Corte Costituzionale, sentenza 19 dicembre 2024 n. 206
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale che individua direttamente il beneficiario delle autorizzazioni per il servizio di NCC, senza l’indizione di un pubblico concorso, in violazione della normativa statale che richiede una gara pubblica per garantire la competizione tra le imprese.
Non è, infatti, consentito al legislatore regionale interferire con le regole statali che prevedono procedure concorsuali di garanzia, dirette a tutelare la competizione tra le imprese e ad assicurare la concorrenza per il mercato, ovvero l’apertura dello stesso a tutti gli operatori economici.
Dato il carattere «finalistico» della competenza legislativa attribuita allo Stato, la tutela della concorrenza assume, infatti, carattere trasversale e prevalente, fungendo da limite alla disciplina che le Regioni possono dettare nelle materie di loro competenza, concorrente o residuale, sia pure nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 20 del 2023), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge reg. Calabria n. 16 del 2023, il quale dispone:
- che, allo scopo di far fronte all’incremento della domanda dovuto all’aumento dei flussi turistici e garantire i servizi di trasporto, il competente dipartimento regionale rilascia alla Ferrovie della Calabria srl «titoli autorizzatori non cedibili» per lo svolgimento del servizio di NCC di cui alla legge n. 21 del 1992 (comma 1);
- che tali autorizzazioni sono rilasciate «nel limite massimo di duecento autovetture, proporzionato alle esigenze dell’utenza, previa verifica del possesso dei requisiti di cui all’articolo 6 della legge n. 21/1992 e nelle more della specifica disciplina normativa, da adottarsi entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge» (comma 2).
- – Il ricorrente muove due ordini di censure nei confronti di questa disciplina, ritenendola lesiva dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione alla materia «tutela della concorrenza», e dell’art. 118, commi primo e secondo, Cost., in riferimento al principio di sussidiarietà.
- – Secondo il primo motivo di censura, la disposizione regionale – prevedendo il rilascio delle suddette autorizzazioni e individuando direttamente il loro beneficiario – comprometterebbe il confronto competitivo tra le imprese nell’accesso al mercato, ponendosi in contrasto, da un lato, con gli artt. 5, comma 1, e 8, comma 1, della legge n. 21 del 1992, in forza dei quali i comuni, una volta stabiliti i requisiti e le condizioni per il conseguimento delle autorizzazioni all’esercizio del servizio di NCC, le rilasciano «attraverso bando di pubblico concorso».
Dall’altro lato si porrebbe in contrasto con l’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, che preclude la concessione di nuove autorizzazioni allo svolgimento di detto servizio fino alla «piena operatività» del registro informatico pubblico nazionale introdotto dal precedente comma 3 della medesima disposizione.
Quanto al secondo motivo di censura, il ricorrente ritiene che la disposizione determinerebbe «uno spostamento», in capo alla Regione, «della competenza riconosciuta ai Comuni» dal citato art. 5, comma 1, della legge n. 21 del 1992, così pregiudicando il principio di sussidiarietà.
- – Questa Corte, con ordinanza n. 35 del 2024 (iscritta al n. 49 reg. ord. 2024), ha sospeso il giudizio sul ricorso statale e sollevato, disponendone la trattazione innanzi a sé, questioni di legittimità costituzionale del citato art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, di cui ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale con la sentenza n. 137 del 2024, per violazione degli artt. 3, 41, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 TFUE.
- – Nel merito delle questioni promosse con il presente ricorso, deve essere anzitutto considerata la censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione alla norma interposta di cui all’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, che è stata oggetto della menzionata pronuncia di questa Corte.
- – La censura non è fondata. Con la sentenza n. 137 del 2024, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del richiamato art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito; l’effetto ex tunc della pronuncia lo rende non più applicabile nell’odierno giudizio; non è, quindi, predicabile il contrasto, posto a fondamento della censura in esame, con il divieto da esso dettato.
- – In riferimento alle ulteriori questioni va innanzitutto considerato che la disposizione impugnata presenta una duplice portata normativa: da un lato, infatti, alloca anche alla Regione Calabria la funzione relativa al rilascio delle autorizzazioni per il servizio di NCC, dall’altro reca una disciplina che prevede l’assegnazione diretta di tali autorizzazioni alla Ferrovie della Calabria srl.
Questa articolazione si riflette nei motivi del ricorso statale, che censurano, in riferimento al primo aspetto, la violazione del principio di sussidiarietà e, con riguardo al secondo, quella della competenza statale in materia di «tutela della concorrenza».
6.– Quanto alla questione inerente al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, commi primo e secondo, Cost., avuto riguardo all’art. 5, comma 1, della legge n. 21 del 1992, va in limine precisato che la censura in parola non presenta «tratti di incertezza», diversamente da quanto sostenuto dalla Regione Calabria: dal complessivo tenore della motivazione del ricorso si evince, infatti, con chiarezza che la censura coinvolge l’intero art. 1 della legge reg. Calabria n. 16 del 2023.
6.1.– La questione non è fondata. È pur vero che la determinazione del numero dei veicoli da adibire al servizio, nonché dei requisiti e delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione, è demandata ai comuni dall’art. 5 della legge n. 21 del 1992.
Va però, innanzitutto, precisato che, dopo la riforma costituzionale del Titolo V del 2001, il trasporto pubblico locale costituisce una materia di competenza regionale residuale (ex plurimis, sentenza n. 38 del 2021) e quindi si deve ritenere che la rigida previsione contenuta nella risalente disciplina introdotta nel 1992 risulti cedevole rispetto a successive leggi regionali che definiscano un assetto più articolato e attuale, in funzione della tutela di un livello di interessi che riguarda importanti potenzialità di sviluppo dell’intero territorio regionale.
Del resto, si tratta di una possibilità normativa già riconosciuta da questa Corte in materia di commercio, chiarendo che «il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), contenente i principi e le norme generali sull’esercizio dell’attività commerciale, dopo la riforma costituzionale» del Titolo V, «si applica “soltanto alle Regioni che non abbiano emanato una propria legislazione” nella materia del commercio (sentenza n. 164 del 2019; in senso conforme, sentenza n. 98 del 2017 e ordinanza n. 199 del 2006), conformemente all’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3)» (sentenza n. 187 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 164 del 2019, n. 98 del 2017 e n. 247 del 2010).
In base a quest’ultima previsione, infatti, «[l]e disposizioni normative statali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna Regione, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia […]».
A questa specifica possibilità di normazione regionale non è possibile contrappore, in riferimento alla precipua ipotesi in considerazione, la prevalenza della competenza legislativa statale in materia di tutela della concorrenza.
La previsione legislativa regionale – beninteso, come si preciserà di seguito (infra, punto 7), nel rispetto della regola della pubblica gara, che invece determina senz’altro tale prevalenza della competenza statale – di un ulteriore livello di governo, aggiuntivo e non sostitutivo di quello comunale, in cui possa essere gestito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’esercizio del servizio di NCC non invade la tutela della concorrenza e il relativo titolo di competenza statale.
Ciò perché, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa erariale, non si può ricondurre alla «latitudine» che tale tutela «presenta nel disegno costituzionale» (sentenza n. 36 del 2024). Come questa Corte ha da tempo chiarito, del resto, il riferimento alla tutela della concorrenza non può «essere così pervasivo da assorbire, aprioristicamente, le materie di competenza regionale» (sentenza n. 98 del 2017) e l’esercizio della competenza legislativa trasversale in materia, quando interseca titoli di potestà regionale, deve rispettare i limiti dell’adeguatezza e della proporzionalità rispetto al fine perseguito e agli obiettivi attesi (sentenze n. 56 del 2020, n. 137 del 2018, n. 452 e n. 401 del 2007).
Né si può ritenere che la disposizione regionale interferisca con l’art. 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che prevede, tra le funzioni fondamentali dei comuni, la «organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale» » (comma 1, lettera b).
Infatti, l’aspetto relativo alle modalità di rilascio delle autorizzazioni al servizio di NCC non appare propriamente riconducibile a tale ambito, da un lato, poiché, come si chiarirà (infra, punto 7.1.1), non è predicabile che questi costituiscano dei veri e propri servizi pubblici economici di interesse generale, data l’assenza di obblighi di servizio.
Dall’altro lato, perché questa Corte ha escluso che la disciplina concernente le modalità dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica possa, in generale e fatto salvo per il servizio idrico integrato, ascriversi alle «funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e Città metropolitane», non potendo «considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale» (sentenze n. 22 del 2014, n. 325 del 2010 e n. 272 del 2004).
In ogni caso, comunque, resta dirimente il rilievo che la disposizione regionale impugnata non fa venire meno la competenza assegnata ai comuni dall’art. 5 della legge n. 21 del 1992, ma si limita a introdurre un ulteriore livello di governo delle autorizzazioni relative al servizio di NCC.
6.2.– Una volta chiarito l’aspetto relativo alla competenza, si deve ulteriormente precisare che questa Corte ha di recente affermato che il principio di sussidiarietà «esclude un modello astratto di attribuzione delle funzioni, ma richiede invece che sia scelto, per ogni specifica funzione, il livello territoriale più adeguato, in relazione alla natura della funzione, al contesto locale e anche a quello più generale in cui avviene la sua allocazione.
La preferenza va al livello più prossimo ai cittadini e alle loro formazioni sociali, ma il principio può spingere anche verso il livello più alto di governo.
Ai fini dell’attribuzione della funzione, contano le sue caratteristiche e il contesto in cui la stessa si svolge.
La sussidiarietà funziona, per così dire, come un ascensore, perché può portare ad allocare la funzione, a seconda delle specifiche circostanze, ora verso il basso ora verso l’alto» (sentenza n. 192 del 2024).
Nello spostamento della funzione dal livello che è più naturale, ovvero quello comunale, occorre però che l’esercizio del potere regionale di allocazione di cui all’art. 118, secondo comma, Cost. avvenga, da un lato, nel rispetto delle competenze statali trasversali che vi si intersecano e delle funzioni fondamentali dei comuni, dall’altro, in ragione di una motivata ed effettiva esigenza di maggiore adeguatezza, evidenziata anche dai lavori preparatori delle norme che un tale spostamento prevedano.
In questi termini, «il giudizio di costituzionalità non ricade tanto, in via astratta, sulla legittimità dell’intervento del legislatore regionale, quanto, piuttosto, su una valutazione in concreto», attraverso un test di efficacia e adeguatezza, in ordine alla verifica, rispetto al «variabile livello degli interessi coinvolti» (sentenza n. 179 del 2019), delle esigenze che giustificano la scelta allocativa regionale.
Da questo punto di vista, va ribadito che la disposizione regionale non fa venire meno la ricordata competenza comunale, ma si limita a introdurre un ulteriore livello di governo cui attribuisce una funzione analoga, al fine, come recita espressamente, di «fronteggiare l’incremento della domanda e garantire i servizi di trasporto in considerazione dell’aumento dei flussi turistici verso la Calabria».
Dagli stessi lavori preparatori della legge in esame, e in particolare dalla relazione illustrativa, emergono i motivi che hanno spinto il legislatore regionale ad intervenire. In essa si afferma infatti:
«[i]n particolare, maggiormente nel periodo estivo e comunque in tutto l’arco dell’anno, in ragione della sempre maggiore destagionalizzazione dei flussi turistici grazie agli interventi di promozione messi in campo dalla Regione, sono molteplici le richieste di turisti, interessati a spostarsi più agevolmente, raggiungendo le innumerevoli località turistiche della nostra regione, senza avere la possibilità di accedere al servizio, per la quasi totale assenza di vettori.
Rispetto a diverse località sono oggettivamente non sufficienti le tratte dei servizi pubblici di linea, in ogni caso inadeguati a garantire lo specifico servizio di trasporto pubblico rispondente alle soggettive esigenze dell’utenza richiedente».
È quindi la «quasi totale assenza di vettori» il motivo che ha spinto il legislatore regionale ad intervenire, allo scopo di strutturare un servizio, quello di trasporto verso i luoghi di villeggiatura, che assume una dimensione prevalentemente sovracomunale – la cui percezione può sfuggire al livello municipale – interessando sia il collegamento tra le località turistiche e le linee ferroviarie e aeroportuali, sia la mobilità tra i vari comuni calabresi.
Questa Corte ha, peraltro, già evidenziato come le misure protezionistiche che hanno interessato il settore abbiano, tra l’altro, «recato danno al turismo e all’immagine internazionale dell’Italia, dal momento che l’insufficiente offerta di mobilità ha pregiudicato la possibilità di raggiungere agevolmente i luoghi di villeggiatura, come documentato dalla Regione Calabria nel giudizio a quo» (sentenza n. 137 del 2024).
6.3.– In questi termini, la scelta regionale non viola il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, commi primo e secondo, Cost.
Essa risponde a un’esigenza che la Regione motiva in termini di adeguatezza del servizio e non si risolve in una espropriazione delle funzioni comunali previste dall’art. 5 della citata legge n. 21 del 1992, che rimangono attive.
Queste, del resto, traducono la vocazione anche locale del servizio di NCC, che mira «a soddisfare, in via complementare e integrativa [rispetto ai trasporti pubblici di linea], le esigenze di trasporto delle singole comunità, alla cui tutela è preposto il comune che rilascia l’autorizzazione» (sentenza n. 56 del 2020; analogamente, sentenza n. 36 del 2024).
La disposizione regionale, quindi, in conformità al significato anche etimologico del principio di sussidiarietà, che è quello del subsidium afferre, porta aiuto al complessivo sistema del trasporto pubblico non di linea, valorizzando la dimensione anche sovracomunale insita nel servizio di NCC.
Questa, infatti, emerge dalla stessa normativa statale che disciplina tale servizio, dal momento che prevede, non solo che il trasporto possa avvenire senza limiti territoriali, perché «[i]l prelevamento e l’arrivo a destinazione dell’utente possono avvenire anche al di fuori della provincia o dell’area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione» (art. 11, comma 4, terzo periodo, della legge n. 21 del 1992), ma anche che, se almeno una rimessa deve essere situata «nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione», il vettore possa «disporre di ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione» (art. 3, comma 3, secondo periodo).
Peraltro, per la Regione Siciliana e la Regione autonoma Sardegna «l’autorizzazione rilasciata in un comune della regione è valida sull’intero territorio regionale» (art. 3, comma 3, terzo periodo).
6.4.– Ne deriva, in riferimento all’odierno giudizio, che il principio di sussidiarietà non si oppone, ma anzi conferma la possibilità per la Regione di introdurre, nell’ambito della propria competenza legislativa residuale in materia di trasporto pubblico locale, norme che integrano, nel territorio regionale, quelle statali vigenti che declinano il livello di governo di allocazione della funzione di rilascio di autorizzazione al NCC.
Ciò avviene, senza che, di per sé, siano ravvisabili esternalità negative meritevoli di considerazione, al fine di potenziare il sistema complessivo del trasporto non di linea, che «concorr[e] a dare “effettività” alla libertà di circolazione» (sentenza n. 137 del 2024).
7.– L’esame del secondo profilo di censura relativo all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che contesta alla disposizione regionale l’individuazione diretta, a prescindere dalla previsione di una gara pubblica, del beneficiario delle autorizzazioni, richiede un preliminare inquadramento della disciplina statale del servizio di NCC dettata dalla legge n. 21 del 1992.
L’art. 1, comma 2, di tale legge precisa che sono autoservizi pubblici non di linea sia quelli di taxi che quelli di NCC; questi ultimi, tuttavia, assumono caratteri sui generis, in quanto, essendo privi di quegli specifici obblighi di servizio che invece sono previsti per i primi, tendono, in realtà, a qualificarsi piuttosto come servizi privati offerti al pubblico, seppure con rilevanza pubblicistica.
Non sono, infatti, previsti obblighi tariffari, essendo il corrispettivo liberamente concordato, né di prestazione, potendo la richiesta di trasporto essere rifiutata (art. 13, comma 3, della legge n. 21 del 1992). Dal punto di vista del regime dell’accesso a tale attività, quella di NCC è però, al pari di quella di taxi, «soggetta ad un regime autorizzatorio limitato, caratterizzato da una programmazione dei veicoli circolanti, attraverso il contingentamento delle licenze rilasciabili e la previsione di un concorso pubblico comunale per l’individuazione dei soggetti che possono acquisire le licenze disponibili» (sentenza n. 112 del 2022).
In questa prospettiva, l’attività di NCC di cui alla legge n. 21 del 1992 «non è […] liberalizzata» (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 11 luglio 2022, n. 5756; nello stesso senso, ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 31 agosto 2021, n. 6124, e 1° marzo 2021, n. 1703), essendo stata sottratta dal campo di applicazione dei diversi provvedimenti diretti alla liberalizzazione della prestazione dei servizi che si sono succeduti nel tempo, ed è normativamente contingentata, a differenza di quanto avvenuto in un altro settore analogo, quello del noleggio di autobus con conducente, dove sin dalla legge 11 agosto 2003, n. 218 (Disciplina dell’attività di trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di autobus con conducente), il contingentamento non è previsto.
Il numero limitato delle autorizzazioni a effettuare l’attività di NCC presuppone, quindi, che il loro rilascio da parte dei comuni avvenga, come stabilito dall’art. 8, comma 1, della legge n. 21 del 1992, «attraverso bando di pubblico concorso, ai singoli che abbiano la proprietà o la disponibilità in leasing o ad uso noleggio a lungo termine del veicolo […]».
7.1.– Ciò premesso, la censura statale è fondata.
La disposizione regionale impugnata prevede, infatti, il rilascio delle autorizzazioni a svolgere il servizio di NCC di cui alla legge n. 21 del 1992 – e in particolare con autovettura – individuandone direttamente il soggetto beneficiario nella Ferrovie della Calabria srl; essa, pertanto, viola, come sostiene il ricorso statale, l’obbligo del pubblico concorso previsto dal richiamato art. 8, comma 1.
Non può, d’altro canto, venire in rilievo la circostanza che tale società sia già abilitata, come recita la disposizione stessa, al servizio di NCC con autobus. È vero che, ai sensi dell’art. 2, comma 4, della legge n. 218 del 2003, le imprese che svolgono attività di trasporto di viaggiatori mediante noleggio di autobus sono «abilitate all’esercizio dei servizi» di NCC di cui alla legge n. 21 del 1992, e quindi anche con autovettura, ma ciò «[f]ermo restando il regime autorizzativo» disciplinato dalla stessa legge n. 21 del 1992.
Sicché le imprese in questione debbono comunque conseguire l’autorizzazione comunale, permanendo quindi il generale obbligo del previo concorso pubblico.
7.1.1.– A diversa conclusione non può condurre l’argomento inerente al carattere in house della suddetta società, che è totalmente partecipata dalla Regione Calabria e che nel suo statuto prevede clausole dirette a garantire sia il controllo analogo, sia lo svolgimento di attività prevalente (in misura pari ad almeno l’80 per cento del fatturato) in compiti affidati dal controllante.
Il decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201 (Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), nel disciplinare i «servizi di interesse economico generale prestati a livello locale» (art. 1, comma 1) prevedendo che possano essere affidati anche in house (artt. 14, comma 1, lettera c, e 17), si riferisce solo a quelli per i quali sono stabiliti obblighi di servizio.
Si tratta, infatti, di servizi che implicano la doverosità della prestazione, in quanto «non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti» (art. 2, comma 1, lettera c); che gli enti locali «ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali» (ancora, comma 1, lettera c); che rispondono al principio della «produzione di servizi quantitativamente […] adeguati» (art. 3, comma 2); di cui gli enti locali «assicurano la prestazione» (art. 10, comma 1); per i quali deve essere periodicamente rilevato il «rispetto degli obblighi indicati nel contratto di servizio» (art. 30, comma 1).
Il servizio di NCC non presenta, invece, tali caratteristiche.
Anche la Corte di giustizia dell’Unione europea, d’altro canto, proprio in riferimento al trasporto pubblico locale non di linea, ha affermato che i servizi di interesse economico generale implicano l’«adempimento di specifici compiti d’interesse pubblico», «il che presuppone l’esistenza di uno o più atti di esercizio del potere pubblico che definiscano in maniera sufficientemente precisa almeno la natura, la durata e la portata degli obblighi di servizio pubblico gravanti sulle imprese incaricate dell’adempimento di tali obblighi» (Corte di giustizia UE, sezione prima, sentenza 8 giugno 2023, in causa C-50/21, Prestige and Limousine SL).
7.1.2.– Priva di pregio è anche l’altra argomentazione della difesa regionale, tendente a sostenere che la disposizione impugnata non sarebbe riconducibile entro l’alveo della legge n. 21 del 1992, ma in quello dell’art. 6, comma 1, lettera c), del d.l. n. 223 del 2006, come convertito, che consentirebbe il rilascio delle autorizzazioni in questione.
Non solo l’impugnato art. 1 dispone espressamente che i titoli autorizzatori da esso contemplati consentono lo svolgimento del servizio di NCC «di cui alla legge 15 gennaio 1992, n. 21», ma la procedura del suddetto art. 6, evocata dalla resistente – che effettivamente consentiva anche di rilasciare, a determinate condizioni, titoli autorizzatori straordinari e stagionali – è stata chiaramente preordinata, come ribadito anche da questa Corte, «all’aumento dell’offerta del servizio di taxi» (sentenza n. 452 del 2007) e non può quindi intendersi come riferita a quello di NCC.
7.2.– Rispetto ad ogni altra considerazione è quindi assorbente constatare che l’art. 1 della legge reg. Calabria n. 16 del 2023 individua direttamente il beneficiario delle suddette autorizzazioni, a prescindere dall’indizione di un pubblico concorso richiesta, invece, dall’art. 8, comma 1, della legge n. 21 del 1992.
Anche se, come già ricordato, il trasporto pubblico locale costituisce, per costante giurisprudenza di questa Corte, materia riconducibile alla competenza legislativa residuale regionale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., non è consentito al legislatore regionale interferire con le regole statali che prevedono procedure concorsuali di garanzia, dirette a tutelare la competizione tra le imprese e ad assicurare la concorrenza per il mercato, ovvero l’apertura dello stesso a tutti gli operatori economici (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2024 e n. 23 del 2022).
Dato il carattere «finalistico» della competenza legislativa attribuita allo Stato, la tutela della concorrenza assume, infatti, carattere trasversale e prevalente, fungendo «da limite alla disciplina che le Regioni possono dettare nelle materie di loro competenza, concorrente o residuale», «sia pure nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta» ( ex plurimis, sentenza n. 104 del 2021).