Corte Europea dei Diritti Umani, Sez. V, 23 gennaio 2025, n. 13805/21
PRINCIPIO DI DIRITTO
Viola l’art. 8 (diritto al rispetto della casa privata e familiare) della Convenzione EDU l’art. 242 del Code Civile francese, poiché impone l’obbligo coniugale di avere rapporti sessuali con il coniuge con la conseguenza che, laddove una parte non intenda intrattenerli può esserle addebitata la ragione della fine del matrimonio, così come può esserle richiesto un risarcimento del danno.
L’esistenza stessa dell’obbligo di avere rapporti sessuali con il coniuge è in contrasto con la libertà sessuale, il diritto all’autonomia fisica e l’obbligo positivo di prevenzione della violenza domestica sessuale da parte degli Stati membri.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
[…]
- DIRITTO INTERNO
- Dovere coniugale e divorzio per colpa
- Le disposizioni del Codice Civile
- All’epoca dei fatti, le pertinenti disposizioni del codice civile erano redatte nei seguenti termini: Articolo 212: “I coniugi si devono reciprocamente rispetto, fedeltà, assistenza, assistenza”.
Articolo 215, comma 1: “I coniugi si obbligano reciprocamente a convivere”.
Articolo 229 “Il divorzio può essere pronunciato in caso di: – o di mutuo consenso; – l’accettazione del principio della rottura del matrimonio; – o di modifica permanente del vincolo coniugale.
Articolo 238, comma 1: “La modifica definitiva del vincolo coniugale risulta dalla cessazione della convivenza tra i coniugi, quando essi vivevano separati da due anni al momento della pronuncia della sentenza di divorzio.
Articolo 242: “Il divorzio può essere chiesto da uno dei coniugi quando fatti che costituiscono una violazione grave o ripetuta dei doveri e degli obblighi del matrimonio sono imputabili al suo coniuge e rendono intollerabile la continuazione della convivenza”.
Articolo 266, paragrafo 1: “Fatta salva l’applicazione dell’articolo 270, il risarcimento dei danni può essere concesso al coniuge a titolo di risarcimento delle conseguenze particolarmente gravi che subisce a causa dello scioglimento del matrimonio, sia quando era convenuto in un divorzio pronunciato per la modifica permanente del vincolo coniugale e non aveva presentato egli stesso alcuna domanda di divorzio, o quando il divorzio è pronunciato per colpa esclusiva del coniuge.
Articolo 270 “Il divorzio pone fine all’obbligo di assistenza tra i coniugi. A uno dei coniugi può essere richiesto di versare all’altro una prestazione destinata a compensare, per quanto possibile, la disparità che il fallimento del matrimonio crea nelle rispettive condizioni di vita. Questa prestazione è una prestazione forfettaria.
Essa assume la forma di una somma forfettaria, il cui importo è fissato dal giudice.
Tuttavia, il giudice può rifiutare la concessione di tale prestazione se l’equità lo richiede, sia in considerazione dei criteri di cui all’articolo 271, sia quando il divorzio è pronunciato per colpa esclusiva del coniuge che richiede la prestazione, tenuto conto delle circostanze particolari del guasto.
- Il danno che può essere risarcito ai sensi dell’articolo 266 del codice civile è quello che risulta specificamente dallo scioglimento del matrimonio.
Tuttavia, il diritto interno consente anche ai coniugi di chiedere il risarcimento della colpa commessa dal coniuge sulla base del diritto comune della responsabilità civile.
- La legge n. 2004-439, del 26 maggio 2004, mirava a separare le cause di divorzio dalle conseguenze finanziarie del divorzio.
L’articolo 270 comma 2 del codice civile consente quindi a ciascuno dei coniugi di richiedere un’indennità compensativa in ogni caso di divorzio. Tuttavia, l’articolo 270 della sentenza H.W. c. Francia 7 paragrafo 3 del codice civile lascia al giudice la possibilità di rifiutare la concessione di un assegno compensativo quando il divorzio è pronunciato esclusivamente per colpa del coniuge che lo richiede “se l’equità lo richiede”.
- La giurisprudenza relativa al dovere coniugale
- Secondo una giurisprudenza antica ma consolidata, i coniugi sono vincolati da un “dovere coniugale”, vale a dire l’obbligo di mantenere rapporti sessuali, il cui mancato adempimento può giustificare il divorzio (Cass., 2° civ., 8 ottobre 1964, Boll. civ. II n. 599, 12 novembre 1965, Boll. civ. II n. 879, 27 gennaio 1971, n. 70-11.864, Boll. civ. II n. 27, 23 aprile 1975, n. 74-11.819, Boll. civ. II n. 114, e 17 dicembre 1997, n. 96-15.704).
- La Cour de cassation (Corte di cassazione) ha quindi dichiarato, in quest’ultima sentenza del 1997, che una corte d’appello era legittimata, nell’esercizio del suo potere sovrano di valutazione delle prove, a ritenere che «l’astensione prolungata dai rapporti intimi imputata alla moglie» costituisse una colpa che giustificava il divorzio per sua sola colpa, in quanto «non era giustificata da sufficienti ragioni mediche».
- Sebbene la Cour de cassation (Corte di cassazione) non abbia più ribadito tale giurisprudenza da allora, essa continua ad essere regolarmente applicata dai giudici di primo grado e d’appello (v., per esempi recenti, CA Aix-en-Provence, 1° ottobre 2008, RG n. 07/01817, CA Rouen, 18 dicembre 2014, RG n. 13/06454, CA Toulouse, 20 gennaio 2015, RG n. 13/00856, e CA Colmar, 6 dicembre 2016, RG n. 15/02103).
- Spetta ai giudici di merito valutare se i fatti siano imputabili al coniuge interessato e se costituiscano una “violazione grave o ripetuta dei doveri e degli obblighi del matrimonio” che renda “intollerabile la convivenza” ai sensi dell’articolo 242 del codice civile.
Pertanto, alcuni rifiuti di avere rapporti sessuali non sono considerati illeciti (si vedano, ad esempio, CA Montpellier, 28 maggio 1996, RG n. 95/05529, JurisData n. 1996-034226, e CA Bordeaux, 27 febbraio 2001, RG n. 99/04229, JurisData n. 2001-137867, per una giustificazione basata sull’esistenza di precedenti abusi sessuali commessi dal coniuge; CA Amiens, 19 giugno 2014, RG n. 13/03059, GiurisData n. 2014-019289, per l’esame degli atti di violenza imputabili al coniuge e della sua infedeltà; CA Metz, 27 ottobre 1983, JurisData, n. 1983-043752, e CA Parigi, 16 aprile 2015, RG n. 13/16028 per una valutazione dell’età o dello stato di salute del coniuge interessato).
- L’inadempimento del dovere coniugale può anche costituire la base di un’azione di risarcimento nei confronti del coniuge inadempiente (CA Aix-en-Provence, 3 maggio 2011, RG n. 09/05752).
In questa sentenza, la Corte d’Appello ha confermato l’ingiunzione di un coniuge di risarcire i danni al coniuge per un importo di 10.000 euro a titolo di risarcimento per l’assenza di rapporti sessuali tra i coniugi per diversi anni, sulla base del fatto che questi ultimi “sono in particolare l’espressione dell’affetto che hanno l’uno per l’altro, mentre fanno parte della continuità dei doveri derivanti dal matrimonio”.
- Secondo diversi autori, il dovere coniugale ha la sua origine nel diritto canonico – che un tempo faceva della copula carnalis (unione della carne) una condizione per l’indissolubilità del matrimonio e uno dei doveri ad esso connessi – e nel diritto matrimoniale consuetudinario.
- Prassi giudiziaria
- Gli studi sul contenzioso giudiziario relativi alle accuse di violazioni dei doveri coniugali sono stati pubblicati nel 19853 , 20004 e 20235 . Le decisioni riportate dalla dottrina sono state, per la maggior parte, emesse da tribunali di primo grado o d’appello.
Gli autori di questi studi osservano che l’attrattiva delle parti in causa verso tali domande è in continuo calo e, correlativamente, che i giudici sono sempre più riluttanti a pronunciare il divorzio solo su questa base.
Tuttavia, essi attestano la persistenza di questa controversia.
Esse notano che le domande di divorzio basate su accuse di violazione del dovere coniugale sono per lo più presentate da uomini, il più delle volte a titolo di domanda riconvenzionale, e che incontrano difficoltà probatorie.
- La criminalizzazione degli abusi sessuali commessi all’interno della coppia
- Dal 1984 la Corte di cassazione ha riconosciuto il carattere riprovevole dello stupro tra coniugi (Cass., Crim., 17 luglio 1984, ricorso n. 84-91.288, Boll. crim. n. 260, e 5 settembre 1990, n. 90-83.786, Boll. crim. n. 313).
Per un certo periodo, tuttavia, questa giurisprudenza è stata temperata dal mantenimento di una presunzione di consenso agli atti sessuali compiuti nell’intimità della vita coniugale (Cass., crim., 11 giugno 1992, n. 91-86.346, Boll. crim. n. 232). […]
- La legge n. 2006-399 del 4 aprile 2006 ha sancito la suddetta giurisprudenza inserendo il seguente paragrafo nell’articolo 222-22 del codice penale: articolo 222-22, secondo comma: “Lo stupro e le altre aggressioni sessuali si configurano quando sono state inflitte alla vittima nelle circostanze previste dal presente articolo, indipendentemente dalla natura del rapporto tra l’aggressore e la sua vittima, anche se sono uniti dai vincoli del matrimonio.
In questo caso, la presunzione di consenso dei coniugi all’atto sessuale si applica solo fino a prova contraria.
- Ha anche aumentato le pene per gli abusi sessuali commessi all’interno della coppia.
- La legge n. 2010-769, del 9 luglio 2010, ha infine soppresso l’articolo 222-22, secondo comma, seconda frase, e la presunzione di assenso in esso contenuta.
- DIRITTO INTERNAZIONALE PERTINENTE
- La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (STCE n. 210 – “Convenzione di Istanbul”), aperta alla firma l’11 maggio 2011, è stata ratificata dalla Francia il 4 luglio 2013.
Esso è entrato in vigore per tale Stato il 1° novembre 2014.
- Le disposizioni pertinenti della Convenzione di Istanbul sono così formulate:
Articolo 2 – Ambito di applicazione della Convenzione “1. La presente Convenzione si applica a tutte le forme di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, che colpisce in modo sproporzionato le donne. (…)
Articolo 3 – Definizioni “Ai fini della presente Convenzione: (a) l’espressione ‘violenza contro le donne’ è intesa come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione nei confronti delle donne, e indica tutti gli atti di violenza di genere che provocano, o sono suscettibili di provocare, donne, danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, compresi la minaccia di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata;
- b) “violenza domestica”: tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra ex o attuali coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore del reato condivida o abbia condiviso la stessa casa della vittima;
Articolo 5 – Obblighi dello Stato e due diligence “(…)
- Le parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per agire con la dovuta diligenza al fine di prevenire, indagare, punire e porre rimedio agli atti di violenza contemplati dalla presente convenzione commessi da attori non statali.
Articolo 12 – Obblighi generali
“1. Le Parti adottano le misure necessarie per promuovere cambiamenti nei modelli socioculturali di comportamento delle donne e degli uomini al fine di sradicare pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche basate sull’idea dell’inferiorità delle donne o su un ruolo stereotipato delle donne e degli uomini.
- Le parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per prevenire tutte le forme di violenza che rientrano nell’ambito di applicazione della presente convenzione da parte di qualsiasi persona fisica o giuridica. (…)
Articolo 36 – Violenza sessuale, compreso lo stupro,
“1. Le Parti adotteranno le misure legislative o di altro tipo necessarie per criminalizzare intenzionalmente le seguenti azioni: (a) penetrazione vaginale, anale o orale non consensuale del corpo di un’altra persona con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto; b) altri atti non consensuali di natura sessuale su altri; (…)
- Il consenso deve essere dato volontariamente a seguito della libera volontà della persona in questione nel contesto delle circostanze circostanti.
- Le parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le disposizioni del paragrafo 1 si applichino anche agli atti commessi nei confronti di ex coniugi o partner in servizio, conformemente al loro diritto interno. I.
SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
- La ricorrente lamentava che il suo divorzio era stato pronunciato sulla base del fatto che aveva evitato il dovere coniugale.
Essa si basa sull’articolo 8 della Convenzione, che recita:
“1. Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata (…).
- Un’autorità pubblica non può interferire con l’esercizio di tale diritto, a meno che tale ingerenza non sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria, in una società democratica, nell’interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza pubblica, del benessere economico del paese, della prevenzione dell’ordine e della prevenzione dei reati, la tutela della salute o della morale, ovvero la tutela dei diritti e delle libertà altrui.
Ricevibilità
- Tesi delle parti
- Il Governo ha sostenuto che i rimedi interni non erano stati esauriti. Pur riconoscendo che un motivo relativo in particolare alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione era stato sollevato dinanzi alla Corte di cassazione, ha sostenuto che tale motivo era nuovo e che la Corte di cassazione non era competente a pronunciarsi sull’esistenza di una colpa, poiché tale questione rientrava nella discrezionalità dei giudici di merito.
- La ricorrente chiede il rigetto di tale eccezione pregiudiziale. In primo luogo, essa sostiene di aver espressamente sollevato un motivo vertente sulla violazione degli articoli 4 e seguenti della Convenzione nell’ambito del suo ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Versailles del 7 novembre 2019.
- Giudizio della Corte
- La Corte ricorda che lo scopo dell’articolo 35 § 1 della Convenzione è quello di dare agli Stati contraenti l’opportunità di prevenire o porre rimedio alle violazioni loro addebitate prima che tali accuse siano sottoposte ad essa.
Pertanto, la censura di cui è investita la Corte deve essere preliminarmente, almeno nella sostanza, nelle forme e nei termini previsti dal diritto interno, dinanzi ai giudici nazionali competenti.
Tuttavia, devono essere esperiti solo i mezzi di ricorso efficaci in grado di porre rimedio alla presunta violazione.
Più specificamente, le disposizioni dell’articolo 35 § 1 della Convenzione richiedono l’esaurimento dei rimedi disponibili e adeguati in relazione alle violazioni denunciate; devono esistere con un sufficiente grado di certezza non solo in teoria ma anche in pratica, altrimenti mancano della necessaria efficacia e accessibilità (si vedano, tra molti altri, Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, §§ 43-45, CEDU 2006-II, Paksas c. Lituania [GC], n. 34932/04, § 75, CEDU 2011 (estratti), e Vučković e altri c. Serbia (obiezione preliminare) [GC], n. 17153/11 e altri 29, §§ 70-71, 25 marzo 2014).
Al fine di esaurire pienamente i rimedi interni, è in linea di principio necessario portare il procedimento interno fino alla Corte di cassazione e deferire a quest’ultimo i reclami basati sulla Convenzione che possono poi essere presentati alla Corte (Graner c. Francia (dec.), n. 84536/17, § 44, 5 maggio 2020, e Pagerie c. Francia, n. 24203/16, § 117, 19 gennaio 2023).
- Nel caso di specie, la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles) del 7 novembre 2019 e ha sollevato un motivo vertente sulla violazione degli «articoli 4 e seguenti» della Convenzione.
Alla luce della lettura delle memorie della ricorrente, il Tribunale rileva che la sua critica riguardava specificamente il dovere coniugale (v. punto 16 supra).
Ha espressamente sostenuto che tale obbligo matrimoniale violava la sua integrità fisica – che corrisponde a un aspetto del diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 8 (X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 22, serie A n. 91, e Y.F. c. Turchia, n. 24209/94, § 33, CEDU 2003-IX) – nonché la sua libertà personale.
Il governo lo ammette.
- La Corte non è persuasa dall’argomento del Governo secondo cui il ricorrente si è limitato a rimettere in discussione la valutazione fattuale della colpa effettuata dalla Corte d’appello di Versailles. Al contrario, esso ritiene che tale motivo mirasse a modificare la giurisprudenza interna, che non è sfuggita all’attenzione della convenuta (v. punto 17 supra).
- La Corte rileva inoltre che l’obbligo coniugale trova fondamento nella giurisprudenza (v. punti 23 e 25 supra). La Corte di cassazione era quindi legittimata a stabilire, nell’esercizio della sua funzione di interpretazione del diritto e di unificazione della giurisprudenza, se essa rientrasse tra i doveri dei coniugi e, in caso affermativo, se la sua inosservanza potesse costituire un illecito ai sensi dell’articolo 242 del codice civile (v. punto 20 supra).
- In tali circostanze, la Corte ritiene che la ricorrente abbia validamente sollevato la sua denuncia dinanzi ai giudici nazionali e che questi ultimi abbiano avuto l’opportunità di porre rimedio alla situazione a livello nazionale prima che la questione fosse deferita alla Corte. L’obiezione del governo relativa al mancato esaurimento delle misure correttive deve pertanto essere respinta.
- Ritenendo che tale censura non sia manifestamente infondata o irricevibile per nessun altro motivo di cui all’articolo 35 della Convenzione, la Corte la dichiara ricevibile. B. Nel merito 1. Argomenti delle parti a) Il ricorrente
- La ricorrente sosteneva che, riaffermando l’esistenza del dovere coniugale e pronunciando il divorzio per il solo motivo che aveva rifiutato di avere rapporti sessuali con il marito, i tribunali nazionali avevano violato il suo diritto al rispetto della vita privata.
- In primo luogo, essa sostiene che tale ingerenza non era «prevista dalla legge» ai sensi dell’articolo 8.
A questo proposito, sottolinea che non esiste alcuna disposizione nel Codice Civile che obblighi i coniugi ad avere rapporti sessuali.
Essa sostiene inoltre che la Corte di cassazione ha abbandonato la nozione di dovere coniugale a partire da una sentenza del 5 settembre 1990 (v. punto 30 supra).
Sostiene che la soluzione adottata in questo caso fa rivivere una visione arcaica del matrimonio. Sarebbe anche in contrasto con i recenti sviluppi del diritto penale francese, che ora criminalizza espressamente l’imposizione di una relazione sessuale al proprio coniuge (si vedano i paragrafi 30-33 supra).
- In ogni caso, essa sostiene che, all’epoca della controversia, la giurisprudenza civile mancava di coerenza e che le era impossibile prevedere, tenuto conto della sua età e del suo stato di salute, se fosse ancora vincolata da un siffatto obbligo.
- In secondo luogo, essa critica la legittimità dell’obiettivo perseguito da tale ingerenza, in quanto nessuno dei motivi elencati all’articolo 8, paragrafo 2, le sembra idoneo a giustificare l’ingerenza nella sua libertà sessuale.
- In terzo luogo, esso contesta la necessità di tale ingerenza. Riferendosi alla sentenza in S.W. v. Regno Unito (22 novembre 1995, § 44, Serie A n. 335-B), essa sostiene che lo stupro tra coniugi non può rimanere impunito senza violare gli obiettivi fondamentali della Convenzione.
Essa ritiene che l’esercizio di un diritto tutelato dal diritto interno e dalla Convenzione non debba poter comportare una colpa civile.
Infine, sostiene che il timore di una sanzione, anche se di natura civile, può avere l’effetto di viziare il consenso della coppia ai rapporti sessuali.
- Rispondendo al Governo, esso ha osservato che né il diritto della Convenzione (Piotrowski c. Polonia (dec.), n. 8923/12] né il diritto interno imponevano ai giudici nazionali di ordinare il divorzio ad ogni costo.
A suo avviso, nulla osta al rigetto di tutte le domande delle parti, qualora queste siano infondate.
- In quarto luogo, la ricorrente critica la qualità del processo decisionale interno. Dal punto di vista degli obblighi procedurali connessi all’articolo 8, ha criticato i tribunali nazionali per non aver tenuto conto del fatto che il suo rifiuto di avere rapporti intimi poteva essere giustificato dalla violenza del marito e dai suoi problemi di salute.
(b) Il governo
- Il Governo non ha contestato il fatto che i fatti denunciati costituissero un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata.
- Egli sostiene, tuttavia, che tale ingerenza era prevista dalla legge.
Ha spiegato che, ai sensi dell’articolo 215 del codice civile, i coniugi erano reciprocamente obbligati a una “convivenza di vita”, che era generalmente intesa come implicante una “convivenza del letto”. Pur riconoscendo che nessuna disposizione del codice civile obbligava espressamente i coniugi a mantenere rapporti intimi, egli sosteneva che tale obbligo si basava su una giurisprudenza consolidata (v. punti da 23 a 25 supra), che la Corte di cassazione non aveva mai rimesso in discussione.
Ha aggiunto che spettava ai giudici di merito valutare se l’asserita violazione del dovere coniugale costituisse una colpa ai sensi dell’articolo 242 del codice civile o se fosse giustificata dalle circostanze del caso.
- Egli sostiene poi che tale ingerenza perseguiva un obiettivo di «tutela dei diritti altrui» ai sensi dell’articolo 8, paragrafo
- Essa afferma di essere stata più particolarmente interessata a tutelare il diritto dei coniugi di porre fine al vincolo matrimoniale esistente quando non sembrava più possibile continuare a vivere insieme (si veda N.N. e T.A. c. Belgio, n. 65097/01, § 42, 13 maggio 2008).
- Infine, essa sostiene che le ingerenze di cui trattasi erano necessarie.
- A tal riguardo, essa sostiene, in primo luogo, che gli Stati contraenti dispongono di un certo margine di discrezionalità quando, come nel caso di specie, si tratta di conciliare i diritti concorrenti di due singoli.
- In secondo luogo, esso afferma che l’obbligo coniugale non è assoluto e che non è soggetto ad esecuzione. Egli sostiene inoltre che il diritto penale, punendo gli abusi sessuali tra coniugi, garantisce la loro libertà di rifiutare qualsiasi relazione intima (si vedano i paragrafi 30-33 supra).
- In terzo luogo, egli sostiene che i coniugi hanno liberamente acconsentito al loro matrimonio e che si sono deliberatamente sottomessi ai doveri da esso connessi.
- In quarto luogo, egli sostiene che il coniuge al quale il coniuge rifiuta di essere liberato dal suo dovere di fedeltà solo con il divorzio, in quanto tale misura consente di conciliare gli interessi contrastanti dei coniugi.
- In quinto luogo, egli sostiene che la cour d’appel de Versailles non poteva pronunciarsi sulla domanda subordinata di J.C. senza violare l’articolo 1077 del codice di procedura civile, il quale prevede che «[l]a domanda presentata in subordine per un’altra causa [di divorzio] è irricevibile», in quanto tale norma processuale non è stata applicata in primo grado (v. punti 10 e 13 supra). In tali circostanze, egli sostiene che la violazione del dovere coniugale è stata l’unica base per pronunciare il divorzio.
Esso ricorda che i giudici nazionali erano tenuti a pronunciarsi nei limiti delle pretese delle parti e si rammarica che nessuno dei coniugi abbia correttamente sollevato la modifica definitiva del vincolo coniugale (si veda il paragrafo 20 supra).
- In sesto luogo, essa sottolinea che il riconoscimento della colpa commessa dalla ricorrente non ha comportato per essa alcuna conseguenza finanziaria.
- Giudizio della Corte
- a) Principi generali
- La Corte ricorda che la nozione di “vita privata” ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione è una nozione ampia che comprende, tra l’altro, la vita sessuale (si vedano Dudgeon c. Regno Unito, 22 ottobre 1981, § 41, serie A n. 45, e E.B. c. Francia [GC], n. 43546/02, § 43, 22 gennaio 2008). Ricorda inoltre che il rispetto dell’autonomia personale è un principio importante alla base dell’interpretazione delle garanzie di cui all’articolo 8 (si vedano Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 62, CEDU 2002-III, Christine Goodwin c. Regno Unito [GC], n. 28957/95, § 90, CEDU 2002-VI, M.L. c. Polonia, n. 40119/21, § 91, 14 dicembre 2023, e Pindo Mulla c. Spagna [GC], n. 15541/20, § 137, 17 settembre 2024; vedi anche M.C. v. Bulgaria, n. 39272/98, §§ 165-166, CEDU 2003-XII).
Il diritto al rispetto della vita privata deve quindi essere inteso come garanzia della libertà sessuale (si vedano, già, J.L. c. Italia, n. 5671/16, § 134, 27 maggio 2021, e M.A. e altri c. Francia, n. 63664/19 e altri 4, § 138, 25 luglio 2024) e il diritto di disporre del proprio corpo (Pretty, sopra citato, § 66, e K.A. e A.D. v. Belgio, nn. 42758/98 e 45558/99, § 83, 17 febbraio 2005).
- Lo scopo principale dell’articolo 8 della Convenzione è quello di proteggere l’individuo contro l’ingerenza arbitraria delle autorità pubbliche (v., in particolare, Libert c. Francia, n. 588/13, §§ 40-42, 22 febbraio 2018, e Drelon c. Francia, nn. 3153/16 e 27758/18, § 85, 8 settembre 2022).
A questo impegno negativo si aggiungono gli obblighi positivi inerenti all’effettivo rispetto della vita privata o familiare, che possono comportare l’adozione di misure volte al rispetto della vita privata anche nei rapporti tra individui (si vedano X e Y c. Paesi Bassi, 26 marzo 1985, § 23, serie A n. 91, e Söderman c. Svezia [GC], n. 5786/08, § 78, CEDU 2013).
Tuttavia, il confine tra obbligazioni positive e negative non si presta a una definizione precisa [si vedano X, Y e Z c. Regno Unito, 22 aprile 1997, § 41, Recueil des arrêts et décis. 1997-II, e Fernández Martínez c. Spagna [GC], n. 56030/07, § 114, CEDU 2014 (estratti)).
- Un’ingerenza nei diritti garantiti dall’articolo 8 può essere giustificata solo se è prevista dalla legge, è diretta a uno o più degli scopi legittimi elencati in tale sottosezione ed è necessaria in una società democratica per raggiungere tale scopo o tali scopi.
- L’espressione «previsto dalla legge» richiede non solo che la misura contestata abbia un fondamento nel diritto interno, ma anche che la «legge» sia accessibile e che sia enunciata con sufficiente precisione per consentire ai soggetti cui si applica di regolare la loro condotta: circondandosi di consigli informati, se necessario, essi devono essere in grado di prevedere, in misura ragionevole nelle circostanze del caso di specie, le conseguenze che possono essere derivate da un determinato atto (si vedano, ad esempio, Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, § 52, CEDU 2000-V, e Vavřička e altri c. Repubblica ceca [GC], n. 47621/13 e altri 5, § 266, 8 aprile 2021).
Il termine “legge” deve essere inteso nel suo senso materiale e non in quello formale.
Esso comprende quindi sia il diritto scritto, che non si limita ai testi legislativi ma comprende anche gli atti giuridici e gli strumenti di rango inferiore, sia il diritto non scritto.
In sintesi, la “legge” è il testo in vigore come interpretato dai tribunali competenti (si vedano Leyla Şahin c. Turchia [GC], n. 44774/98, § 88, CEDU 2005-XI, e Vavřička e altri, sopra citati, § 269).
- L’elenco delle eccezioni al diritto al rispetto della vita privata di cui all’articolo 8, secondo comma, è esaustivo e la definizione di tali eccezioni è restrittiva.
Per essere compatibile con la Convenzione, una restrizione a tale diritto deve, in particolare, ispirarsi a una finalità che possa essere collegata a una delle finalità elencate in tale disposizione [v. S.A.S. c. Francia [GC], n. 43835/11, § 113, CEDU 2014 (estratti), e L.B. c. Ungheria [GC], n. 36345/16, § 108, 9 marzo 2023]. SENTENZA IN H.W. c. FRANCIA 16, 67.
I principi relativi alla valutazione della necessità di interferire con i diritti garantiti dall’articolo 8 sono stati riassunti nella sentenza Vavřička e a. (cit., §§ 273-275), alla quale si rinvia. […]
- La Corte sottolinea, in particolare, che le autorità nazionali dispongono, in linea di principio, di un certo margine di discrezionalità in materia.
La portata di tale potere discrezionale dipende da una serie di fattori determinati dalle circostanze del caso di specie. Tale margine è tanto più ristretto in quanto il diritto in questione è importante al fine di garantire all’individuo il godimento effettivo dei diritti fondamentali o intimi che gli sono riconosciuti.
Quando è in gioco un aspetto particolarmente importante dell’esistenza o dell’identità di un individuo, anche il margine lasciato allo Stato è limitato. Al contrario, quando non vi è consenso tra le Parti contraenti della Convenzione né sull’importanza relativa dell’interesse in gioco né sui mezzi migliori per proteggerlo, il margine di discrezionalità è più ampio, soprattutto quando sono in gioco delicate questioni morali o etiche.
Analogamente, vi è generalmente un ampio margine di discrezionalità quando si tratta di trovare un equilibrio tra interessi privati e pubblici concorrenti o diritti diversi tutelati dalla Convenzione (si veda Evans c. Regno Unito [GC], n. 6339/05, § 77, CEDU 2007-I, S.H. e altri c. Austria [GC], n. 57813/00, § 94, CEDU 2011, Vavřička e altri, sopra citati, §§ 273 e 275).
- In applicazione di quest’ultimo principio, la Corte ha dichiarato che gli Stati dispongono, in generale, di un ampio margine di discrezionalità sia nell’elaborazione della normativa in materia di divorzio sia in quella in cui la attuano effettivamente, in quanto tali esercizi implicano la conciliazione di interessi personali divergenti (si veda Babiarz c. Polonia, n. 1955/10, § 47, 10 gennaio 2017).
- b) Applicazione nel caso di specie
- L’esistenza di un’interferenza
- La ricorrente non ha lamentato il divorzio in quanto tale – che pure lei ha chiesto – ma i motivi per i quali è stato concesso.
- La Corte ritiene che la riaffermazione del dovere coniugale e il fatto che la ricorrente avesse cessato ogni rapporto intimo con il marito costituissero ingerenze nel suo diritto al rispetto della vita privata, nella sua libertà sessuale e nel suo diritto di controllare il proprio corpo.
Se è vero che il diritto interno separa ormai in larga misura le conseguenze pecuniarie del divorzio dagli eventuali torti dei coniugi (si veda il paragrafo 22 supra), resta il fatto che queste misure sono particolarmente invasive in quanto incidono su uno degli aspetti più intimi della vita privata dell’individuo (si veda Dudgeon, sopra citata, § 52, Smith e Grady c. Regno Unito, 33985/96 e 33986/96, § 90, CEDU 1999-VI, Y.F. c. Turchia, sopra citata, § 33, e K.A. e A.D. v. Belgio, sopra citata, § 83).
Inoltre, le conclusioni della Corte d’Appello sono state particolarmente stigmatizzanti, in quanto il rifiuto del ricorrente era stato considerato come una violazione “grave e rinnovata” degli obblighi derivanti dal matrimonio che rendeva “intollerabile” la prosecuzione della convivenza del richiedente (si veda il paragrafo 14 supra).
- Poiché tali ingerenze nei diritti della ricorrente sono atti di autorità pubbliche, la Corte ritiene che esse debbano essere esaminate dal punto di vista degli obblighi negativi.
- Giustificazione delle ingerenze
α) Esistenza di una base giuridica prevedibile
- La Corte ricorda che l’interpretazione e l’applicazione del diritto interno spettano in primo luogo alle autorità nazionali, e in particolare ai giudici e ai tribunali.
A meno che l’interpretazione adottata non sia arbitraria o manifestamente irragionevole, il compito della Corte si limita a determinare se i suoi effetti siano compatibili con la Convenzione (si vedano, tra le tante, Leyla Şahin, sopra citata, § 87, Sanchez c. Francia [GC], n. 45581/15, § 128, 15 maggio 2023, e Pindo Mulla, sopra citata, § 132).
- Nel caso di specie, la Corte rileva che il divorzio è stato pronunciato ai sensi degli articoli 229 e 242 e seguenti del codice civile (v. punto 20 supra), i quali prevedono che il divorzio può essere pronunciato per colpa quando fatti che costituiscono una violazione grave o ripetuta dei doveri e degli obblighi del matrimonio sono imputabili a uno dei coniugi e rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza. Il disaccordo tra le parti riguarda solo l’estensione dei “doveri e gli obblighi del matrimonio” e più in particolare la persistenza del dovere coniugale.
- L’argomento principale del ricorrente è che il diritto interno non impone ai coniugi di avere rapporti sessuali.
- La Corte rileva, tuttavia, che dalla giurisprudenza consolidata ma costante della Cour de cassation risulta che i coniugi sono vincolati da un obbligo coniugale e che la sua inadempienza può costituire un illecito che giustifica il divorzio (v. punto 23 supra).
La sentenza del 5 settembre 1990 alla quale il ricorrente faceva riferimento non era stata pronunciata in materia di divorzio, ma in materia penale: essa si limitava a ricordare il carattere riprovevole dello stupro coniugale (v. supra, punto 30).
Nonostante questa evoluzione giurisprudenziale, la Corte di Cassazione ha confermato, con sentenza del 17 dicembre 1997, che “l’astensione prolungata dai rapporti intimi imputata alla moglie” era tale da giustificare la pronuncia del divorzio per colpa in quanto “non era giustificata da sufficienti ragioni mediche”.
Sebbene la Corte di cassazione non abbia più ribadito tale giurisprudenza da allora, essa non è mai stata riformata e continua ad essere applicata dai giudici di grado inferiore (v. punti 25 e 29 supra).
La Corte conclude che le ingerenze in questione si basavano su una giurisprudenza interna consolidata.
- In subordine, la ricorrente sostiene che l’esatta portata dell’obbligo coniugale era imprevedibile.
A questo proposito, è vero che la giurisprudenza interna non considera illecito ogni rifiuto di avere rapporti sessuali.
Essa ha lasciato ai giudici di merito il compito di stabilire se un siffatto rifiuto fosse sufficiente a dimostrare una violazione grave o ripetuta dei doveri e degli obblighi del matrimonio che giustificava il divorzio (si veda il paragrafo 26 supra).
Essa ammette inoltre che talune circostanze, come l’età, lo stato di salute o la natura abusiva o violenta del coniuge, siano tali da giustificare l’inadempimento del dovere coniugale (ibid.).
La Corte ricorda, tuttavia, che il requisito della prevedibilità della legge non si spinge fino ad imporre un grado di precisione tale che il cittadino possa essere assolutamente certo delle conseguenze che possono derivare dalla sua applicazione.
Molte leggi utilizzano, per necessità, formulazioni più o meno vaghe, la cui interpretazione e applicazione dipendono dalla prassi (Silver e a. c. Regno Unito, 25 marzo 1983, § 88, serie A n. 61, Michaud c. Francia, n. 12323/11, § 96, CEDU 2012, e M.K. c. Lussemburgo, n. 51746/18, § 56, 18 maggio 2021).
Essa sottolinea inoltre che spetta alle autorità nazionali, e in primo luogo ai tribunali, interpretare e applicare il diritto interno (si vedano Paradiso e Campanelli c. Italia [GC], n. 25358/12, § 169, 24 gennaio 2017, e Sanchez, sopra citata, § 126).
Pertanto, il fatto che il diritto interno attribuisca ai giudici di merito il potere di valutare se la violazione di un obbligo matrimoniale sia o meno sufficientemente qualificata da giustificare il divorzio non è tale da rimettere in discussione la sua prevedibilità.
Il Tribunale ritiene che la giurisprudenza di cui trattasi sia stata formulata con sufficiente precisione per consentire alla ricorrente di regolare il suo comportamento, eventualmente con l’aiuto di una consulenza informata.
- Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la Corte ritiene che le ingerenze in questione siano state “prescritte dalla legge” ai sensi dell’articolo 8 § 2.
β) La legittimità dell’obiettivo perseguito
- Spetta alla Corte stabilire se le restrizioni contestate siano state ispirate da una finalità che potrebbe essere collegata a una di quelle elencate al secondo comma dell’articolo 8 (si vedano Parrillo c. Italia [GC], n. 46470/11, § 163, CEDU 2015, e L.B. c. Ungheria, sopra citata, § 108), essendo tale riesame sommario nella maggior parte dei casi (Leyla Şahin, citato sopra, § 99, Merabishvili v. Georgia [GC], n. 72508/13, § 297, 28 novembre 2017 e L.B. c. Ungheria, cit., § 109).
- Il Governo ha precisato che le ingerenze in questione miravano a tutelare i diritti altrui e, più in particolare, il diritto di ciascuno dei coniugi di porre fine al vincolo coniugale quando non era più possibile continuare a vivere insieme (v., in tal senso, v., sentenza N.N. e T.A. c. Belgio, cit., § 42).
- Rilevando che il diritto interno garantisce il diritto al divorzio e che la rottura incide sui diritti di ciascuno dei coniugi, la Corte riconosce che lo scopo delle ingerenze contestate, che si riferisce al diritto di ciascuno dei coniugi di porre fine al rapporto coniugale, era legato alla “protezione dei diritti e delle libertà altrui” ai sensi della Convenzione.
Resta tuttavia alla Corte decidere la questione, che è strettamente connessa a quella dell’esistenza di uno scopo legittimo, se le restrizioni di cui trattasi siano giustificate, vale a dire se esse siano fondate su motivi pertinenti e sufficienti e se siano proporzionate allo scopo perseguito (v., sul punto, sentenze Merabishvili, sopra citata, § 302, e L.B. v. Ungheria, cit., § 109).
γ) Sulla necessità dell’interferenza
- È necessario esaminare se i giudici nazionali abbiano raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi individuali in gioco, vale a dire, da un lato, la libertà sessuale della ricorrente e, dall’altro, il diritto del coniuge alla cessazione del vincolo matrimoniale se ritiene che l’astinenza sessuale impostagli renda intollerabile la sua esistenza.
A questo proposito, la Corte non esclude che il mantenimento forzato di un coniuge nell’unione, nonostante l’accertamento di una modifica irreparabile del vincolo coniugale, possa, in determinate circostanze, ledere eccessivamente i suoi diritti (si vedano Ivanov e Petrova c. Bulgaria (dec.), n. 15001/04, § 61, 14 giugno 2011, e Babiarz, sopra citata, § 50; si veda anche F. c. Svizzera, 18 dicembre 1987, § 38, serie A n. 128, e Aresti Charalambous c. Cipro (dec.), n. 43151/04, § 56, 19 luglio 2007).
- Nella misura in cui le ingerenze in questione incidono su uno degli aspetti più intimi della vita privata del ricorrente, la Corte ritiene che il margine di discrezionalità lasciato agli Stati contraenti sia ristretto (si vedano le sentenze Dudgeon, cit., § 52, e S. e Marper c. Regno Unito [GC], nn. 30562/04 e 30566/04, § 102, CEDU 2008).
Essa sottolinea che solo ragioni particolarmente gravi possono giustificare un’ingerenza delle autorità pubbliche nel campo della sessualità (si vedano le sentenze Dudgeon, cit., § 52, Smith e Grady, cit., § 89, e K.A. e A.D. c. Belgio, cit., § 84).
A questo proposito, il caso è chiaramente diverso dalla causa Babiarz, in cui nessuno dei diritti invocati dai coniugi nel procedimento di divorzio tra loro era di tale natura o importanza (si veda Babiarz, sopra citata, §§ 37 e 47).
- Nel caso di specie, la Corte rileva che il dovere del matrimonio, come enunciato nell’ordinamento giuridico interno e ribadito nel caso di specie (v. punti 14 e 19 supra), non tiene conto del consenso ai rapporti sessuali, sebbene esso costituisca un limite fondamentale all’esercizio della libertà sessuale altrui.
- A questo proposito, la Corte ricorda che qualsiasi atto sessuale non consensuale costituisce una forma di violenza sessuale (si veda, su questo punto, si veda M.C. c. Bulgaria, sopra citata, § 163).
Essa ha inoltre costantemente affermato, dal punto di vista dell’articolo 8 da solo o in combinato disposto con l’articolo 3, che gli Stati contraenti devono istituire e attuare un quadro giuridico adeguato che offra protezione contro gli atti di violenza che possono essere commessi da privati (si veda Söderman, sopra citata, § 80 e riferimenti citati).
Gli obblighi relativi alla prevenzione della violenza sessuale e domestica sono stati introdotti anche negli articoli 5 § 2 e 12 § 2 della Convenzione di Istanbul (si veda il paragrafo 34 supra).
- Tuttavia, la Corte osserva che l’obbligo controverso non garantisce il libero consenso ai rapporti sessuali all’interno della coppia.
Questa norma di diritto ha una dimensione prescrittiva per quanto riguarda i coniugi nella conduzione della loro vita sessuale. Inoltre, il mancato rispetto della legge non è privo di conseguenze giuridiche.
Da un lato, il rifiuto di sottoporsi all’obbligo coniugale può, alle condizioni previste dall’articolo 242 del codice civile, essere considerato come una colpa che giustifica la pronuncia del divorzio, come nel caso di specie (v. punti 20 e 23-26 supra).
Per contro, essa può dar luogo a conseguenze pecuniarie e costituire il fondamento di un’azione di risarcimento danni (v. punti 22 e 27 supra).
- La Corte ne deduce che l’esistenza stessa di un siffatto obbligo matrimoniale è contraria sia alla libertà sessuale sia al diritto all’autodeterminazione del proprio corpo, sia all’obbligo positivo di prevenzione che incombe agli Stati contraenti in materia di lotta contro la violenza domestica e sessuale.
- Sebbene il Governo abbia sostenuto che la qualifica come reato dei reati sessuali commessi all’interno di una coppia fosse sufficiente a garantire la tutela della libertà sessuale di tutti, la Corte ha ritenuto che tale divieto penale non fosse sufficiente a rendere inefficace l’obbligo civile introdotto dalla giurisprudenza.
Essa osserva che quest’ultima è contraria ai progressi compiuti in materia penale (v. punti 30-33 supra), nonché agli impegni internazionali assunti dalla Francia per combattere tutte le forme di violenza domestica (v. punto 34 supra).
- La Corte non può ammettere, come suggerisce il Governo, che il consenso al matrimonio implichi il consenso a future relazioni sessuali. Una tale giustificazione rischierebbe di privare lo stupro coniugale del suo carattere riprovevole.
Tuttavia, la Corte ha da tempo sostenuto che l’idea che un marito non possa essere perseguito per lo stupro della moglie è inaccettabile e che è contraria non solo a una nozione civile del matrimonio, ma anche e soprattutto agli obiettivi fondamentali della Convenzione, la cui essenza stessa è il rispetto della dignità umana e della libertà (S.W. c. Regno Unito, sopra citato, § 44, e C.R. v. Regno Unito, 22 novembre 1995, § 42, serie A n. 335-C).
Secondo la Corte, il consenso deve riflettere la libera volontà di avere una particolare relazione sessuale, nel momento in cui si verifica e tenendo conto delle sue circostanze.
- Inoltre, la Corte non ravvisa, nel caso di specie, alcun motivo particolarmente serio che possa giustificare un’ingerenza nel campo della sessualità (si vedano le sentenze Dudgeon, cit., § 52, Smith e Grady, cit., § 89, e K.A. e A.D. c. Belgio, cit., §. 84).
Esso ha rilevato che il coniuge del ricorrente aveva la possibilità di chiedere il divorzio a causa di una modifica permanente del vincolo coniugale.
A tal riguardo, spettava alla Corte rispettare i requisiti di cui all’articolo 1077 del codice di procedura civile, presentando tale domanda in via principale e non in subordine, come ha fatto nel caso di specie (v. punti 13 e 60 supra).
La difesa dei suoi diritti potrebbe quindi essere assicurata con altri mezzi.
- Da tutte le considerazioni che precedono, la Corte deduce che la riaffermazione del dovere coniugale e la pronuncia del divorzio per sola colpa del richiedente non erano fondate su motivi pertinenti e sufficienti e che i giudici nazionali non sono riusciti a trovare un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco in gioco.
Quanto precede è sufficiente per stabilire una violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
- SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
- L’articolo 41 della Convenzione prevede: “Se la Corte dichiara che vi è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente consente che le conseguenze di tale violazione siano cancellate solo in modo imperfetto, la Corte, se del caso, concede alla parte lesa un’equa soddisfazione”.
- Danno morale
- La ricorrente ha chiesto un euro simbolico per il danno morale che riteneva di aver subito a causa del carattere infame del divorzio pronunciato per sua unica colpa, affermando di essere stata particolarmente lesa dalla sanzione così pronunciata nei suoi confronti per una questione relativa alla sua vita sessuale.
- Il Governo non si è opposto a tale richiesta.
- La Corte ritiene che la ricorrente abbia subito un certo danno morale. Alla luce dell’importo richiesto dal ricorrente e delle particolari circostanze del caso, la Corte ritiene che l’accertamento di una violazione dell’articolo 8 fornisca di per sé una sufficiente equa soddisfazione per qualsiasi danno morale subito dal richiedente (Vegotex International S.A. c. Belgio [GC], n. 49812/09, § 164, 3 novembre 2022).
- Costi e spese
- La ricorrente chiede il rimborso di EUR 36.500 a titolo di spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e dinanzi alla Corte.
- Il Governo si è opposto a tale domanda, sottolineando che la ricorrente non aveva fornito alcun elemento di prova che giustificasse l’effettività e la necessità delle sue spese.
- Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui siano dimostrate, indipendentemente dal fatto che siano necessarie e che la tariffa sia ragionevole.
Il Tribunale richiede la produzione di note pagarie e fatture dettagliate; tali condizioni devono essere sufficientemente precise da consentirgli di determinare in che misura le condizioni di cui sopra siano soddisfatte (si vedano İzzettin Doğan e altri c. Turchia [GC], n. 62649/10, § 192, 26 aprile 2016, e Altay c. Turchia (n. 2), n. 11236/09, § 87, 9 aprile 2019).
Nel caso di specie, la ricorrente H.W. c. FRANCE 22 non ha fornito alcun elemento di prova relativo ai suoi costi e alle sue spese. Di conseguenza, la Corte respinge la domanda presentata al riguardo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
- dichiara ricevibile il reclamo relativo alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
- constata che vi è stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
- Dichiara che l’accertamento di una violazione costituisce di per sé una giusta soddisfazione;
4) Il resto della domanda di equa soddisfazione è respinto.