Consiglio di Stato, Sez. VII – sentenza 27.01.2025 n. 592
PRINCIPIO DI DIRITTO
Nel caso in cui la concessione demaniale marittima rilasciata dalla Regione al Comune sia oramai scaduta, è doveroso il provvedimento del Comune che disponga lo sgombero della pertinente area adibita allo svolgimento di attività mercatale, in quanto l’Ente è oramai privo del potere di disporne quale concedente ed è altresì legittimo il ridetto provvedimento di sgombero, che sopprima in toto l’area, se sorretto dalla necessitò di scongiurare rischi per la pubblica incolumità. Tale decisione è caratterizzata da un alto tasso di discrezionalità in capo all’amministrazione, la quale, rebus sic stantibus, deve adottare in concreto le idonee precauzioni atte ad abbassare il livello di rischio per l’area interessata.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- I motivi sono complessivamente infondati.
- La deliberazione di Giunta comunale n.200 del 2017 e la successiva deliberazione del Consiglio comunale n.6 del 2018 che l’ha confermata recependone le argomentazioni, si fondano su vari presupposti giuridici e di fatto che trovano, quanto alla loro consistenza, riscontri obiettivi che ne corroborano la fondatezza e la legittimità.
- E’ innanzitutto incontestato che la concessione rilasciata dalla regione al comune nel 2002, avente ad oggetto l’area demaniale su cui si svolgeva l’attività mercatale, fosse irrefragabilmente scaduta nel 2007.
- Né alla stessa – diversamente da quanto sembra ritenere la parte – poteva applicarsi la proroga ex lege prevista dal comma 18 dell’art.1 del d.l. 194 del 2009, convertito con la legge n.25 del 2010, sia perché riguardava un diverso oggetto (locazioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo rilasciate ai privati, mentre in questo caso il concessionario era l’ente locale) e sia perché quella di cui si discute era una concessione già scaduta, al momento dell’entrata in vigore del d.l. citato. Dunque vi era, incontestatamente, un possesso sine titulo dell’area da parte del comune che lo privava del potere di disporne quale concedente e che gli imponeva l’ordine di sgombero, salvo esporlo a responsabilità nei confronti della regione, proprietaria dell’area demaniale.
- Né ha senso sostenere, come fa la parte appellante, che il comune era comunque competente in ragione delle sue attribuzioni in materia di organizzazioni del commercio. Infatti, con le delibere impugnate il comune non ha agìto in quest’ultima veste, quanto piuttosto in quella di autorità competente alla vigilanza in materia di ordine e di igiene pubblica. E in ogni caso, a tutto concedere, giammai le competenze di regolazione delle attività commerciali gli avrebbero consentito di esercitare poteri di disposizione su di un bene estraneo al suo patrimonio.
- Già questo solo elemento, come si vede, giustificava il disposto sgombero dell’area e il non trovare lo stesso adeguate smentite nella difesa appellante, già di per sé dequota sensibilmente la doglianza attorea.
- Vi era altresì un problema legato alla sicurezza della circolazione derivante dalla ridetta allocazione. Gli accertamenti istruttori disposti dal comune hanno riscontrato questa difficoltà, rilevando come la ridetta area mercatale fosse posta sulla linea di confine della carreggiata, aperta alla viabilità veicolare, che costituisce il lungomare di Marina di Leuca, con immaginabili rallentamenti del traffico, causati dai frequentatori dell’area, potenziali acquirenti dei beni ivi venduti, oltre che – circostanza più significativa – dal rischio di incidenti che si potrebbero avere in danno dei passanti, dovuti ai prevedibili e numerosi attraversamenti pedonali, soprattutto nelle ore di punta.
- Anche questo elemento, come il precedente, laddove in particolare si tenga conto dell’alto tasso di discrezionalità di cui era portatrice l’amministrazione nell’occorso, sarebbe di per sé solo bastevole a sorreggere, dal punto di vista fattuale e giuridico, la determinazione impugnata, che dimostra così di essere immune dai denunciati vizi di illogicità e contraddittorietà.
- […] Ed infatti, in disparte che altro è manifestare il mero proposito di abbassare il livello di rischio, altro è adottare in concreto le opportune precauzioni idonee a prevenirlo – e la valutazione dell’amministrazione, qui contestata, era stata esperita rebus sic stantibus, e dunque la sua legittimità a quel momento va riferita – vi è da dire che, anche volendo tener conto delle osservazioni tecniche di parte, alcuni dei più importanti elementi di rischio (quali la difficoltà di accesso al sito di veicoli di emergenza come VVFF ed ambulanze, l’accesso in condizioni di sicurezza delle persone diversamente abili, la stessa saturazione dei parcheggi presenti in zona e il conseguente congestionamento del traffico veicolare) sarebbero rimasti comunque irrisolti, malgrado le stesse che nulla dicevano in merito.
- Quanto al non avere quest’ultima, prima di provvedere in tal senso, modificato il Piano comunale delle coste, la doglianza è evidentemente “fuori sesto” perché nel caso di specie non è stata adottata una decisione regolativa dell’uso della costa, quanto piuttosto una delibera tesa, da un lato, a correggere una situazione in parte illegittima, dovuta alla scadenza della “concessione-madre”, e, dall’altra, a scongiurare rischi per la pubblica incolumità.
- Come anticipato, a questo primo gruppo di motivi può essere ascritto anche il quarto motivo d’appello che contesta le declaratorie di irricevibilità per tardività e di inammissibilità pronunciate dal giudice con riferimento all’impugnazione delle note che il comune ha individualmente trasmesso a ciascuno degli appellanti per renderli edotti della sua determinazione di sgombrare il lungomare Colombo dai punti vendita da loro gestiti (primo ricorso per motivi aggiunti).
- Il motivo è complessivamente infondato.
- Infatti, come fondatamente ritenuto dal primo giudice, le suddette note hanno semplicemente riferito il contenuto delle precedenti e ricordate deliberazioni, che avevano disposto la liberazione del lungomare dal mercato degli ambulanti. Ne consegue che il ricorso per motivi aggiunti, nella parte in cui si limita a richiamare i suddetti provvedimenti, era intempestivo, e dunque irricevibile. Viceversa, nella parte in cui attua le prescrizioni ivi contenute, esso è inammissibile per carenza di interesse, trattandosi di atto meramente esecutivo di precedente provvedimento, già gravato con il ricorso principale, rigettato sia in primo grado che, per i motivi che precedono, in questo grado di appello.
- Più in generale vale osservare che, rispetto alla proroga della concessione chiesta dalle parti appellanti, il comune, essendo carente di potere in astratto perché non aveva più la disponibilità giuridica del bene, a causa della scadenza dell’originaria concessione, non era comunque tenuto a provvedere in merito, il che dequota ulteriormente la relativa obiezione.
- Si è detto che il secondo gruppo di motivi contesta la declaratoria di inammissibilità pronunciata dalla sentenza impugnata sul secondo ricorso per motivi aggiunti, che aveva ad oggetto le nuove allocazioni delle strutture di vendita degli appellanti. Il primo giudice è giunto alla ridetta conclusione, ritenendo che – una volta acclarata la non illegittimità dei provvedimenti di sgombero del lungomare – la parte non avesse più interesse a contestare le nuove allocazioni. Viceversa quest’ultima ritiene di avere un interesse concreto ed immediato a criticare le ridette riallocazioni, in quanto inidonee, inadeguate all’uso, ed individuate in violazione delle previsioni normative, in particolare di quelle contemplate dalla ricordata legge regionale Puglia n.24 del 2015 che imponeva la redazione del Piano di commercio prima di provvedere in merito con decisioni definitive.
- Il motivo è infondato.
- In definitiva, se, come è, lo sgombero da via Colombo deve ritenersi immune dai vizi di illegittimità denunciati, poiché il restare in quel sito rappresentava l’unico ed effettivo “bene della vita” cui gli appellanti anelavano, al momento in cui hanno proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, è evidente la carenza di un interesse attuale e concreto in capo agli stessi a sollevare rilievi con riferimento ai provvedimenti che hanno disposto le nuove localizzazioni, che si pongono, come tali, “ a valle” di qualsivoglia pretesa giuridicamente tutelabile degli stessi, ricostruita alla luce della loro stessa prospettazione, e del conseguente contegno processuale da loro tenuto.
- Né è fondatamente sostenibile che l’eventuale illegittimità delle riallocazioni, potrebbe riverberare per derivazione i suoi effetti sull’originario sgombero perché le successive determinazioni dipendono, cronologicamente e giuridicamente dalla prima, nella quale trovano il loro fondamento, ma evidentemente non vale la reciproca.
- Infine, per gli stessi identici motivi, non sussiste nemmeno un interesse a contestare i successivi provvedimenti – gravati col terzo gruppo di censure di cui all’atto di appello – coi quali il comune, cercando un’intesa con gli altri enti competenti, ha avviato un procedimento teso a imprimere una nuova sistemazione ed una nuova configurazione dell’area, originariamente destinata ad attività mercatale del predetto lungomare. Anche in questo caso, infatti, l’accertata legittimità del disposto sgombero priva di attualità l’interesse degli appellanti ad opporsi a questa nuova configurazione, anche a voler trascurare che l’operazione avviata consiste in accordi intercorrenti fra enti pubblici – ai quali le parti private appellanti sono da ritenersi estranee sia in fatto, ma anche in diritto, atteso quanto previsto dall’art.15 della L. n.241 del 1990 e dall’art. 34 testo unico enti locali – e che gli stessi, in ogni caso rappresentano, almeno allo stato in cui sono documentati in atti, mere intese programmatiche e non decisioni concretamente dispositive, dunque come tali sono da ritenersi, in sé, privi di autonoma capacità lesiva.
- Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto dell’appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.