse storico-culturale;
Va invece rilevato, tenendo conto della specifica censura dedotta in primo grado dalla società appellante e dalla stessa ribadita in sede di appello, arricchita con la correlata contestazione dei capi della sentenza di primo grado che non ne hanno tenuto conto, come l’amministrazione procedente non ha tenuto affatto in considerazione quanto era stato segnalato dalla società IBG nelle osservazioni presentate nel corso della procedura, con l’allegazione di una perizia tecnica, circa la significativa incidenza sulla struttura dell’edificio degli interventi edilizi che lo avevano interessato nel corso degli ultimi anni e tali (almeno si sostiene) da pregiudicare la permanenza di quegli elementi di collegamento al periodo storico in cui il fabbricato venne realizzato e che dovrebbero costituire il sostegno della dichiarazione di interesse culturale dell’immobile,
Il Collegio, infatti, è del meditato avviso che l’attività dell’amministrazione procedente sconti, nel suo complesso, un evidente deficit istruttorio, tradottosi in una corrispondente carenza motivazionale del decreto principalmente impugnato in primo grado. Ciò in quanto nella relazione della Soprintendenza, che costituisce l’effettiva motivazione (ob relationem) della scelta espressa dall’amministrazione nel decreto in questione:
– sono riepilogati l’epoca di costruzione dell’edificio (tra il 1935 e il 1937) e la sua iniziale destinazione a “Mercato ortofrutticolo coperto o Mercato ingrosso e borsa merci”, per poi essere “ceduto al Partito Fascista che lo destinò prima a “Casa Littora” (nel ’39) e poi “Casa del contadino” (nel ’40)” e quindi riferisce circa le destinazioni successive;
– sono complessivamente rappresentate le caratteristiche catastali dell’edificio;
– è genericamente affermato che “La città di Caserta presenta pochi elementi attribuibili alla corrente artistica così definibile ma uno dei pochi edifici che fanno eccezione è proprio la cosiddetta Casa del Fascio che ha cambiato più volte uso e nome ma non è stata non è mai stata utilizzata con la destinazione funzionale per la quale fu costruita” e che “L’edificio presenta interesse storico artistico quale testimonianza significativa dell’articolazione tipologica e architettonica dell’edilizia protorazionalista di Caserta e componente determinante della quinta edilizia prospettante su piazza Matteotti”;
Tali considerazioni, espresse con modalità significativamente sintetiche nella relazione, che costituisce parte integrante del decreto di dichiarazione di interesse culturale (per volontà espressa dalla stessa amministrazione), danno luogo ad una motivazione che rasenta il carattere della ipoteticità, se non, addirittura, della apoditticità, non consentendo né al proprietario né a chiunque sia interessato a conoscere le ragioni della scelta operata dall’amministrazione di comprendere, in particolare, se le caratteristiche dell’edificio che militano per la sua conservazioni privilegiata, con l’imposizione di un apposito vincolo di tutela, meritino ancora oggi e nonostante le trasformazioni edilizie intervenute negli anni (e documentate già in occasione dello svolgimento del procedimento amministrativo e nella presente sede giurisdizionale) che l’amministrazione competente intervenga ai sensi degli artt. 10, 13 e 15 d.l.gs. 42/2004;
Né dell’effettuazione di una siffatta, doverosa, ricognizione si da conto nella descrizione dell’istruttoria svolta nell’ambito del procedimento che ha preceduto l’adozione del provvedimento dichiarativo dell’interesse;
Ne discende l’illegittimità del decreto n. 135 dell’1 marzo 2016 della Commissione regionale per il patrimonio culturale della Campania, contenente dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art 10 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 sull’edificio denominato “Ex casa del Fascio” sito in Caserta e, in via derivata, degli altri atti gravati in prime cure, che vanno quindi annullati;
Resta ferma la possibilità per l’amministrazione competente di adottare ulteriori provvedimenti all’esito di nuova attività istruttoria volta, in particolare, a verificare e a valutare l’incidenza della realizzazione di interventi edilizi sull’effettiva permanenza di un interesse storico culturale dell’edificio in questione e, comunque, in merito alla sussistenza nell’attualità delle specifiche e comprovate ragioni che indirizzano verso la particolare tutela dell’immobile al fine di garantire lo speciale interesse pubblico alla sua conservazione;
Con ricorso in appello la società IBG S.p.a. ha convenuto in giudizio la città di Caserta per ivi sentir accogliere la richiesta di riforma della sentenza resa in primo grado dalTribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VII, 30 giugno 2022 n. 4397, e con la quale il predetto TAR ha respinto il ricorso (n. R.g. 2355/2016) proposto dalla suddetta società al fine di ottenere l’annullamento del decreto n. 135 dell’1 marzo 2016 della Commissione regionale per il patrimonio culturale della Campania, contenente dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art 10 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 sull’edificio denominato “Ex casa del Fascio” nonché di ogni altro atto preordinato, conseguente e connesso, ivi compreso e per quanto di ragione, il provvedimento prot. n. 9440 del 27 novembre 2015, con cui la Soprintendenza belle arti e paesaggio per la Provincia di Caserta ha comunicato l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 42/2004 e la nota prot. n. 1571 del 4 febbraio 2016 di chiusura dell’istruttoria;
La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue;
La società IBG S.p.a. è attualmente proprietaria di un fabbricato sito in Caserta e denominato “Ex Casa del Fascio”, avendolo acquistato dalla società Stealth S.r.l. che, a propria volta, ne era divenuta proprietaria in seguito ad asta pubblica indetta dall’Ufficio del territorio di Caserta con atto prot. n. 130475 del 4 agosto 2000;
La società appellante riferisce che sino all’anno 2000 il cespite apparteneva al patrimonio dello Stato e che, al momento dell’alienazione mediante asta pubblica, gli enti territoriali legittimati non avevano ritenuto di esercitare il diritto di prelazione ai sensi dell’art. 3, comma 113, l. 23 dicembre 1996, n. 662;
– a tal proposito, soggiunge la società appellante, va detto che, con nota prot. 155056 del 22 settembre 2000, riscontrando la richiesta dell’8 settembre 2000 presentata dall’aspirante aggiudicataria Stealth, l’Ufficio del territorio di Caserta certificava l’inesistenza di vincoli sul cespite demaniale sicché, spirato il termine di prelazione previsto dalla legge, l’immobile veniva acquistato dalla predetta società con atto di compravendita del 30 novembre 2009 (rep. n. 109) approvato dall’Agenzia del demanio con nota prot. n. 3464/2001;
– riferisce ancora la società appellante che, successivamente, il suddetto fabbricato veniva interessato da articolati interventi di riqualificazione eseguiti ad opera della proprietaria Stealth con appropriati titoli edilizi, quali il permesso di costruire n. 160/2005, il permesso in variante n. 2/2006 e la DIA prot. n. 13459/2009,
– divenuta proprietaria la IBG, con rogito notarile del 10 giugno 2014 (rep. n. 76132, racc. n. 23810), con atto del 27 novembre 2015, a distanza di 15 anni dall’avvenuta vendita con asta pubblica, la Soprintendenza belle arti e paesaggio per la Provincia di Caserta, sul presupposto che l’edificio in questione possedesse ancora “caratteristiche di integrità” tanto da costituire “una testimonianza architettonica di primaria importanza”, comunicava alla società divenuta proprietaria dell’immobile, l’avvio del procedimento, ex art.14 d.lgs. 42/2004, finalizzato alla emanazione della dichiarazione di interesse culturale del ridetto fabbricato;
– segnala la società IBG che, nella relazione storico artistica allegata alla comunicazione di avvio del procedimento, la stessa Soprintendenza ammetteva che detto edificio, realizzato tra il 1935-1937 come Mercato ortofrutticolo coperto e ceduto al Partito Fascista nel 1939, “ha cambiato più volte uso e nome e non è mai stat(o) utilizzat(o) con la destinazione funzionale per la quale fu costruit(o)”, oltre alla circostanza per cui “il volume fronte strada presenta una morfologia definita e compatta che lo individua come parte del progetto originario” sebbene sia stata successivamente realizzata “la costruzione sul retro di un nuovo ed aggiunto corpo architettonico”, tutti elementi, sicuramente contraddittori con la rilevanza storica dell’edificio, che hanno indotto la società proprietaria a presentare osservazioni critiche in data 29 febbraio 2016, rispetto alla scelta che voleva effettuare l’amministrazione;
Alle osservazioni l’odierna appellante allegava una relazione tecnico-esplicativa con la quale precisava che la ricostruzione storico-architettonica dell’amministrazione non aveva tenuto conto delle opere di riqualificazione eseguite sull’edificio che ne avevano modificato la struttura e la destinazione tanto che, in ragione dei numerosi interventi edilizi effettuati negli anni “solo la facciata del corpo di fabbrica prospiciente alla P.za Matteotti avrebbe potuto essere ricondotta alla Ex Casa del Fascio ed all’architettura del ventennio fascista” (così, testualmente, nella suddetta relazione);
L’amministrazione, nonostante le osservazioni presentate dalla società proprietaria dell’immobile, con il decreto n. 135 dell’1 marzo 2016 della Commissione regionale per il patrimonio culturale della Campania, concludeva il procedimento apponendo il vincolo di interesse storico sull’edificio in questione immobile, sicché la IBG proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente al fine di ottenere l’annullamento del suddetto provvedimento in quanto affetto da numerosi vizi (in estrema sintesi: violazione e falsa applicazione delle norme poste a tutela dell’affidamento, violazione e falsa applicazione del d.lgs. 42/2004 e della l. 662/1996, violazione e falsa applicazione della l. 241/1990, erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria, manifesta illogicità, contraddittorietà, difetto di motivazione);
Il TAR per la Campania, con la sentenza n. 4397/2022, respingeva il ricorso ritenendo infondate le censure dedotte in quanto, tra l’altro, premesso che “il potere dell’Amministrazione di apporre un vincolo storico artistico non è sottoposto ad alcun termine di doveroso e prescritto esercizio” e che “(l)a valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (di tipo artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) rilevante a tal punto da giustificare l’imposizione del vincolo, ai sensi degli art. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a) del d.lgs. 42/2004 (…) è stretta prerogativa dell’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo medesimo”, nel caso di specie, atteso che “(l)’imposizione del vincolo costituisce, quindi, una attività istituzionale non rigidamente incasellabile nel quando della sua doverosità, essendo – sia da tale specifico punto di vista che in generale – espressione di una larga discrezionalità tecnica della Amministrazione”, va affermato come “alla sostanza della decisione di apposizione del vincolo, all’esito dello scrutinio giurisdizionale, non risultano violati i parametri esterni di logicità, ragionevolezza, coerenza e completezza della valutazione in concreto adottata”;
La società IBG S.p.a., proprietaria dell’immobile sul quale la Commissione regionale per il patrimonio culturale della Campania, con decreto n. 135 dell’1 marzo 2016, aveva imposto il vincolo di interesse storico, propone ora appello nei confronti della sentenza del giudice di primo grado rappresentando una unica e complessa linea contestativa volta a sostenere l’erroneità dei profili della sentenza n. 497/2022 nella parte in cui non ha condiviso le contestazioni in quella sede mosse alla motivazione degli atti con i quali è stata dichiarata la rilevanza storica dell’immobile e, di conseguenza, è stato imposto il relativo vincolo;
In particolare gli appellanti segnalano che:
– sotto un primo profilo, quando la dante causa (società Stealth) dell’odierna società appellante, ha deciso di partecipare all’asta per l’acquisto dell’immobile, si era premunita di chiedere al Ministero delle finanze, con nota dell’8 settembre 2000, al dichiarato scopo di “meglio valutare la nostra offerta di acquisto”, di precisare “a) se e quali vincoli, servitù, trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli gravino sull’immobile posto all’incanto; b) a quale titolo i locali sono occupati dal Laboratorio Provinciale di Igiene e Profilassi”, ottenendo una risposta, con nota ministeriale del 22 settembre 2000, con la quale si dichiarava espressamente che sull’immobile “a) non vi sono vincoli, servitù, trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli che gravino sull’immobile di cui all’oggetto; b) i locali sono occupati dal Laboratorio Provinciale di Igiene e Profilassi (…)”. Appurati tali elementi la Stealth decideva di acquistare l’immobile. Ne deriva che dopo aver l’amministrazione dichiarato apertamente, nel 2000, che il bene posto all’asta non era gravato da vincoli, così confermando il proprio disinteresse per l’edificio, solo nel 2016 la stessa amministrazione ha ritenuto “di esercitare la prelazione consentita dall’avviso d’asta e dalle norme speciali”. Di talché ne deriva la irragionevolezza e contraddittorietà dell’azione amministrativa, che ha esercitato un potere a lei attribuito non tenendo neppure conto del legittimo affidamento nel frattempo ingenerato nel proprietario con il comportamento tenuto dalla medesima amministrazione;
Sotto altro versante deve rimarcarsi l’assoluta assenza dei presupposti per l’imposizione del vincolo di interesse storico-culturale. L’amministrazione, pur non avendo ritenuto di esercitare nel 2000 il diritto di prelazione sull’immobile, ha opinato che tale interesse sorgesse solo nel 2016, non tenendo conto che nel frattempo l’edificio era stato interessato da “interventi di riqualificazione che ne hanno mutato radicalmente la struttura e la destinazione d’uso e di conseguenza hanno fatto venir meno le ragioni che con il vincolo si intendono tutelare” (così, testualmente, a pag. 12 dell’atto di appello);
Tali interventi modificativi non sono stati affatto tenuti in considerazione nel corso dell’istruttoria, sicché la loro incidenza sull’interesse culturale non è stata vagliata dagli uffici procedenti, determinando un evidente deficit istruttorio. Sotto un ultimo versante, ma in linea con le contestazioni sopra rappresentate, ad avviso dell’appellante va segnalato che non sono stati considerati i numerosi interventi edilizi che hanno determinato una rilevante modifica e destinazione dell’edificio in questione e negli atti che hanno caratterizzato l’istruttoria nulla è stato detto sul punto, sicché anche la motivazione dell’atto impugnato risulta essere fortemente carente in merito a tale profilo, emergendo invece “l’impossibilità di tutelare mediante apposizione del vincolo di interesse storico un immobile ormai trasformato rispetto alla sua forma originaria” (così, testualmente, a pag. 16 dell’atto di appello);
Il Ministero della cultura, nel costituirsi in grado d’appello e depositando gli atti del fascicolo di primo grado compresa la memoria prodotta dinanzi al TAR, ribadendo la correttezza e la completezza dell’iter istruttorio posto in essere dagli uffici competenti nonché la congruità e la esaustività della motivazione che ha accompagnato il provvedimento principalmente impugnato.
Quanto all’appello proposto dalla IBG, l’amministrazione appellata sostiene la infondatezza delle censure dedotte con il gravame alla stessa stregua di quelle espresse in primo grado (e riproposte nella sede di appello dalla società IBG), confermando la correttezza della sentenza del TAR, atteso che puntualmente il giudice di prime cure ha saputo cogliere la infondatezza delle censure dedotte dalla società proprietaria dell’immobile a corredo del ricorso proposto;
La parte appellante ha prodotto nota perché il Collegio trattenesse la causa in decisione senza previa discussione;
Dalla documentazione esistente nel fascicolo del presente giudizio, proveniente anche dal primo grado, emergono i seguenti elementi rilevanti per la decisione della controversia qui in esame:
– la nota prot. 155056 del 22 settembre 2000 dell’Ufficio del territorio di Caserta nella quale l’edificio per cui è controversia è stato dichiarato assente da vincoli;
– tre titoli edilizi, indicati nella perizia depositata dalla odierna società appellante in primo grado, aventi ad oggetto il permesso di costruire n. 160/2005, il permesso in variante n. 2/2006 e la DIA prot. n. 13459/2009, che hanno consentito interventi rilevanti nel ridetto fabbricato, la cui esistenza (titoli edilizi e interventi di trasformazione edilizia rilevante) non è mai stata smentita o contrastata dall’amministrazione appellata in nessuno dei due gradi di giudizio);
– una relazione storico artistica allegata al decreto di imposizione del vincolo nella quale si tratteggia la consistenza planovolumetrica dell’edificio, si riferisce della rilevanza storica dello stesso, ma (obiettivamente) nulla si dice in ordine all’incidenza che le trasformazioni edilizie assentite dall’amministrazione competente e realizzate dalla dante causa della società odierna proprietaria del fabbricato possono (ovvero non possono) avere determinato sulla vocazione dell’edificio a rappresentare una testimonianza storico artistica del periodo del c.d. ventennio, tale da necessitare l’apposizione del relativo vincolo;
Nel giudizio di appello si è costituito il ministero della Cultura controdeducendo l’avversa tesi, depositando gli atti del fascicolo di primo grado compresa la memoria prodotta dinanzi al TAR, e ribadendo la correttezza e la completezza dell’iter istruttorio posto in essere dagli uffici competenti nonché la congruità e la esaustività della motivazione che ha accompagnato il provvedimento principalmente impugnato.